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Approfondimenti

La procedura di informazione sindacale nella crisi d’impresa

24 Aprile 2024

Federico Manfredi, Partner, Trifirò & Partners Avvocati

Di cosa si parla in questo articolo

Il presente contributo analizza la procedura di informazione sindacale, disciplinata dall’art. 4, comma 3 del Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, che consiste nell’informativa che il datore di lavoro deve inoltrare ai sindacati a tutela dei lavoratori in caso di avvio di una delle procedure di crisi previste dal Codice.


Premessa

Il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza (D.Lgs. n. 14/2019, “CCII”) è entrato in vigore a decorrere dal 15 luglio 2022 (nel testo modificato da ultimo con il D. Lgs. n. 83/2022 in attuazione alla Direttiva UE 2019/1023), in sostituzione della precedente legge fallimentare (Legge Fallimentare, Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942).

Tra le principali novità introdotte dalla nuova Legge in materia di procedure concorsuali, si annovera la previsione di procedure che consentano una diagnosi anticipata dello stato della crisi (instradandola verso una composizione stragiudiziale), con il precipuo scopo di garantire la conservazione dell’attività dell’impresa che versi in condizione di crisi economica-finanziaria, anche nell’ottica lavoristica di tutelare la stabilità dell’occupazione e del reddito.

Ciò in quanto, le sorti dei rapporti di lavoro in essere con l’azienda in crisi dipendono direttamente dalla “vita” del datore di lavoro, la cui eventuale “estinzione” (o eventuale ristrutturazione o vicenda traslativa aziendale) coinvolgerebbe una serie di interessi costituzionalmente rilevanti di cui sono portatori i lavoratori dipendenti, con particolare riguardo alla continuità del rapporto di lavoro in essere.

Infatti, la potenziale o effettiva insolvenza di un’impresa incide direttamente sul singolo lavoratore e sul di lui eventuale nucleo familiare, sia nel caso in cui il rapporto di lavoro dello stesso prosegua alle dipendenze del soggetto subentrato, sia nell’ipotesi contraria di liquidazione dei crediti retributivi maturati e non conseguiti nell’ambito del rapporto cessato.

Da qui, il disegno protettivo del legislatore riformista costituito dall’inserimento nel corpus normativo di una specifica disciplina a tutela dei diritti dei lavoratori investiti dalla soluzione concorsuale adottata dall’azienda in stato di crisi.

Il dovere contrattuale dell’imprenditore di garantire la continuità aziendale e gli strumenti di regolazione della crisi

“L’imprenditore, che operi in forma societaria o collettiva, ha il dovere di istituire un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il recupero della continuità aziendale”.

Questo il dettato del comma 2 dell’art. 2086 cod. civ. introdotto dalla nuova Riforma che pone in capo all’imprenditore ed agli amministratori e manager un complesso di responsabilità ed obblighi che – come già detto – hanno un rilievo significativo sul fronte del rapporto di lavoro.

Obblighi e responsabilità ripresi anche col d.lgs. n. 83/2022, che impongono all’imprenditore di fare di tutto per prevenire la crisi, vigilando costantemente sull’andamento economico dell’impresa e prevedendo un’organizzazione che garantisca la continuità aziendale e che sia in grado anche di far fronte alle eventuali difficoltà determinate dai momenti di crisi, così da consentire la gestione di eventuali difficoltà nel modo più efficiente e, soprattutto, nell’interesse dei creditori.

La norma così modificata è assimilabile all’art. 2087 cod. civ., ossia alla norma che pone in capo all’imprenditore l’obbligo di tutelare l’integrità psicofisica dei dipendenti mediante l’adozione e il mantenimento in efficienza dei presidi antinfortunistici idonei a tale scopo, imponendo altresì di adeguare le misure ai progressi tecnologici in modo da assicurare una costante e aggiornata protezione dei dipendenti.

Ebbene l’art. 2086 cod. civ. non si discosta molto da tale impostazione, nel senso che l’obbligo in capo all’imprenditore non è “statico”, ma “dinamico”, perché l’imprenditore dovrà continuamente adeguare i propri assetti organizzativi, amministrativi e contabili, per garantire la continuità aziendale e tutelare gli interessi dei creditori. La norma recepisce quanto previsto dall’art. 19 della Direttiva UE n. 2019/1023, che è chiaramente volto ad imporre agli Stati membri di predisporre un sistema di responsabilizzazione non solo per l’imprenditore, ma anche per i suoi manager, nella gestione dell’impresa. Con l’art. 3 del d.lgs. n. 83/2022, il recepimento dei principi UE si completa, in quanto la norma impone all’imprenditore un complesso di nuovi obblighi e in particolare quello di rilevare tempestivamente i sintomi della crisi e prevenire in tal modo l’insolvenza, tenendo debitamente conto degli interessi dei creditori e delle altre parti coinvolte (ivi compresi i lavoratori e i sindacati).

Pertanto le conseguenze di questa riforma sul piano del rapporto di lavoro sono un inedito dovere di fedeltà del datore di lavoro nei confronti dei dipendenti, connotato dall’obbligo di garantire la continuità dell’impresa anche per preservare gli interessi di chi lavora.

A tal fine – in un’ottica conservativa – il nuovo Codice della crisi garantisce un più ampio novero di strumenti e procedure finalizzate alla risoluzione (non traumatica) dello stato di crisi, così da coniugare i diversi interessi in gioco riguardanti l’impresa, i creditori e i lavoratori dipendenti.

Gli strumenti di regolazione della crisi (a parte quelli in materia di composizione delle crisi da sovraindebitamento) – che possono prevedere un controllo da parte dell’autorità giudiziaria o rilasciati all’autonomia negoziale – si possono distinguere in tre categorie:

  1. strumenti puramente consensuali, che producono effetti soltanto nei confronti dei creditori aderenti all’accordo: rientrano in questa categoria gli accordi in esecuzione di piani attestati di risanamento e gli accordi di ristrutturazione, ordinari e agevolati;
  2. strumenti idonei a vincolare una minoranza di creditori non consenzienti, inclusi in classi o categorie di creditori aderenti (ovvero la convenzione di moratoria, gli accordi di ristrutturazione ad efficacia estesa e il piano di ristrutturazione omologato);
  3. strumenti idonei a vincolare sia una minoranza di creditori inclusi in classi consenzienti, sia intere classi di creditori dissenzienti (cd. ristrutturazione trasversale): rientra in questa categoria il concordato preventivo con continuità aziendale.

Ciascuno di questi strumenti può essere preceduto dalla composizione negoziata della crisi (che costituisce una sorta di percorso protetto), che può essere attivata anche qualora l’impresa si trovi in una situazione di difficoltà diversa dalla crisi o insolvenza, ovvero in una condizione di squilibrio patrimoniale o economico-finanziario (non tale da determinare la mancata copertura delle obbligazioni dei successivi 12 mesi con i corrispondenti flussi di cassa) che rende probabile (o anticipa) la crisi o l’insolvenza.

In un contesto non propriamente “concorsuale”, dunque, si annovera la composizione negoziata per la soluzione della crisi di impresa – introdotto dalla L. 118/2021 e confluito nel CCII per effetto del D. Lgs. 83/2022 – con il quale l’imprenditore (con l’ausilio di un esperto indipendente e con l’ombrello protettivo del Tribunale, a tutela delle parti coinvolte), avvia una serie di trattative con i creditori, con il proposito di trovare un punto di equilibrio tra la prosecuzione dell’attività di impresa e la salvaguardia dei crediti delle controparti.

Intervenendo, in presenza di tali condizioni, l’esperto dovrà agevolare le trattative tra imprenditore, creditori ed “eventuali altri soggetti interessati”, con il precipuo scopo di trovare una soluzione per il superamento del momento di depressione economico-finanziaria dell’impresa (anche mediante il trasferimento dell’azienda o di rami di essa).

Infine, sempre a tutela della continuità occupazionale e del bagaglio professionale acquisito dai lavoratori dipendenti, tra le autorizzazioni che il Tribunale – sempre nel rispetto principio di competitività nella scelta dell’acquirente – può concedere all’imprenditore nel corso della composizione negoziata, si rileva la possibilità di trasferire l’azienda (o uno o più rami della stessa) in qualsiasi forma.

Infatti, l’art. 22, comma 1, lett. d), CCI stabilisce che il Tribunale, su richiesta dell’imprenditore e “verificata la funzionalità degli atti rispetto alla continuità aziendale e alla migliore soddisfazione dei creditori”, possa autorizzare l’imprenditore a trasferire in qualunque forma l’azienda o uno o più dei suoi rami, in deroga al principio generale di cui all’art. 2560, comma 2, cod. civ. (in base al quale l’acquirente risponde dei debiti del cedente risultanti dai libri contabili).

In tale nuovo contesto normativo, l’art. 2086, comma 2, cod. civ. prevede in capo all’imprenditore un inedito dovere contrattuale di scongiurare con ogni mezzo la crisi dell’azienda, nella rigida osservanza del “dogma della continuità dell’impresa”, con la possibilità di aprire nuovi ambiti di azione sindacale e di tutela per i lavoratori, che subiscano gravi conseguenze per scelte negligenti o colpose dell’imprenditore e dei manager quali, ad esempio, eventuali licenziamenti per giustificato motivo oggettivo determinati dalla sussistenza della crisi (con conseguente maggiore criticità nell’invocare le conseguenze sanzionatorie previste dal nostro ordinamento in caso di licenziamento illegittimo).

Ebbene – in attesa dell’opera del diritto vivente in merito a questo nuovo e ampliato obbligo imprenditoriale e sulla scorta di una prima interpretazione dalla nuova Riforma – l’ascrivibilità dello stato di crisi alla responsabilità dell’imprenditore (per violazione dell’art. 2086 cod. civ. e dell’art. 3 del CCII) potrebbe comportare la previsione, in favore del lavoratore, di un diritto risarcitorio diverso e alternativo rispetto a quello previsto per il licenziamento.

La procedura di informazione e consultazione sindacale ex art. 4, comma 3, CCII

Durante tale fase delicata della vita dell’impresa, nel caso in cui il piano industriale scelto dall’imprenditore in crisi abbia un’incidenza rilevante su una pluralità di rapporti di lavoro, la disciplina in esame prevede un’ulteriore incombenza a carico delle sole aziende che occupino più di 15 dipendenti, imponendo alle stesse l’osservanza della procedura di informazione e consultazione sindacale descritta dall’art. 4, comma 3 del CCII.

Sul punto, innanzitutto, la legge prevede che nel computo del limite numerico di cui sopra, i lavoratori con contratto part time sono considerati solo per la quota di orario effettivamente svolta (ciò significa che, supponendo che l’orario normale sia di 40 ore settimanali, il lavoratore con contratto di lavoro di 10 ore settimanali, ai fini del calcolo del numero di dipendenti occupati nell’impresa, conta non come 1, ma come 0,25).

Ancora, una regola speciale è prevista per i contratti a termine. In questo caso la legge (oggi art. 27 d.lgs. 81/2015) stabilisce che “si tiene conto del numero medio mensile di lavoratori a tempo determinato, compresi i dirigenti, impiegati negli ultimi due anni, sulla base dell’effettiva durata dei loro rapporti di lavoro”. Sarà quindi necessario sviluppare un calcolo sommando la durata di tutti i contratti a termine dell’ultimo biennio e dividendo il numero così ottenuto per 24 (come il numero di mesi del biennio stesso).

Infine – alla luce dei criteri generali di matrice giurisprudenziale – nel calcolo del numero di lavoratori occupati ai fini dell’applicazione dell’art. 4, comma 3, CCII, si deve fare riferimento al criterio della “normale occupazione”. Il che, in estrema sintesi, significa che si deve avere riguardo, seppur in modo elastico, all’occupazione media di lavoratori nel corso dell’ultimo (senza quindi tener conto di circostanze contingenti o occasionali riduzioni o aumenti di personale intervenuti a pochissima distanza dal licenziamento impugnato., secondo il criterio generale di matrice giurisprudenziale).

La citata norma, dunque – qualora non siano previste, dalla legge o dai contratti collettivi (art. 2, co. 1, lett. g), del D.Lgs. 25/2007), diverse procedure di informazione e consultazione – stabilisce uno specifico onere informativo, in merito alle “rilevanti determinazioni, assunte nel corso delle trattative della composizione negoziata e nella predisposizione del piano nell’ambito di uno strumento di regolazione della crisi e dell’insolvenza, che incidono sui pendenti rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, anche solo per quanto riguarda l’organizzazione del lavoro o le modalità di svolgimento delle prestazioni”.

Tale formulazione generica della norma in esame (sia in punto di “rilevanti determinazioni che incidono sui rapporti di lavoro” che del requisito numerico “pluralità di lavoratori”, nonché delle materie oggetto dell’informativa con l’espressione “organizzazione del lavoro e modalità di svolgimento delle prestazioni”), mostra l’intento garantista del legislatore di consentire una frequente e ampia attivazione del confronto sindacale, nel prevedere vagamente l’obbligo informativo ogni qualvolta il percorso della composizione negoziata o di un altro strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza richiederà di assumere decisioni (sotto il profilo dell’organizzazione del lavoro o delle modalità di svolgimento delle prestazioni) in grado di ripercuotersi anche solo su due dei lavoratori occupati, lasciando presagire la necessità di soventi interventi suppletivi del diritto vivente.

Una volta appurato il ricorrere di tutti i suddetti requisiti, l’imprenditore deve inviare (tramite comunicazione scritta) l’informativa ai soggetti sindacali di cui all’art. 47, c. 1, della l. n. 428/1990 (ovvero alle RSA/RSU costituite nelle unità produttive interessate, nonché ai sindacati di categoria che hanno stipulato il contratto collettivo applicato nell’impresa).

Nel rispetto del dovere di informazione, il contenuto della comunicazione dovrà essere tale da mettere in condizione i soggetti sindacali di apprenderne le cause e gli effetti e le soluzioni della crisi lamentata e proposte dall’impresa (fornendo alle organizzazioni sindacali tutte le informazioni essenziali per valutare la coerenza e quindi la giustificatezza dei provvedimenti modificativi dei rapporti di lavoro), nonché al fine di consentire alle stesse di proporre soluzioni alternative a quelle programmate dall’imprenditore assieme all’esperto e che possano scongiurare parte delle modifiche dei rapporti di lavoro richiesti dal datore di lavoro.

Le tempistiche e modalità informative cambiano in caso di trasferimento di un’azienda (o parte di essa) in cui siano coinvolti più di 15 dipendenti, laddove la procedura di cui all’art. 47, comma 1, L. n. 428/1990, prevale su quella ex art. 4, comma 3, CCII.

In particolare, qualora cedente e cessionario intendano realizzare un trasferimento aziendale, questi sono obbligati a comunicarlo per iscritto (almeno 25 giorni prima dal perfezionamento dell’atto da cui deriva il trasferimento o, se antecedente, dal raggiungimento di un accordo vincolante tra le parti) alle rispettive rappresentanze sindacali unitarie, ovvero quelle costituite a norma dell’art. 19 dello Statuto dei Lavoratori, nonché i sindacati di categoria che abbiano sottoscritto il CCNL applicato nelle imprese interessate (o, in assenza, ai sindacati di categoria comparativamente più rappresentativi).

Le rappresentanze sindacali e le organizzazioni sindacali, entro tre giorni dalla ricezione dell’informativa, possono chiedere all’imprenditore un incontro.

L’eventuale consultazione deve avere inizio entro cinque giorni dal ricevimento dell’istanza e, salvo diverso accordo tra i partecipanti, si intende esaurita, decorsi dieci giorni dal suo inizio.

La consultazione si svolge con vincolo di riservatezza rispetto alle informazioni qualificate come tali dal datore di lavoro o dai suoi rappresentanti nel legittimo interesse dell’impresa, tale comunque da non precludere ai funzionari sindacali la possibilità di riferire ai lavoratori la situazione di crisi e i relativi interventi regolatori programmati.

Alla consultazione, svolta nell’ambito della composizione negoziata, partecipa anche l’esperto ed è redatto, ai soli fini della determinazione del compenso dell’esperto, un sintetico rapporto sottoscritto dall’imprenditore e dall’esperto stesso (art. 25-ter, co. 5, del D.Lgs. 14/2019).

Le conseguenze (incerte) del mancato accoglimento delle soluzioni sindacali alternative e l’efficacia dell’eventuale accordo

Ricevuta la comunicazione, le organizzazioni sindacali destinatarie possono chiedere un incontro con il datore e, al termine della conseguente fase di consultazione, il datore di lavoro è libero (sempre nel rispetto delle previsioni di legge e della contrattazione collettiva) di non aderire alle soluzioni alternative illustrate dai sindacati e di assumere le determinazioni agli stessi già comunicate, non avendo il legislatore richiesto il raggiungimento di un accordo tra l’imprenditore e le organizzazioni sindacali.

Da tale vuoto normativo, dunque, risulta facile ipotizzare il proliferare di futuri contenziosi laddove il datore di lavoro assuma soluzioni antitetiche rispetto alle esortazioni sindacali, volte alla conservazione del maggior numero possibile di posti di lavoro.

Ciò che è certo è che l’eventuale sottoscrizione di “specifiche intese” tra l’impresa in crisi e le organizzazioni sindacali all’esito di un confronto strutturato avrebbe efficacia erga omnes, ovvero vincolante nei confronti dell’intera platea di lavoratori alle dipendenze dell’impresa sottoscrivente alla stregua di quanto previsto per i contratti di prossimità introdotti dall’art. 8, D.L. n.138/2011, ovvero di altre intese che coinvolgono sindacati ed imprese e che sono finalizzate ad ottenere un’equa convivenza tra la sostenibilità economica dell’attività dell’imprenditore e la tutela dei posti di lavoro, conformemente a quanto previsto dalla Direttiva Insolvency.

Tuttavia, mentre la normativa competente in materia di onere informativo si riferisce genericamente alle rilevanti determinazioni che incidano sui rapporti di lavoro di una pluralità di lavoratori, i c.d. accordi di prossimità – per quanto efficaci erga omnes (ed in grado di derogare anche in peius le disposizioni di legge e di CCNL) – sono finalizzati a gestire le crisi aziendali e occupazionali esclusivamente con riferimento ad un elenco tassativo di materie quali: l’utilizzo di impianti audiovisivi e l’introduzione di nuove tecnologie; le mansioni assegnate al lavoratore, la classificazione e l’inquadramento del personale dipendente; la stipulazione di contratti a termine; la stipulazione di contratti a orario ridotto; modulato o flessibile; il regime della solidarietà negli appalti e ai casi di ricorso alla somministrazione di lavoro; la disciplina dell’orario di lavoro; le modalità di assunzione e disciplina del rapporto di lavoro, alla trasformazione e conversione dei contratti di lavoro e alle conseguenze del recesso dal rapporto di lavoro (fatta eccezione per il licenziamento discriminatorio e il licenziamento della lavoratrice in concomitanza del matrimonio).

Gli effetti dell’omesso esperimento della procedura informativa di cui all’art. 4, comma 3, CCII

Certo è che l’art. 4 CCII – stabilendo, al comma 2, l’obbligo dell’imprenditore di illustrare la propria situazione in modo completo, veritiero e trasparente, fornendo ai creditori tutte le informazioni necessarie e appropriate allo strumento di regolazione della crisi o dell’insolvenza prescelto” – potenzia l’obbligo di informazione in capo all’imprenditore, imponendo alle parti e soprattutto all’imprenditore stesso, il rispetto dei principi di “buona fede e correttezza”, nel corso dei procedimenti per “l’accesso agli strumenti di regolazione della crisi e di insolvenza” e, comunque, nel corso delle trattative. Questo obbligo determina un rafforzamento dei diritti di informazione sindacale già previsti sia dal d.lgs. n. 25/2007, sia dalla contrattazione, perché ne amplia la portata e consente alle organizzazioni sindacali di pretendere di usufruire di tutte le informazioni senza limiti e omissioni e con l’unico vincolo in capo al sindacato della riservatezza.

Relativamente agli effetti di un eventuale mancato o inesatto esperimento della procedura di informazione e consultazione sindacale di cui al comma 3, art. 4 CCII (in presenza dei suddetti requisiti), invece – pur in assenza di un’espressa previsione – l’inosservanza di tale obbligo procedurale integra una condotta antisindacale, che potrà essere tutelata con il procedimento ex art. 28 dello Statuto dei Lavoratori.

Difatti – come statuito da costante giurisprudenza di merito e di legittimità – perché possa configurarsi una condotta antisindacale, è sufficiente un comportamento datoriale diretto ad ostacolare il libero esercizio dell’attività del sindacato, a svalutarne il ruolo e la funzione, nonché a lederne l’immagine ed il prestigio al cospetto dei lavoratori; di conseguenza, l’interruzione di qualsiasi forma di relazione con i sindacati da parte del datore di lavoro (comprese le specifiche ipotesi di rifiuto di forme di consultazione a danno dei sindacati, di un esame congiunto o dell’instaurazione di trattative), si traduce in una condotta oggettivamente discriminatoria, che incide negativamente sulla libertà del sindacato e sulla sua capacità di negoziazione, minandone la credibilità e l’immagine dinanzi ai lavoratori (ex multis Tribunale Foggia, Sez. Lav., 17 febbraio 2023, n. 567; Cass. Civ., Sez. Lav., 9 gennaio 2008, n. 212).

Le determinazioni assunte dall’impresa in crisi che risultino in contrasto con le soluzioni proposta dalle organizzazioni sindacali, dunque – in assenza di una specifica norma che sanzioni tale condotta e disciplini le sorti delle decisioni datoriali discordanti – trovano comunque efficacia erga omnes nei confronti dei dipendenti, salva la legittimazione delle rappresentanze sindacali ad agire in giudizio affinché il Giudice dichiari la condotta datoriale antisindacale ai sensi dell’art. 28 dello Statuto dei Lavoratori e condanni l’impresa alla rimozione degli effetti di eventuali misure adottate in assenza della preventiva comunicazione informativa.

Nel qual caso, il comprensibile obbligo di riservatezza che incombe sui partecipanti della procedura ai sensi della norma oggetto d’esame, soccombe dinnanzi all’esigenza di ottenere la tutela giudiziale di diritti, in quanto diversamente la garanzia di riservatezza (quale strumento di protezione anche giudiziale) darebbe impulso a numerose condotte omissive del datore di lavoro indotto ad ignorare l’obbligo di informare e coinvolgere le Organizzazioni sindacali.

Il ruolo del sindacato nella gestione della crisi d’impresa

La novità della riforma introdotta con il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza comporta una vera e propria privatizzazione della gestione della crisi, estendendo la partecipazione attiva ai creditori e, quindi, al sindacato.

Infatti, il nuovo sistema introdotto dalla Riforma – nell’ottica di consentire ai creditori di provare ad ottenere le soluzioni maggiormente rispondenti ai propri interessi – lascia alle parti coinvolte nella prima fase la ricerca di una soluzione condivisa che soddisfi tutte le esigenze in gioco e, quindi, nel caso del sindacato il mantenimento dell’occupazione e la garanzia di integrale soddisfazione dei crediti dei lavoratori.

Tuttavia – al fine di incentivare il creditore al raggiungimento di un accordo nella fase di composizione negoziata della crisiqualora la fase della negoziazione – così come contemplata dalla Riforma – non raggiunga un esito positivo potrebbe determinare la prosecuzione della procedura senza alcun coinvolgimento del creditore, che potrebbe dover subire l’omologazione del concordato semplificato, con pesanti (ed inevitabili) conseguenze in termini di soddisfazione dei propri crediti.

L’eventualità di dover “digerire” soluzioni negative riguarda anche i lavoratori i cui crediti privilegiati potrebbero non trovare integrale soddisfazione con il concordato semplificato, assumendo così notevole rilevanza il ruolo del sindacato che, quale partecipante attivo della fase di composizione negoziata, deve adoperarsi al fine di ricercare e offrire proposte e misure utili per la soluzione della crisi e in grado di comportare ricadute più contenute sui diritti dei lavoratori rispetto a quelle proposte dal datore di lavoro.

Al sindacato, in ogni caso, non compete ora l’esclusivo compito di salvaguardare l’occupazione in senso difensivo, ma anche di operare in un ambito espansivo quale ulteriore modo di garantire il mantenimento dell’occupazione.

Il nuovo assetto delle relazioni sindacali, infatti, modificherà certamente anche la consultazione dei sindacati in materia di confronto e avvio degli ammortizzatori sociali nell’ambito delle procedure di composizione negoziata che, in precedenza, costituiva solamente un rito formale e privo di efficacia, se non per le clausole sulla rotazione mentre – in seguito alla Riforma – la consultazione avrà ad oggetto un’attenta analisi delle cause della crisi e delle eventuali responsabilità, sulla tenuta delle soluzioni proposte dall’imprenditore e sulla coerenza ed essenzialità delle ricadute occupazionali.

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