La 1 Sezione Civile ha maturato – sulla scorta delle sentenze Cass. 1294/2016 e 16751/2013 – il convincimento che, nel giudizio di reclamo avverso la sentenza dichiarativa di fallimento, la quale segua alla inammissibilità del concordato preventivo, vige il principio di devoluzione piena della controversia al giudice dell’impugnazione, sicchè, ove il debitore abbia impugnato la dichiarazione di fallimento, censurando innanzitutto la decisione del tribunale sulla mancata ammissione al concordato, il giudice del reclamo, adìto ai sensi degli artt. 18 e 162 l. fall., sia tenuto a riesaminare, anche avvalendosi dei poteri officiosi previsti dall’art. 18, comma 10 l. fall., tutte le questioni concernenti detta ammissibilità, pur attinenti a fatti non allegati da alcuno nel corso del procedimento innanzi al giudice di primo grado, né da quest’ultimo rilevati d’ufficio, ed invece dedotti per la prima volta nel giudizio di reclamo ad opera del curatore del fallimento o delle altre parti ivi costituite. E parimenti, avendo riguardo alla sentenza dichiarativa di fallimento, se sussiste un limite ab origine della legittimazione processuale e sostanziale dello stesso soggetto istante, inidoneo ad avviare il procedimento prefallimentare, tale carenza è rilevabile in via officiosa anche in sede di reclamo, in quanto attinente alla sussistenza dell’indispensabile iniziativa di parte, la sola idonea a dare impulso al procedimento.
Altra questione trattata attiene, nella specie, al rapporto intercorrente tra concordato preventivo e dichiarazione di fallimento. Infatti, finché la procedura di concordato preventivo, sia esso ordinario o con riserva, non abbia avuto esito negativo, il creditore che ha chiesto di regolare la crisi attraverso il fallimento non può ottenere la relativa dichiarazione fino al verificarsi degli eventi previsti dagli artt. 162, 173, 179 e 180 l. fall. La pendenza di una domanda di concordato preventivo non rende tuttavia improcedibile il procedimento prefallimentare iniziato su istanza del creditore o su richiesta del P.M, né ne consente la sospensione, ben potendo lo stesso essere istruito e concludersi con un decreto di rigetto. Infatti, il decreto con cui il tribunale abbia dichiarato improcedibile il ricorso ex art. 15 l. fall, quale mera conseguenza dell’ammissione del debitore al concordato preventivo, non implica di per sé alcuna definizione negativa, nel merito, dell’istruttoria prefallimentare, limitandosi ad attuare il necessario coordinamento organizzativo tra le procedure. Ne consegue che, una volta rimossa la condizione preclusiva alla pronuncia della sentenza di fallimento, i ricorrenti conservano la pienezza dei loro poteri di impulso per la prosecuzione del procedimento, senza che alcuna valenza preclusiva possa discendere dalla mancata contestazione dell’indicato decreto.
Inoltre, nella valutazione delle condizioni prescritte per l’ammissibilità del concordato preventivo, al tribunale non è consentito il controllo sulla regolarità ed attendibilità delle scritture contabili, ma è permesso il sindacato sulla veridicità dei dati aziendali esposti nei documenti prodotti unitamente al ricorso, sotto il profilo della loro effettiva consistenza materiale e giuridica, al fine di consentire ai creditori di valutare, sulla base di dati reali, la convenienza della proposta e la stessa fattibilità del piano. Resta precluso, invece, ogni sindacato sulla stima del valore degli elementi patrimoniali effettuata dal professionista attestatore, salvo il caso di incongruenza o illogicità della motivazione.