Tra i vari, diversi, problemi cui ha dato luogo, nel corso degli ultimi anni, l’operatività di raccolta delle Poste Italiane attraverso i buoni fruttiferi [a mero titolo esemplificativo, si possono ricordare la vicenda del «ius variandi» (Carnevali, Contratti, 2019, 263 ss.); la tematica del foglio informativo (Malvagna, Riv. Dir. Banc., 2019, I, 547 ss.; quella della clausola «pfr» (Lentini, BBTC, 2021, II, 33 ss.)], è emerso in seno al diritto vivente il tema relativo alla c.d. serie «Q/P».
La vicenda concreta, in sé ormai nota, può essere riassunta nei seguenti termini. Un decreto ministeriale, emanato negli anni ’80, consente all’ente Poste di poter emettere i buoni postali della nuova serie Q, sui moduli, già esistenti, della precedente (e più redditizia) serie P, purché però siano adottati alcuni accorgimenti intesi a tutelare la comprensione del cliente circa le caratteristiche del prodotto: sul fronte del documento dev’essere indicata la «dicitura serie Q/P»; sul retro occorre recare la misura dei nuovi (e, si ripete, meno redditizi) tassi. Con non poca trascuratezza, l’impresa postale si limita ad apporre un nuovo timbro (Q) sul fronte, mentre, sul retro, imprime il detto nuovo timbro solo con riferimento al rendimento dei primi vent’anni, lasciando così scoperti, e consegnati alla precedente serie P, i rendimenti dell’ultimo decennio.
Di fronte a questa situazione, un consolidato orientamento dell’ABF, come pure delle corti di merito, si orienta compatto nel senso della spettanza ai clienti dei maggiori rendimenti indicati sui tassi. A questa lettura, tuttavia, si è recentemente contrapposta una serie di “pronunce gemelle” della Cassazione, tutte redatte dallo stesso estensore (Cass. 4384/2022; 4784/2022; Cass., 4751/2022; Cass. 4763/2022), che si è invece pronunciata in senso favorevole all’impresa Poste.
La dissociazione presente all’interno del formante decisorio è ora ulteriormente alimentata dalle due decisioni dei Collegi territoriali (Roma e Napoli), qui in rassegna: che hanno confermato il precedente indirizzo maturato in senso all’adr bancaria e finanziaria ponendosi – con percorsi motivazionali in parte diversi, ma convergenti nel risultato – in esplicito dissenso rispetto alla quaterna di decisioni di legittimità.
La decisione del Collegio di Napoli n. 4054/2022 si è posta in aperto confronto con gli argomenti adotti dalla Cassazione, incentrati sulle regole di interpretazione del contratto, sulla normativa applicabile ai buoni e sul generale regime di favore che è stato attribuito al legislatore ai prodotti di risparmio postale. Il suo impianto motivazionale infatti poggia in primo luogo sulla regola di interpretatio contra proferentem di cui all’art. 1370 c.c., il quale non potrebbe che condurre, di fronte all’ambiguità del testo contrattuale, alla soluzione più favorevole all’aderente, nonché sull’inservibilità della regola di cui all’art. 1342 c.c. (che prevede la prevalenza delle clausole aggiunte successivamente nei contratti standard) posto che i due distinti tassi di interesse – primi 20 anni serie Q, ultimi 10 serie P – non si sovrappongono, ma si integrano l’uno con l’altro. Aggiunge poi il Collegio di Napoli che, nel senso della combinazione dei due distinti tassi di interesse, previsti per le serie P e Q, depongono pure le norme del codice postale, posto che l’art. 173, 3 comma dispone che «gli interessi vengono corrisposti sulla base della tabella riportata a tergo dei buoni», mentre l’art. 173, 1 comma che «le variazioni del saggio di interesse sono disposte con decreto del ministro…», assegnando alla competenza ministeriale la decisione sulla determinazione dei tassi (nel caso di specie, un d.m. aveva consentito di apporre i moduli P sulle precedenti serie Q). L’ultimo argomento speso dal Collegio attiene alle non desiderabili implicazioni sistemiche che deriverebbero dalla soluzione accolta dalla Cassazione: in un mercato concorrenziale e caratterizzato da vincoli funzionali di protezione di una domanda particolarmente fragile, la previsione di un regime privilegiato, di sottrazione delle Poste Italiane alla disciplina e ai principi di diritto comune che informano la materia, si tradurrebbe in una forte disincentivazione dei risparmiatori all’investimento nel risparmio postale.
Sul trittico di argomenti che qui si riporta poggia, d’altra parte, la decisione ABF Roma n. 5410/2022. Il primo attiene alla diligenza qualificata cui dovrebbero essere tenuti i soggetti che esercitano un’attività d’impresa caratterizzata da vincoli funzionali diretti nel segno dell’efficienza e della tutela della domanda e al legittimo affidamento cagionato dal concreto, trascurato, comportamento delle Poste nei sottoscrittori. Il secondo riguarda la natura dei buoni: la natura privatistica, di meri documenti di legittimazione (art. 2002 c.c.) implica almeno che il vincolo fra emittente e sottoscrittore, che ha natura contrattuale, viene a formarsi sulla base del testo di volta in volta sottoscritto fra le parti. Di conseguenza, rispetto alla serie trentennale c.d. “Q/P”, in cui sul retro del modulo è stato apposto il timbro della meno redditizia serie “Q” soltanto per i primi 20 anni, lasciando scoperti (e affidati alla precedente “P”) i residui 10, il rendimento non può che essere regolato dalla combinazione dei tassi delle due serie. Il terz, rimonta al significato da attribuire al regime di favore assegnato dalla legge ai buoni postali: secondo il Collegio di Roma, il detto favore non rileva certo ai fini di assicurare all’emittente un regime privilegiato di sottrazione alla disciplina comune, quanto, piuttosto, dall’angolo visuale del vantaggio competitivo d’impresa, nella prospettiva della maggiore appetibilità attribuita ai prodotti del risparmio postale.