Con sentenza n. 4045/2016, la Corte di Cassazione ha ribadito il concetto secondo il quale “in tema di società, la persona che, benchè priva della corrispondente investitura formale, si accerti essersi inserita nella gestione della società stessa, impartendo direttive e condizionandone le scelte operative, va considerata come amministratore di fatto ove tale ingerenza, lungi dall’esaurirsi nel compimento di atti eterogenei ed occasionali, riveli avere caratteri di sistematicità e completezza”.
A tal proposito gli Ermellini hanno ritenuto che al fine di poter qualificare un soggetto formalmente esterno agli organi gestori sociali come “amministratore di fatto” non è sufficiente, come nel caso di specie, la mera circostanza di pagamenti di debiti sociali ovvero la riscossione di somme destinate alla società. Tali situazioni, infatti, non sarebbero di per sé idonee e atte ad accertare l’avvenuta ingerenza di tale soggetto nella gestione della società.
Come più volte ribadito, è ritenuto amministratore di fatto colui che esercita in modo continuativo funzioni di amministrazione in una società, prendendo decisioni e compiendo atti di gestione, in nome e per conto della stessa, senza essere stato investito da una deliberazione, giuridicamente esistente, sulla base della legge o dello statuto. E anche se non viene richiesto necessariamente l’esercizio di tutti i poteri propri dell’organo gestorio, essendo sufficiente la possibilità di esercitare anche solo una parte apprezzabile degli stessi, tale esplicazione non può assumere carattere episodico ed occasionale.
L’inserimento nella gestione dell’impresa, secondo la Corte, deve obbligatoriamente essere desunto da direttive di fatto impartite in modo continuativo e sistematico oltreché dal condizionamento delle scelte operative della società, essendo la continuità e la sistematicità, appunto, sintomatiche della concreta assunzione delle funzioni gestorie.