Nella sentenza pubblicata la Suprema Corte ha ripercorso alcuni principi di diritto consolidati nella giurisprudenza di legittimità in tema di presupposto soggettivo dell’azione revocatoria fallimentare, ovvero la conoscenza dello stato di insolvenza, applicandoli al caso sottoposto alla sua attenzione relativo alla revocatoria di rimesse di conto corrente ai sensi dell’art. 67, comma 2, L.F., promossa da una società in Amministrazione Straordinaria.
In primo luogo, rispetto agli strumenti probatori utilizzabili per dimostrare la scientia decoctionis in capo alla banca, ha ribadito l’ammissibilità di indizi, purché idonei a fornire la prova per presunzioni di una conoscenza effettiva. In particolare, secondo il consolidatissimo orientamento della Corte di Cassazione, la conoscenza presuntivamente provata dei bilanci del debitore può essere utilizzata al fine di dimostrare la conoscenza dello stato di insolvenza da parte dei creditori. Del resto, quest’ultima costituisce una mera implicazione dalla ritenuta conoscenza del bilancio, ragion per cui si è al cospetto di una unica presunzione, sia pure articolata su autonome circostanze di fatto, e non in un’ipotesi di violazione del divieto di doppia presunzione (cfr. Cass., 3 maggio 2007, n. 10208).
In secondo luogo, la Corte di Cassazione, innanzi ad una serie assai nutrita di elementi, tra loro decisamente convergenti a favore della sussistenza della scientia decoctionis, ha ritenuto che l’assenza di altri indizi, quali l’ipotetica mancanza di protesti o di segnalazioni in Centrale Rischi, come pure la constatazione che la banca non era l’unica a intrattenere rapporti con la società in bonis, non era di per sé idonea ad escludere la conoscenza dello stato di insolvenza. Tuttavia, ha, allo stesso tempo, doverosamente sottolineato come la scelta degli elementi di fatto che costituiscono la base della presunzione e il giudizio logico con cui dagli stessi si deduce l’esistenza del fatto ignoto, ovvero la scientia decoctionis, costituiscono un apprezzamento di fatto che, se adeguatamente motivato, sfugge al controllo di legittimità (cfr., tra le più recenti, Cass., 19 febbraio 2015, n. 3336).
Infine, per quanto riguarda specificamente le rimesse bancarie, la Suprema Corte ha affermato che l’adozione del criterio del saldo di fine giornata corrisponde all’orientamento attualmente adottato dalla giurisprudenza di legittimità: “ove la valutazione del carattere solutorio o ripristinatorio della singola rimessa non sia possibile …, appare errata la metodologia ordinativa che ponga in mera sequenza cronologica le operazioni in dare e in avere: non solo perché essa supplisce a un onere della prova cedente a carico di chi agisce in revocatoria, ma anche in quanto confonde le annotazioni dell’estratto conto bancario, per come affluite e registrate , con l’effettività storia di quelle operazioni. Questa la ragione per cui, provate le operazioni nel periodo sospetto e con riguardo a quelle condotte nello stesso giorno, dovrebbe applicarsi il diverso criterio del c.d. saldo di giornata” (cfr. Cass., 29 marzo 2016, n. 6042).