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Attualità

La risoluzione per inadempimento del concordato negli ultimi orientamenti della Cassazione

23 Settembre 2019

Claudio Tatozzi, Partner, FiveLex Studio Legale

Di cosa si parla in questo articolo

La Suprema Corte, con la recente sentenza n. 20652 del 31 luglio 2019, torna a pronunciarsi sui presupposti affinché il Tribunale – su istanza di uno dei creditori da depositarsi, a pena di decadenza non rilevabile d’ufficio[1], entro un anno «dalla scadenza del termine fissato per l’ultimo adempimento previsto dal concordato»[2] – possa risolvere il concordato preventivo ai sensi e per gli effetti dell’art. 186 l.f., per oggettivo (grave) inadempimento a quanto promesso al ceto creditorio ed omologato dal Tribunale.

La Corte Regolatrice, dando seguito al suo consolidato orientamento (cfr., da ultimo, Cass., 31 marzo 2010, n. 7942; Cass., 20 giugno 2011, n. 13446; Cass., 4 marzo 2015, n. 4398; Cass., 13 luglio 2018, n. 18738), ha confermato che – anche successivamente alla riforma della Legge Fallimentare approvata a metà del decennio scorso – il concordato preventivo con cessione dei beni può essere risolto ove emerga che lo stesso sia oggettivamente venuto meno alla sua naturale funzione; ciò, salvo il caso in cui vi fosse una previsione di totale ed immediata liberazione del debitore.

Per giungere a tale conclusione, la Suprema Corte ha avuto modo di ribadire che:

  • è irrilevante l’imputabilità o meno al debitore dell’inadempimento alle obbligazioni assunte nei confronti del ceto creditorio, con il concordato preventivo omologato. Al riguardo, la Corte ha chiarito che – considerato che «il concordato preventivo non è un contratto a prestazioni corrispettive, ma un istituto caratterizzato da una natura negoziale contemperata da una disciplina che persegue interessi pubblicistici» – i principi generali in materia di inadempimento contrattuale (e, quindi, tra tutti gli artt. 1218 e 1455 c.c.) non possono essere traslati tout court nella fattispecie concordataria, a nulla rilevando, per contro, la marcata privatizzazione della procedura operata dalla riforma del 2007. Pertanto, si dovrà verificare solamente «la prospettiva oggettiva dell’impossibilità di realizzare la promessa soddisfazione dei creditori, apprezzando l’inadempimento nella sua dimensione e consistenza. In altri termini, conta il mancato raggiungimento del risultato satisfattivo a cui il concordato era mirato, a prescindere dal perché un simile insuccesso si sia verificato» (nei medesimi termini, si vedano, anche Cass., 13 luglio 2018, n. 18738; App. Venezia, 24 maggio 2017, in ilcaso.it; Trib. Milano, 28 dicembre 2018, n. 13098, reperibile su ConsolleAvvocato; Trib. Milano, 29 settembre 2016, in ilcaso.it; Trib. Modena, 11 giugno 2014, in ilcaso.it; Trib. Ravenna, 7 giugno 2012, in ilcaso.it)[3];
  • la percentuale di soddisfacimento dei creditori, proposta dal debitore nell’ambito del piano e della proposta di concordato omologati, non è vincolante, «non essendo prescritta da alcuna disposizione la relativa allegazione ed essendo al contrario sufficiente l’impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni dell’imprenditore liberi da vincoli ignoti che ne impediscano la liquidazione o ne alterino apprezzabilmente il valore, salva l’assunzione di una specifica obbligazione in tal senso»;
  • in ogni caso, la «semplice messa a disposizione dei beni promessi non impedisce l’applicazione del disposto dell’art. 186 legge fall., che funge da strumento di controllo a posteriori del fatto che il concordato abbia assolto nella sostanza – dunque a prescindere da inadempimenti di scarsa importanza – la funzione che gli è propria». In questo contesto, «la percentuale di soddisfacimento eventualmente indicata […] funge da punto di riferimento utile ad apprezzare l’importanza dell’inadempimento»;
  • si può, quindi, ritenere che il concordato sia venuto meno alla sua funzione, allorché non sia in grado di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari e integralmente quelli privilegiati, ove non degradati nelle forme di legge.

Alla luce di quanto precede, la Corte ha enunciato il seguente principio di diritto: «in tema di procedure concorsuali, il concordato preventivo deve essere risolto, a norma dell’art. 186 legge fall., qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione di soddisfare i creditori nella misura promessa, a meno che l’inadempimento non abbia scarsa importanza. Infatti, per tale verifica, la percentuale di soddisfacimento, che sia stata eventualmente indicata dal debitore, non è vincolante, salva l’assunzione di una specifica obbligazione intesa a garantirla; e tuttavia essa funge da criterio di riferimento utile ad apprezzare l’importanza dell’inadempimento: ne consegue che il concordato preventivo deve essere risolto, ex art. 186 legge fall., solo qualora emerga che esso sia venuto meno alla sua funzione necessaria di soddisfare in una qualche misura i creditori chirografari e, integralmente, i creditori privilegiati ove non falcidiati».

La sentenza in commento conferma, pertanto, una posizione assai rigorosa (in controtendenza rispetto ad una stagione[4] di estremo favor del legislatore per le soluzioni di tipo concordatario) nei confronti del debitore che ha proposto un concordato preventivo omologato e che successivamente (anche per cause a lui oggettivamente non imputabili) non si è potuto eseguire, in tutto o in parte.

Ovviamente, è rimessa al giudice del merito la valutazione circa il presupposto della «scarsa importanza dell’inadempimento» e, quindi, dello scostamento tra la percentuale (comunque, di per sé non vincolante) prevista dal piano omologato e quella in concreto conseguita allo scadere del termine previsto per l’esecuzione del concordato. In ogni caso, pare potersi dedurre dall’argomentazione della Corte, non potrà dichiararsi la risoluzione allorché vi sia stata una soddisfazione (pur minima) dei creditori chirografari, oltre a quella integrale dei privilegiati (al netto dell’eventuale degrado di cui all’art. 160, comma 2, l.f.).

Rimane, tuttavia, da determinare quale sia tale soddisfazione «in una qualche misura» e, in particolare, se dare seguito a quanto sostenuto da una parte della giurisprudenza di merito che – valorizzando anche il concetto di “causa in concreto” del concordato – ha affermato che il soddisfacimento non debba comunque essere «irrisorio» (cfr., ex multis, Trib. Milano, 3 luglio 2018, in ilcaso.it; Trib. Pesaro, 13 novembre 2014, in ilcaso.it, Trib. Monza, 2 ottobre e 21 gennaio 2013, in ilcaso.it.; cfr. anche, con riguardo al concordato con continuità aziendale, App. Bologna, 27 settembre 2017, in unijuris.it; Trib. Monza, 21 gennaio 2013, cit.).

Volendo offrire ulteriori spunti di riflessione, in questa sede va segnalata, in quanto non perfettamente sinottica, anche la pronuncia di Cass., 14 marzo 2014, n. 6022, relativa ad un’ipotesi di risoluzione (promossa da un creditore che aveva votato a favore del concordato, ipotesi che – per vero – ricorre di frequente nella prassi) e non menzionata dalla sentenza in commento, la quale ha ritenuto che, «nel concordato con cessione dei beni, i creditori consenzienti non possono chiederne la risoluzione nell’ipotesi in cui la somma ricavata dalla liquidazione si discosti, anche notevolmente, da quella necessaria a garantire il pagamento dei loro crediti nella percentuale indicata, in ragione del fatto che oggetto dell’obbligazione concordataria è unicamente l’impegno a mettere a disposizione dei creditori i beni liberi da vincoli che ne impediscano la cessione o ne diminuiscano il valore», non essendo applicabile nella sua interezza al concordato preventivo riformato il disposto di cui all’art. 1984 c.c. La medesima pronuncia, infatti, rimarca il fatto che nel concordato con cessione di beni «l’entità del soddisfacimento deriva dal risultato della liquidazione, sul quale non può esservi alcuna preventiva certezza»; pertanto «i creditori che, ciò nonostante, hanno approvato la proposta» non possono chiedere la risoluzione invocando un presunto inadempimento del debitore ad un’obbligazione (quella di pagare una certa percentuale) «che il debitore non ha assunto».

Un altro profilo che la sentenza in commento (e, in generale, la giurisprudenza edita) non affronta è quello dell’ammissibilità (anche sotto il profilo del difetto ad agire del creditore istante ex art. 100 c.p.c.) della risoluzione di un concordato preventivo allorché non si alleghi (e/o dimostri) che il fallimento possa offrire una migliore e/o più celere soddisfazione ai creditori[5]. Non si tratta, peraltro, di un profilo secondario, anche in un’ottica di efficienza del sistema. È evidente, infatti, che – laddove dal fallimento non si possa (con ragionevole certezza) ottenere alcuna migliore soddisfazione (giacché, ad esempio, la liquidazione dell’attivo è oggettivamente impossibile e/o difficoltosa per cause esogene alla sfera del debitore, quali ad esempio le oggettive condizioni di mercato e/o l’inerzia degli organi della procedura nominati[6] ex art. 182 l.f.) – la risoluzione del concordato si trasforma in un mero strumento latamente sanzionatorio che, per giunta, avrà l’effetto paradossale di gravare il passivo di ulteriori spese in prededuzione (tra le altre i compensi per la curatela).

Timide aperture a questo ragionamento e al profilo, che non pare totalmente superato dalla pronuncia in commento (il ricorrente, infatti, aveva tentato di introdurre anche tali temi di indagine, ma i relativi motivi di ricorso sono stati ritenuti inammissibili dalla Corte), relativo all’imputabilità non già dell’inadempimento in quanto tale, ma del ritardo in tale inadempimento (che, tuttavia, potrebbe ancora essere concretamente possibile), si possono rintracciare nella recente sentenza Trib. Piacenza, 19 giugno 2019, in ilcaso.it), la quale afferma (ad avviso di chi scrive, in modo condivisibile) che la domanda di risoluzione «non può […] essere accolta sotto il profilo del ritardo nell’adempimento della proposta di concordato, qualora lo stesso sia addebitabile agli organi della procedura» e, ciò, ovviamente, sia adeguatamente dimostrato.

 

 

[1] Cfr., tra gli altri, Trib. Milano, 22 marzo 2018, in ilcaso.it; Trib. Ravenna, 27 luglio 2018, in ilcaso.it.

[2] La Suprema Corte, di recente, ha chiarito che, «pur dovendosi riconoscere, in capo ai creditori, il diritto di agire per la risoluzione nel caso in cui sia emersa l’impossibilità di soddisfarli nella misura proposta ed omologata, a prescindere dalla scadenza dei termini di adempimento delle obbligazioni concordatarie, non è consentito individuare un “dies a quo” del termine di decadenza della suddetta azione anticipato rispetto a quello previsto dall’art. 186, comma 3, l. fall.» (cfr. Cass., 29 maggio 2019, n. 14601).

[3] Contra cfr. Cass., 5 aprile 2000, n. 4177; Trib. Foggia, 23 giugno 1983, in Dir. Fall., 1983, II, p. 948; in dottrina: Fabiani; nota a sentenza, in Foro It., 2007, p. 3407; Ambrosini, Il concordato preventivo, in Trattato di diritto fallimentare e delle altre procedure concorsuali, diretto da Vassalli-Luiso-Gabrielli, 2014, p. 423, secondo cui il principio di cui all’art. 1218 c.c. ha «portata generale»; Casa, Interpretazioni (a)simmetriche dell’art. 186 l.fall., in Fallimento, 2013, p. 67; Penta, La revoca dell’ammissione al concordato preventivo: rilevanza della percentuale offerta e della fattibilità del piano, in Fallimento, 2010, p. 866; Sissini, Commento subart. 186, in Nigro-Sandulli-Santoro (a cura di), La legge fallimentare dopo la riforma, 2006p. 2365).

[4] Ora, peraltro, apparentemente conclusa.

[5] In dottrina si è, infatti, sostenuto che è privo di interesse ad agire il creditore chirografario, istante ex art. 186 l.f., «in ipotesi – come nel caso de quo» ove«neppure dal successivo fallimento ricaverebbe alcuna soddisfazione» e/o alcuna maggiore e/o uguale soddisfazione. «Ciò secondo il principio di cui all’art. 100 c.p.c., che trova ingresso all’interno di un rimedio risolutorio [quello ex art. 186 l.f., n.d.r.]modellato su quello previsto dall’art. 1453 cod. civ.)» (cfr. Ratti-Pezzano, L’irrealizzabile esecuzione del concordato preventivo: il fallimento senza risoluzione, in Fallimento, 2018, pp. 742-743).

[6] Spesso contro la volontà del debitore e le previsioni del piano e della proposta concordatari, approvati dai creditori.

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