Il presente contributo fornisce una rassegna dei principi espressi dalla recente giurisprudenza in tema di prova degli illeciti amministrativi di abusi di mercato, siano essi riconducibili alla figura della manipolazione di mercato, che all’abuso di informazioni privilegiate (insider trading).
[*] 1. Premessa
La prova degli illeciti amministrativi di abusi di mercato è particolarmente complessa sia per quanto concerne la manipolazione di mercato, sia per quanto riguarda l’abuso di informazioni privilegiate (insider trading).
In estrema sintesi, costituisce manipolazione di mercato l’illecito compiuto da colui che diffonde notizie false oppure pone in essere operazioni simulate o altri artifici concretamente idonei a provocare una sensibile alterazione del prezzo di strumenti finanziari (art. 187-ter del TUF che rinvia al Regolamento UE n. 596/2014)[1].
L’illecito di insider trading è quello compiuto da un soggetto che, essendo in possesso di informazioni privilegiate, acquista, vende o compie operazioni (per conto proprio o di terzi) su strumenti finanziari avvalendosi di quelle stesse informazioni, oppure comunica a terzi tali informazioni, ovvero fornisce consigli sulla base di esse (art. 187-bis del TUF che rinvia al Regolamento UE n. 596/2014)[2].
Quanto all’illecito di manipolazione di mercato, è un dato di comune esperienza che le condotte manipolative non siano frutto di una programmazione espressa e che rimangano, invece, celate o che vengano poste in essere in ragione, ad esempio, di rapporti fiduciari non palesi o di intenti fraudolenti.
Con riferimento all’abuso di informazioni privilegiate, il trasferimento di queste ultime si attua, di regola, con modalità che escludono la possibilità di documentazione. In termini più semplici, la trasmissione delle informazioni privilegiate avviene in linea di massima per via orale e in modo riservato e, quindi, è precluso al soggetto che deve accertare tale illecito di documentare la già menzionata trasmissione (con la prova cosìdetta dello smoking gun). Per usare le parole della Suprema Corte di Cassazione : “in tema di abuso di informazioni privilegiate ex art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998”, il trasferimento delle informazioni “si attua, di regola, con modalità che escludono attività di documentazione, mentre la rappresentazione dell’insider trading attraverso prove orali è eventualità per lo più esclusa dalla naturale riservatezza delle comunicazioni e dalla mancata conoscenza, da parte della Consob, di quanti, vicini all’incolpato, potrebbero fornire precise informazioni al riguardo”[3].
Quindi, la giurisprudenza che si è nel tempo cimentata con la modalità di comprovare tale illecito è stata chiamata a dettare alcuni criteri guida con riferimento a alla prova degli illeciti di abuso di mercato. Tali criteri servono, da un lato, ad orientare l’attività delle autorità e dei giudici che devono accertare e sanzionare tali illeciti e dall’altro, l’attività dei difensori chiamati a trattare della trasmissione delle informazioni privilegiate.
In linea generale, la giurisprudenza si è orientata nel senso di ritenere ammissibile ai fini della dimostrazione della sussistenza degli illeciti di abusi di mercato la prova per presunzioni ai sensi degli artt. 2697 (Onere della prova) e 2729 (Presunzioni semplici) c.c. [4].
2. Sulla legittimità dell’utilizzo della prova presuntiva nell’accertamento dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate
La prova presuntiva è spesso l’unica che consente di accertare gli illeciti di abuso di informazioni privilegiate e di manipolazione di mercato.
La doglianza relativa all’utilizzo del metodo presuntivo deve consistere in una falsa applicazione della norma (art. 2729 c.c.) tale per cui il giudice abbia basato il suo convincimento su fatti privi dei caratteri legali di gravità, precisione e concordanza. |
1. La prova degli illeciti amministrativi di abusi di mercato è stata oggetto di diverse pronunce della Suprema Corte che ha sancito il principio per cui “in tema di abuso di informazioni privilegiate ex art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998, non esiste alcuna incompatibilità tra tale condotta ed il suo accertamento mediante presunzioni semplici, essendo, piuttosto, la prova presuntiva spesso l’unica che consenta di accertare il possesso delle dette informazioni”[5].
La sentenza che, per prima, ha sancito la piena utilizzabilità della prova per presunzioni ai fini della prova dell’illecito di manipolazione di mercato affrontando organicamente affrontato la questione è Cass. n. 8530 del 2017[6].
Tale impostazione ha trovato piena conferma in alcune recentissime sentenze della Suprema Corte: Cass. n. 7459/2023, n. 7645/2023, n. 7647/2023, n. 8391/2023.
Numerose pronunce di merito hanno, conformemente alla sentenza della Suprema Corte sopra richiamata, ritenuto pienamente ammissibile il ricorso alla prova presuntiva ai fini di dimostrare la sussistenza dell’illecito amministrativo di abuso di informazioni privilegiate[7].
La Corte d’appello di Milano ha, tra tante, espressamente ritenuto che “La prova presuntiva, per evidenti ragioni utilizzata in larga misura ai fini dell’accertamento dell’insider trading, nel nostro ordinamento processuale ha lo stesso valore probatorio delle prove dirette” (Corte d’app. di Milano, n. 737/2020).
Ancora, la Corte d’appello di Roma ha recentemente affermato che l’accertamento tramite presunzioni è spesso l’unico possibile: “in tema di abuso di informazioni privilegiate ex art. 187-bis del d.lgs. n. 58 del 1998, non esiste alcuna incompatibilità tra tale condotta e il suo accertamento mediante presunzioni semplici, essendo, piuttosto, la prova presuntiva spesso l’unica che consenta di accertare il possesso di dette informazioni, dal momento che il trasferimento di queste si attua, di regola, con modalità che escludono attività di documentazione, mentre la rappresentazione dell’insider trading attraverso prove orali è eventualità per lo più esclusa dalla naturale riservatezza delle comunicazioni e dalla mancata conoscenza, di quanti vicini all’incolpato, potrebbero fornire precise informazioni al riguardo”, (Corte d’app. di Roma, n. 8488/2021).
Nello stesso senso: Corte d’app. di Torino, n. 203/2022, n. 289/2022, e n. 393/2022; Corte d’app. di Perugia, n. 411/2022; Corte d’app. di Bologna, n. 1723/2021; Corte d’app. di Milano, n. 2003/2022, n. 2002/2022, n. 1925/2022, n. 3380/2022 e n. 1913/2022; Corte d’app. di Venezia, n. 840/2022; Corte d’app. di Firenze n. 1111/2023 e n. 1110/2023, Corte d’app. di Brescia n. 1849/2019.
La Corte d’Appello di Bologna ha aggiunto poi che “Nello stesso senso si è espressa la giurisprudenza amministrativa, osservando che ‘il ricorso al metodo presuntivo si rivela uno strumento non solo legittimo, ma addirittura necessario, pena l’inevitabile svilimento delle funzioni di vigilanza sul mercato mobiliare attribuite alla Consob, ove l’accertamento sia, come nella fattispecie in esame, costituito da fenomeni che solo in rare ipotesi possono essere provati attraverso una prova diretta e documentale (Così TAR Lazio n. 13744/2009)” (Corte d’app. di Bologna, n. 2154/2020).
Infine, la Corte d’Appello di Roma ha recentemente affermato, richiamando una più risalente pronuncia della Suprema Corte (n. 1529/2018) che: “In tema di sanzioni amministrative per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria, l’onere di provare i fatti costitutivi della pretesa sanzionatoria è posto a carico dell’Amministrazione, la quale è pertanto tenuta a fornire la prova della condotta illecita. Tuttavia, nel caso dell’illecito omissivo di pura condotta, essendo il giudizio di colpevolezza ancorato a parametri normativi, estranei al dato puramente psicologico, è sufficiente la prova dell’elemento oggettivo dell’illecito comprensivo della ‘suità’ della condotta inosservante, in assenza di elementi tali da rendere inesigibile la condotta o l’imprevedibile l’evento. Così intesa, la ‘presunzione di colpa’ non si pone in contrasto con gli artt. 6 CEDU e 27 Cost. anche nel caso in cui la sanzione abbia natura sostanzialmente penale, in quanto afflittiva” (Corte d’app. Roma, n. 5066/2021).
2. La sentenza n. 8530 del 2017 ha altresì posto dei limiti ai motivi di doglianza percorribili in relazione all’utilizzo di presunzioni nell’accertamento di tali illeciti. Si legge, infatti, nella pronuncia in questione che: “Né la doglianza di violazione e falsa applicazione degli artt. 2727 e 2729 c.c., quale quella contenuta nel primo motivo di ricorso, può limitarsi ad allegare, nella sostanza, un’erronea ricognizione della fattispecie concreta per la contestata valutazione delle risultanze probatorie di causa, a ciò ostando il nuovo testo dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c, (applicabile nella specie, ratione temporis), testo che certamente non dà al giudice di legittimità il potere di riesaminare l’intera vicenda processuale sottoposta al suo controllo, e, anzi ancor più affida al giudice di merito in via esclusiva il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti”.
Con riferimento ai limiti della ricorribilità in sede di legittimità di pretesi vizi del ragionamento “presuntivo”, la sentenza n. 8530/2017 è stata confermata anche da una più recente pronuncia che ha, infatti, statuito che: “Ai fini del controllo per violazione di norma di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., come dedotto dalla ricorrente in relazione agli artt. 2727 e 2729 c.c., deve considerarsi che il sindacato di legittimità opera soltanto o quando il giudice del merito abbia direttamente violato tale ultima norma, deliberando che il ragionamento presuntivo possa basarsi su indizi che non siano gravi, precisi e concordanti, o, al più, quando quegli abbia fondato la presunzione su indizi privi di gravità, precisione e concordanza, sussumendo, cioè, sotto la previsione dell’art. 2729 c.c., fatti privi dei caratteri legali, ed incorrendo, quindi, in una falsa applicazione della norma, esattamente assunta nella enunciazione della ‘fattispecie astratta’, ma erroneamente applicata alla ‘fattispecie concreta’” (Cass. n. 8782/2020).
3. Sulla equivalenza dei criteri valutativi di cui agli artt. 2729 c.c. e 192, comma 2, c.p.p.
L’ art. 2729 c.c., laddove dispone che “l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti” richiama i medesimi criteri valutativi propri della valutazione degli indizi nel processo penale, sanciti dall’art. 192, comma 2, c.p.p. |
I soggetti ritenuti responsabili di condotte di abusi mercato sovente eccepiscono nei giudizi civili relativi all’accertamento di tali illeciti che l’autorità, prima, e il giudice, poi, debbano valutare gli indizi relativi alla condotta a loro addebitata con le tutele tipiche della materia penale in ragione della natura “punitiva” degli illeciti amministrativi de quo.
Le Corti chiamate a valutare tali argomentazioni hanno ritenuto che i criteri valutativi degli indizi posti alla base della prova presuntiva degli illeciti di abusi di mercato amministrativi siano equivalenti a quelli penalistici.
E, infatti, sul punto, la Corte d’appello di Bologna ha ritenuto che: “Deve considerarsi errato l’assunto (..) secondo cui, in caso di riscorso al ragionamento presuntivo, le ‘tutele tipiche della materia penale’, richiamate nelle ipotesi di accertamento di un illecito amministrativo di tipo ‘punitivo’ (..) avrebbero richiesto l’applicazione di parametri più rigorosi rispetto a quelli relativi ad un normale procedimento sanzionatorio. Come correttamente asserito dalla difesa della Consob, infatti, lo stesso art. 2729 c.c., laddove dispone che ‘l’esistenza di un fatto non può essere desunta da indizi a meno che questi non siano gravi, precisi e concordanti’ richiama in realtà i medesimi criteri valutativi propri della valutazione degli indizi nel processo penale, sancito dall’art. 192, comma 2, c.p.p.” (Corte d’app. Bologna, 2154/2020, cit.).
Nello stesso senso si è espressa in una duplice occasione la Corte d’appello di Milano affermando che: “La natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa non esclude il ricorso alla regola dell’inferenza probabilistica connotata da un alto grado di credibilità razionale. La regola penalistica della prova non implica l’abbandono del canone dell’inferenza probabilistica in favore di quello dell’inferenza necessaria – come affermato dall’opponente – perché ‘la funzione cognitiva e il fine di verità del processo penale … debbono fare necessariamente i conti con il carattere probabilistico dell’accertamento probatorio e con la logica inferenziale di tipo induttivo-probabilistico che fonda la decisione giudiziale’” (Corte d’app. di Milano, n. 3242/2020 e n. 3241/2020).
La Corte milanese ha, poi, affermato tout court che “si può osservare che anche in materia penale la prova dei fatti, ai sensi dell’art. 192 c.p.p., può essere desunta da indizi gravi, precisi e concordanti, analogamente a quanto è possibile nel processo civile, le cui regole trovano applicazione nei giudizi, come quello di specie, di opposizione a sanzioni amministrative” (Corte d’app. di Milano, n. 1925/2022).
Egualmente, la Corte d’Appello di Torino ha affermato che “E’ evidente poi che gli elementi indiziari da valutare debbono permettere una ricostruzione univoca dell’occorso e, sotto questo profilo, non pare possa ipotizzarsi una reale, significativa, differenza rispetto all’ambito del giudizio civile per il carattere sanzionatorio della materia trattata, che dovrebbe giustificare un rigore prossimo a quello proprio del settore penale. Anche nell’accertamento civile, infatti, il chiaro riferimento normativo, desumibile dall’art.2729 c.c., alla precisione, gravità e concordanza delle presunzioni non può permettere dubbi sul fatto che la ricostruzione dell’occorso attraverso elementi indiziari, e cioè l’individuazione del fatto ignoto attraverso fatti noti ‘indiretti’ -questi accertati e non presunti-, debba avvenire in modo rigoroso secondo un percorso ricostruttivo che non renda possibile una lettura ambivalente degli elementi acquisiti, e cioè che non individui diverse possibilità di connessione altrettanto verosimili” (Corte d’app. di Torino, n. 393/2022).
4. Sulla necessità di una valutazione “analitica” e “complessiva” delle presunzioni ex art. 2729 c.c.
L’analisi delle presunzioni passa, prima, da un momento analitico di selezione degli elementi probatori e, poi, da un momento sintetico, volto ad una valutazione complessiva dei medesimi.
La valutazione del quadro probatorio va effettuata, attraverso un esame globale e unitario posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si integra con gli altri e il limite della valenza di ognuno risulta superato nella composizione unitaria. |
La già citata sentenza della Corte di Cassazione n. 8530/2017 ha esplicitato altresì quale deve essere il procedimento logico da seguire nell’accertamento degli illeciti di abuso di mercato attraverso il ragionamento presuntivo, articolandolo in due momenti valutativi:
“1) i1 primo, di tipo analitico, [con il quale la Corte] ha selezionato gli elementi probatori che presentano una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria (..);
2) i1 secondo, di tipo sintetico, tendente ad una valutazione complessiva di tutte le emergenze precedentemente isolate, [con il quale la Corte] ha accertato che esse fossero concordanti, e, dalla loro combinazione, in un rapporto di vicendevole completamento, ha ricavato validamente la prova presuntiva dell’apporto causale arrecato da [..] all’ideazione, alla preparazione ed alla gestazione dei contestati fatti di manipolazione del mercato”.
Con successiva pronuncia n. 8931/2023 la Suprema Corte ha confermato che: “il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria”.
A. Con riferimento al momento “analitico” della valutazione, come si legge in Cass. n. 9054/2022: “occorre che il giudice valuti in maniera analitica ognuno degli elementi indiziari, per scartare quelli privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, rivestano i caratteri della precisione e della gravità”; principio, questo che riprende l’ordinanza n. 7109/2019, in cui la Suprema Corte – dopo aver ricordato che “La valutazione della prova presuntiva esige che il giudice del merito esamini tutti gli indizi di cui disponga (..)” – ha cassato la sentenza impugnata rilevando che “il giudice di merito ha preso in considerazione singolarmente solo due dei cinque elementi indiziari come ricapitolati dalla ricorrente (..). In tal modo risulta compromesso sul piano logico lo stesso ragionamento inferenziale, essendo mancato sia l’esame singolo di ciascun elemento indiziario addotto dall’Ufficio, onde verificare se ciascuno di essi potesse effettivamente acquisire in sé rilievo indiziario, sia il momento di valutazione complessiva di detti elementi onde accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ciascuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (cfr., oltre alla già citata Cass. ord. n. 13004/18, Cass. sez. 6-5, ord. 2 marzo 2017, n. 5374)”.
B. Con riguardo al momento “sintetico”, ovvero sia alla valutazione complessiva degli elementi indiziari, la Suprema Corte ha recentemente chiarito che: “il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento (cfr. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 5374 del 02/03/2017 Rv. 643327; Sez. 5, Sentenza n. 9108 del 06/06/2012 Rv. 622995; Sez. 5, Sentenza n. 13819 del 18/09/2003 Rv. 566971)”[8].
C. Diverse pronunce di merito hanno affrontato il tema della valutazione sia in un’ottica analitica sia complessiva degli indizi ex art. 2729 c.c..
Ad esempio, la Corte d’appello di Bologna, ha fatto proprie le conclusioni della Suprema Corte ove afferma che: “Il (..) contesta, in una prospettiva atomistica, le plurime circostanze da cui Consob ha desunto la prova dei fatti contestatigli e così facendo viola il principio, pacifico in giurisprudenza, secondo cui l’acquisizione di una prova presuntiva (pacificamente ammessa in materia ) presuppone ‘un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che. presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se lo loro combinazione sia in grado di f fornire una valida prova presuntiva; che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi’ (Cass. ord. n.9059/2018; tra le altre conf. Cass. ord. n.27410/2019; Cass. ord. n.8892/2020; e ancora: “i requisiti della gravità, precisione e concordanza degli elementi presuntivi devono essere ricavati dal complesso degli indizi da valutarsi non atomisticamente ma nel loro insieme e l’uno per mezzo degli altri, nel senso che ognuno, quand’anche singolarmente sfornito di valenza indiziaria potrebbe rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento’ Cass. 9178/2018)” (Corte d’app. di Bologna, n. 1203/2021).
Ancora la Corte d’appello di Milano, in due sentenze gemelle, ha affermato che: “La valutazione del quadro probatorio va effettuata, infatti, attraverso un esame globale e unitario posto che nella valutazione complessiva ciascun indizio si integra con gli altri e il limite della valenza di ognuno risulta superato nella composizione unitaria, giacchè quae singula non probant simul unita probant” (Corte d’app. di Milano, n. 3242/2020, cit., n. 3241/2020, cit.). Nello stesso senso Corte d’app. di Bologna, n. 2707/2021.
La medesima affermazione si ritrova in altre sentenze che richiamano la sentenza della Corte di Cassazione n. 8530/2017, come la pronuncia della Corte d’app. di Roma, n. 2406/2021 o che rinviano a Cass. n. 5374/2017 (che tuttavia concerne ipotesi di illeciti differenti dagli abusi di mercato). La Corte d’Appello di Milano ha, tra tante, affermato che “i singoli fatti accertati risultano:
. gravi, trattandosi di elementi, dei quali i fatti ignoti (possesso e utilizzo tramite operazioni di acquisto) costituiscono l’unica probabile conseguenza;
. precisi, trattandosi di elementi non suscettibili di diversa e altrettanto o più verosimile interpretazione;
. concordanti, trattandosi di elementi convergenti verso un’unica lettura della vicenda.
La valutazione dei fatti accertati deve inoltre essere effettuata prendendoli in considerazione nel loro complesso (Cass. n. 5374/2017 “In tema di prova per presunzioni, il giudice, dovendo esercitare la sua discrezionalità nell’apprezzamento e nella ricostruzione dei fatti in modo da rendere chiaramente apprezzabile il criterio logico posto a base della selezione delle risultanze probatorie e del proprio convincimento, è tenuto a seguire un procedimento che si articola necessariamente in due momenti valutativi: in primo luogo, occorre una valutazione analitica degli elementi indiziari per scartare quelli intrinsecamente privi di rilevanza e conservare, invece, quelli che, presi singolarmente, presentino una positività parziale o almeno potenziale di efficacia probatoria; successivamente, è doverosa una valutazione complessiva di tutti gli elementi presuntivi isolati per accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi. Ne consegue che deve ritenersi censurabile in sede di legittimità la decisione in cui il giudice si sia limitato a negare valore indiziario agli elementi acquisiti in giudizio senza accertare se essi, quand’anche singolarmente sforniti di valenza indiziaria, non fossero in grado di acquisirla ove valutati nella loro sintesi, nel senso che ognuno avrebbe potuto rafforzare e trarre vigore dall’altro in un rapporto di vicendevole completamento)” (Corte d’app. Milano, n. 1884/2022 e, nello stesso senso, n. 1940/2022).
5. Sulla necessità di una valutazione delle presunzioni ex art. 2729 c.c. secondo la regola dell’inferenza probabilistica
Il ragionamento presuntivo si basa su di un giudizio di probabilità basato sull’ “id quod pleurmque accidit”.
La presunzione giuridicamente valida ai fini della prova dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate è quella che fa discendere un fatto ignoto da uno noto secondo un giudizio di probabilità basato sulla regola dell’inferenza probabilistica. |
Ancora, la Suprema Corte nella nota sentenza n. 8530/2017 ha fornito indicazioni in merito alle caratteristiche intrinseche che la presunzione deve avere al fine di poter legittimamente essere posta a base della prova degli illeciti in questione statuendo che “per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida, non occorre certamente che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quelli noti, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla scorta della regola della inferenza necessaria), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’ ‘id quod plerumque accidit’ (in virtù della regola dell’inferenza probabilistica), sicché il giudice può trarre il suo libero convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari prescelti, purché dotati dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre è da escludere che possa attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici”.
A. La sentenza della Suprema Corte n. 8530 del 2017 è stata ripresa, da altre pronunce della Suprema Corte come Cass. n. 8782/2020[9], Cass. n. 21700 del 2019[10] e Cass n.12031/2019[11], Cass. n. 2123/2021 e Cass. n. 4522/2022, tutte con riferimento ad ipotesi di abuso di informazioni privilegiate.
B. Numerose pronunce delle Corti di merito hanno seguito i principi di cui sopra.
Così, ad esempio la corte d’appello di Bologna ha espressamente richiamato la predetta pronuncia affermando: “Ad ulteriore conferma si veda la sentenza della Suprema Corte, sez. II, n. 8530/2017, che proprio in relazione ad una fattispecie di insider trading ha affermato: ‘per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida, non occorre certamente che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quelli noti, secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla scorta della regola dell’inferenza necessaria), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in virtù della regola dell’inferenza probabilistica), sicché il giudice può trarre il suo convincimento dall’apprezzamento discrezionale degli elementi indiziari presenti purché dotato dei requisiti legali della gravità, precisione e concordanza, mentre è da escludere che possa attribuirsi valore probatorio ad una presunzione fondata su dati meramente ipotetici’” (Corte d’app. di Bologna, n. 2154/2020, cit.). Egualmente Corte d’app. di Roma n. 8488/2021, cit. e n. 2406/2021, cit., Corte d’app. di Milano n. 1542/2020.
In sostanza si ritiene che “lo standard probatorio richiesto” sia “fondato sulla ragionevole probabilità nonché sull’assenza di una razionale ed alternativa ricostruzione fattuale dell’accaduto” (Corte d’app. di Bari, n. 1244/2021 e n. 1243/2021, cit.) e che il giudice del merito debba privilegiare la “soluzione interpretativa dotata di prevalente verosimiglianza rispetto a quella contraria” (Corte d’app. di Venezia, n. 2272/2021). Analogamente anche Corte d’app. di Milano, n. 1927/2022.
La Corte d’appello di Torino, inoltre, ha specificato che: “l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del fatto noto può essere derivata alla stregua di canoni di ragionevole probabilità, dovendosi cioè ravvisare una connessione tra i fatti accertati e quelli ignoti, secondo regole di esperienza che convincano di ciò, sia pure con qualche margine di opinabilità. Occorre cioè che la ricostruzione presuntiva del fatto ignoto attraverso i fatti noti segua una consequenzialità che, pur non potendo rivestire ovviamente un rigore matematico, giunga all’individuazione del fatto ignoto come risultante univoca all’esito di una approssimazione condivisibile sia per la gravità e concordanza degli elementi noti sia per la sua ragionevolezza intrinseca, non permettendo la prospettazione di letture alternative che, seppure possibili, abbiano rispetto ad essa pari dignità” (Corte d’app. di Torino, n. 393/2022 cit., nello stesso senso anche Corte d’appello di Venezia, n. 2536/2020; sul punto v. anche Corte d’app. di Milano n. 2619/2023 e Corte d’app. di Firenze n. 1/2023, Corte d’app. di Brescia n. 1849/2019, cit.).
6. Sulla irrilevanza della prova delle modalità con le quali l’informazione privilegiata venga acquisita dall’insider secondario e della consapevolezza della trasmissione da parte dell’insider primario
L’accertamento dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate del c.d. insider secondario prescinde dalla prova delle concrete modalità attraverso cui l’informazione privilegiata sia stata acquisita da parte dell’insider secondario essendo, invece, sufficiente la dimostrazione che il primo abbia operato essendo a conoscenza dell’informazione privilegiata. |
Nella configurazione dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate può accadere che l’informazione privilegiata “circoli” e che il soggetto in possesso di un’informazione privilegiata (insider primario) la comunichi ad un altro soggetto che ne faccia uso (insider secondario)[12]. I due o più soggetti, nella generalità dei casi, hanno evidentemente cura di non lasciare traccia dello scambio dell’informazione privilegiata. Le Corti, sia di merito, sia di legittimità. si sono quindi trovate ad analizzare il profilo della prova della comunicazione della stessa e della consapevolezza della trasmissione di tale informazione.
A. Le Corte di Cassazione ha chiarito, con specifico riferimento all’illecito di abuso di informazioni privilegiate che l’accertamento dell’illecito in questione prescinde dalla prova delle concrete modalità attraverso cui l’informazione privilegiata sia stata acquisita dal c.d. insider secondario da parte del primario essendo, invece, sufficiente la dimostrazione che il primo abbia operato essendo a conoscenza dell’informazione privilegiata. La Suprema Corte ha, infatti, statuito che: “la configurabilità dell’illecito di cui all’articolo 187 bis, comma 4, T.U.F. prescinde dalla verifica delle concrete modalità attraverso cui l’informazione privilegiata sia stata acquisita dall’insider trader secondario, essendo sufficiente, viceversa, la dimostrazione che costui abbia operato essendo a conoscenza dell’informazione privilegiata. Come questa Corte ha già chiarito nella sentenza n. 27225/2013, infatti, ‘ai fini della sanzionabilità della violazione addebitata, rileva non l’acquisizione dolosa della notizia privilegiata, …, bensì il possesso e l’utilizzazione di un’informazione privilegiata in chi – conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato della stessa – compie taluno dei fatti descritti nella norma»’(pagg. 12/13).” (Cass. n. 4522/2022; nello stesso senso Cass. n. 8782/2022).
B. Numerose sentenze di merito hanno statuito, in linea con predetta sentenza, nel senso dell’assenza di decisività della prova della modalità di trasmissione della informazione privilegiata da parte dell’insider primario all’insider secondario (accipiens) nonché della consapevolezza della sua comunicazione da parte dell’insider primario.
Così, la Corte d’Appello di Torino ha affermato che “ai fini della configurabilità dell’illecito di insider trading secondario, non assumono alcuna decisività le modalità attraverso cui l’informazione privilegiata sia stata acquisita dall’accipiens, né occorre provare la consapevole comunicazione dell’informazione da chi originariamente l’abbia detenuta (cfr. anche Cass. pen., Sez. 5, 20/01/2010 – dep. 03/03/2010, n. 8588). La sanzione amministrativa stabilita per la condotta di trading del cosiddetto insider secondario non postula, pertanto, né che sia accertata la divulgazione imputabile al primary insider, né che si dia prova di un’appropriazione dell’informazione da parte del secondary insider, incentrando la propria operatività, piuttosto, sulla conoscenza (o, meglio, conoscibilità) della natura privilegiata dell’informazione stessa in possesso dell’agente. Basta, dunque, per la sanzionabilità ai sensi dell’art. 187-bis, comma 4, TUF, la dimostrazione della compravendita di titoli da parte di chi sia a conoscenza della informazione privilegiata per ricavarne la necessaria prova del possesso, prescindente dalla verifica su come quell’informazione sia stata ottenuta. La fattispecie sanzionatrice suppone, in sostanza, che sia accertato non un collegamento causale orientato tra l’informazione posseduta e l’attività trasmissiva di un informatore qualificato, quanto il nesso eziologico tra il possesso dell’informazione e l’utilizzo che se ne faccia compiendo operazioni su strumenti finanziari. Cass. sez. IL 16/10/2017, n. 24310, ha precisato, in tal senso, che ‘nel testo dell’art. 187 TUF, l’espressione ‘informazione’ va intesa quale ‘conoscenza’, indipendentemente dal fatto che tale conoscenza sia stata o meno trasmessa da altri all’agente’ (..) ‘Sono, dunque, il possesso dell’informazione privilegiata ed il suo utilizzo da parte dell’insider secondario che fondano la sussistenza dell’illecito in esame, indipendentemente dall’individuazione del soggetto dal quale l’agente abbia tratto la notizia e delle modalità con cui sia avvenuto il passaggio dell’informazione’” (Corte d’app. di Torino, 203/2022, cit.). Nello stesso senso sempre, Corte d’app. di Torino, n. 289/2022, cit., Corte d’app. di Brescia n. 1849/2019, cit., Corte d’app. di Firenze n. 1234/2022, e n. 680/2022, e recentemente n. 1111/2023, cit, n. 1110/2023, cit.. Corte d’app. di Milano, n. 2002/2022, cit., n. 1690/2020, n. 2025/2022; recentemente n. 2619/2023, cit.).
Sul punto si sono espresse nei medesimi termini anche diverse pronunce della Corte d’appello di Milano che affermano che “ai fini dell’integrazione dell’illecito di insider trading c.d. secondario di cui all’art. 187 bis, co. 4, TUF (qui applicabile ratione temporis), è sufficiente la dimostrazione del possesso, comunque conseguito, dell’informazione privilegiata in capo all’insider, senza che si presenti, come elemento costitutivo, anche la prova del passaggio dell’informazione” (Corte d’app. n. 1926/2022 nonché n. 2003/2022, cit., n. 2025/2022 cit., n. 3324/2022 e, nello stesso senso Corte d’app. di Bologna, n. 1826/2021).
La Corte d’appello di Perugia giunge alle medesime conclusioni affermando che: “Ai fini dell’integrazione dell’illecito di cui all’art. 187-bis, comma 4, TUF non è necessaria l’individuazione dell’insider primario, essendo sanzionabile chiunque, trovandosi in possesso di informazioni di cui conosce o può conoscere, utilizzando l’ordinaria diligenza, il carattere privilegiato, violi il divieto di abuso di informazioni privilegiate e di comunicazione illecita di informazioni privilegiate di cui all’articolo 14 del regolamento (UE) n. 596/2014 (c.d. insider secondario). Infatti, secondo la giurisprudenza di legittimità (cfr. Cass. 8785/2020; Cass. n. 27225/2013) l’art. 187 bis D. Lgs. n. 58/1998 punisce chi abusa dell’informazione privilegiata essendone in possesso con la consapevolezza di tale carattere privilegiato, dandosi esclusivo rilievo al fatto che l’agente fosse ‘in possesso di informazioni privilegiate’, e facesse perciò uso delle stesse – conoscendo o potendone conoscere, in base ad ordinaria diligenza, il carattere privilegiato – per compiere taluna delle azioni descritte nel primo comma, senza postulare l’acquisizione dolosa della notizia privilegiata.
Pertanto, non rilevano le modalità attraverso cui l’informazione medesima è acquisita dall’accipiens, ai fini della configurabilità dell’illecito di insider trading secondario e non occorre provare la consapevole comunicazione dell’informazione da chi originariamente la detiene (cfr. anche Cass. pen., Sez. 5, 20/01/2010).
La sanzione amministrativa stabilita per la condotta di trading del cosiddetto insider secondario non postula, pertanto, né che sia accertata la divulgazione imputabile al primary insider, né che si dia prova di un’appropriazione dell’informazione da parte del secondary insider, incentrando la propria operatività, piuttosto, sulla conoscenza (o, meglio, conoscibilità) della natura privilegiata dell’informazione stessa in possesso dell’agente.
La fattispecie sanzionatrice suppone, in sostanza, che sia accertato non un collegamento causale orientato tra l’informazione posseduta e l’attività trasmissiva di un informatore qualificato, quanto il nesso eziologico tra il possesso dell’informazione e l’utilizzo che se ne faccia compiendo operazioni su strumenti finanziari (Cass. 24310/2017)” (Corte d’app. di Perugia, n. 395/2022).
Infine, la Corte d’appello di Venezia ha chiarito che “In realtà, la distinzione tra insider primario e insider secondario è oggi venuta meno in quanto entrambe le figure sono confluite nella condotta di ‘abuso e comunicazione illecita di informazioni privilegiate’ con la conseguenza che il passaggio dell’informazione da un insider primario al presunto insider secondario non rientra tra i presupposti costitutivi dell’illecito oggetto di prova, essendo indifferente la modalità attraverso la quale l’informazione sia entrata nel patrimonio conoscitivo dell’agente.
Nel caso di specie, pertanto, la Consob ha correttamente applicato il ragionamento presuntivo sulla base ed in presenza di una serie di circostanze che, unitariamente e complessivamente considerate, conducono in modo univoco a ritenere fondato l’addebito rappresentato dal fatto che il (..) era in possesso dell’informazione privilegiata e che ne ha fatto uso, conoscendo o potendo conoscere, in base ad ordinaria diligenza connaturata alla sua attività professionale, il carattere privilegiato di essa; non è, invece, oggetto di prova il preventivo accertamento del passaggio dell’informazione, ossia che taluno abbia trasmesso all’insider l’informazione privilegiata e che, soltanto in seguito a detto accertamento, si possa desumere, con un ulteriore procedimento logico deduttivo, che il possesso dell’informazione privilegiata abbia consentito alla parte di approfittare dell’informazione privilegiata così ottenuta. Ai fini della configurabilità dell’illecito di insider trading secondario, non assumono, infatti, alcuna decisività le modalità attraverso cui l’informazione privilegiata sia stata acquisita dall’accipiens, né occorre provare la consapevole comunicazione dell’informazione da chi originariamente l’abbia detenuta: è l’insieme degli eventi che, nella loro complessiva concatenazione e non come sequela di isolate presunzioni, ha portato Consob a presumere la conoscenza dell’informazione privilegiata in capo al ricorrente, conoscenza che, del resto, non è in alcun modo smentita” (Corte d’app. di Venezia n. 2281/2021).
7. Sulla pretesa esistenza del divieto di presumptum de praesumpto
Il fatto noto, accertato in via presuntiva, può costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto (inesistenza del divieto di doppia presunzione). |
Nell’analisi dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate i giudici si trovano spesso ad affrontare l’eccezione del c.d. divieto di doppia presunzione espresso nel brocardo presumptum de praesumpto non admittitur dal momento che i soggetti incolpati di insider trading ritengono che la prova per presunzioni dell’illecito ascrittogli venga a sua volta desunta da altra prova per presunzioni.
1. Con diverse pronunce, la Suprema Corte ha fornito un ulteriore chiarimento in merito all’uso delle presunzioni nella prova degli illeciti in questione affermando l’inesistenza, nel nostro sistema processuale, del divieto delle c.d. presunzioni di secondo grado, richiamando “il seguente principio di diritto affermato di recente da questa Corte: ‘Nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto’ (Sez. 5, Ord. n. 20748 del 2019)” (Cass. n. 2123/2021).
Si è, sul punto, affermato l’orientamento, in linea con quanto statuito dalla Suprema Corte, per cui “la più recente giurisprudenza di legittimità ha ammesso il ricorso alla doppia presunzione, riconoscendo l’idoneità del fatto noto accertato in via presuntiva a costituire la premessa di un’ulteriore presunzione (v. Cass. 23860/20 [ndr. tale pronuncia non concerne gli abusi di mercato] ‘La giurisprudenza di questa Corte si sta progressivamente assestando sulla posizione per cui l’invocato divieto di doppia presunzione, o di presunzione di secondo grado o a catena, espresso nel brocardo ‘praesumptum de praesumpto non admittitur’ è, in realtà, inesistente nel nostro sistema, nel senso che non è previsto e codificato da alcuna disposizione di legge, non essendo riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c., né a qualsiasi altra norma dell’ordinamento’; v. anche Cass. 27982/20 “In tema di presunzioni, la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna delle quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto “noto” attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto “ignorato”, il quale cessa pertanto di essere tale divenendo noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni’)” (Corte d’app. di Milano, n. 1912/2022, nello stesso senso n. 1988/2022).
2. Alle medesime conclusioni è giunta la Corte d’app. di Genova statuendo che “E’ stato affermato che ‘Nel sistema processuale non esiste il divieto delle presunzioni di secondo grado, in quanto lo stesso non è riconducibile né agli artt. 2729 e 2697 c.c. né a qualsiasi altra norma e ben potendo il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituire la premessa di un’ulteriore presunzione idonea – in quanto a sua volta adeguata – a fondare l’accertamento del fatto ignoto’ (Cass. Sez. 5, Ordinanza n. 20748 del 01/08/2019, Rv. 655040 – 0114). (Non è configurabile nel sistema processuale un divieto di presunzioni di secondo grado, non essendo lo stesso riconducibile agli artt. 2729 e 2697 c.c., né ad altre norme; pertanto, è ben possibile che il fatto noto, accertato in via presuntiva, costituisca la premessa di un’ulteriore presunzione, ferma restando la necessità di valutare in concreto l’attendibilità del risultato, in termini di gravità, precisione e concordanza idonee a fondare l’accertamento del fatto ignoto. Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 23860 del 29/10/2020 (Rv. 659478 – 01).In tema di presunzioni, la prova inferenziale che sia caratterizzata da una serie lineare di inferenze, ciascuna delle quali sia apprezzata dal giudice secondo criteri di gravità, precisione e concordanza, fa sì che il fatto ‘noto’ attribuisca un adeguato grado di attendibilità al fatto ‘ignorato’, il quale cessa pertanto di essere tale divenendo noto, ciò che risolve l’equivoco logico che si cela nel divieto di doppie presunzioni. Cass. Sez. 5 – , Ordinanza n. 27982 del 07/12/2020 (Rv. 659820 – 01)” (Corte d’app. di Genova, n. 599/2022 nonché Corte d’appello di Venezia, n. 840/2022).
8. Sulla inidoneità – in alcune fattispecie – del ragionamento presuntivo a fondare l’accertamento dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate
Alcune sentenze di merito, pur riconoscendo la correttezza dei principi sopra enunciati, hanno ritenuto che nei casi sottoposti alla loro valutazione, non fosse stata raggiunta la prova dell’illecito, per diverse ragioni attinenti alle specificità dei casi concreti sottoposti ai loro giudizi.
Così, in particolare, la Corte d’app. di Torino ha ritenuto che “Nel contesto delineato si ritiene che gli elementi indiziari noti non siano utili a fondare un ragionamento presuntivo perché la loro concatenazione rimane equivoca e inidonea a individuare il fatto ignoto, costituente l’illecito, come unica conseguenza plausibile, seppure con una certa approssimazione” dal momento che alcuni degli indizi raccolti dalla Consob non si prestavano ad una lettura univoca ed erano incerti nella loro interpretazione (n. 1266/2018, negli stessi termini, n. 1276/2018, n. 1257/2018, n. 1267/2018). Tali sentenze sono state, tuttavia, oggetto di ricorso per Cassazione e la Suprema Corte le ha cassate con rinvio enunciando il seguente principio di diritto: “Nel caso in esame, la Corte di merito, come accennato in narrativa e come emerge con chiarezza dalle pagg. 19 e ss della sentenza impugnata, ha limitato la sua indagine ad una disamina, per così dire, parcellizzata degli elementi indiziari posti a base della delibera, avendoli esaminati uno ad uno per poi scartarli singolarmente, omettendo di compiere la seconda operazione necessaria ai fini di un corretto ragionamento presuntivo: la doverosa valutazione complessiva di tutti gli elementi isolati al fine di accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione sia in grado di fornire una valida prova presuntiva, che magari non potrebbe dirsi raggiunta con certezza considerando atomisticamente uno o alcuni di essi” (ordd. 7459-8391-7645-7647/2023).
Egualmente, la Corte d’app. di Milano ha accolto l’opposizione di un ricorrente, pur aderendo ai principi sopra enunciati in materia di prova dell’illecito di abuso di informazioni privilegiate, ed ha affermato che la ricostruzione della Consob presentasse “evidenti e incolmabili carenze, che si traducono – inevitabilmente – nella impossibilità di formulare un giudizio di responsabilità̀ che superi la regola dell’oltre ogni ragionevole dubbio” ritenendo che nel caso di specie “l’impianto probatorio di Consob assolutamente carente e inidoneo a fondare la responsabilità̀ dell’incolpato e ciò̀ anche nella diversa prospettiva di una valutazione del compendio probatorio secondo i principi squisitamente civilistici, poiché neppure può dirsi che il ragionamento presuntivo-indiziario di Consob sia riconducibile al canone del “più probabile che non” (n. 2461/2023, avverso detta sentenza è stato proposto ricorso per cassazione).
Ancora, alcune pronunce della Corte d’Appello di Brescia, tutte oggetto di ricorso per cassazione, pur facendo propri i principi sopra enunciati in materia di legittimo uso del ragionamento presuntivo ai fini della prova degli illeciti di abusi di mercato, hanno tuttavia ritenuto sussistente il c.d. divieto di doppia presunzione affermando quanto segue: “Si conviene con Consob anche per quanto concerne i richiami giurisprudenziali in tema di inferenza deduttiva e presunzioni semplici, ai sensi del combinato disposto di cui agli articoli 2727 e 2729 cc. Con la precisazione, tuttavia che la massima di Cass. n. 9059/2018 ha da essere intesa come legittimante il ricorso all’inferenza deduttiva per presunzioni semplici anche in presenza di una pluralità di eventi noti ciascuno dei quali, autonomamente considerato, appaia, alla stregua della regola di esperienza considerata, non significante, ma la cui considerazione complessiva, e perciò non atomistica, possa condurre, sempre in forza di tale regola, all’affermazione dell’elevata probabilità dell’intervenuta verificazione dell’evento del quale non si possegga dimostrazione storica diretta (per via documentale o testimoniale).
Il principio espresso in tale massima non può quindi condurre al ridimensionamento della regola del divieto della sequela di presunzioni (praesumptio de praesumpto), ribadito anche di recente dalla Suprema Corte: deve pertanto escludersi che nel procedimento per presunzioni semplici l’inferenza deduttiva possa trarre spunto da un evento il cui accertamento risulti affidato esso pure a prova logica anziché a prova storica. Il procedimento per la dimostrazione come vero di un fatto altrimenti ‘ignorato’ deve infatti ex art.2727 cc muovere dalla considerazione di altro fatto che si caratterizzi per essere ‘noto’, tale essendo soltanto, per necessità logica, un evento pacifico ovvero confermato da prova storica”. Inoltre, secondo detta Corte, nel caso di specie “anche scorporando i singoli processi deduttivi, non sempre gli stessi appaiono sorretti da un’idonea “legge di copertura”; non sempre, cioè, si passa dal fatto (apparentemente) noto a quello ignorato mediante richiamo ad una comprovata massima di esperienza ovvero ad un confacente “giudizio di probabilità basato sull’ ‘id quod plerumque accidit’”.
Tali considerazioni hanno portato la Corte di Brescia a ritenere che, nel caso di specie si fosse “in presenza non soltanto di una serie di deduzioni presuntive in sequenza, in violazione del divieto di praesumptio de praesumpto, ma anche di una pluralità di deduzioni fondate su dati incerti, così da non risultare confacenti rispetto al canone di cui all’art.2729 cc, che vuole rilevanti solo le presunzioni “gravi, precise e concordanti”, ed in qualche caso addirittura costruite su “regole di copertura” totalmente inadeguate. In base alle quali non è in ogni caso possibile fondatamente arguire alcunché, anche a prescindere dalla considerazione del divieto delle presunzioni sequenziali” (n. 1768/2019, nello stesso senso n. 1762/2019, n. 1766/2019, 1766/2019, n. 1761/2019, n. 1767/2019).
[*] Le opinioni espresse riflettono esclusivamente il pensiero dell’autrice e non impegnano l’istituto di appartenenza. Nel citarne i contenuti non è pertanto corretto attribuirli alla Consob o ai suoi vertici.
[1] Regolamento UE n. 596/2014, Articolo 12 – Manipolazione del mercato
1. Ai fini del presente regolamento, per manipolazione del mercato si intendono le seguenti attività:
a) l’avvio di un’operazione, l’inoltro di un ordine di compravendita o qualsiasi altra condotta che:
i) invii, o è probabile che invii, segnali falsi o fuorvianti in merito all’offerta, alla domanda o al prezzo di uno strumento finanziario, di un contratto a pronti su merci collegato o di un prodotto oggetto d’asta sulla base di quote di emissioni; oppure
ii) consenta, o è probabile che consenta, di fissare il prezzo di mercato di uno o più strumenti finanziari, di un contratto a pronti su merci collegato o di un prodotto oggetto d’asta sulla base di quote di emissioni a un livello anormale o artificiale;
a meno che la persona che avvia un’operazione, inoltra un ordine di compravendita o ha posto in essere qualsiasi altra condotta stabilisca che tale operazione, ordine o condotta sono giustificati da legittimi motivi e sono conformi a una pratica di mercato ammessa, come stabilito a norma dell’articolo 13;
b) l’avvio di un’operazione, l’inoltro di un ordine di compravendita o qualsiasi altra attività o condotta che incida, o sia probabile che incida, sul prezzo di uno o più strumenti finanziari, di un contratto a pronti su merci collegato o di un prodotto oggetto d’asta sulla base di quote di emissioni, utilizzando artifici o qualsiasi altra forma di raggiro o espediente;
c) la diffusione di informazioni tramite i mezzi di informazione, compreso Internet, o tramite ogni altro mezzo, che forniscano, o siano idonei a fornire, segnali falsi o fuorvianti in merito all’offerta, alla domanda o al prezzo di uno strumento finanziario, di un contratto a pronti su merci collegato o di un prodotto oggetto d’asta sulla base di quote di emissioni o che consentano, o è probabile che consentano, di fissare il prezzo di mercato di uno o più strumenti finanziari o di contratti a pronti su merci collegati o di un prodotto oggetto d’asta sulla base di quote di emissioni a un livello anormale o artificiale, compresa la diffusione di voci, quando la persona che ha proceduto alla diffusione sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che le informazioni erano false o fuorvianti;
d) la trasmissione di informazioni false o fuorvianti o la comunicazione di dati falsi o fuorvianti in relazione a un indice
di riferimento (benchmark) quando la persona che ha proceduto alla trasmissione o fornito i dati sapeva, o avrebbe dovuto sapere, che erano falsi o fuorvianti, ovvero qualsiasi altra condotta che manipola il calcolo di un indice di riferimento.
2. Le seguenti condotte sono considerate, tra le altre, manipolazione del mercato:
a) la condotta di una o più persone che agiscono in collaborazione per acquisire una posizione dominante sull’offerta o sulla domanda di uno strumento finanziario, di contratti a pronti su merci collegati o di un prodotto oggetto d’asta sulla base di quote di emissioni che abbia, o è probabile che abbia, l’effetto di fissare, direttamente o indirettamente, i prezzi di acquisto o di vendita o ponga in atto, o è probabile che lo faccia, altre condizioni commerciali non corrette;
b) l’acquisto o la vendita di strumenti finanziari all’apertura o alla chiusura del mercato, con l’effetto o il probabile effetto di fuorviare gli investitori che agiscono sulla base dei prezzi esposti, compresi i prezzi di apertura e di chiusura;
c) l’inoltro di ordini in una sede di negoziazione, comprese le relative cancellazioni o modifiche, con ogni mezzo disponibile di negoziazione, anche attraverso mezzi elettronici, come le strategie di negoziazione algoritmiche e ad alta frequenza, e che esercita uno degli effetti di cui al paragrafo 1, lettere a) o b), in quanto:
i) interrompe o ritarda, o è probabile che interrompa o ritardi, il funzionamento del sistema di negoziazione della sede di negoziazione;
ii) rende più difficile per gli altri gestori individuare gli ordini autentici sul sistema di negoziazione della sede di negoziazione, o è probabile che lo faccia, anche emettendo ordini che risultino in un sovraccarico o in una destabilizzazione del book di negoziazione (order book) degli ordini; oppure
iii) crea, o è probabile che crei, un segnale falso o fuorviante in merito all’offerta, alla domanda o al prezzo di uno strumento finanziario, in particolare emettendo ordini per avviare o intensificare una tendenza;
d) trarre vantaggio da un accesso occasionale o regolare ai mezzi di informazione tradizionali o elettronici diffondendo una valutazione su uno strumento finanziario, un contratto a pronti su merci collegato o un prodotto oggetto d’asta sulla base di quote di emissioni (o indirettamente sul suo emittente) dopo aver precedentemente preso delle posizioni su tale strumento finanziario, contratto a pronti su merci collegato o prodotto oggetto d’asta sulla base di quote di emissioni, beneficiando successivamente dell’impatto della valutazione diffusa sul prezzo di detto strumento, contratto a pronti su merci collegato o prodotto oggetto d’asta sulla base di quote di emissioni, senza aver contemporaneamente comunicato al pubblico, in modo corretto ed efficace, l’esistenza di tale conflitto di interessi;
e) l’acquisto o la vendita sul mercato secondario, in anticipo sull’asta tenuta ai sensi del regolamento (UE) n. 1031/2010, di quote di emissioni o dei relativi strumenti derivati, con l’effetto di fissare il prezzo di aggiudicazione dell’asta a un livello anormale o artificiale o di indurre in errore gli altri partecipanti all’asta.
3. Ai fini dell’applicazione del paragrafo 1, lettere a) e b), e ferme restando le forme di condotta di cui al paragrafo 2, l’allegato I definisce un elenco non tassativo di indicatori connessi all’utilizzo di artifici o di qualsiasi altra forma di inganno o espediente e un elenco non tassativo di indicatori connessi a segnali falsi o fuorvianti e alla fissazione dei prezzi.
4. Quando la persona di cui al presente articolo è una persona giuridica, il presente articolo si applica, conformemente al diritto nazionale, anche alle persone fisiche che partecipano alla decisione di effettuare attività per conto della persona giuridica in questione.
5. Alla Commissione è conferito il potere di adottare atti delegati conformemente all’articolo 35, che specifichino gli indicatori stabiliti nell’allegato I, al fine di chiarirne gli elementi e tener conto degli sviluppi tecnici sui mercati finanziari.
Regolamento UE 596/2014-Articolo 15-Divieto di manipolazione del mercato
Non è consentito effettuare manipolazioni di mercato o tentare di effettuare manipolazioni di mercato.
[2]Regolamento UE 596/2014, Articolo 8 -Abuso di informazioni privilegiate
1. Ai fini del presente regolamento, si ha abuso di informazioni privilegiate quando una persona in possesso di informazioni privilegiate utilizza tali informazioni acquisendo o cedendo, per conto proprio o per conto di terzi, direttamente o indirettamente, gli strumenti finanziari cui tali informazioni si riferiscono. È considerato abuso di informazioni privilegiate anche l’uso di dette informazioni tramite annullamento o modifica di un ordine concernente uno strumento finanziario al quale le informazioni si riferiscono quando tale ordine è stato inoltrato prima che la persona interessata entrasse in possesso di dette informazioni privilegiate. In relazione alle aste di quote di emissioni o di altri prodotti oggetto d’asta correlati detenuti ai sensi del regolamento (UE) n. 1031/2010, l’uso di informazioni privilegiate si configura anche quando una persona presenta, modifica o ritira un’offerta per conto proprio o per conto di terzi.
2. Ai fini del presente regolamento, si ha raccomandazione che un’altra persona compia abusi di informazioni privilegiate o induzione di un’altra persona a compiere abusi di informazioni privilegiate quando la persona è in possesso di informazioni privilegiate e:
a) raccomanda, sulla base di tali informazioni, che un’altra persona acquisisca o ceda strumenti finanziari a cui tali informazioni si riferiscono o induce tale persona a effettuare l’acquisizione o la cessione; ovvero
b) raccomanda, sulla base di tali informazioni, a un’altra persona di cancellare o modificare un ordine concernente uno strumento finanziario cui si riferiscono le informazioni o induce tale persona a effettuare la cancellazione o la modifica.
3. Il ricorso a raccomandazioni o induzioni di cui al paragrafo 2 è inteso come abuso di informazioni privilegiate ai sensi del presente articolo quando la persona che ricorre alla raccomandazione o all’induzione sa o dovrebbe sapere che esse si basano su informazioni privilegiate.
4. Il presente articolo si applica a qualsiasi persona che possieda informazioni privilegiate per il fatto che:
a) è membro di organi amministrativi, di direzione o di controllo dell’emittente o partecipante al mercato delle quote di emissioni;
b) è una partecipazione al capitale dell’emittente o un partecipante al mercato delle quote di emissioni;
c) ha accesso a tali informazioni nell’esercizio di un’occupazione, di una professione o di una funzione; oppure
d) è coinvolto in attività criminali.
Il presente articolo si applica anche a qualsiasi persona che possieda informazioni privilegiate per circostanze diverse da quelle di cui al primo comma, quando detta persona sa o dovrebbe sapere che si tratta di informazioni privilegiate.
5. Quando una persona è una persona giuridica, il presente articolo si applica, conformemente al diritto nazionale, anche alle persone fisiche che partecipano alla decisione di effettuare l’acquisto, la cessione, la cancellazione o la modifica di un ordine per conto della persona giuridica in questione.
Regolamento UE 596/2014, Articolo 10- Comunicazione illecita di informazioni privilegiate
1. Ai fini del presente regolamento, si ha comunicazione illecita di informazioni privilegiate quando una persona è in possesso di informazioni privilegiate e comunica tali informazioni a un’altra persona, tranne quando la comunicazione avviene durante il normale esercizio di un’occupazione, una professione o una funzione.
Il presente paragrafo si applica a qualsiasi persona fisica o giuridica nelle situazioni o nelle circostanze di cui all’articolo 8, paragrafo 4.
2. Ai fini del presente regolamento, la comunicazione a terzi delle raccomandazioni o induzioni di cui all’articolo 8, paragrafo 2, si intende come comunicazione illecita di informazioni privilegiate ai sensi del presente articolo allorché la persona che comunica la raccomandazione o l’induzione sa o dovrebbe sapere che esse si basano su informazioni privilegiate.
Regolamento UE 596/2014-Articolo 14-Divieto di abuso di informazioni privilegiate e di comunicazione illecita di informazioni privilegiate
Non è consentito: a) abusare o tentare di abusare di informazioni privilegiate; b) raccomandare ad altri di abusare di informazioni privilegiate o indurre altri ad abusare di informazioni privilegiate; oppure c) comunicare in modo illecito informazioni privilegiate
[3] Così Cass. n. 4522/2022, p. 6. § 19.1
[4] Pertanto, il soggetto che intende dimostrare la sussistenza di un abuso di mercato deve fornirne la prova per presunzioni c.d. semplici, vale a dire, “lasciate alla prudenza del giudice” .. “il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, previse e concordanti”. La valutazione del giudice delle presunzioni anche ex art. 116 c.p.c. deve essere effettuata “secondo il suo prudente apprezzamento”.
[5] Cass. n. 4522 del 11 febbraio 2022, cit.; Cass.n. 8782/2020 e 162523 del 2016.
[6] Come si vedrà nel proseguo, tale pronuncia, nel confermare una sentenza della Corte d’Appello di Milano, ha dettato alcuni principi relativi a:
– la selezione delle presunzioni da parte del giudice del merito;
– le ragioni che devono fondare il convincimento del giudice del merito in relazione a tali presunzioni;
– i criteri guida ai quali la Corte di legittimità deve attenersi nell’esaminare pronunce che abbiano statuito sul punto.
[7] L’ammissibilità della prova per presunzioni è stata confermata sia per l’illecito di insider trading commesso da chi acquista in proprio i titoli oggetto di informazione privilegiata, sia per gli illeciti di c.d. tipping e tuyautage (la comunicazione a terzi di informazioni privilegiate al di fuori del normale esercizio di lavoro – c.d. tipping- e la raccomandazione a terzi di porre in essere operazioni su strumenti finanziari, senza rivelare loro le informazioni privilegiate possedute -c.d tuyautage).
[8]La Suprema Corte, con una pronuncia più risalente (Cass. n. 3703 del 2012), aveva già stigmatizzato il comportamento del giudice del merito che si avvalga di una “valutazione ‘scomposta’ del coacervo indiziario sottoposto al suo esame. La prova presuntiva, difatti, nella sua innegabile delicatezza, postula, quale prius operazionale del procedimento logico che la assiste, un’analisi dei singoli fatti sottoposti all’esame del giudice di tipo ‘composito’, di tipo, cioè, sinergico/valutativo, e non una scomposizione disgregata di tipo meramente addizionale dei fatti medesimi” criticando il ragionamento “seguito dalla corte territoriale, che ha prima ‘scomposto’ il coacervo indiziario in due momenti logici distinti, per poi inferirne che tanto l’uno (…) quanto l’altro (…), erroneamente valutati inter se distantibus, non assurgessero a necessaria dignità probatoria sotto il profilo della certezza, gravità, concordanza”.
Ancora, la Suprema Corte aveva già rilevato come il giudice di merito “non può sottrarsi al controllo in sede di legittimità, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c., se risulti che, violando i criteri giuridici in tema di formazione della prova critica, il giudice si sia limitato a negare valore indiziario a singoli elementi acquisiti in giudizio, senza accertarne l’effettiva rilevanza in una valutazione di sintesi” (cfr. Ordinanza n. 10973 del 5 maggio 2017).
[9] “.. indicativamente Cass. Sez. 2, 03/08/2016, n. 16253, spiegò, in termini che vanno qui ribaditi, come alcuna incompatibilità sussista tra la condotta di abuso di informazioni privilegiate e il suo accertamento mediante presunzioni, essendo, piuttosto, la prova presuntiva ‘spesso l’unica che consenta di accertare il possesso delle dette informazioni, dal momento che il trasferimento di queste si attua, di regola, con modalità che escludono attività di documentazione, mentre la rappresentazione dell’insider trading attraverso prove orali è eventualità per lo più esclusa dalla naturale riservatezza delle comunicazioni e dalla mancata conoscenza, da parte della Consob, di quanti, vicini all’incolpato, potrebbero fornire precise informazioni al riguardo’. (..) Anche Cass. Sez. U, 30/09/2009, n. 20930, aveva riconosciuto che la prova della condotta sanzionata amministrativamente per violazione delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria può essere offerta altresì mediante presunzioni semplici, nel senso dunque, come congruamente evincibile nella sentenza impugnata, che l’esistenza del fatto ignoto sia deduttivamente ricavata quale conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità e secondo regole di esperienza, restando il relativo giudizio perciò insindacabile in sede di legittimità – al di fuori dei limiti segnati dall’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. -, giacché logicamente motivato in base a detti criteri”.
[10] La Corte di Cassazione ha espressamente affermato : “In tal senso il collegio intende dare continuità anche al seguente principio di diritto: ‘In tema di prova per presunzioni, nel dedurre il fatto ignoto dal fatto noto, la valutazione del giudice del merito incontra il solo limite della probabilità, con la conseguenza che i fatti su cui la presunzione si fonda non devono essere tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati secondo un legame di necessità assoluta ed esclusiva, ma è sufficiente che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di ragionevole probabilità con riferimento alla connessione degli accadimenti, la cui normale sequenza e ricorrenza può verificarsi secondo regole di esperienza, basate sull’id quod plerumque accidit. Ne consegue che, anche se il giudizio valutativo svolto dal giudice del merito sugli indizi è insindacabile, essendo il controllo di legittimità circoscritto alla verifica della correttezza logico giuridica del ragionamento seguito, tuttavia, in relazione all’utilizzo di massime o regole d’esperienza, anche in sede di giudizio di legittimità, si deve verificare che il giudizio probatorio non sia fondato su congetture, ovvero ipotesi non fondate sull’id quod plerumque accidit o regole generali prive di una sia pur minima plausibilità invece che su vere e proprie massime di esperienza’ (Sez. 3, Ord. n. 6387 del 2018)”. Conforme Cass. n. 16253 del 2016 ove ulteriori riferimenti.
[11] “Questa Corte ha chiarito che in tema di sanzioni amministrative il ricorso alle presunzioni semplici è consentito (cfr. Cass. Sez. Un., n. 20930/2009; Cass. n. 17615/2007): in tal caso i fatti sui quali esse si fondano devono essere tali da far apparire l’esistenza del fatto ignoto come una conseguenza del fatto noto, alla stregua di canoni di ragionevole probabilità e secondo regole di esperienza, restando il relativo giudizio insindacabile in sede di legittimità se non nei ristretti limiti di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 (Cass. 4 febbraio 2005, n. 2363).
La questione finisce quindi per risolversi sul piano della correttezza delle argomentazioni spese dal giudice del merito per inferire il fatto ignoto da quello noto (Cass., 29 gennaio 2021, n.2123)”.
[12] Detto illecito è oggi previsto dall’art. 14, lett. a), Reg. UE 596/2014 e sanzionato dall’art. 187-bis, c. 1, TUF. L’art. 187-bis, comma 4, TUF e l’art. 8 del Regolamento (UE) n. 596/2014 puniscono l’insider secondario vale a dire colui che, in possesso dell’informazione privilegiata, conoscendo o potendo conoscere in base ad ordinaria diligenza il carattere privilegiato della stessa: “a) acquista, vende o compie altre operazioni, direttamente o indirettamente, per conto proprio o per conto di terzi su strumenti finanziari utilizzando le informazioni medesime.