1. I gruppi di imprese nell’economia italiana
La realtà economica italiana è ampiamente caratterizzata dall’aggregazione delle singole società in forme associative di gruppo[1]. Le radici storiche di questo fenomeno sono molteplici, e risiedono, in sintesi (non è questa la sede per una compiuta e dettagliata analisi della fattispecie), nella volontà di distinguere i vari settori in cui opera l’impresa e i relativi rischi, oltre che nella gestione della catena di controllo. Tale realtà non ha peraltro trovato compiuto riconoscimento sul piano giuridico, avendo dettato il nostro legislatore norme che si riferiscono in via principale piuttosto alle imprese come enti individuali che come gruppo di imprese[2].
Nel nostro ordinamento è in effetti mancante una disciplina organica del fenomeno dei gruppi societari. Si può riscontrare una disciplina dei gruppi soltanto facendo riferimento a singole previsioni normative, le quali forniscono differenti interpretazioni del fenomeno, ma pur sempre parziali, a seconda dell’oggetto della disciplina[3]. In tale quadro, il maggiore sforzo compiuto per dare al gruppo una struttura più organica è stata l’introduzione, attraverso l’art. 5.1, D.l. 17 gennaio 2003, n. 6, del Capo IX, Libro V (artt. 2497 – 2497-septies[4] c.c.) che ha optato per una disciplina snella che si limitasse a legittimare l’attività di etero-direzione e coordinamento delle varie società controllate, purché svolta secondo principi di corretta gestione societaria e imprenditoriale[5].
Il motivo del mancato intervento del legislatore in tal senso può ritrovarsi nel fatto che, se, da un lato l’ordinamento favorisce la costituzione di gruppi di società, dall’altro, esso è un fenomeno non senza pericoli per l’ordinato funzionamento dell’economia di mercato, soprattutto tenuto conto degli aspetti patologici cui può dar luogo l’articolazione in più soggetti giuridici di un’impresa sostanzialmente unitaria. La tradizione italiana, infatti, considera le società come soggetti autonomi in ossequio alla regola della separazione delle masse attive e passive, la quale trova il proprio fondamento nel principio di cui all’art. 2740 c.c., secondo cui ogni debitore risponde delle proprie obbligazioni con tutto il suo patrimonio. Sotto detto profilo, dunque, resta fermo nel nostro ordinamento il principio cardine della distinta soggettività e della formale indipendenza giuridica delle società del gruppo, il che comporta svantaggi ma anche vantaggi, come sarà meglio evidenziato in seguito.
1.1 Contesto normativo sovranazionale in cui si inserisce la soluzione della crisi di gruppo
Il nuovo Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, licenziato dal Consiglio dei Ministri in data 10 gennaio 2019, si inserisce all’interno di un contesto normativo europeo ed internazionale uniforme.
In proposito, già alcuni Stati Membri avevano adottato una disciplina in tema di crisi di gruppo[6], a cui è seguito l’intervento riformatore dell’Unione Europea che ha inteso regolare in via espressa il fenomeno dell’insolvenza trans-frontaliera mediante l’emanazione del Regolamento UE n. 1346/2000 – successivamente sostituito dal Regolamento UE n. 2015/848[7] (“Reg. n. 2015/848”).
L’approccio adottato dal riformatore europeo del 2015 rimane in gran parte procedurale e formale. Il nuovo Regolamento, infatti, si limita ad individuare i criteri legali di coordinamento delle differenti procedure aperte nei diversi Stati Membri. In tal senso il Reg. n. 2015/848 (i) stabilisce il quadro normativo per le procedure di insolvenza trans-frontaliera, (ii) si applica ogni volta che il debitore sia titolare di beni e abbia assunto debiti in uno qualsiasi degli Stati Membri, (ii) determina l’autorità giudiziaria competente per l’apertura della procedura distinguendo fra procedura principale, da aprirsi dove il debitore ha la sede principale dei propri affari (COMI), e procedura secondaria, da aprirsi ove il debitore ha una sede secondaria.
Oltre al citato Reg. n. 2015/848, va ricordata in questa sede anche la Model Law elaborata dall’UNCITRAL[8] in materia di insolvenza transfrontaliera che utilizza la stessa formula del Regolamento Europeo, ovverosia prevede delle norme formali di coordinamento tra le varie procedure e prescrive raccomandazioni ai legislatori nazionali per uniformare la loro legislazione interna. D’altronde, nel corso dei lavori del Reg. n. 215/848 e del Model Law è apparso arduo stabilire un criterio univoco sulla base del quale riconoscere il potere autoritativo di una giurisdizione, motivo per cui tali regolamenti sovranazionali si limitano a dettare regole di criteri legali di coordinamento delle differenti procedure.
Seppur le normative sovranazionali hanno introdotto dei regimi di coordinamento delle procedure di insolvenza trans-frontaliera, l’attività di ristrutturazione dei debiti di gruppo risulta ancora molto impegnativa, considerata la mancata definizione della fattispecie di gruppo sotto il profilo di diritto sostanziale. Nello specifico, per quanto attiene alla dimensione europea, il legislatore rimane ancorato agli orientamenti della Corte di Giustizia secondo cui ogni soggetto deve essere identificato dalla legislazione domestica e, in ogni caso, costituisce un’entità economica soggetta alla propria giurisdizione (c.d. separate entity approach).
2. Il precedente italiano – L’amministrazione straordinaria
Sebbene l’Italia abbia emanato solo ora il nuovo Codice della Crisi d’Impresa – anche alla luce delle spinte riformatrici sovranazionali – l’Italia è stato uno dei primi paesi ad introdurre una disciplina dell’insolvenza di gruppo per l’amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi con la L. 3 aprile 1979, n. 95 (c.d. Legge Prodi) – successivamente emendata dal D.lgs. 8 luglio 1999, n. 270 (c.d. Prodi-bis) – poi estesa alla disciplina delle imprese bancarie e assicurative (Artt. 98 e 105 T.u.b.).
È sufficiente tracciare un disegno a grandi linee di detta fattispecie per comprendere l’importanza della disciplina dell’amministrazione straordinaria in funzione della sua trasposizione alle procedure di concordato preventivo e liquidazione giudiziale.
Principio cardine degli interventi normativi in materia di gruppi è stato, e rimane, quello per cui una volta assoggettata ad amministrazione straordinaria l’impresa madre, la medesima procedura può espandersi alle altre società legate alla prima da particolari tipi di collegamento specificatamente individuati dalla legge, a condizione che versino anch’esse in stato di insolvenza.
Nello specifico, il Titolo IV della c.d. Prodi-bis, rubricato “Gruppi di Imprese” (artt. 80 ss.), stabilisce che, una volta aperta la procedura di amministrazione straordinaria nei confronti di una determinata impresa (c.d. procedura madre) e per tutto il tempo della sua durata, detta procedura può essere estesa alle imprese del gruppo che risultano insolventi, indipendentemente dal fatto che queste soddisfino i requisiti di cui all’art. 2[9], quando comunque appaia opportuna la gestione unitaria dell’insolvenza nell’ambito del gruppo o le imprese del gruppo presentino concrete prospettive di recupero dell’equilibrio economico (art. 81)[10]. Sono considerate imprese appartenenti al gruppo quelle che (i) controllano, direttamente o indirettamente la società sottoposta alla procedura madre, (ii) sono controllate dalla impresa madre nonché (iii) le imprese che risultano soggette a direzione comune a quella sottoposta alla procedura madre.
Il principio dell’unitarietà di gestione delle procedure di gruppo è sancito anche dalla nomina degli stessi organi giudiziari, dalla imputazione proporzionale delle spese generali e dalla redazione di un programma integrato per le varie imprese.
La rilevanza del gruppo di imprese si nota anche rispetto al D.l. 23 dicembre 2003, n. 347 (c.d. Legge Marzano), che disciplina l’amministrazione straordinaria speciale. Il decreto legge in esame enuncia, in termini ancor più chiari di quelli adottati dal D.lgs. n. 270 del 1999, il principio secondo cui la circostanza dell’appartenenza di più imprese assoggettate ad amministrazione straordinaria al medesimo gruppo giustifica, ma non impone, la predisposizione di un programma unitario. In particolare, il carattere innovativo della Legge Marzano è rappresentato dalla disciplina del concordato di gruppo[11] disciplinato dall’art. 4-bis, secondo cui il piano concordatario può essere unico per più società del gruppo. Più precisamente, il concordato può prevedere la suddivisione dei creditori in classi, il trattamento differenziato per creditori appartenenti a classi diversi, la ristrutturazione dei debiti e la soddisfazione dei creditori, l’attribuzione ai creditori di azioni o quote od obbligazioni o altri strumenti finanziari, ferma restando l’autonomia delle rispettive masse attive e passive
2.1 Profili di rilevanza del gruppo di imprese nella legge fallimentare
Sebbene la legislazione speciale in tema di amministrazione straordinaria, come si è visto, abbia ammesso la rilevanza delle procedure concorsuali di gruppo, la normativa fallimentare non aveva recepito tali prescrizioni, almeno sino ad oggi.
Pertanto, in assenza di una disciplina dei gruppi insolventi, la prassi giurisprudenziale – rappresentata soprattutto dalle decisioni delle corti di merito – aveva tentato di colmare il vuoto creato dal legislatore. In proposito, i giudici di merito hanno vagliato la meritevolezza della soluzione concorsuale di gruppo – e in via principale della soluzione concordataria – attraverso l’analisi, in primo luogo, della legittimità causale di una simile proposta, e, successivamente, mediante la verifica dei termini di trattamento unitario della crisi di gruppo, i.e., i profili di consolidamento procedurale e sostanziale.
Sotto il primo profilo, secondo un orientamento giurisprudenziale[12], il concordato di gruppo meriterebbe di trovare riconoscimento all’interno dell’ordinamento giuridico. Infatti, il sistema delineato dall’art. 160 ss. l. fall. e dalle norme civilistiche, sembra aver avallato – pur in assenza di una regolamentazione specifica – la meritevolezza in astratto della regolazione della crisi di una pluralità di società appartenenti al medesimo gruppo. Le norme sul nuovo concordato – come novellate dagli interventi del 2005 e del 2007 – hanno avuto l’obiettivo di valorizzare l’autonomia negoziale della crisi di impresa, favorendo un regime di atipicità della proposta concordataria, la quale dunque potrebbe essere articolata secondo qualsiasi schema negoziale. In particolare, l’art. 127, comma 6, l. fall., in tema di voto nei concordati, stabilisce che sono esclusi dal voto sulla proposta di concordato fallimentare e dal computo delle maggioranze, i crediti delle società controllanti o controllate sottoposte a comune controllo[13]. Ancora, l’art. 160, lett. b), l.fall. sembra riferirsi al gruppo nella parte in cui prevede “l’attribuzione delle attività di imprese interessate dalla proposta di concordato ad un assuntore”[14] e, ancora, nella parte in cui inserisce la possibilità di soddisfare i crediti mediante “operazioni straordinarie”[15]. In una prospettiva ancor più ampia, si è argomentato che le norme sul nuovo concordato – come novellate dagli interventi del 2005 e del 2007 – hanno avuto l’obiettivo di valorizzare l’autonomia negoziale dell’impresa – nel significato di cui all’art. 1322 c.c. – favorendo un regime di atipicità della proposta concordataria, la quale dunque potrebbe essere articolata secondo qualsiasi schema negoziale[16]. In aggiunta, nella stessa direzione, si è sostenuto che le norme in materia di direzione e coordinamento di cui agli artt. 2497 ss c.c. hanno dato ingresso nel nostro sistema alla c.d. impresa di gruppo, sancendo la legittimità del perseguimento dell’interesse di gruppo nei limiti dei vantaggi compensativi8[17].
Sotto il secondo profilo, sul piano delle c.d. ‘procedural consolidation’, la chiave di lettura sistematica adottata dalla maggioranza della giurisprudenza, coerente con la connotazione negoziale del concordato, propende per considerare il concordato di gruppo come un fascio di procedure collegate, con un consolidamento, per così dire, “debole”. Tale approccio – introdotto dal Tribunale di Bologna con il caso Fincar[18] – postula la separazione delle procedure nel concordato, consentendo solo forme di coordinamento. Esso si contrappone al consolidamento “forte”, ovverosia all’unificazione delle procedure delle singole società del gruppo[19]. Ne deriva che per introdurre un concordato di gruppo è richiesta la redazione di una pluralità di ricorsi e il deposito di tanti documenti quante sono le procedure; tuttavia, la proposizione di un unico ricorso non sembra dover portare alla sua inammissibilità, bensì potrà essere soggetto ad una riqualificazione sul piano processuale da parte dal giudice quale “fascio di domande collegate”, ancorché contenute in un unico atto.
Tuttavia, i rilievi avanzati dalla giurisprudenza di merito in assenza di forti agganci con il diritto positivo, non sono apparsi decisivi al fine di una incontrovertibile applicabilità del concordato di gruppo. Infatti, la giurisprudenza di legittimità, con la sentenza del 13 ottobre 2015, n. 20559[20], ha statuito – in ossequio ad una lettura della crisi di gruppo fornita da un altro orientamento giurisprudenziale di merito – non è proponibile innanzi al medesimo tribunale, in assenza di una disciplina espressa, un concordato di gruppo.
La questione principale che ha ostacolato l’opportunità di far largo uso ad una procedura concorsuale di gruppo attiene alla possibilità di proporre, nelle domande di gruppo, una separazione delle masse attive e/o passive, ovverosia alla opportunità di confondere gli asset di una delle società nel perimetro del concordato di gruppo al fine di soddisfare i creditori delle altre (substantive consolidation)[21]. Nello specifico, in antitesi a quanto sostenuto dall’orientamento favorevole al concordato di gruppo, la corte di legittimità ha statuito che il canone dei vantaggi compensativi di cui all’art. 2497 c.c. attiene esclusivamente al piano della responsabilità della capogruppo e non possa essere adattato alla situazione di crisi di gruppo[22]. In tal senso, l’aggregazione patrimoniale tra le diverse società del grupporappresenterebbe una violazione degli interessi del ceto creditorio, il quale riveste carattere preminente rispetto a quello dei soci[23].
In secondo luogo, la separazione delle masse attive e passive sarebbe imposta dal già citato principio generale dell’art. 2740, comma 1, c.c. in tema di responsabilità patrimoniale.
Sebbene detto orientamento abbia avuto largo seguito in giurisprudenza, si rilevano delle pronunce successive[24] alla sentenza n. 20559/2015 della Corte Suprema destinate a confutare le argomentazioni sopra esposte in merito alla necessaria separazione delle masse attive e passive e alla inderogabilità dell’art. 2740, comma 1, c.c..[25] Secondo dette pronunce di merito, il principio della separazione delle masse nei concordati di gruppo appare superabile, ma solo dal lato attivo, con la conseguente possibilità di eterodestinare il patrimonio di una società per consentire o incrementare il soddisfacimento dei creditori delle altre. In questo caso, la compressione della tutela del singolo creditore dissenziente parrebbe trovare adeguata compensazione nell’aumento dell’eterotutela.
3. Il nuovo codice della crisi e dell’insolvenza d’impresa – D.lgs. 12 gennaio 2019, n. 14
Il contrasto giurisprudenziale e i limiti alla possibilità di costruire la disciplina del concordato di gruppo per via giurisprudenziale, in contrapposizione alla pratica degli affari, dove il fenomeno del gruppo trova sempre più spazio, hanno reso ancor più evidente la necessità di procedere all’introduzione nel nostro ordinamento di una disciplina sostanziale sulla crisi e insolvenza di gruppo.
La L. 19 ottobre 2017, n. 155, recante «delega al Governo per la riforma delle discipline della crisi di impresa e dell’insolvenza», si è posta dunque, inter alia, l’obiettivo di portare all’adozione di una disciplina che consentisse di dare risposta alle sollecitazioni sopra esposte. In attuazione della legge delega, il Presidente della Repubblica, dopo l’approvazione del Consiglio dei Ministri, ha emanato il Decreto Legislativo, 12 gennaio 2019, n. 14, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 38 del 14 febbraio 2019 e contenente la riforma delle procedure concorsuali e la disciplina della composizione della crisi da sovraindebitamento, i.e., il nuovo “Codice della crisi e dell’insolvenza d’impresa” (“CCI”), dedicando ai gruppi gli artt. 284-292 CCI.
Il legislatore, nella riforma del CCI, ha quindi dato seguito ai principi e criteri direttivi di natura sostanziale e processuale dettati dall’art. 3 della legge delega L. n. 155 del 2017, tesi a riconoscere il carattere unitario della crisi o dell’insolvenza di gruppo.
Ciò nonostante, restano fermi tanto il principio di autonomia delle masse attive e passive delle imprese di gruppo (art.3, comma 1, lett. d)), quanto il principio di autonomia giuridica di ciascuna società del gruppo.
Sebbene il legislatore muova dal riconoscimento della necessità di una gestione unitaria delle imprese appartenenti ad un gruppo che versino in una situazione di crisi, la L. n. 155 del 2017 precisa i criteri per la formulazione del piano unitario devono infatti essere funzionali al miglior soddisfacimento dei creditori delle singole imprese coinvolte (art. 3, comma 2, lett. f)).
Sulla scorta dei criteri di cui alla L. n. 155 del 2017 – e della prassi giurisprudenziale maturata fino ad oggi–, il nuovo Codice ha quindi, innanzitutto, introdotto una definizione di gruppo di imprese, sino ad ora assente nel dettato normativo. L’articolo 2 definisce il gruppo di imprese come “l’insieme delle società, delle imprese e degli enti, escluso lo Stato, che, ai sensi degli articoli 2497 e 2545-septies del codice civile, sono sottoposti alla direzione e coordinamento di una società, di un ente o di una persona fisica, sulla base di un vincolo partecipativo o di un contratto; a tal fine si presume, salvo prova contraria, che: 1) l’attività di direzione e coordinamento di società sia esercitata dalla società o ente tenuto al consolidamento dei loro bilanci; 2) siano sottoposte alla direzione e coordinamento di una società o ente le società controllate, direttamente o indirettamente, o sottoposte a controllo congiunto, rispetto alla società o ente che esercita l’attività di direzione e coordinamento”.
Partendo da tale nozione, il legislatore ha tenuto in debito conto il fatto che, quando si è in presenza di un gruppo di imprese, è frequente che la crisi investa tutte o molte di esse, essendo di conseguenza necessario affrontare detta situazione in un’ottica unitaria. Il connotato dell’unitarietà della disciplina sostanziale e procedurale vige per tutte le procedure, ovverosia per il concordato preventivo, per l’accordo di ristrutturazione, per la liquidazione giudiziale (ex fallimento) e per il piano di risanamento.
La gestione delle procedure si snellisce poiché la competenza a valutare le domande presentate dai gruppi sarà attribuita ai Tribunali sede di sezione specializzata in materia di imprese di cui all’articolo 1 del D.lgs. 27 giugno 2003, n.168. Così, sarà consentita la nomina di un unico giudice delegato, un unico commissario giudiziale per tutte le imprese del gruppo e un unico fondo per le spese di giustizia (procedural consolidation).
In termini sostanziali, si è previsto che sia consentita la presentazione di un’unica domanda di accesso alle procedure di concordato preventivo o di omologazione di un accordo di ristrutturazione. In ogni caso, il debitore, coadiuvato dal team di professionisti, potrà scegliere se predisporre un unico piano concordatario o più piani diversi, pur sempre collegati[26].
L’essenza della riforma si rinviene con riferimento al concordato di gruppo, istituto largamente oggetto di interventi da parte della giurisprudenza, come sopra descritto.
Nella logica di privilegiare il carattere unitario del gruppo, l’imprenditore potrà elaborare un piano concordatario di gruppo che contempli operazioni contrattuali e riorganizzative infragruppo funzionali alla continuità aziendale di alcune imprese e/o alla liquidazione di altre, purché confacenti al miglior soddisfacimento delle ragioni dei creditori di ciascuna impresa. In altri termini, rimanendo fermo il principio di separazione delle masse attive e passive, sarà necessario, per poter porre in essere le operazioni infragruppo sopra citate, dimostrare che i creditori di ciascuna impresa non solo non saranno penalizzati dal piano di gruppo, ma al contrario ne trarranno effetti positivi.
Gli stessi principi ispiratori della riforma si ritrovano anche nella disciplina relativa alla gestione della liquidazione giudiziale di gruppo. Invero, l’art. 287 CCI prevede che più imprese in stato di insolvenza possano essere soggette a una procedura unitaria di liquidazione giudiziale quando risulti indispensabile un coordinamento nella liquidazione degli attivi in funzione dell’obiettivo del migliore soddisfacimento dei creditori delle diverse imprese del gruppo, ferma restando la reciproca autonomia delle loro rispettive masse attive e passive.
Emerge in modo evidente, sia con riguardo al concordato di gruppo che rispetto alla liquidazione giudiziale di gruppo, il riaffiorare della teoria dei vantaggi compensativi di cui all’art. 2497 c.c., seppur in forma, per così dire, controllata e volta segnatamente a favore dei creditori[27]. In virtù di tale teoria, l’interesse individuale può essere sacrificato in una logica di gruppo quando l’impresa riceva per altro verso vantaggio dalla sua partecipazione al gruppo. In tal senso, il rischio da neutralizzare in ipotesi di procedure concorsuali di gruppo è quello per cui avvengano travasi di denaro da una ad altra impresa del gruppo, con pregiudizio dei creditori delle singole imprese.
In questa logica, il legislatore – in analogia a quanto già previsto in tema di amministrazione straordinaria (c.d. azione revocatoria aggravata) – ha attribuito al curatore il potere di esperire azioni di inefficacia infra-gruppo (art. 290 CCI). Nello specifico, il curatore potrà esperire azioni di inefficacia nei confronti delle imprese, anche non insolventi, del gruppo, per rendere inefficaci gli atti compiuti nei cinque anni anteriori al deposito dell’istanza di liquidazione giudiziale che fossero diretti a spostare risorse infra-gruppo a danno dei creditori[28].
Nonostante ciò, il legislatore ha introdotto una sorta di “esimente” qualora, nel valutare la dannosità di un’operazione, emergesse la mancanza di un danno alla luce del risultato complessivo del gruppo ai sensi dell’art. 2497, comma 1, c.c.
Il pendant delle azioni di inefficacia e revocatorie è la postergazione dei finanziamenti soci, della capogruppo e delle società sottoposte a comune controllo.
A fronte della ammissibilità di una procedura di gruppo, il nuovo CCI ha previsto un meccanismo correttivo volto a sterilizzare il peso dei crediti infra-gruppo. In tal senso, il riformatore, nella legge delega, ha optato per il principio di postergazione del rimborso dei crediti di società appartenenti allo stesso gruppo in presenza dei presupposti di cui all’art. 2467 c.c. Così, ai sensi dell’art. 292 CCI è prevista la postergazione dei crediti che la società o l’ente o la persona fisica esercente l’attività di direzione o coordinamento vanta nei confronti delle imprese sottoposte a direzione e coordinamento, o che queste ultime vantano nei confronti dei primi sulla base di rapporti di finanziamento contratti dopo il deposito della domanda che ha dato luogo all’apertura della liquidazione giudiziale o nell’anno anteriore.
Tale postergazione, tuttavia, risente di alcune deroghe dirette a favorire finanziamenti erogati in qualsiasi forma alla procedura, in un’ottica volta a consentire soluzione concordate alle crisi di impresa.
Pertanto, l’art. 292, comma 2, CCI, al fine di stimolare l’apporto di nuova finanza finalizzata alla ristrutturazione – in deroga all’art. 2467 c.c. che impone la postergazione dei finanziamenti concessi in una situazione di eccessivo squilibrio dell’indebitamento rispetto al patrimonio netto – riconosce il diritto al rimborso nella misura dell’ottanta per cento con il beneficio della prededuzione ai finanziamenti erogati dai soci in qualsiasi forma nel rispetto delle condizioni previste negli artt. 99 e 101[29].
Tale misura, che rispecchia l’attuale art. 182-quater, comma 2, l. fall., potrebbe far sorgere alcune criticità a causa del mancato coordinamento con gli artt. 99 – 101 CCI sopra citati.
Infatti, nella gestione della crisi di gruppo, la capogruppo è solita contrarre finanziamenti bancari, i quali vengono successivamente canalizzati a favore delle società del gruppo sotto forma di finanziamenti soci. È evidente che, se considerati alla stregua di finanziamenti soci, tali finanziamenti potrebbero essere prededucibili soltanto nei limiti dell’ottanta per cento, e non nella misura del cento per cento, qualora, invece, fossero qualificati quali finanziamenti interinali o finanziamenti ponte. Tale rilievo potrebbe causare una limitazione per gli istituti bancari nella concessione di nuova finanza. Ne risulta quindi che, il mancato coordinamento delle norme suddette potrebbe avere un effetto paradossalmente contrario a quello auspicato dal riformatore, volto a favorire l’erogazione di finanziamenti in funzione o in esecuzione di una procedura di concordato preventivo o di accordo di ristrutturazione dei debiti.
Tale aspetto potrebbe pertanto costituire uno spunto per eventuali ulteriori interventi, volti a dare alla riforma contenuti di dettaglio sempre più coerenti con le esigenze della pratica.
[1] Secondo i dati Cerved, nel 2018, in Italia operano oltre 120.000 gruppi societari, che coinvolgono circa 330.000 imprese.
[2] Tra i vari contributi in merito alla disciplina dei gruppi di imprese si rinvia a TOMBARI, I gruppi di imprese, Riv. Soc., 1999; PANZANI, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2011
[3] Con riferimento ai vari riferimenti normativi in materia di gruppi di imprese nel codice civile si veda: l’art. 2381, comma 5, c.c. che stabilisce l’obbligo degli organi delegati di riferire al consiglio di amministrazione ed al collegio sindacale sulle operazioni di maggior rilievo effettuate dalla società madre e dalle sue controllate; l’art. 2403-bis, comma 2, c.c. che riconosce al collegio sindacale il potere di chiedere agli amministratori notizie riguardo alle società controllate sull’andamento delle operazioni societarie, nonché di scambiare informazioni con gli organi delle società controllate circa i sistemi di amministrazione e controllo adottati.
[4] Il capo IX, Libro V del codice civile è stato aggiunto dall’art. 5.1, D.l. 17 gennaio 2003, n. 6
[5] Ad eccezione dei vari diritti e doveri degli amministratori Il maggior risultato ottenuto dal legislatore con la riforma del diritto societario del 2003, è stato quello di introdurre la responsabilità della società capogruppo e dei suoi amministratori verso i soci e i creditori delle società controllate. In tema di responsabilità della società e degli enti che esercitano attività di direzione e coordinamento di società vige la teoria dei c.d. ‘vantaggi compensativi’ secondo cui “non vi è responsabilità quando il danno risulta mancante alla luce del risultato complessivo dell’attività di direzione e coordinamento”. In virtù di tale teoria l’interesse individuale della singola società del gruppo può essere sacrificato in una logica di gruppo. Sul punto Cfr. FASCIANI, Groups of companies: The Italian Approach, 4 ECFR, 2007, 195
[6] La Spagna si è dotata di specifiche norme in materia di insolvenza di gruppo. In proposito gli artt. 25, 25-bis e 25-ter della Ley Concorsual prevede che possa farsi luogo alla dichiarazione congiunta del concurso, la competenza unica attribuita al giudice competente per la società dominante, la riunione dei procedimenti (senza consolidamento delle masse).
[7] Reg. (UE) n. 2015/848 del Parlamento europeo e del Consiglio del 20 maggio 2015, pubblicato sulla G.U. della UE il 5 giugno 2015.
Il Regolamento in oggetto non fa alcun riferimento specifico alle realtà imprenditoriali aggregate, quali i gruppi di società, ma soltanto alle imprese comunitarie con sedi secondarie collocate in altri Stati Membri.
[8] UNCITRAL è l’acronimo che identifica la Commissione delle Nazioni Unite per il diritto del commercio internazionale, costituita nel 1996, e avente lo scopo di un’azione uniformatrice mondiale del diritto commerciale, la quale propose una prima Model Law nel 1997, cui fece seguito nel 2004 una Legislative Guide. La Model Law è organizzata in un vero e proprio testo normativo destinato a tutti gli Stati del mondo, con l’auspicio che questi la tengano in considerazione nei loro progetti eventuali di elaborazione di una legislazione nazionale in tema di insolvenze trans-frontaliere.
[9] Ai sensi dell’art. 2, D.lgs. n. 270 del 1999 un’impresa può essere soggetta ad amministrazione straordinaria se rispetta i seguenti requisiti di legge: (i) un numero di lavoratori subordinati non inferiore a 200 da almeno un anno; (ii) debiti per un ammontare complessivo non inferiore ai due terzi del totale dell’attivo dello stato patrimoniale che dei ricavi provenienti dalle prestazioni dell’ultimo esercizio
[10] Si veda T.A.R. Lazio, sez. III, 16 luglio 2004, n. 6998 in Foro.it, 2004, 3, 615; Trib. Bari, 15 luglio 2004, in Società, 2005, 5, 636; Trib. Parma, 8 gennaio 2004, in Fall., 2004, 4, 453.
[11] Il caso più celebre sul punto è il concordato del Gruppo Parmalat in amministrazione straordinaria. In tale caso, il concordato è stato unico, ed ha avuto effetto per tutte le società interessate dalla procedura stessa. L’autonomia delle diverse masse attive e passive delle società ha comportato che, nella proposta di concordato, i creditori di ogni società fossero soggetti a percentuali diverse di soddisfacimento.
[12] Cfr. Trib. Parma 10 luglio 2008; Trib. Bologna 8 ottobre 2008: Trib. Terni 29 dicembre 2010; Trib. Roma, 7 marzo 2011; Trib. Roma 18 aprile 2013; App. Roma, 6 marzo 2013, ove si trova una densa argomentazione sul riconoscimento positivo dell’impresa di gruppo
[13] Si è discusso se tale norma, dettata per la fattispecie del concordato fallimentare, sia estensibile al concordato preventivo. Il Tribunale di Reggio Emilia, con sentenza del 1° marzo 2097, ha statuito che tale disposizione ha carattere eccezionale e non è dunque estensibile al procedimento per concordato preventivo.
[14] Anche secondo autorevole dottrina, l’art. 160 l. fall. consente di presentare un concordato di gruppo, intenso nel senso del coinvolgimento di più società appartenenti in un gruppo nella proposta di concordato, ferma restando l’autonomia patrimoniale delle singole società e quindi l’autonomia delle posizioni creditorie e debitorie. Cfr. SANDULLI, Commento sub. Art. 160, in La riforma della legge fallimentare, a cura di Nigro e Sandulli, Torino, 2006, p. 984.
[15] Alcune pronunce di merito hanno accolto una proposta concordataria di gruppo, avente ad oggetto il conferimento nella società ricorrente dei complessi aziendali appartenenti al gruppo, con estensione dell’effetto esdebitatorio alle società del gruppo. In senso contrario, Cfr. App. Genova, decr. 23 dicembre 2011, in Fall., 2012, 3, p. 358; nel caso di specie, il patrimonio della società capogruppo e delle controllate era stato conferito in una S.n.c. che aveva poi presentato domanda di concordato preventivo. Per effetto del conferimento, i creditori delle diverse società venivano a soddisfarsi sullo stesso patrimonio, frutto del conferimento dei patrimoni delle società del gruppo. La domanda di concordato era stata presentata dalla S.n.c. e dalle società socie (illimitatamente responsabili), sia come tali che in proprio, allo scopo di superare il disposto dell’art. 184 l. fall. secondo il quale il concordato è obbligatorio anche per i creditori dei soci.
[16] C. DALMASSO DI GARZEGNA, Il concordato delle società, in ilcaso.it, 2013, 44 ss.
[17] In tal senso si veda Cass. Civ., S.U., 18 marzo 2010, n. 6538.
[18] Cfr. Trib. Bologna, 8 ottobre 2009. Vedi inoltre Trib. Roma, 25 luglio 2012.
[19] Trib. Terni, 29 dicembre 2010; Trib. Palermo 4 giugno 2014.
[20] Cfr. Cass. Civ., Sez. I, 13 ottobre 2015, n. 20559.
[21] POLI, Il concordato di gruppo: II) verifica critica degli approdi giurisprudenziali, in Contratto e impresa, 2015, 100.
[22] Per l’affermazione che le regole di governance rimango uguali salvo l’adattamento al contesto, in caso di crisi si veda TOMBARI, Crisi di impresa e doveri di “corretta gestione societaria e imprenditoriale” della società capogruppo, Prime considerazioni, in Riv. Dir. Comm., 2011, I, p. 631 ss.
[23] Cfr. CENSONI-BONFATTI, Manuale di diritto fallimentare, Padova, 2011, p. 533 ss.; GALLETTI, I piani di risanamento e ristrutturazione, Riv, trim. dir. Proc. Civ., 2006, p. 1214.
[24] Trib. Roma, 25 luglio 2012; App. Roma, 5 marzo 2013; Trib. Terni, 29 dicembre 2010; Trib. Benevento, 18 gennaio 2012.
[25] In dottrina, alcuni autori ritengono che l’inapplicabilità della teoria dei vantaggi compensativi anche in ambito di crisi di gruppo sia causato da un difetto di prospettiva che ha caratterizzato l’interpretazione in materia concorsuale, in una sorta di retaggio dell’impronta sanzionatoria che caratterizzava la legge fallimentare originaria. In tal senso Cfr. TOMBARI, Diritto dei gruppi di imprese, Milano, 2010. Con riferimento al principio di responsabilità generale, l’art. 2740, comma 2, c.c. sancisce espressamente che la legge può derogare alla regola generale del primo comma. Inoltre, in dottrina e in giurisprudenza è stato evidenziato che la devoluzione di parte del patrimonio al soddisfacimento dei creditori è legittima con il principio di cui all’art. 2740, comma 1, c.c. sia nei piani in continuità, ai sensi dell’art. 186-bis l. fall, sia nei piani liquidatori o in continuità indiretta, argomentando che le regole sul concordato preventivo integrano un’ipotesi tipica di deroga al canone della responsabilità patrimoniale. Sul punto Cfr. D’ATTORE, Concordato preventivo e responsabilità patrimoniale del debitore, in www.orizzontideldirittocommerciale.it, p. 32-33; PANZANI, Sorte della partecipazione dei vecchi soci in caso di ristrutturazione di società insolventi, in Società, 2014, 92.
[26] Il legislatore italiano, alla luce del Reg. n. 2015/848, ha previsto degli obblighi di collaborazione ed informazione reciproca tra gli organi delle procedure riguardanti le imprese di un medesimo gruppo trattate separatamente dal medesimo Tribunale.
[27] Con riferimento al concordato di gruppo, l’art. 285, CCI, prevede che i soci subiscano la scelta delle operazioni infragruppo. Tuttavia, essi potranno far valere il pregiudizio arrecato alle rispettive società da dette operazioni esclusivamente attraverso l’opposizione all’omologazione del concordato di gruppo. Il tribunale omologherà il concordato se escluderà la sussistenza di un pregiudizio in considerazione dei vantaggi compensativi derivanti alle singole società dal piano di gruppo.
[28] In questo caso vi è la presunzione di consapevolezza del pregiudizio da parte della società del gruppo beneficiaria dell’atto di disposizione impugnato, salvo prova contraria.
[29] Gli artt. 99 e 101 CCI regolano i finanziamenti interinali e i finanziamenti ponte “funzionali” alle procedure di concordato preventivo o agli accordi di ristrutturazione dei debiti. Ai sensi dell’art. 99 il debitore può chiedere al tribunale di essere autorizzato, anche prima del deposito della documentazione che deve essere allegata alla domanda di concordato, a contrarre finanziamenti in qualsiasi forma, funzionali all’esercizio dell’attività aziendale, che godranno del beneficio della prededuzione. Ai sensi dell’art. 101, quando è prevista la continuità aziendale, i finanziamenti contratti in esecuzione di una proposta concordataria o di una proposta di ristrutturazione del debito sono prededucibili.