Il presente contributo analizza la sentenza della Corte Costituzionale del 22 dicembre 2022 con cui, nel contesto della questione insorta nel settore del credito al consumo a seguito della nota sentenza “Lexitor”, è stato dichiarato parzialmente incostituzionale l’articolo del Decreto Sostegni-Bis di interpretazione dell’art. 125-sexies del TUB.
1. Introduzione
In data 22 dicembre 2022 è stata depositata la sentenza n. 263 (la “Sentenza”) con la quale la Corte Costituzionale si è pronunciata sulla complessa questione insorta nel settore del credito al consumo a seguito dell’emanazione in data 11 settembre 2019, da parte della Corte di Giustizia, della nota sentenza “Lexitor”, la quale ha interpretato l’art. 16, paragrafo 1, della direttiva 2008/48/CE (la “Direttiva”) affermando che il diritto del consumatore alla riduzione del costo totale del credito – in caso di rimborso anticipato del finanziamento – include tutti i costi posti a suo carico, indipendentemente dal fatto che la loro maturazione dipenda (c.d. costi recurring) o meno (c.d. costi up-front) dalla durata del finanziamento.
Come noto, l’art. 16, paragrafo 1 della Direttiva era stato attuato nell’ordinamento nazionale con l’inserimento nel Testo Unico Bancario del (previgente) art. 125-sexies, comma 1, introdotto ad opera dell’art. 1 del D.Lgs. n. 141/2010 di recepimento di detta Direttiva. A seguito della pubblicazione delle sentenza Lexitor, si era sviluppato un vivace dibattito circa i suoi effetti nell’ordinamento nazionale, in considerazione tra l’altro del fatto che le disposizioni di “Trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari – Correttezza delle relazioni tra intermediari e clienti” emanate da Banca d’Italia nel 2019 (le “Disposizioni di Trasparenza”) prevedono (tuttora) la rimborsabilità pro quota solamente dei costi recurring in caso di estinzione anticipata dei finanziamenti, mentre gli orientamenti dell’Arbitro Bancario Finanziario (l’“ABF”) e della giurisprudenza hanno manifestato indirizzi contrastanti e ondivaghi.
All’indomani della sentenza Lexitor e uniformandosi ai precetti ivi stabiliti, il Collegio di Coordinamento dell’ABF con la pronuncia n. 26525 del 17 dicembre 2019 aveva affermato il principio che anche gli oneri up-front dovessero essere rimborsati, contrariamente al consolidato indirizzo dell’Autorità di Vigilanza e all’orientamento di parte della giurisprudenza che, valorizzando il disposto della norma primaria al tempo vigente e l’assenza di efficacia diretta della Direttiva nei rapporti privatistici, ne escludevano la ripetibilità.
In questo contesto di rilevante incertezza, in data 7 luglio 2021 è stato introdotto, in sede di conversione del d.l. n. 73/2021 (il “Decreto Sostegni-Bis”), l’art. 11-octies (il “Nuovo Articolo”) il quale, al comma 1, lett. c), ha modificato l’art. 125-sexies del TUB introducendo una formulazione coerente con i principi affermati dalla Corte di Giustizia, ivi specificando che, in ipotesi di estinzione anticipata, la restituzione al consumatore ha per oggetto tutti i costi compresi nel costo totale del credito, escluse le imposte. Il legislatore, con l’obiettivo di tutelare l’affidamento ingenerato negli operatori finanziari e consapevole dei potenziali impatti economici che la nuova formulazione dell’art. 125-sexies del TUB avrebbe potuto avere sui rapporti pregressi, attraverso il comma 2 del Nuovo Articolo ha volontariamente limitato gli effetti del nuovo art. 125-sexies del TUB ai soli contratti sottoscritti successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del Decreto Sostegni Bis, continuando a prevedere l’applicazione del “vecchio” art. 125-sexies, unitamente alle norme secondarie contenute nelle Disposizioni di Trasparenza della Banca d’Italia vigenti, per i contratti stipulati prima dell’entrata in vigore della menzionata legge di conversione.
Adeguandosi alla novella legislativa, con decisione n. 21676 del 15 ottobre 2021, il Collegio di Coordinamento dell’ABF invertiva l’indirizzo, tornando ad escludere la retrocedibilità dei costi up-front.
2. La Sentenza della Corte Costituzionale n. 263/2022 e il primato del diritto europeo
Con la Sentenza la Corte Costituzionale ha dichiarato incostituzionale il Nuovo Articolo del Decreto Sostegni-Bis limitatamente al seguente inciso “e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia”, con l’obiettivo di assicurare un’interpretazione conforme della norma italiana alla Direttiva così come interpretata dalla sentenza Lexitor. Secondo la Corte Costituzionale, il richiamo del Nuovo Articolo alle Disposizioni Trasparenza attribuirebbe a queste ultime il rango di norma primaria, con la conseguenza di impedire ai giudici la possibilità di interpretare il vecchio art. 125-sexies del TUB in modo conforme alla sentenza Lexitor.
Il percorso argomentativo seguito dalla Corte Costituzionale muove dall’assunto che, con l’adozione del secondo comma del Nuovo Articolo, il legislatore italiano avrebbe reso impossibile l’interpretazione dell’art. 125-sexies del TUB in senso conforme alla Direttiva così come interpretata dalla Lexitor, così disattendo gli obblighi dello Stato italiano nei confronti dell’Unione europea sanciti dagli articoli 11 e 117, primo comma, della Costituzione. Segnatamente, la sentenza della Corte Costituzionale ha espressamente affermato che la sentenza Lexitor, resa in sede interpretativa, compone il quadro dei parametri sovranazionali che, attraverso le richiamate norme della Costituzione, devono essere utilizzati ai fini del vaglio di costituzionalità della norma di legge.
Se, a una prima lettura, la motivazione della Corte sembra trovare agevole fondamento nel principio del primato del diritto europeo sul diritto nazionale, invero la Corte, forse preoccupata di un eventuale giudizio d’infrazione dell’Italia dinanzi alla Corte di Giustizia, pare non avere preso in debita considerazione il principio della certezza del diritto (e del conseguente legittimo affidamento degli intermediari), inteso come obiettiva prevedibilità delle conseguenze che l’ordinamento giuridico determina per i comportamenti delle parti.
Il principio della certezza del diritto, infatti, fa parte dei principi generali del diritto comunitario e richiede che le norme giuridiche siano chiare e precise, che la loro applicazione sia prevedibile per coloro che vi sono sottoposti e che nelle materie disciplinate dal diritto dell’Unione, la normativa degli Stati membri sia formulata in modo non equivoco al fine di consentire ai soggetti interessati di conoscere i loro diritti e obblighi in modo chiaro e preciso e ai Giudici nazionali di garantirne l’osservanza (ex multis, cfr. Corte giust. UE, Sez. VI, 28 febbraio 2019, causa 14/18 – analogamente, Corte giust. CE, 15 febbraio 1996, causa 63/93, punto 20; 7 giugno 2007, causa 76/06, punto 79; 18 novembre 2008, causa 158/07, punto 67; 8 dicembre 2011 nel procedimento 81/10).
Ritenendo che il principio della certezza del diritto debba cedere dinanzi alla necessità di adeguare l’ordinamento interno ai precetti (innovativi) stabiliti dalla Corte di Giustizia – principio che talvolta la Corte costituzionale ha utilizzato per delimitare le conseguenze derivanti dall’incostituzionalità della norma ad essa sottoposta – ha sacrificato completamente il legittimo affidamento riposto dagli operatori finanziari nello ius positum. Non si comprende se la Corte, nell’operare tale scelta, abbia tenuto in considerazione, tra l’altro, la nuova proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio relativa al credito al consumo, a mezzo della quale il legislatore europeo ha avvertito la necessità di precisare all’art. 29 che “nel calcolare tale riduzione vengono presi in considerazione tutti i costi che il creditore pone a carico del consumatore”, citando tra i considerando (considerando 62) del nuovo testo normativo la stessa sentenza Lexitor.
Invero, la previsione inserita nella proposta di nuova direttiva – concepita per disciplinare in primis formule digitalizzate di credito al consumo – appare a chi scrive eloquente testimonianza del fatto che la norma contenuta nella Direttiva non si caratterizzava per essere chiara; ciò forse avrebbe potuto suggerire alla Corte Costituzionale di contemperare maggiormente il principio primato del diritto europeo con il principio della stabilità dei rapporti giuridici (vieppiù di quelli definiti).
Peraltro, la stessa Corte di Giustizia avrebbe potuto considerare la limitazione temporale degli effetti della sentenza Lexitor, basandosi sul principio della certezza del diritto e dei rapporti instaurati dagli Stati membri in virtù di una norma europea non chiara. Nella cornice europea, in molteplici occasioni la CEDU ha condannato gli Stati affermando che il principio della certezza giuridica costituisce principio cardine dell’ordinamento europeo, nonché uno degli elementi fondamentali dello Stato di diritto, applicato per reagire a situazioni di incertezza giuridica determinate dall’ambiguità della legislazione e del conseguente e inevitabile manifestarsi di contrasti giurisprudenziali.
3. Alcuni profili problematici e nodi irrisolti dopo la sentenza della Corte Costituzionale su Lexitor
Uno degli aspetti della Sentenza della Corte Costituzionale sul caso Lexitor che meriterebbe più ampia riflessione è rappresentato dal preteso bilanciamento degli interessi del finanziatore e del consumatore che, ad avviso della Corte, sarebbe soddisfatto, da un lato, dal diritto del consumatore alla restituzione pro quota di tutti i costi che compongono il costo totale del credito e, dall’altro, dal diritto del finanziatore all’indennizzo equo ed oggettivamente giustificato, previsto sia nella precedente formulazione dell’articolo 125-sexies del TUB (commi 2 e 3) che nella nuova (commi 4 e 5). Nell’effettuare tale bilanciamento, tuttavia, la Corte Costituzionale sembra avere tralasciato di considerare le perdite economiche che gli operatori finanziari potrebbero subire a causa della restituzione proporzionale dei costi up front applicati ai contratti validamente stipulati prima del 25 luglio 2021, ivi inclusi i rapporti già estinti anticipatamente e non ancora prescritti. Tale approccio desta qualche perplessità, anche in considerazione del fatto che il tema era stato opportunamente affrontato innanzi alla Corte Costituzionale nell’udienza pubblica dell’8 novembre e gli impatti economici erano stati illustrati dalle parti interessate e stimati in circa 5 miliardi di euro.
Sotto altro profilo, l’intervento della Corte Costituzionale non si è risolto nella integrale abrogazione del regime transitorio introdotto dal Decreto Sostegni Bis, avendo la Corte pronunciato l’incostituzionalità del Nuovo Articolo limitatamente al seguente inciso “e le norme secondarie contenute nelle disposizioni di trasparenza e di vigilanza della Banca d’Italia”. Il mantenimento in vita di parte delle norme transitorie applicabili ai portafogli di crediti sorti prima del 25 luglio 2021, concepite dal legislatore per confermare l’esclusione della rimborsabilità dei costi up-front, rischia ora di generare effetti non voluti e paradossali, dal momento che il previgente regime non si preoccupava di disciplinare né i criteri di rimborso dei costi fissi né soprattutto il rapporto tra il finanziatore e i soggetti terzi collocatori del credito.
Solamente in un passaggio della Sentenza la Corte, precisando che la pronuncia di incostituzionalità è stata richiesta esclusivamente con riguardo al primo comma dell’art. 125-sexies, menziona fugacemente i nuovi commi 2 e 3 dell’art. 125-sexies del TUB i quali, rispettivamente, disciplinano che: (i) ove non previsto diversamente dal contratto, il criterio applicabile per la restituzione dei costi è quello del costo ammortizzato; e (ii) i finanziatori hanno la facoltà di esercitare il diritto di regresso nei confronti degli intermediari del credito per la quota dell’importo rimborsato al consumatore relativa al compenso per l’attività di intermediazione del credito. A tale riguardo, la Sentenza della Corte Costituzionale su Lexitor si limita ad affermare che dette disposizioni, dettate per l’avvenire, “non trovano riscontro nel precedente testo e, dunque, risultano vigenti per il futuro, spettando, di conseguenza, agli interpreti il compito di risolvere, per il passato, i profili di disciplina in esse regolati”.
Mentre relativamente al comma 2, seppur assente nella formulazione previgente, appare ragionevole sostenere che il criterio da applicare alla restituzione dei costi up–front sia quello del costo ammortizzato in linea con gli orientamenti dell’ABF, con riguardo al comma 3 sembra prospettarsi una lacuna normativa, non essendo previsto alcun diritto di rivalsa del finanziatore verso l’addetto alla rete di vendita. In relazione a tale comma parrebbe che il chirurgico intervento della Corte costituzionale abbia creato una disparità di trattamento tra passato e presente, trattando situazioni (divenute) uguali in maniera diversa ingiustificatamente. Per tale motivo, non si può escludere la possibilità che, sotto questo specifico profilo, la Corte possa essere nuovamente chiamata a verificare la legittimità costituzionale delle norme in esame, per violazione dell’art. 3 della Costituzione.
Dopo le considerazioni sopra riportate che riguardano prettamente il contenuto della Sentenza, è utile a questo punto riflettere su quanto è stato o non è stato fatto dallo Stato italiano. A tal proposito, si evidenzia come ai profili di responsabilità civile dello Stato italiano accenna la la Sentenza della Corte Costituzionale su Lexitor affermando che, con il Nuovo Articolo, il legislatore si è reso parzialmente inadempiente degli impegni verso l’ordinamento comunitario e per tale motivo i soggetti privati lesi potrebbero avvalersi del rimedio della responsabilità civile dello Stato per inesatta attuazione della Direttiva.
In proposito, è legittimo domandarsi perché lo Stato italiano non sia intervenuto nel giudizio di rinvio pregiudiziale per richiedere una limitazione degli effetti retroattivi della sentenza Lexitor. E’ noto che le sentenze interpretative della Corte di Giustizia rese in sede di rinvio pregiudiziale, per loro natura hanno efficacia retroattiva, e, come riportato anche dalla Sentenza, solo la stessa Corte di Giustizia può operare, nell’ambito della medesima pronuncia, una modulazione degli effetti temporali di una sentenza che decide su un rinvio pregiudiziale. Gli Stati membri avevano la possibilità di far valere le ragioni a sostegno di una modulazione temporale degli effetti della pronuncia – ossia la buona fede degli ambienti interessati e il rischio di gravi ripercussioni economiche – con lo stesso rinvio pregiudiziale o producendo osservazioni nel corso del relativo giudizio. L’Italia, così come altri Stati membri, non hanno richiesto alla Corte un intervento di questo tipo probabilmente non rendendosi immediatamente conto dei potenziali effetti negativi della Lexitor.
Da notare che l’Italia, forse imparando dai suoi errori, ha invece richiesto un intervento di questo tipo nella causa UniCredit Bank Austria pendente davanti alla Corte di giustizia e avente ad oggetto un quesito pregiudiziale formulato da parte del giudice austriaco in punto di estinzione anticipata del credito ipotecario che è fattispecie disciplinata a livello europeo dalla direttiva 2014/17 avente ad oggetto i “contratti di credito ai consumatori relativi a beni immobili residenziali” (“MCC”). Per tale tipologia di contratti non si dovrebbe applicare la regola prevista dalla Lexitor, poiché non vi è alcuna norma che sancisca la rimborsabilità degli oneri up-front in caso di estinzione anticipata del contratto. Ciò suscita qualche dubbio, considerando che la MCC dovrebbe considerarsi in rapporto di specie a genere rispetto alla Direttiva e che, come riportato nei considerando 19 e 20 della MCC, che fanno appello al già citato principio di certezza del diritto, la stessa deve tenere conto della struttura e dei principi della Direttiva assicurando la coerenza fra tali atti, la complementarietà degli stessi, la necessità per gli Stati che vi si adeguano di applicarli e interpretarli in modo, appunto, coerente, specie con riferimento alle “definizioni essenziali” e ai “concetti chiave”.
Inoltre, merita di essere rammentato che altri Stati hanno operato la scelta, come l’Italia, di modificare la norma nazionale tutelando il legittimo affidamento degli intermediari e, quindi, limitando gli effetti temporali della nuova normativa. Si fa riferimento, a mero titolo esemplificativo, alla legge austriaca sul credito al consumo che al paragrafo 16, comma 1, prevedeva la riduzione, in caso di estinzione anticipata dei soli “costi dipendenti dalla durata del credito” e che, con legge 5 gennaio 2021 (art. 1, comma 5) ha sostituito il richiamo con la espressione onnicomprensiva di “costi” e, nel contempo, con l’art. 1, comma 6, n. 12, ha stabilito che tale nuova disposizione si applichi solo ai contratti conclusi dopo l’11 settembre 2019 (data della pronuncia Lexitor), “purché estinti anticipatamente dopo il 31.12.2020”. Ancora la Germania nel codice civile tedesco prevedeva (al paragrafo 501) che la riduzione del costo del credito fosse limitata ai costi dipendenti dalla durata del credito. Con l’art. 1 della legge 9 giugno 2021 si è però sostituito tale richiamo con il riferimento onnicomprensivo dei “costi”, disponendosi nel contempo (art. 7) l’entrata in vigore della legge dal giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta ufficiale (cioè dal 15 giugno 2021).
Peculiare è che, a quanto consta, solo in Italia la norma sia stata considerata in violazione del diritto europeo e ciò fa desumere che nella Sentenza non siano state considerate, neanche per un mero raffronto, le iniziative simili intraprese dagli altri Stati europei. Ciò avrebbe potuto forse indurre la Corte costituzionale a richiedere alla Corte di giustizia se il diritto europeo non osti a che la stessa Consulta pronunci una sentenza che limiti gli effetti nel tempo della propria decisione, così proteggendo la stabilità dei rapporti giuridici pregressi.
In tale quadro, caratterizzato da profili problematici e nodi irrisoli, è ragionevole (oltre che auspicabile) attendersi che la Banca d’Italia adotti un intervento chiarificatore, attraverso non solo l’emanazione di specifiche linee orientative ma anche ricorrendo alla modifica delle Disposizioni di Trasparenza, avendo riguardo, tra l’altro, alla sana e prudente gestione dei soggetti vigilati, ai sensi e nel rispetto dell’art. 5 del Testo Unico Bancario.