In questa rivista avevo già avuto modo di segnalare che il cosiddetto “Decreto Cura Italia” conteneva un’evidente lacuna: da una parte, erano sospese tutte le attività processuali ritenute non urgenti, mentre, dall’altra parte, continuavano a decorrere i soli termini di cui all’art. 124 c.p. per la proposizione delle querele[1].
Ad opposte considerazioni erano, invece, approdati altri commentatori, che, pur prospettando una soluzione da loro stessi definita “non irresistibile”, proponevano una lettura più ampia (in realtà, analogica) della norma, secondo cui nel novero degli atti sospesi si sarebbero potuti far rientrare anche i termini per la querela[2].
Il legislatore si è evidentemente reso conto di quella lacuna, ne ha preso atto ed ha colto l’occasione derivante dalla eterogeneità delle soluzioni prospettate dai commentatori, per giustificare il suo intervento senza dover esplicitamente ammettere la sua precedente omissione[3].
L’art. 221 del successivo D.L. n. 34/2020, entrato in vigore il 19 maggio 2020, ha pertanto stabilito che “per il periodo compreso tra il 9 marzo 2020 e l’11 maggio 2020 si considera sospeso il decorso del termine di cui all’articolo 124 del codice penale”.
La formulazione letterale, dove non si afferma che il termine ex art. 124 c.p. “è sospeso”, ma si dice che questo “si considera” sospeso[4], potrebbe lasciar pensare che si tratti di una norma soltanto interpretativa di quella preesistente.
Questa tesi, però, non sembra convincente, visto che una quasi identica locuzione (“si intendono sospesi”) era già stata utilizzata nel precedente art. 83 D.L. n. 18/20, sulla cui natura costitutiva non sembra possano esserci dubbi di sorta.
Ma, a prescindere dalla identità terminologica, la scelta lessicale del legislatore era una scelta obbligata, non poteva usare una espressione linguistica diversa da quella effettivamente usata: l’art. 221 D.L. n. 34/20, infatti, è entrato in vigore il 19 maggio 2020, quando, cioè, era già trascorso più di una settimana dall’ultimo giorno della dichiarata sospensione.
L’uso dell’espressione “sono sospesi” sarebbe stato perlomeno intempestivo e sicuramente non corretto, riferendosi al passato, perché l’intervento legislativo era successivo al periodo di sospensione e non permetteva l’uso del tempo presente.
In altri e diversi momenti l’espressione “sono sospesi” era stata usata, come ad esempio nell’art. 1 D.L. n. 11/20[5] e negli interventi legislativi in occasione di precedenti calamità naturali (in cui appunto si stabiliva che i termini “sono sospesi”), e ciò era consentito proprio dal fatto che la norma sospendeva i termini rivolgendosi all’attualità e al futuro e non al passato.
Alla luce di queste considerazioni, mi sembra, quindi, senz’altro preferibile la tesi secondo cui l’art. 221 D.L. n. 34/20 sia una vera e propria norma costitutiva, introdotta per ovviare alla lacuna del precedente testo legislativo.
A ben vedere, però, intendere l’art. 221 D.L. n. 34/20 come norma interpretativa o come norma costitutiva si risolve, sul piano concreto, soltanto in una differente scelta teorica, totalmente priva di ricadute pratiche: sostenere una tesi o l’altra non comporta in realtà alcun differente effetto concreto.
Infatti sia in un caso che nell’altro non si hanno conseguenze di sorta in termini di legittimità della retroattività della norma: se la norma fosse soltanto interpretativa di quella precedente, non si porrebbe, neppure in astratto, una questione di retroattività, ma alla stessa conclusione si perviene anche se le si riconoscesse natura costitutiva, perché si tratta di una (limitata) retroattività che non contrasta con i principii costituzionali.
In questo caso, infatti, il punto di partenza è il riconoscimento che si è di fronte ad un conflitto tra diverse garanzie costituzionali: da una parte, il principio di irretroattività della legge penale sfavorevole (art. 25 co. 2 Cost.) e, dall’altra parte, il diritto di azione (art. 24 co. 1 Cost.) ed il diritto alla salute (art. 32 Cost.).
Com’è noto, nel nostro ordinamento non è prevista una gerarchia di diritti costituzionalmente tutelati ed è lasciato al legislatore il compito di contemperare tra loro i vari diritti in gioco, purché la tutela dell’uno non comprima completamente il godimento dell’altro diritto.
Sin dalla sua prima pronuncia, infatti, la Corte costituzionale ha affermato questo principio, stabilendo che, “se pure si pensasse che dalla disciplina dell’esercizio può anche derivare indirettamente un certo limite al diritto stesso, bisognerebbe ricordare che il concetto di limite è insito nel concetto di diritto e che nell’ambito dell’ordinamento le varie sfere giuridiche devono di necessità limitarsi reciprocamente, perché possano coesistere nell’ordinata convivenza civile”[6].
Questo è un principio costantemente riaffermato e rafforzato nel tempo dalla Consulta: non vi è una astratta prevalenza, indiscussa e illimitata, di un diritto, sia pure costituzionalmente garantito, a discapito degli altri diritti, ma, al contrario, ogni diritto incontra dei limiti negli altri diritti: “Tutti i diritti fondamentali tutelati dalla Costituzione si trovano in rapporto di integrazione reciproca e non è possibile pertanto individuare uno di essi che abbia la prevalenza assoluta sugli altri. La tutela deve essere sempre «sistemica e non frazionata in una serie di norme non coordinate ed in potenziale conflitto tra loro» (sentenza n. 264 del 2012). Se così non fosse, si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diverrebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche costituzionalmente riconosciute e protette, che costituiscono, nel loro insieme, espressione della dignità della persona”[7].
Secondo la Corte, “la Costituzione italiana, come altre costituzioni democratiche e pluraliste contemporanee, richiede un continuo e vicendevole bilanciamento tra principi e diritti fondamentali, senza pretese di assolutezza per nessuno di essi”[8].
Soltanto nel caso in cui una norma sacrificasse completamente un diritto (ad esempio, il diritto alla salute) a vantaggio di altri diritti costituzionalmente tutelati, la norma sarebbe costituzionalmente illegittima.
Questo principio è stato ancora riaffermato in occasione dell’ultima Relazione sull’attività della Corte costituzionale nell’anno 2019, allorquando la Presidente Cartabia, riferendosi proprio all’attuale emergenza epidemiologica, ha ribadito l’esigenza di “assicurare una tutela prioritaria alla vita, alla integrità fisica e alla salute delle persone anche con il necessario temporaneo sacrificio di altri diritti”[9].
Si legge in quel documento: “La Costituzione, peraltro, non è insensibile al variare delle contingenze, all’eventualità che dirompano situazioni di emergenza, di crisi, o di straordinaria necessità e urgenza, come recita l’articolo 77 della Costituzione, in materia di decreti-legge. La Repubblica ha attraversato varie situazioni di emergenza e crisi (…), ravvisando al suo interno gli strumenti idonei a modulare i principi costituzionali in base alle specifiche contingenze: necessità, proporzionalità, bilanciamento, giustiziabilità e temporaneità sono i criteri con cui, secondo la giurisprudenza costituzionale, in ogni tempo deve attuarsi la tutela ‘sistemica e frazionata’ dei principi dei diritti fondamentali garantiti dalla Costituzione, ponderando la tutela di ciascuno di essi con i relativi limiti”.
Sul punto, tra l’altro, non sono mancati i commenti di autorevole Dottrina, che ha sottolineato che “i diritti fondamentali partono ‘alla pari’, non accedendo la nostra Carta all’idea che alcuni possano avere carattere preminente rispetto agli altri e quindi risultare gerarchicamente ordinati, ma all’opposto soltanto in concreto potendo essere sacrificati, alla luce di esigenze appunto, di ragionevolezza”[10].
Allo stesso modo, si è affermato che “nessun diritto è in sé assoluto e illimitato, ma che al contrario ogni diritto incontra limiti in altri diritti costituzionali (…), è il legislatore che deve, all’interno delle norme, bilanciare correttamente i diritti onde evitare che la tutela dell’uno renda non godibile l’altro”[11].
Tornando, dunque, all’art. 221 D.L. n. 34/20, credo che il legislatore, dovendo rimediare alla lacuna che aveva caratterizzato l’originario l’art. 83 D.L. n. 18/20, abbia dovuto procedere ad un bilanciamento tra il diritto di azione (art. 24 co. 1 Cost.) e quello alla salute (art. 32 Cost.), da una parte, ed il principio di irretroattività della legge penale più sfavorevole (art. 25 co. 2 Cost.), dall’altra.
Su un piatto della bilancia, c’era, appunto, il principio di irretroattività, ma si trattava di una lesione lieve di questo diritto.
Non era previsto alcun nuovo reato, così come non era previsto alcun innalzamento dell’entità delle pene da applicarsi retroattivamente. L’allungamento del termine per proporre querela non avrebbe comportato neppure un mutamento del regime di procedibilità del reato, perché il nuovo intervento avrebbe comportato soltanto (e non per tutti) una semplice dilazione di altri due mesi di tempo per esercitare il diritto di querela.
Ebbene, come è stato esattamente osservato, è difficile configurare in un breve slittamento del termine una compressione della garanzia costituzionale, perché “l’art. 25, co. 2 Cost. non tutela infatti l’affidamento sul fatto che il querelante, potendolo fare, non presenti (o non riesca a presentare) la querela entro un termine ancora non decorso”[12].
Sull’altro piatto della bilancia c’era il recupero di un limitato termine di tempo per chi si fosse uniformato alle misure emergenziali imposte per contrastare l’emergenza epidemiologica da Covid-19 (che, come noto, imponevano in primo luogo ai cittadini di evitare il più possibile qualsiasi spostamento che non fosse dovuto a ragioni di assoluta necessità, nonché prevedevano la chiusura di fatto degli studi legali), piuttosto che esporre se stesso al rischio di un contagio e a contribuire così ad una progressione pandemica con enorme danno per la collettività.
Di fronte a questo bilanciamento di diritti contrastanti, dunque, la scelta del legislatore non è arbitraria, ma improntata alla ragionevolezza, perché ha rivalutato e recuperato un breve periodo di tempo a favore di chi aveva sacrificato il diritto di azione ed il diritto alla salute, individuale e collettivo, a scapito del proprio interesse personale.
Arrivati a questo punto, si può concludere con una nota curiosa.
Come detto, il decreto legge n. 34/20 ha considerato in data 19 maggio 2020 sospesi i termini per la proposizione della querela a partire dal 9 marzo 2020, ma da un punto di vista pratico, in realtà, ciò è solo parzialmente vero, o, meglio, è vero da un punto di vista oggettivo, ma non lo è dal punto di vista soggettivo.
I termini che erano scaduti dal 9 al 15 marzo, infatti, sono sì stati oggettivamente sospesi, ma la loro “rivitalizzazione” era rimasta ignota all’aspirante querelante fino al 19 maggio 2020, con la conseguenza che, alla lettura del decreto legge, costui ha preso contemporaneamente atto che il termine era più lungo di quanto avesse ritenuto, ma che anche con la proroga concessa era comunque già scaduto una seconda volta.
[1] http://www.dirittobancario.it/news/profili-penali/una-lacuna-del-decreto-cura-italia-la-querela .
[2] http://www.questionegiustizia.it/articolo/emergenza-covid-19-e-giudizio-penale-di-merito-un-catalogo-incompleto-dei-problemi_16-04-2020.php .
[3] Nella relazione illustrativa all’art. 221 D.L. n. 34/20 si afferma infatti che “la modifica dell’art. 83 co. 2 D.L. n. 18/20, in materia di sospensione dei procedimenti civili e penali, si rende necessaria al fine di dirimere ogni dubbio sul decorso dei termini, previsto dall’articolo 124 del codice penale, per la proposizione della querela”.
[4] Si veda, in tal senso, Gatta, Covid-19: novità penalistiche nel ‘Decreto Rilancio’ (D.L. n. 34/2020). Sospensione dei termini per la querela, sanatoria per l’emersione del lavoro irregolare, nuova disciplina in materia di delitti di falso e di indebita percezione di erogazioni pubbliche in https://www.sistemapenale.it/it/articolo/covid-19-novita-penalistiche-nelle-pieghe-del-decreto-rilancio-dl-n-34-2020-sospensione-dei-termini-per-la-querela-sanatoria-per-lemersione-del-lavoro-irregolare-nuova-disciplina-in-materia-di-delitti-di-falso-e-di-indebita-percezione-di-erogazioni-pubbli?out=print .
[5] Articolo mai convertito e, quindi, nel frattempo decaduto.
[6] Corte Cost., Sent. n. 1/1956.
[7] Corte Cost., sent. n. 85/2013.
[8] Ibidem.
[9] L’attività della Corte costituzionale nel 2019 – sintesi, pagg. 17 e 18.
[10] Malfatti, I livelli di tutela dei diritti fondamentali nella dimensione europea, Giappichelli, 2018, pag. 66.
[11] Pisaneschi, Diritto Costituzionale, Ed. II, ristampa aggiornata al 31 luglio 2017, Giappichelli, pag. 544.
[12] Gatta, ibidem.