E’ di pochi giorni fa la notizia che la data di entrata in vigore della L. n. 7 del 28 febbraio 2020 (di conversione con modifiche del d.l. 161/2019) è stata nuovamente differita. L’attuale periodo di quasi completa paralisi dell’attività giudiziaria non avrebbe infatti consentito di mettere a punto quell’insieme assai complesso di misure organizzative e di accorgimenti tecnologici entro la data inizialmente prevista (1° maggio 2020) per l’avvio dell’efficacia di una normativa che ha profondamente inciso sulla disciplina delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche e delle comunicazioni tra presenti da parte dell’Autorità giudiziaria. Vi è dunque ancora qualche tempo per approfondire i dettagli del corpus normativo in parola, ma forse conviene da subito misurarsi con le principali novità di una riforma che, a parere di molti commentatori, non sarebbe neppure esente da frizioni costituzionali.
Va precisato anzitutto che il decreto legge approvato nel corso della seduta del Consiglio dei Ministri del 29 aprile u.s. (d.l. n. 28/2020 pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 111 del 30/4/2020) prevede che la nuova normativa in materia di intercettazioni verrà applicata ai procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020. Pur trattandosi di norme di carattere processuale, quindi, le disposizioni della L. 7/2020 non avranno efficacia retroattiva, vale a dire non verranno applicate alle indagini in corso a tale data ma relative a procedimenti penali iscritti prima della stessa.
Ma cosa prevede di preciso la riforma delle intercettazioni delle conversazioni e comunicazioni introdotta con la novella legislativa di cui discutiamo, e in che misura coinvolge l’ampio settore dei “white collar crimes”?
Le disposizioni della L. n. 7/2020 valorizzano appieno, in realtà, il sostrato normativo di un precedente importante intervento legislativo in materia (attuato con il d. lgs. 216/17, la c.d. riforma Orlando, mai entrata in vigore), che per la prima volta, codificando di fatto l’orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione[1], aveva previsto nell’ambito delle indagini per i delitti di criminalità organizzata l’impiego nelle operazioni di intercettazione delle conversazioni telefoniche e tra presenti del c.d. “captatore informatico” (icasticamente definito nel gergo giudiziario “trojan horse”): in sostanza, un virus autoinstallante applicato da remoto ad un qualsiasi supporto elettronico in uso all’indagato (smartphone, tablet, personal computer) in grado di registrare e trasmettere all’inquirente qualsiasi conversazione nelle immediate vicinanze con un grado di precisione altissimo. Il potente “microfono” rappresentato dal captatore informatico segue evidentemente i movimenti e gli spostamenti del supporto sul quale è installato, ed in tal guisa possono essere captate e trasmesse anche le conversazioni con soggetti del tutto estranei alle indagini e svolgentesi in luoghi di privata dimora, per i quali – come noto – l’ordinamento appronta una specifica tutela costituzionale (art. 13 e art. 15 Cost.). Un simile sacrificio dei diritti e delle libertà fondamentali, nelle intenzioni dei compilatori della riforma Orlando, poteva ritenersi giustificato, per l’appunto, solo nell’ipotesi in cui si trattasse di accertare la sussistenza di reati collegati ad organizzazioni mafiose o terroristiche, in ragione della speciale pericolosità per la sicurezza collettiva di siffatti crimini. Ebbene, la L. 7/2020 – equiparando di fatto, anche sul piano dei limiti di ammissibilità degli strumenti investigativi, i delitti contro la pubblica amministrazione a quelli collegati alla criminalità organizzata – ha previsto l’impiego (senza limiti) del captatore informatico anche nelle operazioni di intercettazione relative alle indagini concernenti i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione[2].
Ecco dunque, in rapida sequenza, il quadro di quanto potrà accadere nel comparto relativo ai predetti delitti a partire dalla data di entrata in vigore della novella legislativa (31 agosto 2020):
- qualora vi siano indizi di reato sarà sempre possibile – fuori dai luoghi di privata dimora – l’utilizzo del captatore informatico nelle operazioni di intercettazione nell’ambito di indagini concernenti delitti contro la pubblica amministrazione (puniti con pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni). L’intercettazione avverrà pertanto attraverso un virus autoinstallante su un qualsiasi apparecchio (smartphone, tablet, computer) che consentirà la captazione dei dati in entrata e in uscita, l’attivazione del microfono e della fotocamera e ovviamente la registrazione di conversazioni tra presenti;
- l’impiego del captatore informatico nelle operazioni di intercettazione varrà sia per i delitti contro la pubblica amministrazione commessi dai pubblici ufficiali sia per quelli commessi dagli incaricati di pubblico servizio; in entrambi i casi si dovrà tenere in considerazione il limite massimo della pena non inferiore ai cinque anni, determinata a norma dell’art. 4 c.p.p.;
- nel disporre le operazioni di intercettazione con il “trojan horse” per i delitti contro la pubblica amministrazione, il PM non dovrà indicare nella propria richiesta di autorizzazione “i luoghi, il tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono”;
- per quanto concerne le intercettazioni nei luoghi di privata dimora, allorché si proceda per i predetti delitti viene introdotta un’unica condizione di ammissibilità: le conversazioni potranno essere sì captate anche quando avvengano nella residenza e/o nel domicilio privato (coinvolgendo, dunque, potenzialmente anche quelle con soggetti del tutto estranei e la cui riservatezza meriterebbe tutela) anche qualora non vi sia fondato motivo di ritenere che in detti luoghi senza sia in corso attività criminosa, ma in tal caso il PM dovrà indicare le ragioni che giustifichino l’utilizzo di simile strumento invasivo. Il legislatore ha inteso in tal modo recuperare in parte un poco di quel garantismo che aveva spinto le Sezioni Unite della Corte di Cassazione[3] a ritenere non consentita la captazione illimitata e incondizionata delle conversazioni tra presenti nei predetti luoghi proprio in considerazione della particolare invasività dello strumento tecnologico in questione e dell’elevato rischio di compromettere la libertà di comunicazione degli eventuali terzi che entrino in contatto con il detentore del dispositivo “infettato”;
- nei casi di particolare urgenza il P.M. ha il potere di disporre anche senza attendere l’autorizzazione del Giudice le operazioni di captazione mediante inserimento del “trojan horse”, salvo richiedere la ratifica dell’intervento al medesimo Giudice.
Sin qui i presupposti e i limiti all’adozione del captatore informatico nello specifico comparto penalistico rappresentato dai delitti contro la pubblica amministrazione. Ma la riforma della normativa di cui qui discutiamo ha inciso anche su un altro importante fronte: quello relativo all’utilizzabilità delle conversazioni e delle comunicazioni oggetto di registrazione mediante captatore informatico. La legge n. 7 del 28/2/2020 ha infatti radicalmente modificato l’art. 270 c.p.p., prevedendo che i risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico possano essere utilizzati anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali sono state disposte purché si tratti di reati per i quali è consentita l’adozione dell’intrusore informatico e i predetti risultati risultino indispensabili per l’accertamento degli stessi. La valutazione circa l’indispensabilità di simili acquisizioni probatorie ai fini della verifica dei delitti di cui sopra è ovviamente rimessa alla discrezionalità del giudice. La novella ha in tal modo travolto il richiamo svolto, anche qui in chiave garantistica, dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione nella nota e recentissima “sentenza Cavallo” alla necessità di limitare l’acquisizione dei risultati delle intercettazioni con captatore informatico ai soli procedimenti relativi a reati connessi ex art. 12 c.p.p. con quelli per i quali l’intercettazione viene disposta. Ora, invece, qualsivoglia delitto per il quale risulti astrattamente ammissibile il ricorso al captatore informatico (delitti di criminalità organizzata e delitti contro la pubblica amministrazione purché puniti con la pena della reclusione superiore nel massimo ad anni cinque) può essere documentato anche a mezzo delle acquisizioni intercettive disposte nel contesto di altro e diverso procedimento[4].
Non è difficile scorgere anche in tale ultima disposizione l’impronta culturale dell’attuale legislatore marcatamente ostile a qualsiasi preoccupazione di tutela di quelle libertà fondamentali dell’indagato, che la giurisprudenza di legittimità aveva cercato sin qui di rendere oggetto di delicato bilanciamento di interessi.
[1] Vedi la sentenza delle Sezioni Unite Penali n. 15/2016 del 28/4/2016 (Scurato)
[2] Il co. 2 bis dell’art. 266 c.p.p. (così come modificato dalla L. 7/2020) prevede che “L’intercettazione di comunicazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile è sempre consentita nei procedimenti per i delitti di cui all’art. 51, commi 3 bis e 3 quater, e per i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione puniti con la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni”
[3] Vedi, per tutte, Cass. pen. Sez. VI, 13/6/2017 n. 36874, Romeo.
[4] Vedi art. 270, co 1 bis c.p.p..