Nel caso sottoposto all’attenzione della Suprema Corte, un importante istituto di credito depositava una domanda di ammissione al passivo ultratardiva, adducendo di essere incorso in un ritardo non imputabile in quanto la comunicazione ex art. 92 L. Fall. era pervenuta ad una diversa società (appartenente al medesimo gruppo societario) che lo aveva rappresentato, in qualità di mandataria, durante il concordato preventivo che aveva preceduto, senza soluzione di continuità, il fallimento della società debitrice. Considerato che la cessazione del mandato non era stata comunicata, che l’istante era un istituto bancario di primaria importanza – il quale, peraltro, aveva preso attivamente parte nella procedura di concordato preventivo tramite la propria mandataria, facente parte del medesimo gruppo bancario – e che il credito era di considerevole entità, il Tribunale aveva ritenuto raggiunta la prova, tramite elementi di natura presuntiva univoci, precisi e concordanti, che il creditore avesse avuto nel concreto notizia del fallimento del debitore, rigettando l’opposizione ex art. 98 L. Fall.
La Corte di Cassazione, chiamata dalla banca a pronunciarsi sulla violazione, in particolare, degli artt. 92 e 101 L. Fall., ha statuito che:
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di questa Corte, il mancato avviso a un creditore del fallito da parte della curatela fallimentare, che è previsto dalla norma dell’art. 92 legge fall., integra gli estremi della causa non imputabile del ritardo della domanda tardiva, di cui all’art. 101, comma 4, legge fall. Resta tuttavia in ogni caso salva la possibilità per il curatore di provare, ai fini della inammissibilità della domanda medesima, che il creditore abbia avuto notizia aliundedell’avvenuto fallimento, in via indipendente cioè dal fatto dell’eventuale recezione dell’avviso in questione (cfr. Cass., 19 giugno 2018, n. 16103; Cass., 13 novembre 2015, n. 23302; Cass., 10 settembre 2013, n. 20686). In altri termini, il sistema vigente non pone in capo ai creditori uno specifico onere di informarsi sul fatto che il proprio debitore sia eventualmente fallito: al curatore affidando appunto un compito di avviso exart. 92 legge fall. – in via di integrazione della pubblicità data dall’annotazione della relativa sentenza nel registro delle imprese ai sensi dell’art. 17, comma 2, legge fall. -, rispetto ai più diretti interessati alla procedura, quali sono i creditori. Peculiare resta, peraltro, il caso in cui un creditore sia comunque venuto a conoscenza dell’aperto fallimento. Una simile evenienza indica in modo manifesto che questo creditore ben avrebbe in ogni caso potuto presentare la propria domanda di insinuazione. Per la rilevazione di principio, per cui la normativa sulla insinuazione tardiva intende propriamente apprestare una «giusta tutela soltanto al creditore effettivamente incolpevole» è da richiamare già la pronuncia di Cass., 7 settembre 1979, n. 4735.
Secondo la Suprema Corte, nel caso in esame, il giudice di merito con motivazione congrua e del tutto logica aveva accertato, tramite l’utilizzo di una nutrita serie di circostanze univoche, che il creditore aveva comunque avuto, per una o per altra via, conoscenza dell’avvenuto fallimento e tale accertamento sfugge al sindacato di legittimità (Cass., 31 luglio 2017, n. 19017).