* Oliviero Cimaz è mancato nel corso del 2022 ed il presente elaborato sulla residenza fiscale delle società, con la collaborazione del dott. Francesco Nobili e del dott. Franco Pozzi, è un omaggio da parte dei colleghi di studio per ricordarne le imprescindibili competenze
1. Premessa – La residenza fiscale delle società
Il tema della residenza fiscale costituisce un aspetto cruciale nell’ambito della tassazione internazionale non solo per le persone fisiche, le quali in vari Stati come l’Italia sono soggette ad imposizione per i redditi ovunque prodotti (“worldwide taxation”), ma anche per tutte le altre entità a cui è attribuita un’autonoma soggettività tributaria, come le società di cui ci si occupa in questa sede.
La residenza fiscale costituisce innanzitutto condizione per l’applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni; sia i modelli sviluppati dall’Ocse che da altri Stati ed organizzazioni internazionali si preoccupano, pertanto, di stabilire i criteri con cui risolvere le situazioni di “dual residence” causati dal contrasto nella contemporanea attribuzione della residenza da parte della legislazione di Stati diversi, e regolano di conseguenza la ripartizione del potere impositivo tra le giurisdizioni interessate.
La progressiva globalizzazione delle relazioni economiche e la rimozione delle restrizioni valutarie che in passato, come in Italia, ostacolavano gli investimenti esteri ha reso la questione ancor più rilevante, rendendo sempre più indispensabile la possibilità per i contribuenti di individuare la propria residenza con criteri sufficientemente certi, e l’attivazione di procedure idonee a risolvere eventuali conflitti tra le amministrazioni fiscali suscettibili di provocare indesiderate situazioni di doppia imposizione.
L’esperienza maturata in Italia negli ultimi anni ha in realtà evidenziato una tendenza, sia da parte degli organi accertatori che della giurisprudenza, ad individuare la residenza fiscale delle società ed a risolvere i conflitti di residenza con altri Stati in un’ottica prevalentemente anti-elusiva, tanto da coniare l’originale termine di “esterovestizione”, il quale evoca una sorta di camuffamento del reale radicamento delle società negli Stati esteri in cui esse sono costituite. In tale ambito, la tendenza di prassi è quella di individuare il fenomeno dell’esterovestizione in “quelle particolari fattispecie per cui una entità, pur avendo formalmente sede all’estero, presenta uno o più criteri legali di collegamento con l’ordinamento nazionale, in virtù dei quali la residenza fiscale può risultare radicata all’interno del territorio dello Stato”[1].
Sia pur considerando l’ampiezza di fenomeni di questo tipo, vi è peraltro ampio consenso nella dottrina tributaria sul fatto che le norme contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni in tema di doppia residenza delle società si differenziano in realtà dalle disposizioni anti-abuso (allo stesso modo di quelle dettate per le persone fisiche), e – data la loro natura di “tie-breaker rule” – assolvono alla diversa funzione di dirimere le controversie tra gli ordinamenti tributari che attribuiscono al medesimo soggetto passivo la residenza fiscale nel proprio Stato.
2. Le convenzioni contro le doppie imposizioni – La “tie breaker rule”
Con queste premesse, si può dunque rilevare che le convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate secondo il Modello Ocse, come la gran parte di quelle di cui è parte l’Italia, contengono in primo luogo una definizione valevole ai soli fini dell’applicazione del trattato in questione, secondo cui : “ai fini della presente Convenzione, l’espressione ‘residente di uno Stato contraente’ designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è assoggettata ad imposta nello stesso Stato a motivo del suo domicilio, della sua residenza, della sede della sua direzione e di ogni altro criterio di natura analoga. Tuttavia, tale espressione non comprende le persone che sono assoggettate ad imposta in questo Stato soltanto per il reddito proveniente da fonti situate in detto Stato ….” (articolo 4, par.1.). Analoga formulazione è contenuta anche nel Modello delle Nazioni Unite e nel Modello degli Stati Uniti (con l’inclusione del luogo di costituzione).
Ben può dunque verificarsi il caso in cui una società estera possa in prima analisi considerarsi residente nel proprio Stato secondo la legislazione ivi vigente ed anche in conformità alla norma del trattato appena citata; cionondimeno, la medesima società potrebbe considerarsi residente anche in altre giurisdizioni, ivi compresa l’Italia stante quanto disposto dall’articolo 73, comma 3, Tuir, secondo cui “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le società e gli enti che per la maggior parte del periodo di imposta hanno la sede legale o la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale nel territorio dello Stato”.
Vale peraltro anche la regola inversa, sicché anche una società pacificamente ritenuta residente in Italia secondo i predetti criteri dell’articolo 73 Tuir potrebbe nel contempo essere considerata residente anche in altro Stato estero, ove ad esempio si riscontri, in presenza di una normativa estera simile alla nostra, che essa ha la sede dell’amministrazione o l’oggetto principale in tale altra giurisdizione; il che pone, specialmente nei gruppi multinazionali, evidenti rischi di sovrapposizione del potere impositivo ove le regole del trattato vigente con l’Italia non pongano regole certe, o interpretate uniformemente, per risolvere il conflitto.
Prima delle novità apportate dalla “Convenzione multilaterale per l’attuazione di misure relative alle convenzioni fiscali finalizzate a prevenire l’erosione della base imponibile e lo spostamento dei profitti” elaborata in sede Ocse (MLI), tuttora in attesa di recepimento nell’ordinamento italiano, gli eventuali conflitti di residenza venivano di norma risolti secondo la c.d. “tie breaker rule” rappresentata dal luogo ove si trova la “sede di direzione effettiva” o “place of effective management” (POEM); in proposito, il Modello Ocse, e così anche le convenzioni bilaterali stipulate dall’Italia, disponeva che “quando, in base alle disposizioni del paragrafo 1, una persona diversa da una persona fisica è residente di entrambi gli Stati contraenti, si ritiene che essa è residente dello Stato in cui si trova la sede della sua direzione effettiva”.
L’individuazione della POEM non appare peraltro esente da margini di opinabilità, non solo per quanto attiene all’accertamento delle circostanze di fatto, ma anche in ragione dell’ambiguo significato sul piano teorico, spesso influenzato anche delle disposizioni di diritto interno dei vari Stati.
Negli ordinamenti di common law che si ispirano alla normativa tributaria anglosassone (con l’eccezione degli Stati Uniti, ove rileva il luogo di costituzione) la residenza degli enti societari va infatti generalmente ravvisata nel luogo di “central management e control”, ed in questo senso si era anche ritenuto in passato che questo luogo, corrispondente a quello in cui l’organo a ciò deputato assume le decisioni strategiche e di alto livello (il consiglio di amministrazione), fosse di fatto coincidente con la sede di direzione effettiva.
Diversamente, negli ordinamenti di civil law pare generalmente prevalere o comunque si affianca anche un ulteriore e diverso criterio basato sul luogo ove si svolge il cd. “day to day management”, e cioè la gestione quotidiana della società, ed in questo senso può anche essere letta l’osservazione dell’Italia sin dall’edizione al Commentario Ocse del 2000, secondo cui, nel determinare la sede di direzione effettiva, va altresì tenuto in conto il luogo in cui la principale e concreta attività dell’ente è svolta.
Riconoscendo l’esistenza di difficoltà nell’applicazione della disciplina prevista per le società aventi doppia residenza, il Technical Advisory Group (“TAG”) dell’Ocse incaricato dell’applicazione delle norme convenzionali sui redditi d’impresa ha provveduto, pertanto, ad elaborare nel corso del 2003 alcune proposte di revisione della “tie breaker rule”, la prima delle quali si limitava peraltro, attraverso una modifica del Commentario, ad affrontare le situazioni in cui le decisioni chiave per la conduzione dell’attività della società vengono formalmente deliberate da una persona o da un gruppo di persone (ad esempio, consiglio di amministrazione), ma nella sostanza vengono assunte altrove (ad esempio, da un azionista di controllo il quale eserciti funzioni eccedenti l’ordinaria direzione e coordinamento, oppure da dirigenti eventi funzioni esecutive). La seconda proposta del TAG, attraverso una modifica del modello di convenzione, indicava invece, nell’impossibilità di determinare la POEM, una serie di regole in ordine gerarchico per determinare la residenza fiscale degli enti, tra cui il luogo ove le relazioni economiche sono più strette, quello ove l’attività imprenditoriale è principalmente svolta oppure quello ove le decisioni dei dirigenti più “senior” vengono assunte, oppure, infine, quello della sede legale ed in difetto la procedura amichevole (“mutual agreement procedure”, MAP).
Il progetto del TAG non fu peraltro completato; la contrapposizione tra le due opposte impostazioni teoriche in merito al significato di POEM non fu risolta neppure dalle indicazioni fornite nelle successive versioni del Commentario Ocse, il quale, ancora nel testo adottato nel 2005, affermava – dopo aver escluso la rilevanza di dati formali quali il luogo di costituzione e la rilevanza invece del luogo ove la società è effettivamente amministrata (par. 22) – che “la sede di direzione effettiva è il luogo ove le decisioni chiave di gestione e commerciali che sono necessarie per l’esercizio dell’impresa nel suo complesso sono in sostanza assunte”, aggiungendosi poi che “la sede di direzione effettiva è ordinariamente il luogo in cui la persone o il gruppo di persone più ‘senior’ (al esempio, il consiglio di amministrazione) assume le proprie decisioni, il luogo in cui le azioni che l’entità nel suo complesso deve assumere vengono determinate” e concludendosi infine che “tuttavia, nessuna regola definitiva può essere fornita, e tutti i fatti e le circostanze devono essere esaminati per determinare la sede di direzione effettiva” (par.4). Pareva dunque prevalere a quel tempo, sia pur con la cautela manifestata nell’ultimo inciso del paragrafo 4 del Commentario appena riportato, un significato di POEM assai simile a quello di “central management and control”.
Tale orientamento fu peraltro del tutto abbandonato nella successiva versione 2008 del Commentario, nella quale (anche a seguito della sorprendente osservazione in tal senso già formulata a proposito del “day to day management” nel Commentario 1998 da uno Stato di common law come la Nuova Zelanda) ogni riferimento all’attività del consiglio di amministrazione è stato eliminato.
Le difficoltà nell’individuare univocamente il POEM in ragione delle divergenti caratteristiche degli ordinamenti societari degli Stati legati tra loro da una convenzione contro le doppie imposizioni, siano essi di common o civil law, non si limitano peraltro all’assenza di un univoco orientamento dell’Ocse al riguardo, ma risultano amplificate dagli svariati modelli di governance applicabili all’interno di ciascuno Stato, tra cui, ad esempio, l’adozione di un single o dual board.
Compatibilmente con regole societarie vigenti, decisioni chiave nella gestione della società possono poi essere influenzate dai soci, specie nei gruppi multinazionali, ed in maggior modo laddove il funzionamento della società non richiede strutture complesse o attività quotidiane come, ad esempio, nelle società holding che producono “passive income”; inoltre, anche laddove si intenda privilegiare il c.d. “day to day management”, resta da comprendere a quale livello decisionale si debba fare riferimento in presenza di delega di poteri che consentono la gestione di parte dell’attività societaria ma non invece, come afferma il Commentario Ocse sino all’ultima versione del 2017, dell’impresa nel suo insieme. Le complessità di gestione di gruppi societari di vaste dimensioni, unitamente allo sviluppo tecnologico, permette ormai l’assunzione di decisioni chiave da parte di soggetti a ciò delegati (CEO, CFO, COO), o di comitati esecutivi di managers, i quali operano anche in luoghi diversi, rendendo anche difficilmente determinabile l’individuazione di una POEM in modo univoco[2].
3. Il Modello Ocse del 2017 e la convenzione multilaterale
Una volta esaminato il controverso excursus storico delle varie posizioni assunte in sede OCSE con riferimento alla doppia residenza degli enti societari si è infine giunti sino ai nostri giorni con l’emanazione del rapporto BEPS 6 “Preventing the granting of treaty benefits in inappropriate circumstances”, il quale, nella sua versione finale del 2015, suggerisce una nuova versione della “tie braker rule”, recepita all’articolo 4 della MLI, come segue: “Se, in applicazione delle disposizioni di un Accordo fiscale coperto, un soggetto diverso da una persona fisica è residente in più di una Giurisdizione Contraente, le autorità competenti delle Giurisdizioni Contraenti fanno del loro meglio per determinare in via di amichevole composizione la Giurisdizione Contraente di cui tale soggetto deve essere considerato residente ai fini dell’Accordo fiscale coperto, tenuto conto della sede di direzione effettiva, del luogo in cui è stato registrato o comunque costituito, nonché di ogni altro fattore rilevante. In assenza di tale accordo, tale soggetto non avrà diritto ad alcuno sgravio o esenzione fiscale prevista dall’Accordo fiscale coperto, salvo nella misura in cui ciò sia stato convenuto dalle autorità competenti delle Giurisdizioni Contraenti, con le modalità da loro concordate”.[3]
Una disposizione di questo genere era peraltro contemplata nella Versione 2008 del Commentario Ocse, il quale, muovendo dalla premessa (discutibile, perlomeno per quanto riguarda l’esperienza italiana) che situazioni di questo tipo “sono assai rare”, autorizzava infatti gli Stati a risolvere eventuali conflitti “caso per caso”, lasciando così aperta la possibilità di eliminare nei propri trattati la clausola della POEM e ricorrendo alla procedura amichevole. Cionondimeno, il ricorso alla MAP ha assunto ora un’importanza ancor più rilevante, essendo prevista la necessità, peraltro formulata in modo assai vago, di valutare “ogni altro fattore rilevante”, per risolvere le situazioni di doppia residenza sia nel Modello 2017 di convenzione Ocse che nel relativo Commentario, come pure nell’articolo 4 della convenzione multilaterale (MLI)[4].
Il fenomeno della “dual residence” affrontato dalla MLI si presta perciò a creare non solo situazioni di contrasto nella tassazione degli utili societari, ma solleva altresì divergenze nell’origine dei redditi corrisposti e potenziali duplicazioni nella conseguente tassazione alla fonte (si pensi, ad esempio, all’imposizione dei dividendi) e ciò non soltanto in presenza di situazioni “triangolari” di redditi erogati a residenti in Stati terzi non coperti da convenzioni contro le doppie imposizioni, bensì anche, in assenza di efficienti soluzioni per dirimere i conflitti tra gli Stati direttamente coinvolti nell’individuazione della residenza fiscale di una società.
4. La posizione italiana sulla residenza fiscale delle società e la convenzione multilaterale
Al di là della posizione espressa nelle osservazioni al Commentario Ocse del 2000 di cui si detto in precedenza, l’orientamento dell’Italia sul tema della residenza fiscale degli enti societari riscontrato nei numerosi precedenti giurisprudenziali, anche da parte della Suprema Corte, non appare affatto univoco, al pari di quanto si riscontra nell’evoluzione storica del Commentario Ocse.
Nelle più recenti pronunce emanate al riguardo dalla Corte di Cassazione, in gran parte fondate sulla natura abusiva[5] o meno di strutture societarie estere, si riscontrano invero alcune posizioni nella quali si è ritenuto, nel determinare la “sede di direzione effettiva”, di poter in qualche modo svalutare la rilevanza del luogo in cui la gestione quotidiana veniva svolta (tra cui Cass. 16697 del 21 giugno 2019, con riferimento alla convenzione bilaterale con i Paesi Bassi e, precedentemente, Cass. 2869 del 7 febbraio 2013), discostandosi peraltro da altri numerosi precedenti (Cass. 33234 e 33235 del 21 dicembre 2018, Cass. 6476 del 9 marzo 2021) in cui il luogo del “day to day management” è stato invece tenuto in considerazione, sia pur accanto, e non in alternativa, a quello in cui le decisioni strategiche (“key decisions”) venivano assunte.
La giurisprudenza ha, nel corso degli anni, affrontato il problema dell’individuazione della sede amministrativa, enunciando criteri ispirati ad un’ottica pragmatica, che mirano a superare il mero dato formale o apparente, dando invece rilevanza agli elementi sostanziali riscontrati.
In tal senso, le sentenze del 30 ottobre 2015, n. 43809 e del 21 giugno 2019, n. 16697, dispongono che l’accertamento dell’esterovestizione riguarda le società che si caratterizzano quali costruzioni di puro artificio, costituite nello Stato estero al solo fine di beneficiare di regimi fiscali più favorevoli. Sul tema è utile menzionare il recente arresto della Suprema Corte del 9 marzo 2021, n. 6476 il quale, richiamando il precedente giurisprudenziale della Corte di Giustizia Europa (quale la sentenza C-196/04, Cadbury Schweppes), ha sostanzialmente espresso la non ascrivibilità della fattispecie dell’esterovestizione al principio di divieto di abuso del diritto, muovendo dal presupposto che la corretta applicazione dei criteri di residenza dal comma 3 dell’art. 73 del Tuir, in tema di esterovestizione, non è contraria al principio generale comunitario della c.d. libertà di stabilimento[6].
La situazione di incertezza in merito determinazione della residenza di un soggetto giuridico, con possibile riverbero sulla possibile generazione del fenomeno di dual residence, non sembra peraltro destinata ad evolversi significativamente anche con la prossima adesione dell’Italia alla MLI; il criterio della procedura amichevole stabilito all’articolo 4 per risolvere le situazioni di doppia residenza fiscale ha infatti formato oggetto di riserva da parte nel nostro Stato, così come da parte di numerosi altri Stati che non hanno manifestato l’intenzione, o assunto la decisione, di ricorrere alla MAP quale unica regola per risolvere i conflitti di residenza degli enti societari (attualmente in numero di 59 sui 95 totali, come risulta dalla matrice delle riserve provvisorie e definitive predisposta dall’Ocse sul proprio sito)[7]. In ragione della riserva, rimangono pertanto ferme le norme originariamente contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni di volta in volta applicabili e quindi il criterio per risolvere le situazioni di doppia residenza è verosimilmente destinato a restare quello della “sede di direzione effettiva” [8], con tutte le incertezze che caratterizzano il significato di questa espressione, sia nell’interpretazione che ne viene data nei vari Stati, sia nel contesto della varie posizioni in passato assunte dall’Ocse al riguardo.
L’orientamento assunto dall’Italia nei più recenti trattati non appare oltretutto univoco rispetto alla riserva apposta in sede di convenzione multilaterale; sia pur con alcune eccezioni (tra cui i trattati con Barbados e Gabon, i quali conservano la tradizionale regola del POEM), viene infatti accolto, quale unico metodo di risoluzione delle situazioni di doppia residenza, quello della procedura amichevole previsto nel Modello OCSE del 2017 e nella MLI (Cina, Uruguay, Colombia, Giamaica, Cile, Romania, Hong Kong, Panama).
La necessità di conferire adeguate certezze ai contribuenti sulla propria posizione fiscale non pare peraltro soddisfatta anche negli Stati che hanno invece preferito accogliere le indicazioni della MLI[9], la quale presuppone la necessaria esistenza di un accordo tra le amministrazioni fiscali, la cui mancanza – a prescindere dal fatto che le amministrazioni fiscali non sono vincolate a raggiungere un accordo comportante la rinuncia alla propria potestà impositiva – impedisce di risolvere i conflitti di residenza[10]. Restano inoltre anche qui ambigui i criteri sulla base dei quali il conflitto dovrebbe risolversi tramite la MAP: il Commentario (2017) dell’Ocse menziona al riguardo il luogo in cui il consiglio di amministrazione o l’organo equivalente tiene abitualmente le proprie riunioni, quello in cui il CEO e gli altri dirigenti “senior” svolgono la loro attività, quello in cui la gestione “day to day” è esercitata, il luogo in cui la sede centrale è localizzata, quello in cui si trova la sede legale, ed anche il luogo in cui sono tenuti i libri contabili, ma difetta tuttavia la gerarchia ed il peso con cui questi criteri dovrebbero essere applicati. Dalla formulazione della MLI sembra inoltre trasparire una funzione prevalentemente anti-elusiva della clausola sulla doppia residenza, così come si desume sia dal fatto che essa trova la propria origine nell’Action 6 del progetto BEPS sulle disposizioni antiabuso, sia dallo stesso Commentario (2017) dell’Ocse, il quale (par. 23) chiaramente indica la preferenza di un criterio “caso per caso” per risolvere situazioni potenzialmente abusive di questo tipo tramite MAP, ferma restando, in caso di mancato accordo, l’inapplicabilità delle norme contenute nella Convenzione interessata ed il verificarsi dei presupposti di una doppia imposizione a prescindere da ogni eventuale abuso. Tale visione della clausola tie-breaker per i soggetti diversi dalla persone fisiche, peraltro, non sembra del tutto allineata allo stesso Commentario (2017) dell’Ocse a proposito della concessione dei benefici convenzionali (cfr. articolo 29, par. 177), laddove la misura di contrasto a situazioni volte ad acquisire indebiti benefici mediante la localizzazione della residenza fiscale in un determinato Stato viene rimessa alla clausola anti-abuso (“principal purpose test”, PPT) contenuta all’articolo 29, par. 9 del modello (2017) Ocse, e dall’articolo 7, par. 1, della MLI.
E’ infine da rielevare che, a prescindere dall’accoglimento o meno della tie-breaker rule contenuta all’articolo 4 della MLI (MAP) in luogo di quella contenuta nei trattati sin qui conclusi (POEM), i rischi di doppia imposizione derivanti da situazioni di doppia residenza appaiono allo stato attuale sempre più accentuati, a prescindere da situazioni abusive, in ragione dei modelli di business dei gruppi multinazionali e delle modalità di svolgimento dei processi decisionali, spesso frammentati fra varie giurisdizioni, lasciando sempre più aperto il rischio di un mancato esito della MAP e rendendo così sempre più opportuna l’adozione di una modalità vincolante di risoluzione delle controversie quale l’arbitrato.
Il ricorso alla procedura arbitrale figura, del resto, tra le misure previste nella parte VI della MLI per risolvere le controversie le quali non abbiano trovato soluzione mediante la procedura amichevole; e, a questo proposito, l’Italia non ha ritenuto in linea di principio, nell’ambito delle riserve consentite dalla MLI, di dover impedire nell’ambito dei propri trattati contro le doppie imposizioni il ricorso alla procedura amichevole ed a quella arbitrale. Vi è, tuttavia, da considerare che il ricorso alla procedura arbitrale presuppone il verificarsi di una tassazione non conforme alle disposizioni della convenzione contro le doppie imposizioni, e tale non può essere il caso del mancato raggiungimento di un accordo tra le amministrazioni chiamate a risolvere una procedura amichevole, laddove un tale accordo rappresenti l’unica soluzione per dirimere il conflitto di residenza in base al trattato di volta in volta applicabile. Ciò trova del resto conferma sia nelle note esplicative alla MLI, sia nello stesso articolo 4, par. 1, della MLI, laddove si afferma che, in assenza di accordo, il contribuente non avrà diritto ad alcuno sgravio o esenzione fiscale prevista dal trattato.
Il ricorso alla procedura arbitrale trova peraltro un ostacolo non solo negli Stati che, in conformità alla MLI, adottano la procedura amichevole quale unica tie-breaker rule, ostacolo che auspicabilmente potrebbe essere rimosso in modo da conferire certezza alla soluzione dei conflitti di doppia residenza ma anche, come nei trattati meno recenti stipulati dall’Italia, in quelli che continuano ad attribuire prevalenza alla PEOM; per quanto riguarda l’Italia, infatti, la riserva formulata dall’Italia all’articolo 28 della MLI esclude dagli scopi della nuova procedura arbitrale proprio i casi di doppia residenza, ancorché potenzialmente risolvibili in funzione del criterio della POEM.
Resta invece aperta la possibilità di risolvere i conflitti di residenza in ambito europeo secondo quanto disposto dal D. Lgs. 10 giugno 2020, n. 49 (Attuazione della Direttiva (UE) 2017/1852 del Consiglio, del 10 ottobre 2017, sui meccanismi di risoluzione delle controversie in materia fiscale nell’Unione europea), il quale, in modo più ampio rispetto a quanto previsto nella convenzione arbitrale 90/463/CEE in tema di rettifiche degli utili di imprese associate, riguarda più in generale le controversie nell’interpretazione ed applicazione delle convenzioni contro le doppie imposizioni. La procedura arbitrale trova peraltro una sua prima limitazione in quanto opera soltanto in ambito europeo; ed in secondo luogo essa può operare soltanto con riferimento alle controversie tra gli Stati contraenti che attribuiscono la residenza fiscale nello Stato in cui si trova la sede di direzione effettiva. Nei casi in cui, al contrario, la convenzione interessata non detti alcun criterio per l’individuazione della residenza, rimettendo la soluzione soltanto alla procedura amichevole (come ad esempio potrebbe accadere nelle più recente convenzione con la Romania), il mancato esito della MAP non potrebbe viceversa propriamente rappresentare un tema di interpretazione o applicazione del trattato, con il rischio di mancato accesso alla procedura arbitrale di cui alla Direttiva 2017/1852.
[1] cfr. Manuale in materia di contrasto all’evasione e alle frodi fiscali, circolare n. 1/2018 del Comando Generale della Guardia di Finanza volume III – parte V – capitolo 11 “Il contrasto all’evasione e alle frodi fiscali di rilievi internazionale”, pag. 347 e ss.
[2] Si veda in senso contrario K. Hindley e D. Barton in “Tax residency for the iPhone generation” dell’8 luglio 2011: “Data contained on laptop computers, servers, BlackBerrys and iPhones in formats such as emails, instant and text messages and even voice calls, can easily be recovered by investigators and used to piece together a detailed picture of exactly what the users where doing, where they were doing it and often with whom. Similarly, locators in these devices can be used to find out where the user is at any time and posts on blogs or social networking sites often give a detailed (and sometimes minute-by-minute) updates on their activities. Using this technology, it is now possible to ascertain exactly where people were when key business decisions were taken. In the context of a board meeting, it might become less important where the meeting is physically held: the significance and impact of the contribution of individual participants will receive increased scrutiny. Where a key participant is joining by telephone or video conference, it might be that their exact location at the time will become critical in determining where a decision was taken”.
[3] L’articolo 4, par. 3 del MLI, a tal proposito, dispone: “Where by reason of the provisions of paragraph 1 a person other than an individual is a resident of both Contracting States, the competent authorities of the Contracting States shall endeavour to determine by mutual agreement the Contracting State of which such person shall be deemed to be a resident for the purposes of the Convention, having regard to its Place of effective management, the place where it is incorporated or otherwise constituted and any other relevant factors. In the absence of such agreement, such person shall not be entitled to any relief or exemption from tax provided by this Convention except to the extent and in such manner as may be agreed upon by the competent authorities of the Contracting States”.
[4] Dal paragrafo 24.1 del Commentario Ocse si rileva che nel condurre le analisi di individuazione della residenza si deve tenere conto di diversi fattori quali ad esempio il luogo in cui gli amministratori delegati svolgono le proprie funzioni, le riunioni del C.d.A. sono tenute, la documentazione contabile è conservata.
[5] In tema di esterovestizione la Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 4463/2022, evoca una riconduzione dell’esterovestizione nel novero dell’abuso, elevando il vantaggio fiscale quale elemento costitutivo della fattispecie abusiva. Allo stesso modo, le sentenze del 11 febbraio 2022 n. 4463 e 14 marzo 2022 n. 8297 assumono una posizione interpretativa secondo cui l’esterovestizione è da ricondurre all’alveo dell’abuso del diritto.
[6] Si veda in senso conforme, P. Arginelli, “Contributo all’inquadramento dogmatico del fenomeno della esterovestizione societaria in ambito tributario”, in Diritto e pratica tributaria internazionale, 2/2021, e P. Arginelli e M. Tenore, “La Cassazione sembra accorgersi che l’esterovestizione non è fenomeno abusivo”, Eutekne del 7 aprile 2021.
[7] Nel documento “Italy – Status of listing reservations and notifications at the time of signature”, consultabile al link “https://www.oecd.org/tax/treaties/beps-mli-position-italy.pdf”, si rileva che “Pursuant to Article 4 (3) (a) of the Convention, Italy reserves the right for the entirety of Article 4 not to apply to its Covered Tax Agreements”.
[8] Risulta opportuno sottolineare che la posizione assunta, sin dall’origine e successivamente mantenuta, dall’Italia è stata quella di determinare la sede di direzione effettiva, considerando il luogo in cui l’attività principale è sostanzialmente posta in essere dall’ente. La stessa Agenzia Entrate nella Circolare n. 28 del 4 agosto 2006 prevede che non è tanto alle indicazioni emergenti negli atti formali che bisogna avere riguardo per individuare la residenza fiscale delle società quanto, piuttosto, alla valorizzazione gli aspetti certi, concreti e sostanziali della fattispecie, in conformità del principio della “substance over the form”, enfatizzando quindi il luogo in cui l’attività si dispiega in concreto.
[9] Diversi dei quali caratterizzati da sistemi economici avanzati, tra cui ad esempio, secondo la matrice dell’Ocse, Australia, Regno Unito, Canada, Irlanda, Paesi Bassi ed altri svariati paesi dell’est Europa, ma non per ora, come si è visto, l’Italia.
[10] A stretto rigore, ciascuno Stato contraente conserverebbe il diritto a tassare le società ivi residenti ad esso conferito dalla legge interna se non una volta esperita, con il raggiungimento di un accordo, la procedura amichevole.