Con la sentenza n. 26473/2024, la Suprema Corte ha statuito che, in tema di accertamento presuntivo ex art. 39, comma 1, lett. d) del D.P.R. n. 600/1973, sulla distribuzione ai soci di utili extra-contabili, nei confronti di una s.r.l. a ristretta base azionaria, ai fini della prova contraria da parte del socio è sufficiente la dimostrazione dell’estraneità di quest’ultimo rispetto alla gestione sociale, non essendo invece richiesta la prova, anche mediante presunzioni, dell’insussistenza dei maggiori ricavi contestati, ovvero della mancata distribuzione dei medesimi.
Ciò contrariamente ad un’altra recente pronuncia, la sentenza n. 21158 del 29 luglio 2024, oggetto di precedente pubblicazione a questo link.
Nel caso di specie, il contribuente impugnava l’atto impositivo emesso nei suoi confronti innanzi alla Commissione Tributaria Provinciale che rigettava il ricorso, oggetto di appello da parte del contribuente, accolto dalla Commissione Tributaria Regionale (“CTR”), che pertanto riformava la sentenza di primo grado.
La Suprema Corte ha parzialmente accolto il ricorso dell’Amministrazione finanziaria (“A.F.”), fornendo altresì importanti chiarimenti interpretativi in merito all’onere probatorio richiesto in capo al contribuente, considerando i recenti e ondivaghi filoni interpretativi dei giudici di legittimità.
Più in dettaglio, la Corte di cassazione ha ricostruito i filoni interpretativi sviluppatisi in seno alla giurisprudenza di legittimità nel corso degli anni.
In un primo tempo, il contenuto della prova contraria a carico dei soci è stato individuato nella (sola) dimostrazione che i maggiori ricavi dell’ente fossero stati accantonati o reinvestiti, prova che il contribuente avrebbe potuto fornire anche nel suo ruolo di titolare meramente formale delle quote, ma estraneo di fatto alla gestione societaria, perché comunque il ruolo formale avrebbe potuto permettere, se del caso, di accedere ai libri sociali per acquisire elementi a tal fine.
Successivamente, si è riconosciuta la possibilità per il socio di vincere la presunzione di distribuzione degli utili extra contabili, dando la dimostrazione della propria estraneità alla gestione e conduzione societaria, avendo ricoperto un ruolo meramente formale di semplice intestatario delle quote sociali, senza avere concretamente svolto alcuna delle attività di gestione e controllo riservate dalla legge (e dallo statuto) al socio della società (da ultimo confermata da Cass., sez. V, ord. n. 18764 del 9 luglio 2024).
Sotto questo profilo la Corte si è discostata consapevolmente da alcuni precedenti, peraltro recenti, in cui è stata ribadita la tesi tradizionale di cui sopra, condividendo la tesi emersa più di recente e che ammette, come prova contraria alla presunzione di distribuzione degli utili extrabilancio, anche la dimostrazione dell’assoluta estraneità del socio alla gestione e conduzione societaria.
Secondo la Corte “ciò, infatti, non collide affatto con la ragione dell’operatività della presunzione in parola, che si fonda appunto sulla massima di comune esperienza che, dalla ristrettezza della base sociale, inferisce un elevato grado di compartecipazione dei soci alla gestione della società e di reciproco controllo tra i soci medesimi”.
In conclusione, secondo la Suprema Corte, la CTR non ha correttamente valutato le argomentazioni addotte dal contribuente in ordine alla prova dell’estraneità assoluta del socio alla gestione e alla vita societaria.
Infine, è stata da ultimo rilevato l’utilizzo di “forma dubitativa” da parte della CTR circa l’assolvimento dell’onere probatorio in capo al contribuente, “senza descrivere il processo logico seguito in base alla valutazione del complessivo compendio probatorio”.