Il Tribunale di Roma è stato chiamato a pronunciarsi sulla validità di un accordo, piuttosto frequente nella prassi, avente a oggetto la rinuncia all’azione sociale di responsabilità nei confronti dell’amministratore uscente (nella fattispecie, coincidente con la persona del socio venditore), effettuata dai nuovi soci acquirenti.
In prima analisi, il Tribunale ha qualificato l’accordo in questione alla stregua di un patto parasociale, e, in quanto tale, ammesso dall’ordinamento. Tanto chiarito, nel considerare astrattamente valido il patto con cui alcuni soci si accordino per votare in una certa maniera (essendo questi liberi di disporre del proprio voto), il Tribunale ha tuttavia ritenuto che laddove l’accordo sul voto abbia a oggetto l’applicazione di una norma imperativa, quali sarebbero gli artt. 2392 e 2393 cod. civ., allora il patto dà luogo a un’ipotesi di nullità. La disciplina dell’azione sociale di responsabilità, infatti, risponde a un interesse generale della società e non può essere pattiziamente disapplicata dai soci.
Partendo da tali riflessioni, i giudici hanno tuttavia espresso una conclusiva precisazione importante, peraltro già evidenziata dalla dottrina più attenta. La censura di nullità evidenziata, infatti, riguarderebbe solamente quei patti parasociali aventi a oggetto un impegno a rinunciare preventivamente all’azione di responsabilità, impegno che i soci assumerebbero al momento dell’entrata in carica del nuovo amministratore. In tal caso, si snaturerebbe il modello di gestione fondato sul binomio potere/responsabilità di cui agli artt. 2392 e 2393 cod. civ., e si frustrerebbe la funzione preventiva di atti di mala gestio, riconosciuta dagli articoli citati. Al contrario, se la rinuncia in questione interviene solo alla conclusione del mandato gestorio, non avrebbe lo stesso disvalore, apparendo pertanto valida, trattandosi, infatti, di un accordo di rinuncia al proprio (eventuale) credito verso l’amministratore, di cui però si è potuto valutare l’operato. Resta non definito dalla pronuncia il tema dell’oggetto della rinunzia, che nel caso in esame era piuttosto vago, mentre la migliore dottrina ritiene debba essere sufficientemente circostanziato per rispettare il principio della determinazione dell’oggetto del contratto.