1. Le attività cross border tra tradizionali dilemmi e nuovi interrogativi
In data 29 ottobre 2019 l’Autorità bancaria europea ha pubblicato un report, recante i risultati delle indagini svolte con riguardo ai potenziali ostacoli alla prestazione transfrontaliera di servizi bancari e di pagamento[1].
Il report, che fa seguito ad altro di portata intersettoriale e risalente a luglio 2019[2], verte su un tema delicato che incide sulla piena integrazione e sul funzionamento del mercato unico europeo, nonché sulla creazione del mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, fornendo una mappatura delle diverse problematiche quali potenziali barriere all’attività cross border, inquadrata anche in una prospettiva digitale.
Problematiche che discendono tutte dalla mancanza nella legislazione vigente di criteri univoci sull’operatività del passaporto europeo e sul corretto inquadramento giuridico delle varie fattispecie nell’ambito del regime di libera prestazione di servizi o in quello di libertà di stabilimento.
Parimenti, sul versante della supervisione, non risultano chiari i criteri di ripartizione delle competenze tra autorità d’origine e ospitante dell’impresa regolata, specie nell’ipotesi di servizi finanziari prestati tramite canali digitali.
Le molteplici difficoltà riscontrate con riguardo ai requisiti e al trattamento giuridico applicabile rischiano però di tradursi in deterrenti per l’accesso ai servizi prestati in Stati membri differenti dal proprio, dal lato sia dei consumatori, sia delle istituzioni creditizie e in particolare delle imprese FinTech[3].
Nel quadro così tratteggiato, ulteriormente “complicato” dal fattore digitalizzazione, le Autorità europee sono intervenute con la finalità di suggerire una nuova agenda ricca di azioni politiche da intraprendere che, tra misure di hard e di soft law, offra soluzioni alle questioni indicate, riconsiderate però alla luce del crescente uso delle nuove tecnologie.
2. Le indagini delle Autorità europee tra mancanze definitorie e difficoltà di inquadramento giuridico
Il tema, indagato dapprima dalle ESAs con una visione protesa più sulle responsabilità delle Autorità (d’origine e ospitante) nella supervisione delle attività prestate cross border, poi dall’EBA in una prospettiva calibrata maggiormente sulle imprese e sull’incertezza normativa in ordine al regime applicabile in ciascuno Stato membro, ha condotto a conclusioni non dissimili a fronte di altrettante ipotesi solutorie.
Così con uno sguardo intersettoriale il report delle ESAs ha evidenziato la mancanza sia di una definizione normativa relativa alla prestazione cross border di servizi finanziari, sia di criteri univoci, desumibili dalla legislazione vigente, ai fini della determinazione del luogo ove il servizio è prestato, quale condizione necessaria per comprendere se l’attività fornita attraverso canali digitali ricada in regime di libera prestazione di servizi o di libertà di stabilimento, nonché per l’individuazione dell’autorità deputata alla supervisione.
Nell’ottica di evitare differenti interpretazioni nazionali, le Autorità europee hanno così proposto un intervento normativo sul tema, tale da prendere nella dovuta considerazione la crescente digitalizzazione dei servizi finanziari, non ritenendo a tal fine adeguato un intervento di terzo livello.
A conclusioni non dissimili è giunta anche l’EBA che, al fine di comprendere in quali casi la prestazione – soprattutto digitale – di servizi finanziari possa qualificarsi come attività cross border e, nel contempo, segnare i confini tra diritto di stabilimento e libera prestazione di servizi, ha condotto una valutazione approfondita, attingendo ad un panel informativo variegato e di ampia portata, incentrato: sulla disamina delle fattispecie sottoposte al vaglio della Corte di Giustizia europea, sulle comunicazioni interpretative pubblicate dalla Commissione europea in materia, sulle osservazioni presentate nel corso di diverse consultazioni (i.e. Piano d’Azione per FinTech, EBA FinTech Roadmap), sui requisiti di disclosure e di gestione dei reclami, sui risultati di una serie di interviste.
Il materiale così raccolto ha consentito all’EBA di mappare le fattispecie con più criticità nel contesto della prestazione transfrontaliera di servizi finanziari e, nella specie, di servizi bancari e di pagamento, in primo luogo identificando le principali barriere derivanti da requisiti regolamentari e da pratiche di supervisione, in secondo luogo privilegiando tre aree di osservazione: quella dell’autorizzazione e della licenza; quella della tutela del consumatore e delle regole di condotta; quella del contrasto al riciclaggio di denaro e del finanziamento del terrorismo.
Sulla scorta delle problematiche individuate con riguardo a ciascuno dei versanti ora indicati l’Autorità europea ha pertanto suggerito le possibili azioni da adottare, in funzione di una maggiore armonizzazione, ora con un intervento normativo di modifica della legislazione vigente, ora a mezzo di guidelines o altri strumenti di soft law.
Finalità ultima quella di individuare gli ostacoli all’attività transfrontaliera, cercare la soluzione migliore per affrontaree/o mitigare le diverse criticità riscontrate, ponendo in tal modo le condizioni per favorire la scalabilità dei servizi finanziari nello “spazio digitale”, tale da contribuire anche al miglioramento dell’efficienza e della concorrenza nel mercato unico.
3. I tentativi di qualificazione dell’attività digitale
Nella mappatura realizzata dall’EBA, come già accennato, viene adottata una prospettiva preminentemente digitale, ove diviene preliminare la risoluzione della questione circa la qualificazione dell’attività digitale[4] e, in particolare se costituisca prestazione transfrontaliera di un servizio; la problematica assume poi carattere dirimente ai fini dell’inquadramento del trattamento giuridico applicabile, ovvero se cada nel regime di libera prestazione di servizi o di libertà di stabilimento.
Ad eccezione della direttiva 2002/65/CE in tema di commercializzazione di servizi finanziari ai consumatori, attualmente in fase di revisione[5], l’EBA prende le mosse dalla mancanza, anche in questo caso, di una normativa europea in ordine alla chiara qualificazione di un’attività fornita via Internet in termini di prestazione cross border di servizi finanziari. Tanto da richiamare per un verso l’applicazione di regole generali in tema di e-commerce, per altro verso comportare per le autorità competenti – in attesa dei necessari interventi in materia – una valutazione caso per caso di ciascuna situazione sottoposta al loro vaglio. Valutazione che dovrà comunque tenere in debita considerazione due fattori fondamentali, quali il luogo di prestazione dell’elemento caratteristico del servizio e l’ambito soggettivo dei destinatari della prestazione digitale, rivolta a consumatori che hanno il proprio domicilio in uno Stato membro differente da quello del provider.
A fronte di una questione complessa e perennemente in fieri, alla luce della crescente digitalizzazione e dell’uso delle più sofisticate tecnologie nella prestazione dei servizi finanziari, l’EBA ha concluso sul punto sollecitando un intervento chiarificatore della Commissione europea, sotto forma di guidance, nonché un aggiornamento della comunicazione interpretativa del 1997 sulla libera prestazione di servizi alla luce della seconda direttiva bancaria[6], tali da supportare l’attività di supervisione nell’identificazione dei servizi prestati cross border.
[1] Cfr. EBA Report on potential impediments to the cross-border provision of banking and payment services, 29 October 2019, reperibile sul sito istituzionale dell’Autorità.
[2] Cfr. ESAs, Report on cross-border supervision of retail financial services, 9 July 2019 – JC/2019-22, https://eba.europa.eu/documents/10180/2551996/Final+Report+on+cross-border+supervision+of+retail+financial+services.pdf.
Sul punto mi sia consentito rinviare a Maria-Teresa Paracampo (a cura di), FinTech, evoluzioni tecnologiche e sfide per il settore bancario tra prospettive di cambiamento ed interventi regolamentari. Fenomenologia di un processo in fieri, in FINTECH. Introduzione ai profili giuridici di un mercato unico tecnologico dei servizi finanziari, Vol. II, Giappichelli, 2° edizione, in corso di pubblicazione.
[3] Il report precisa (sub nt. 10) che per impreseFinTech si intendono le imprese che usano FinTech “for the purposes of the provision of one or more financial services. Credit institutions, payment institutions, electronic money institutions and other types of firm fall within the scope of this term where they apply FinTech for this purpose”.
[4] L’EBA non fornisce una definizione di “attività digitale”, per quanto – stando agli elementi desumibili dalla lettura del report – sembra potersi evincere una considerazione della stessa (nella visione dell’Autorità) quale attività finanziaria codificata prestata cross border tramite strumenti digitali.
[5] La Commissione europea già nel Piano d’Azione per i servizi finanziari si era riservata di monitorare il mercato della vendita a distanza onde individuarne potenziali rischi per i consumatori e opportunità per le imprese, nonché intervenire al fine di modificare i requisiti (anche di informativa) della vendita a distanza.
In considerazione però del tempo necessario per giungere ad una modifica normativa, è intervenuta l’EBA che ha invitato le autorità competenti a tener presenti le proposte riportate nell’opinion pubblicata in materia (cfr. Opinion of the European Banking Authority on disclosure to consumers of banking services through digital means under Directive 2002/65/EC, EBA-Op-2019-12, 23 October 2019, https://eba.europa.eu/eba-publishes-opinion-disclosure-consumers-buying-financial-services-through-digital-channels).
[6] Cfr. Commission interpretative communication, Freedom to provide services and the interests of the general good in the Second Banking Directive (97/C 209/04), https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/4a6f984b-dabb-4ea2-96f5-8dc61379a883.