1. Premessa
Lo scorso 3 aprile è stato approvato in via definitiva dal Senato il disegno di legge n. 844, che ridisegna la class action, trasformandola da strumento tipico di protezione dei consumatori a rimedio generale, di più ampia applicazione e portata, a tutela dei diritti individuali.
Si tratta di un’importante riforma, di cui si cercherà di delineare sinteticamente i tratti salienti, rinviando ad un successivo contributo un esame più articolato della novità legislativa nel suo complesso e delle perplessità che suscita.
2. Collocazione sistematica: Codice di procedura civile
Una prima, rilevante, modifica è il cambio della sedes materiae: in linea con la più ampia portata dell’istituto, il nuovo corpus normativo è stato inserito nel Codice di procedura civile, con l’introduzione, nel Libro IV, del Titolo VIII bis “Dei procedimenti Collettivi”, comprensivo di 15 articoli, dall’art. 840-bis all’art. 840-sexiesdecies. Parallelamente, vengono abrogate le attuali previsioni sull’azione di classe contenute nel Codice del consumo, ossia gli artt. 139/140-bis del d.lgs. 6 settembre 2005, n. 206.
L’entrata in vigore è comunque posticipata a 12 mesi dopo la data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale e le nuove disposizioni si applicheranno alle condotte illecite poste in essere successivamente all’entrata in vigore, mentre alle condotte illecite precedenti continuano ad applicarsi le disposizioni contenute nel Codice del consumo.
3. Estensione dell’ambito di applicazione soggettivo e oggettivo dell’azione
Nel tentativo di rivitalizzare l’istituto della class action, che fino ad ora ha avuto un impiego abbastanza limitato nel nostro ordinamento, la nuova disciplina ne amplia significativamente l’ambito di applicazione soggettivo: la nuova azione di classe sarà esperibile non più soltanto da consumatori e utenti per i casi di responsabilità contrattuale delle imprese verso i propri clienti, ma da tutti coloro che avanzino pretese risarcitorie, anche di natura extracontrattuale, in relazione alla lesione di “diritti individuali omogenei”[1].
La titolarità dell’azione spetta sia a ciascun componente della “classe” di persone che ha subito la lesione di diritti individuali omogenei, sia alle organizzazioni o associazioni senza scopo di lucro che abbiano tra i propri obiettivi statutari la tutela di diritti individuali omogenei e che siano iscritte in un apposito elenco istituito presso il Ministero della Giustizia [2].
Viene, inoltre, ampliato l’ambito di applicazione oggettivo dell’azione, ora esperibile a tutela di situazioni soggettive maturate a fronte di condotte lesive, non necessariamente verificatesi nel solo ambito di rapporti commerciali, per l’accertamento della responsabilità, anche extracontrattuale [3], e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni.
Destinatari dell’azione di classe possono essere sia le imprese sia gli enti gestori di servizi pubblici o di pubblica utilità, in relazione ad atti posti in essere nello svolgimento delle proprie attività.
4. Foro competente e procedimento
Competente a decidere la class action è ora la Sezione Specializzata del Tribunale delle Imprese del luogo ove ha sede l’impresa o l’ente convenuto. La domanda si propone con ricorso ed è previsto che al procedimento si applichino le norme del procedimento sommario di cognizione [4], anche se le modifiche rispetto a tale rito sono molteplici e significative.
Il procedimento si articola in tre fasi:
(a) entro 30 giorni dalla prima udienza il Tribunale decide con ordinanza, reclamabile davanti alla Corte d’Appello [5], sull’ammissibilità dell’azione, secondo gli stessi criteri già fissati dalla disciplina previgente [6] (v. art. 840-ter c.p.c.);
(b) segue la trattazione nel merito, che vede l’adesione all’azione di classe da parte dei soggetti portatori dei diritti individuali omogenei per cui è causa, nonché il compimento, “omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio”, degli “atti di istruzione rilevanti in relazione all’oggetto del giudizio”.
La fase si conclude con la pronuncia di una sentenza [7] che, in caso di accoglimento dell’azione: (i) accerta la responsabilità del resistente; (ii) definisce i caratteri dei diritti individuali omogeni che consentono l’adesione di altri soggetti, individuando la documentazione che dovrà essere prodotta per fornire la prova della titolarità dei diritti in questione; (iii) nomina un giudice delegato, per gestire la procedura di adesione e decidere sulle liquidazioni, e un rappresentante comune degli aderenti, tra i soggetti aventi i requisiti per la nomina a curatore fallimentare (v. art. 840-sexies c.p.c.);
(c) vi è poi un’ultima fase finalizzata alla liquidazione degli importi dovuti agli aderenti alla class action. In sintesi, il procedimento delineato dal nuovo art. 840-octies c.p.c. (chiaramente ispirato alla procedura di accertamento del passivo fallimentare) prevede che:
- entro 120 giorni dallo spirare del termine per aderire all’azione, il resistente può prendere posizione sui fatti posti dagli aderenti a fondamento della domanda;
- entro i successivi 90 giorni, il rappresentante comune degli aderenti deposita un “progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti” prendendo posizione su ciascuna domanda;
- entro 30 giorni dalla comunicazione del progetto, gli aderenti e il resistente possono formulare osservazioni e depositare documenti;
- entro 60 giorni dalla scadenza del termine suddetto, il rappresentante comune apporta eventuali variazioni al progetto dei diritti individuali omogenei degli aderenti;
- da ultimo, il giudice delegato, con decreto motivato (che costituisce titolo esecutivo), decide sull’accoglimento, anche parziale, delle domande di adesione e condanna il resistente al pagamento delle somme dovute ai singoli aderenti.
Contro il decreto del giudice delegato di liquidazione delle somme dovute a ciascun aderente, può essere proposta opposizione con ricorso; il Tribunale decide con decreto motivato, confermando, revocando o modificando il provvedimento impugnato (v. art. 840-undecies c.p.c.). Se il resistente non provvede spontaneamente al pagamento degli importi liquidati, la procedura di esecuzione forzata viene promossa dal rappresentante comune degli aderenti (v. 840-terdecies c.p.c.).
Molto criticata è la previsione della doppia fase di adesione all’azione di classe, c.d. opt-in, ora possibile non solo dopo l’ordinanza che ammette l’azione (come già previsto dalla disciplina previgente), ma anche dopo la sentenza che ha accertato la responsabilità del resistente. Le principali perplessità si appuntano sulla “perdurante incertezza sulle dimensioni della classe e, quindi, sull’impatto che il giudizio può avere sull’impresa”; la conseguente limitazione della “possibilità di definire in via transattiva la controversia”, opzione che “presuppone per l’impresa di poter “contare” su un perimetro certo di danneggiati aderenti”; la violazione del principio di parità delle armi nel processo, dal momento che, pur essendo l’aderente onerato di dimostrare la titolarità del proprio diritto, viene di fatto azzerato (o comunque significativamente ridotto) il rischio di soccombenza per chi aderisce dopo la sentenza favorevole [8].
Ulteriore, discussa [9], novità è la previsione di un regime probatorio, che consente al giudice “ai fini dell’accertamento della responsabilità del resistente” di “avvalersi di dati statistici e di presunzioni semplici” (v. art. 840-quinquies, comma 4,c.p.c.).
Il giudice può inoltre avvalersi di poteri istruttori rafforzati, funzionali all’accertamento dei fatti costitutivi del diritto azionato, soprattutto per quanto riguarda l’esibizione documentale. Alla parte che, senza giustificato motivo, non adempie all’ordine di esibizione viene applicata una sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 100.000.
5. Compenso di “quota lite”
Altra previsione del tutto innovativa è l’introduzione del c.d. compenso di “quota lite”: un importo che l’impresa o l’ente convenuto in giudizio, in caso di soccombenza, è tenuto a corrispondere al rappresentante comune degli aderenti alla class action e ai legali del ricorrente, in aggiunta alla somma dovuta a ciascun aderente a titolo risarcitorio. Si tratta di un compenso premiale, che viene calcolato come percentuale dell’importo complessivo che il soccombente deve pagare a tutti gli aderenti e in misura inversamente proporzionale rispetto al numero dei componenti la classe.
Molti sono i dubbi sollevati in merito a tale novità, considerata come un incentivo eccessivo alla proposizione di azioni di classe, con possibili distorsioni del sistema. Il tutto peraltro in contrasto la Raccomandazione della Commissione 2013/396/UE, sui meccanismi di ricorso collettivo, che suggerisce agli Stati membri di evitare sistemi di definizione degli onorari degli avvocati che possano creare incentivi alla litigiosità [10].
6. Accordi transattivi
Il nuovo art. 840-quaterdecies c.p.c. interviene su un altro aspetto non contemplato dal Codice del consumo: gli accordi transattivi tra le parti.
Viene così previsto che:
- fino alla discussione orale della causa, il Tribunale “formula ove possibile, avuto riguardo al valore della controversia” (valore certo non facile da quantificare, visto che la fase di adesione è ancora aperta)“e all’esistenza di questione di facile e pronta soluzione, una proposta transattiva o conciliativa”. Se le parti concludono un accordo, ciascun aderente all’azione può dichiarare di voler “accedere all’accordo medesimo”;
- dopo la pronuncia della sentenza che accoglie l’azione di classe, il rappresentante comune degli aderenti può “stipulare” (o meglio, negoziare) con il resistente uno schema di accordo di natura transattiva, rispetto al quale ciascun aderente può formulare le proprie contestazioni. Spetta poi al giudice delegato, “avuto riguardo agli interessi degli aderenti”, autorizzare il rappresentante comune a stipulare l’accordo transattivo. Secondo una logica di opt-out, l’aderente che ha formulato contestazioni alla schema di accordo, può “privare il rappresentante comune della facoltà di stipulare l’accordo transattivo a cui le contestazioni si riferiscono. L’accordo transattivo autorizzato dal giudice delegato e stipulato dal rappresentante comune costituisce titolo esecutivo e titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale.
7. Azione inibitoria collettiva
L’ultima previsione del nuovo Titolo VIII-bis del Libro IV del Codice di rito, ossia l’art. 840-sexiesdecies c.p.c., è dedicata alla azione inibitoria collettiva, istituto già contemplato nel Codice del consumo, ma anche in questo caso rivisto ed ampliato soprattutto sotto il profilo dell’ambito di applicazione.
Con la nuova azione inibitoria collettiva, “chiunque abbia interesse” (non più solo le associazione dei consumatori e utenti) può chiedere al giudice di ordinare a imprese e a gestori di servizi di pubblica utilità di cessare o non reiterare un comportamento lesivo di una pluralità di individui o enti.
La domanda si propone con le forme del procedimento camerale davanti alla Sezione Specializzata in materia di impresa del Tribunale del luogo ove ha sede il resistente.
[1] Viene invece eliminato il riferimento, contenuto nell’art. 140-bis Codice del consumo, alla tutela degli “interessi collettivi”, reputati già da tempo non adeguatamente tutelabili attraverso l’azione di classe.
[2] A tal fine, dovrà essere emanato un decreto attuativo, entro 180 giorni dall’entrata in vigore della riforma.
[3] Nell’impianto delineato dal Codice del consumo, la tutela delle ipotesi di responsabilità aquiliana era limitata ai soli casi di pratiche commerciali scorrette e comportamenti anticoncorrenziali (v. art. 140 bis, comma 2).
[4] Il rito sommario, per espressa previsione del nuovo art. 840-ter c.p.c., non può essere convertito in rito ordinario.
[5] La Corte d’Appello decide sul reclamo in camera di consiglio.
[6] L’art. 840-ter,comma 4, c.p.c., ricalcando quanto già previsto dall’art. 140-bis, comma 6, Codice del consumo, stabilisce che la domanda è dichiarata inammissibile quando: è manifestamente infondata; non sussiste omogeneità dei diritti individuali tutelabili; il ricorrente è in conflitto di interessi con il resistente; il ricorrente non appare in grado di curare adeguatamente i diritti individuali omogenei fatti valere in giudizio.
[7] La sentenza può essere impugnata dagli aderenti per revocazione, quando ricorrono i presupposti previsti dall’art. 395 c.p.c. o quando la sentenza è l’effetto della collusione tra le parti (v. art. 840-decies c.p.c.).
[8] Cfr., con riferimento alla bozza di disegno di legge, Audizione Parlamentare AC 791-Class Action di Confindustria – Commissione Giustizia Camera dei Deputati; G. Mazzaferro, Brevi riflessioni sul disegno di legge n. 844 (azione di classe) e su alcune proposte di emendamenti, in www.judicium.it.
[9] Cfr. Audizione Parlamentare AC 791-Class Action di Confindustria – Commissione Giustizia Camera dei Deputati.
[10] Cfr., con riferimento alla bozza di disegno di legge, G. Mazzaferro, Brevi riflessioni sul disegno di legge n. 844 (azione di classe) e su alcune proposte di emendamenti, cit.; favorevole è invece C. Consolo, La terza generazione di azione di classe all’italiana fra giuste articolate novità e qualche aporia tecnica, in www.dirittobancario.it.