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Giurisprudenza

La sindacabilità dell’appostazione in bilancio di un componente di reddito

9 Ottobre 2017

Laura Allevi

Cassazione Civile, Sez. V, 23 novembre 2016, n. 23827 – Pres. Cappabianca, Rel. Terrusi

Di cosa si parla in questo articolo

Con sentenza n. 23827 del 23 novembre 2016 la Suprema Corte si è pronunciata in merito ad un discusso principio contabile/tributario – soprattutto a livello dottrinale – relativo alla possibilità, da parte dell’amministrazione finanziaria, di sindacare l’appostazione in bilancio da parte del contribuente di determinati componenti di reddito.

Sul ricorso proposto da una nota società imbottigliatrice di acque minerali, controricorreva l’amministrazione finanziaria per la conferma della sentenza della commissione tributaria regionale del Lazio.

A seguito di accordo transattivo con altra società del medesimo settore che prevedeva la reciproca rinuncia a crediti vantati vicendevolmente, la ricorrente indicava tra le immobilizzazioni immateriali uno di tali crediti come onere pluriennale di sviluppo, ammortizzandone la relativa quota a conto economico.

Tralasciando la ricostruzione dell’agenzia delle entrate, per la quale la rinuncia al credito rappresentava una mera sopravvenienza passiva, la sentenza della Corte di Cassazione si è focalizzata sul presupposto unico e sufficiente per la capitalizzazione delle spese e la relativa iscrizione tra le poste dell’attivo patrimoniale, vale a dire sull’utilità pluriennale del componente reddituale in oggetto, non essendo possibile, a detta del ricorrente, sindacare le scelte contabili avallate dal collegio sindacale.

L’eccezione di insindacabilità dell’appostazione in bilancio di un componente di reddito, invero, è stata ritenuta infondata inquadrando la tematica dal punto di vista del principio di competenza, posto che a tale ultimo principio fanno eccezione i costi idonei a produrre utilità pluriennali.

Secondo la Suprema Corte, l’utilità pluriennale, imputabile a conto economico per la quota corrispondente all’ammortamento ed a stato patrimoniale, tra le immobilizzazioni immateriali per la quota residua, si ritiene tale secondo il principio di correlazione costi-ricavi, non essendo sufficiente il mero vantaggio derivante da un’operazione “positiva”. L’utilità economica va infatti considerata in termini oggettivi, tale per cui il ricavo si ricollega per via della sua stretta correlazione ad un costo, che l’ha generato, manifestando la propria efficacia anche in esercizi successivi.

Il sostenimento di un costo a fini transattivi (quale la rinuncia ad un credito) non rappresenta una condizione legittimante l’indicazione in bilancio di un costo pluriennale, posto che l’operazione in sé esaurisce la sua portata in un solo periodo d’imposta, consumando i suoi effetti e non ripercuotendosi come utilità economica anche negli esercizi successivi.

In aderenza al principio di derivazione parziale del reddito d’impresa dalle risultanze del conto economico, l’art. 39 , comma 1, lettera a), del D.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce che si procede alla rettifica del reddito d’impresa “se gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio”, laddove la “corrispondenza” deve essere intesa in senso sostanziale ed effettivo, e non meramente formale.

Con riguardo alle imprese che adottano i principi contabili internazionali, inoltre, la legge finanziaria 2008 (art. 1 , comma 58, lettera e), della legge 24 dicembre 2007, n. 244) ha stabilito per le imprese Ias adopters, la diretta rilevanza fiscale dei principi contabili internazionali per talune voci di bilancio, laddove gli Ias/Ifrs siano “correttamente” applicati, legittimando tali contribuenti ad una valutazione della correttezza delle modalità di contabilizzazione.

Altro sindacato di merito delle scelte di contabilizzazione dei componenti di reddito si riscontra in ambito elusivo, laddove il potere di sindacato dovrebbe arrestarsi di fronte a valutazioni di bilancio che si collocano entro limiti rigidamente fissati dalle norme tributarie.

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