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Note

La particolare rilevanza indiziaria del deficit patrimoniale nella determinazione dell’irreversibilità della crisi dell’impresa bancaria

15 Gennaio 2019

Biagio Campagna

Cassazione Civile, Sez. I, 18 agosto 2017, n. 20186 – Pres. Didone, Rel. Ferro

Di cosa si parla in questo articolo

Sommario: 1. Il principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte – 2. Premessa generale. La disciplina delle crisi bancarie – 3. La liquidazione coatta amministrativa bancaria. – 4. Presupposti soggettivi dell’accertamento giudiziale dell’insolvenza – 5. L’insolvenza delle banche. 6. L’irregolarità nell’amministrazione comporta l’applicazione della disciplina della crisi bancaria. – 7. Riflessioni.

 

Massima

Lo stato di insolvenza di una banca sottoposta a liquidazione coatta amministrativa – la cui sussistenza, ai sensi dell’art. 82, comma secondo, del d.lgs 1 settembre 1993, n. 385, deve essere riscontrata con riferimento al momento dell’emanazione del provvedimento di liquidazione – si traduce, sulla base della generale previsione dell’art. 5 legge fall., applicabile in assenza di autonoma definizione, nel venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie per l’espletamento della specifica attività imprenditoriale.

1. Il principio di diritto stabilito dalla Suprema Corte

Con la pronuncia in commento la Corte di legittimità ha statuito che “lo stato di insolvenza di una banca sottoposta a liquidazione coatta amministrativa – la cui sussistenza, ai sensi dell’art. 82, comma secondo, del d.lgs 1 settembre 1993, n. 385, deve essere riscontrata con riferimento al momento dell’emanazione del provvedimento di liquidazione – si traduce, sulla base della generale previsione dell’art. 5 legge fall., applicabile in assenza di autonoma definizione, nel venir meno delle condizioni di liquidità e di credito necessarie per l’espletamento della specifica attività imprenditoriale”.

La Corte di Cassazione ha ritenuto infondate le censure mosse avverso la sentenza della Corte di Appello di Napoli, che, ad avviso di parte ricorrente, avrebbe omesso di prendere in considerazione la specificità della nozione di insolvenza con particolare riguardo allattività di impresa bancaria, conferendo unicamente rilievo al deficit patrimoniale e trascurando, invece, di prendere in considerazione ulteriori fattori quali la capienza patrimoniale, la liquidità e la possibilità di intervento per il tramite di operazioni straordinarie.

Ad avviso della Corte di Cassazione, infatti, “la peculiarità dell’attività bancaria – la quale implica che l’impresa che la esercita disponga di molteplici canali di accesso al reperimento di liquidità per impedire la suggestione della corsa ai prelievi – fa sì che assuma particolare rilevanza indiziaria, circa il grado di irreversibilità della crisi, il “deficit” patrimoniale, che si connota come dato centrale rispetto sia agli inadempimenti che all’eventuale illiquidità”.

2. Premessa generale. La disciplina delle crisi bancarie

Le crisi delle imprese bancarie, in Italia, non sono assoggettate alla disciplina delle crisi delle imprese “di diritto comune” (cioè, principalmente, alle procedure di: “fallimento” e “Concordato preventivo”). Le banche sono assoggettate ad una disciplina delle crisi “di diritto speciale”.

Le ragioni di ciò sono principalmente due: a) Le imprese “di diritto comune” sono assoggettate a procedure giudiziarie solo in presenza di “crisi economiche”: cioè nelle situazioni nelle quali esse versano in una situazione di “insolvenza” o di “pre-insolvenza”. Le banche – invece – sono assoggettate a procedure giudiziarie non solo nelle ipotesi di “crisi economiche”, ma anche nelle ipotesi di “crisi di legalità”: cioè quando sono state accertate violazioni di legge, dei Regolamenti (della Banca di Italia) e dello Statuto (e questo in conseguenza della particolare importanza che riveste l’attività bancaria nel contesto dell’economia); b) anche quando una banca è assoggettata ad una procedura giudiziale a causa di una “crisi economica”, il legislatore italiano ha preferito che la gestione della “crisi” non sia affidata all’Autorità giudiziaria – come avviene per le altre imprese –, bensì all’Autorità Amministrativa alla quale è attribuita la Vigilanza sull’attività bancaria in generale. Questa Autorità è la Banca d’Italia[1].

3. La Liquidazione coatta amministrativa bancaria

L’art. 80, comma 1, t.u.b. disciplina la revocabilità dell’autorizzazione all’attività bancaria e la sottoponibilità a liquidazione coatta amministrativa delle banche.

Fino al recente recepimento della Direttiva comunitaria 2014/59/UE – BRRD -, i presupposti di assoggettabilità delle banche alla L.C.A. erano gli stessi previsti per l’Amministrazione Straordinaria (irregolarità, inadempimenti, perdite) che risultassero caratterizzati da «eccezionale gravità». Il recepimento nell’ordinamento italiano della Direttiva comunitaria BRRD, ha peraltro portato al tema dei presupposti oggettivi di assoggettabilità dell’impresa bancaria alla procedura di liquidazione coatta amministrativa importanti innovazioni. Come abbiamo visto sopra, la scelta della misura da adottare per la soluzione della crisi dell’impresa bancaria non dipende (più) dall’accertamento della intensità della gravità della stessa, nel momento in cui si manifesta, bensì dalla valutazione dell’attitudine a “rimediare” allo stato di crisi, a partire dalla misura caratterizzata da minore invasività per poi passare a quella progressivamente più incisiva. In particolare, la L.C.A. della Banca viene disposta solamente se non sussistono i presupposti per aprire la nuova Procedura denominata “Risoluzione”: più precisamente, è disposta soltanto se la procedura di Risoluzione, “non consente di rimediare allo stato di dissesto o di rischio di dissesto” della banca.

4. Presupposti soggettivi dell’accertamento giudiziale dell’insolvenza

A differenza di quanto attualmente prevede l’art. 1, 2° comma, l. fall.,tanto nella disciplina generale della liquidazione coatta amministrativa, quanto in quella contenuta nel Tub, al fine della dichiarazione giudiziale di insolvenza non è richiesto il superamento di alcun limite dimensionale da parte dell’impresa in crisi e tale circostanza ha sollevato dubbi di incostituzionalità per la disparità di trattamento alla quale sarebbero sottoposte le imprese assoggettate al fallimento rispetto a quelle per le quali è prevista la liquidazione coatta amministrativa[2].

Per le imprese bancarie, però, questa perplessità non sembra poter essere condivisa. A parte l’ovvia constatazione che, nei fatti, risulterà abbastanza difficile che le banche non superino almeno una delle soglie di fallibilità previste dalla legge fallimentare, non si può non considerare che la disciplina dettata nel Tub è direttamente funzionale alla tutela ed alla realizzazione degli interessi della collettività direttamente coinvolti nel settore del risparmio e del credito; pertanto, gli specifici requisiti dimensionali e organizzativi, previsti dalla normativa primaria e secondaria per l’accesso all’attività, le modalità prescritte per l’esercizio dell’impresa ed il controllo su di essa, nonché, ovviamente, le regole di gestione delle crisi costituiscono la risposta dell’ordinamento ad istanze di ordine pubblico, sempre presenti, quando vi sia esercizio dell’impresa bancaria, quali che siano le dimensioni che essa in concreto abbia assunto.

A ciò si aggiunga che, se davvero si ritenesse inammissibile nei confronti delle “piccole” banche la pronuncia giudiziale dell’insolvenza, si determinerebbe una particolare situazione, francamente poco comprensibile sul piano della coerenza logica e giuridica, in base alla quale certamente l’Autorità governativa potrebbe disporre la liquidazione coatta in caso di insolvenza, essendo tenuta a provvedere già quando siano solo previste perdite di eccezionale gravità[3].

Ma, per effetto di questa singolare “amputazione” del procedimento, i soggetti legittimati ai sensi del primo comma dell’art. 82 Tub – e in primo luogo fra questi, i creditori, che non sono parimenti legittimati a proporre la procedura di liquidazione coatta – verrebbero privati dell’unico strumento, che può essere da essi esperito per ottenerne l’apertura anche in caso di inerzia dell’Autorità competente; per opinione pressoché unanime, infatti, una volta che sia stata accertata giudizialmente l’insolvenza, l’autorità amministrativa competente è tenuta a dare corso al procedimento di liquidazione. Inoltre, durante la procedura liquidatoria sarebbe possibile rimpinguare l’attivo attraverso l’esercizio delle azioni revocatorie, che è anche esso un effetto inscindibilmente connesso all’accertamento giudiziale dell’insolvenza; ed è evidente che in una situazione in cui presumibilmente non si potrà pervenire all’integrale soddisfacimento dei crediti pregressi, il mancato esercizio delle revocatorie causerebbe una ingiustificabile violazione del principio della par condicio, dal momento che, nonostante il pesante ridimensionamento di cui sono state oggetto a seguito della riforma del diritto fallimentare, esse rimangono tuttora il principale mezzo per la ripartizione dell’insolvenza sul ceto creditorio.

Parimenti invariati, ma eccedenti dall’ambito di queste riflessioni, permangono gli interrogativi relativi alla individuazione delle “banche” che possono essere sottoposte alla liquidazione coatta; nell’ambito di queste, poi, è altresì necessario stabilire anche quali possano essere assoggettate all’accertamento giudiziale dell’insolvenza. Tradizionalmente, il problema è stato posto soprattutto nei confronti delle banche pubbliche, per le quali è opinione prevalente – avallata, fra l’altro dal rinvio contenuto nell’art. 82, 1° comma, all’art. 195, 8° comma, l. fall., il quale esclude che l’accertamento giudiziario dell’insolvenza possa essere pronunciato al di fuori del procedimento di liquidazione coatta nei confronti degli enti pubblici – che la sentenza dichiarativa dell’insolvenza possa intervenire solo dopo che ne sia stata disposta la liquidazione coatta. Non soltanto rispetto alle banche pubbliche, ma più in generale con riguardo a tutti gli enti pubblici economici, in genere si ritiene che il legislatore avrebbe intenzionalmente scelto di non sottoporre ad alcun vincolo la discrezionalità della Pubblica Amministrazione nel disporre lo scioglimento dell’ente; tale discrezionalità, infatti, verrebbe meno una volta che l’insolvenza sia stata accertata giudizialmente, dal momento che in tal caso lo scioglimento dell’ente da parte dell’Autorità competente – come si è appena rammentato – è generalmente considerato un’ atto dovuto. Ovviamente, in questa prospettiva nulla osta, invece, a che l’accertamento dell’insolvenza intervenga successivamente all’emanazione del decreto di liquidazione, poiché l’Autorità amministrativa ha potuto esercitare la piena libertà i suoi poteri di valutazione[4]. Non si può, peraltro, omettere di segnalare che la questione presenta attualmente scarsissima rilevanza pratica, dal momento che nel nostro sistema sopravvive un’unica banca pubblica: l’Istituto per il credito sportivo, il quale, peraltro, è stato posto in amministrazione straordinaria con d.m. 28 dicembre 2011[5].

Continua egualmente a porsi in termini invariati la vexata quaestio concernente l’individuazione della procedura alla quale deve essere sottoposta la cosiddetta “banca di fatto” in caso di insolvenza. Come è noto, se nel vigore dell’abrogata legge bancaria prevaleva nella dottrina e nella giurisprudenza l’opinione secondo la quale l’esercizio dell’attività bancaria, anche in difetto di autorizzazione, implicava in caso di insolvenza l’assoggettamento dell’impresa alla disciplina delle crisi bancarie, attualmente, mentre la questione continua ad essere oggetto di vivaci contrasti dottrinali[6], presso la giurisprudenza di merito sembra si stia progressivamente affermando una lettura “formalistica” dell’art. 1, 2°comma, lett. a), Tub, in base alla quale la disciplina speciale si applicherebbe elusivamente alle imprese bancarie autorizzate; di conseguenza il problema dell’accertamento giudiziale dell’insolvenza ex art. 82 Tub non si porrebbe proprio rispetto alle banche di fatto, poiché queste, in caso di insolvenza, non potrebbero che essere assoggettate al fallimento. Infine, per quel che concerne le succursali di banche estere, che svolgono l’attività nel territorio nazionale, ne può essere dichiarata l’insolvenza soltanto nel caso in cui esse possano essere sottoposte a liquidazione coatta secondo le regole del nostro ordinamento: infatti, la dichiarazione di insolvenza è una fase – peraltro soltanto eventuale – del procedimento di liquidazione coatta e l’emanazione di una sentenza che la accerti ha un senso solo se vi è la possibilità giuridica che si innesti nel suddetto procedimento. È necessario, dunque, distinguere a seconda che si tratti di succursali di banche extracomunitarie ovvero di banche comunitarie.

Per le prime l’assoggettamento al procedimento di liquidazione coatta secondo le regole del nostro ordinamento è espressamente sancito dall’art. 95 Tub, ai sensi del quale le banche extracomunitarie soggiacciono alla disciplina della liquidazione coatta amministrativa. Le banche comunitarie, invece, sono sottoposte esclusivamente alla disciplina dell’insolvenza prevista dal Paese di origine; infatti, l’art. 95–quater, 2 comma – che è fra le norme introdotte nel Tub dal d. lg. 9 luglio 2004, n. 197, in adeguamento alla Direttiva 2001/24/CE in materia di risanamento e liquidazione degli enti creditizi – riconosce alla Banca d’Italia soltanto il potere di rivolgere una richiesta all’Autorità di vigilanza dello Stato d’origine, segnalando la necessità di attivare una procedura di risanamento nei confronti della banca comunitaria operante nel territorio nazionale, nel pieno rispetto del principio dell’home country control, recepito dalla Direttiva comunitaria, che attribuisce alle autorità dello Stato d’origine piena competenza nella gestione della crisi[7].

5. L’insolvenza delle banche

Anche con riguardo alle caratteristiche dell’oggetto dell’accertamento giudiziale (lo stato di insolvenza) non si devono segnalare novità conseguenti alla riforma del diritto fallimentare. Come in precedenza, resta aperto il dibattito relativo alla nozione di insolvenza delle banche, che vede parte della dottrina sostenere che il concetto di insolvenza di cui all’art. 5. l. fall. ha carattere “universale”, nel senso che è ad esso che si deve fare riferimento per tutte le procedure di crisi – e, dunque, anche in quelle bancarie – nelle quali è richiamato[8], e altra parte, fortemente sostenuta dalla giurisprudenza, che, pur quando evoca in via di principio la sovrapponibilità fra le nozioni di insolvenza bancaria e fallimentare, perviene, però, ad affermare, enfatizzandole peculiarità dell’attività bancaria, che l’insolvenza della banca può essere dichiarata in un momento cronologicamente anteriore, rispetto a quello ricavabile mediante l’applicazione della nozione generale, in quanto deve essere già considerata sussistente in presenza di particolari indicatori tecnici, fra i quali particolare rilievo viene attribuito alla risultanza di un ingente e prognosticamente irreversibile deficit patrimoniale[9].

Vi è, poi, una tesi “intermedia”, che distingue fra l’insolvenza della banca non ancora sottoposta a liquidazione coatta, che dovrebbe essere individuata secondo i principi della legge fallimentare, e l’insolvenza della banca accertata nel corso del procedimento di liquidazione, che coinciderebbe “con l’accertamento della insufficienza dell’attivo rispetto all’entità del passivo, cioè con una situazione di deficit patrimoniale dell’impresa”[10].Al contrario, l’entità del dissesto non ha alcuna rilevanza oggettiva, ai fini della dichiarazione di fallimento, se non quella di escludere dalla procedura, ex art. 15, ultimo comma, l. fall.,le imprese aventi debiti scaduti e non pagati per un ammontare al momento fissato in trentamila Euro[11].

6. L’irregolarità nell’amministrazione comporta l’applicazione della disciplina della crisi bancaria

Secondo la disciplina contenuta nel Testo unico bancario precedente alla più recente Brrd (direttiva 2014/59/Ue d.lgs n. 180/2015), i due strumenti attraverso i quali l’autorità di vigilanza interviene nella crisi bancaria (che come vedremo è caratterizzata dall’emergere di una situazione di irregolarità comunque distinta da profili di insolvenza che potrebbero del tutto mancare) sono l’amministrazione straordinaria e la liquidazione coatta amministrativa. Il presupposto per entrambe le procedure di intervento sono le gravi irregolarità nella amministrazione, gravi violazioni di disposizioni legislative amministrative statutarie, come pure gravi perdite del patrimonio. Gli stessi presupposti, con una accentuazione del carattere di gravità, valgono per la liquidazione coatta amministrativa, che, all’art. 80 del testo unico, prevede che tali elementi di irregolarità della gestione o delle perdite del patrimonio presentino carattere di eccezionale gravità. A differenza che nel fallimento, non è dunque l’insolvenza l’elemento che muove le procedure di amministrazione straordinaria e di liquidazione coatta amministrativa.

L’intervento dell’autorità di vigilanza attraverso le suddette procedure avviene, infatti, indipendentemente dall’insolvenza e dall’accertamento dell’insolvenza. Già da questi elementi si comprende la peculiarità della disciplina della crisi della banca. La situazione di crisi è caratterizzata appunto principalmente da irregolarità che compromettono l’ordinato esercizio dell’attività bancaria. Il manifestarsi di perdite gravi, quali quelle previste per l’amministrazione straordinaria, o estremamente gravi, quali quelle previste per la liquidazione coatta amministrativa, non possono che risultare conseguenza di irregolarità consistenti nella mancata osservanza di principi giuridici legislativi o amministrativi, che hanno portato alle perdite patrimoniali in questione.

Riscontriamo qui una rilevante diversità sistematica tra la disciplina della crisi bancaria e la disciplina di diritto fallimentare relativa alla impresa commerciale. Mentre, infatti, il diritto fallimentare muove dalla insolvenza e dalla manifestazione di insolvenza, quale presupposto di ogni procedura concorsuale, la disciplina della crisi bancaria muove principalmente da una situazione di irregolarità nella gestione. Questa può consistere nella non conformità del comportamento della banca o dei suoi amministratori alle prassi o alle regole tecniche della buona gestione bancaria (considerate anche nell’ottica dell’osservanza delle indicazioni che provengono direttamente o indirettamente dalla stessa Banca d’Italia), oppure può consistere in vere e proprie violazioni di legge (legislative, amministrative, statutarie), ma anche in irregolarità e violazioni che possono coinvolgere i soci allorché il comportamento di questi possa comportare instabilità nella gestione della banca, cioè situazioni rispetto alle quali l’insolvenza è un evento possibile, ma non necessariamente contestuale e non necessariamente immediato e conseguente al manifestarsi delle irregolarità. Inoltre, allorquando si verifica l’insolvenza, gli elementi di allarme che giustificano l’intervento dell’autorità di vigilanza si trovano a monte dell’evento costitutivo dell’insolvenza della banca. Rispetto al manifestarsi della crisi della banca, l’azione della vigilanza bancaria avviene, sia sul piano causale che temporale, per tutelare la stabilità bancaria, per la protezione dei depositanti, dei terzi, del mercato e del sistema nel suo complesso.

In altre parole, sembra di poter dire che l’insolvenza non è l’elemento che muove l’azione amministrativa. Il vulnus nella gestione e nella correttezza dell’attività bancaria che già nella disciplina anteriore alla Brrd giustifica l’intervento dell’amministrazione straordinaria e della liquidazione coatta amministrativa risiede, infatti, in eventi precedenti, potremmo dire anche propedeutici alla insolvenza stessa, la quale, quando si manifesta, costituisce soltanto la conferma ormai definitiva e ineluttabile della gravità o eccezionale gravità delle perdite, che si sono manifestate nell’attività bancaria.

7. Riflessioni

Un efficiente quadro normativo in materia di gestione delle crisi di impresa è essenziale per il buon funzionamento del sistema economico. Strumenti che assicurino la tempestiva liquidazione delle imprese non più produttive e un’efficace ristrutturazione di quelle che versano in situazioni di temporanea difficoltà sono cruciali per accrescere la produttività e favorire l’erogazione del credito. Con le riforme intraprese dal 2005 in avanti sono stati conseguiti significativi progressi nell’ammodernamento del quadro normativo. Grazie a esse, infatti, è stata superata la vocazione prevalentemente liquidatoria dell’approccio precedente e si è dotato l’ordinamento di strumenti finalizzati a favorire la ristrutturazione delle imprese in crisi.

La riforma del diritto fallimentare introduce inoltre importanti innovazioni: promuove una logica di prevenzione e di intervento precoce, attraverso la disciplina dei sistemi di allerta e di composizione assistita della crisi; colma alcune lacune esistenti, ad esempio con l’introduzione di una disciplina per la gestione delle crisi dei gruppi di imprese conforme alle migliori pratiche internazionali. La procedura di liquidazione è destinata a divenire, nella prospettiva della legge delega, lo strumento principale per la liquidazione delle imprese insolventi, essendosi ridotto in modo significativo lo spazio per alternative negoziali di dismissione degli attivi. Ne consegue che dal suo funzionamento dipenderà in misura rilevante l’efficacia della riforma nel ridurre i tempi di recupero dei crediti.

La questione è rilevante anche per il ruolo che la liquidazione giudiziale riveste nella più ampia prospettiva della regolamentazione del credito. Nuove regole prudenziali in via di approvazione, infatti, imporranno alle banche svalutazioni minime sui crediti deteriorati (NPL) basate su una scansione temporale predefinita (cosiddetto calendar provisioning[12]) indipendentemente dalla durata delle procedure di recupero, accrescendo gli incentivi a cedere sul mercato tali esposizioni. È quindi essenziale disporre di un quadro normativo che riduca i tempi di realizzazione e accresca i tassi di recupero degli NPL, contribuendo allo smaltimento della loro consistenza. La prospettiva sposata dal legislatore delegante è quindi quella di fare della liquidazione giudiziale lo strumento elettivo per la liquidazione delle imprese insolventi – limitando in modo significativo, come detto, lo spazio per alternative negoziali di dismissione degli attivi – e di accelerarne la durata.

 


[1] L’art. 3 del d.lgs. 180 del 16 novembre 2015 – e, prima ancora, il d.lgs. 12 maggio 2015 n. 72 e la legge di delegazione europea 2014, approvata il 2 luglio 2015 – hanno attribuito alla Banca d’Italia la funzione di Autorità nazionale di risoluzione (NRA). È stata pertanto istituita l’Unità di Risoluzione e gestione delle crisi, che svolge i compiti istruttori e operativi del Meccanismo di risoluzione unico e gestisce le procedure di liquidazione di banche e intermediari finanziari.

[2] La questione è stata approfondita soprattutto da BELLÈ, cit., 1526, secondo il quale le soglie di fallibilità di cui all’art. 1 l. fall. troverebbero applicazione soltanto nel caso in cui l’ente possa essere assoggettato alternativamente a fallimento o a liquidazione coatta amministrativa. Non è chiara, invece, la ragione per la quale, secondo PLATANIA, Commento subart. 195, in Cod. Lo Cascio, Milano, 2008, 1678, la mancata previsione di limiti dimensionali per le imprese soggette ad accertamento giudiziale dell’insolvenza violerebbe il principio costituzionale di parità di trattamento solo nel caso in cui il suddetto accertamento preceda l’apertura del procedimento di liquidazione e non anche quando intervenga nel corso della procedura liquidativa.

[3] Cfr. BONFATTI, Commento sub art. 80, in Comm. Belli – Contento – A. Patroni Griffi – Porzio – Santoro, II, Bologna, 2003, 1292, secondo il quale l’attuale contesto normativo consente di affermare che il provvedimento di liquidazione coatta può essere emesso anche nel caso in cui le perdite di eccezionale gravità siano soltanto previste, ma non si siano ancora verificate.

[4] Fortemente critico nei confronti dell’art. 82 Tub, accettandone l’interpretazione prevalente, è MINERVINI, Il vino vecchio negli otri nuovi, in Giur. comm., 1994, 967.

[5] cfr., per tutti, BELVISO, Tipologia e normativa della liquidazione coatta amministrativa, Napoli, 1973, 174. I termini della questione sono diffusamente esposti da C. BAVETTA, L’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza, in Le procedure concorsuali. Procedure minori, a cura di Ragusa Maggiore e Costa, I, Torino, 2001, 597 ss., ove ampi riferimenti di dottrina e di giurisprudenza, al quale adde SPIOTTA, Commento sub art. 202,in Comm. Jorio, II, Bologna, 2007, 2660–2661.

[6] Il tema è ampiamente trattato da BONFATTI, cit., 1272 ss.; ID., La liquidazione coatta delle banche e degli intermediari in strumenti finanziari. Presupposti soggettivi ed oggettivi, Milano, 1998, 24 ss. Si vedano, da ultimi, in senso favorevole all’applicabilità della legge speciale anche alle banche di fatto, BONFATTI – FALCONE, sub Art. 2, in La legge fallimentare dopo la riforma, a cura di Nigro – Sandulli – Santoro, I, Torino, 2010, 42 ss.

[7] Così, DI FONZO, La disciplina comunitaria delle crisi bancarie: la direttiva 2001/24/CE, in www.archivioceradi.luiss.it/documenti/…/impresa/…/difonzo_crisi.pdf ecc., 6 e 14 ss.; ma si veda anche GALLETTI, L’insolvenza transfrontaliera nel settore bancario, in Banca borsa, 2006, I, 546 ss.

[8] Cfr., fra gli altri, SANDULLI, Commento sub art. 5, in Comm. Jorio, I, Bologna, 2006, 98 ss; FORTUNATO, La liquidazione coatta delle banche dopo il Testo Unico: lineamenti generali e finalità, in Banca borsa, 1994, I, 772; TERRANOVA, L’insolvenza delle banche, ora in Stato di crisi e stato di insolvenza, Torino, 2007, 91 ss., e, in giurisprudenza, Trib. Potenza, 13 luglio 2000, in Banca borsa, 2002, II, 500, con nota di CARDUCCI ARTENISIO, L’accertamento giudiziale dell’insolvenza di banca in liquidazione coatta amministrativa.

[9] Si veda, di recente, Cass., 21 aprile 2006, n. 9408, in Banca borsa, 2008, II, 329, con nota redazionale di CARRELLI, ed in Fallimento, 2006, 1279, con nota di BARBIERI, Accertamento dello stato d’insolvenza dell’impresa bancaria; Trib. Frosinone, 15 maggio 1998, in Riv. dir. comm. e obbligazioni, 1999, II, 101, con nota adesiva di CAPPIELLO, Lo stato di insolvenza dell’impresa in rapporto alla specificità dell’attività bancaria ed in Banca borsa, 2000, II, 317, con nota adesiva di CERCONE, L’insolvenza delle banche tra nuove questioni processuali e consolidati indirizzi di merito; nonché GALANTI, L’accertamento giudiziale dello stato di insolvenza, in Comm. Ferro – Luzzi, Castaldi, II, Milano, 1996, 1390. In tema, cfr., anche, BELLÈ, Commento sub Art. 195, cit., 1526, il quale rammenta che, per quel che concerne la crisi delle imprese assicurative, proprio in materia di accertamento giudiziale dell’insolvenza, l’art. 248, 3 comma, cod. ass., ha introdotto una nozione più ampia di insolvenza, che comprende anche il deficit patrimoniale irreversibile e di eccezionale gravità.

[10] Al contrario, l’entità del dissesto non ha alcuna rilevanza oggettiva, ai fini della dichiarazione di fallimento, se non quella di escludere dalla procedura, ex art. 15, ultimo comma, l. fall.,le imprese aventi debiti scaduti e non pagati per un ammontare al momento fissato in trentamila Euro. Come è stato giustamente osservato (CAVALLI, I presupposti soggettivi del fallimento, in AMBROSINI – CAVALLI – JORIO, Il fallimento, in Tratt. Cottino, XI, Padova, 2009, 56), il livello dell’esposizione debitoria, di cui all’art. 1, 2° comma, lett. c), l. fall., non ha alcuna rilevanza in sé, né come indizio di insolvenza, ma funge piuttosto da indicatore delle dimensioni dell’impresa.

[11] Come è stato giustamente osservato (CAVALLI, I presupposti soggettivi del fallimento, in AMBROSINI – CAVALLI – JORIO, Il fallimento, in Tratt. Cottino, XI, Padova, 2009, 56), il livello dell’esposizione debitoria, di cui all’art. 1, 2° comma, lett. c), l. fall., non ha alcuna rilevanza in sé, né come indizio di insolvenza, ma funge piuttosto da indicatore delle dimensioni dell’impresa.

[12] Cfr. Commissione Europea “Proposta di Regolamento del Parlamento Europeo e del Consiglio che modifica il regolamento (UE) n. 575/2013 per quanto riguarda la copertura minima delle perdite sulle esposizioni deteriorate” (COM(2018)134)

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