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Dossier

La situazione d’emergenza, necessità e occasione per potenziare i meccanismi di golden power

4 Marzo 2021

Filippo Fiordiponti

Sommario: 1. L’interventismo protezionistico nel decreto liquidità – 2. Meccanismi di selezione e principio di legalità – 3. Il quadro europeo di definizione e coordinamento dei poteri speciali – 4. Situazione di emergenza ed esercizio dei poteri speciali nella soft law dell’Unione europea – 5. La dilatazione delle esigenze di sicurezza nell’ordinamento interno – 6. La difesa dei livelli occupazionali e della produttività – 7. Obblighi estesi agli investitori intracomunitari – 8. Un richiamo al principio di solidarietà.

1. L’interventismo protezionistico nel decreto liquidità

Le preoccupanti implicazioni economiche, provocate dalla pandemia da Covid-19, hanno spinto i governanti ad adottare misure urgenti di sostegno, che obbediscono ad una ricetta antica: più Stato nell’economia. L’interventismo pubblico è la risposta d’immediato impatto alle incertezze del momento, si traduce in un maggior condizionamento del libero svolgersi degli scambi e, per quanto qui ci interessa, si manifesta anche con il rafforzamento dei sistemi di selezione degli investimenti di provenienza estera nel mercato interno. D’altronde il flagello epidemico stressa i mercati e sfida gli Stati ad adottare ogni iniziativa possibile, anche se mai esplorata, senza però tradire i principi fissati nelle Carte fondamentali, che presidiano saldamente le libertà di ogni sistema democratico. Le ragioni di tutela delle risorse economiche nazionali, che richiedono la regolazione dei flussi d’investimento provenienti dall’estero, costituiscono il punto di bilanciamento con i principi di libertà di circolazione dei capitali e di libertà di stabilimento, affermati nei Trattati europei. La pandemia ha esaltato il bisogno di difesa e la Commissione UE ha risposto al profondo mutamento, registrato sul piano dei fatti, ricorrendo alle prerogative di soft law, per emanare comunicazioni rivolte a sollecitare una più serrata vigilanza sugli investimenti esteri diretti, che scongiuri il rischio di depauperamento del patrimonio imprenditoriale europeo, soprattutto con riguardo al settore della salute. Non c’è carattere vincolante nelle indicazioni fornite, ma è evidente lo scopo di richiamare l’attenzione degli Stati membri sull’urgente necessità di attivare con pienezza i meccanismi di selezione per quegli investimenti, attuando una sorveglianza condivisa verso i confini esterni dell’Unione. Il legislatore nazionale, a sua volta, ha agito, attraverso il Capo III, del decreto liquidità (d.l. 8 aprile 2020, n. 23, convertito nella l. 5 giugno 2020, n. 40), pur se, in prevalenza, con disposizioni che hanno valenza limitata al 31 dicembre 2020. Ne risultano potenziati i poteri di controllo dello Stato, mediante l’ampliamento dell’area d’intervento a nuovi settori economici e nei confronti di ogni investitore estero, anche intracomunitario[1]. Quest’ultimo era un obiettivo, che circostanze pregresse avevano già sollecitato e viene colto ora, in un quadro di forte sensibilità protezionistica. La risposta nazionale all’emergenza sembra però andare oltre il semplice adeguamento contingente, per introdurre modalità di selezione, animate dalla volontà di arginare i rischi predatori, che possono provenire da Paesi terzi, ma che reagiscono anche alla reale diseguaglianza di condizioni, interna all’Unione, che inquina il libero movimento dei capitali e lascia ancora prevalere gli interessi nazionali.

Nell’attuale contesto un primo elemento distintivo, rispetto all’ordinaria disciplina di settore, si rinviene proprio nel dato situazionale, che motiva il provvedimento ed è assunto quale oggettivo acceleratore di rischio per la tutela del preminente interesse pubblico alla protezione dei beni e delle risorse di significato strategico e tra questi in modo particolare quelli attinenti alla salute. D’altro canto non può sfuggire il rilievo che, se la vicenda Covid-19 ha prodotto un’onda d’urto sul sistema economico globale mai conosciuta in tempi moderni, nell’ultimo anno, numerose sono state le occasioni, che hanno messo alla prova la tenuta della disciplina di settore[2], almeno a giudicare dalla produzione normativa, che si è registrata in materia. In ogni circostanza il motivo conduttore dell’azione legislativa interna si può agevolmente rinvenire nella volontà di preservare l’identità nazionale di attività rilevanti per l’economia, pur muovendo entro una cornice ordinatoria, che dei mercati aperti attraverso i confini ha fatto uno dei suoi principali strumenti di sviluppo. Quindi gli investimenti esteri nell’economia sono i benvenuti, fin dove non si dimostrino di ostacolo agli interessi nazionali ed è evidente che il riconoscimento del carattere emergenziale del momento abbia suscitato l’adozione di più strette modalità di controllo.

2. Meccanismi di selezione e principio di legalità

La definizione di meccanismi di selezione degli investimenti esteri diretti, in funzione della tutela di obiettivi di generale pubblico interesse, che vengono riassunti nei riferimenti concettuali alla sicurezza e all’ordine pubblico, è il risultato della transizione da modalità di presidio endosocietario – attuate mediante i vincoli di natura statutaria, che hanno accompagnato la stagione delle privatizzazioni – all’affermazione di procedimenti predeterminati di scrutinio[3], che entrano nel merito di investimenti esteri in settori dell’economia, qualificati come strategici, e che possono condurre alla loro limitazione ed interdizione. Nel passaggio si è prodotta una modificazione di prospettiva, non più limitata a mantenere un condizionamento nella gestione di aziende pubbliche cedute sul mercato, bensì orientata alla verifica degli effetti di ogni acquisizione rilevante nei settori predetti. A questo scopo sono state individuate modalità di selezione, che non costituiscono semplice presidio dello status proprietario di un’azienda, piuttosto sono la difesa del complesso di risorse, conoscenze, tecnologie, nonché dei livelli occupazionali, che fanno capo alle società contese e, loro tramite, al sistema Paese[4]. In sintesi è possibile osservare come l’intervento pubblico si rivolga in modo preminente a preservare la stabilità dei mercati ed assicurare condizioni di ordinato sviluppo dell’economia ed è in questa ottica che gli investimenti esteri durevoli vanno sottoposti a scrutinio, in rapporto al loro potenziale effetto destabilizzante. Com’è ovvio il rilievo giuridico che si riconosce in concetti di natura astratta, qual’è quello di sicurezza, ne favorisce l’applicazione rispetto ad una pluralità di fattispecie. Di converso assume centralità la compiuta definizione delle procedure d’individuazione e valutazione del caso concreto, che sottopongono l’attivazione dei poteri speciali a modalità predeterminate, a fronte di un perimetro d’indagine, sempre più dilatato e dai confini incerti[5]. Le tutele apprestate sono serventi al rilevante interesse pubblico di mantenere forme di controllo su beni e risorse, considerati patrimonio essenziale del sistema economico nazionale, secondo l’autonoma valutazione che ciascuno Stato può darne[6]. É una prerogativa che, nell’Unione europea, ha trovato un assetto condiviso con l’emanazione del regolamento (EU) 2019/452, ma che già, attraverso le autonome discipline nazionali, aveva affermato una via europea all’applicazione del golden power, il cuielemento distintivorisiedenel principio di legalità, che immette la discrezionale valutazione degli Stati nell’ambito di un procedimento amministrativo predeterminato e sottoposto al vaglio giurisdizionale. Diversa, ad esempio, la genesi che ha condotto alla formazione della disciplina dei poteri speciali negli USA, che pure è considerata fonte d’ispirazione per le regolazioni adottate al di qua dell’Atlantico, ma fin dall’inizio indirizzata alla difesa della sicurezza nazionale e che rimette la decisione, all’esito delle previste attività istruttorie, al potere insindacabile del Presidente[7].

3. Il quadro europeo di definizione e coordinamento dei poteri speciali

Il regolamento (EU) 2019/452, dispone modalità di coordinamento ed informazione tra gli Stati membri e tra questi e la Commissione nell’esercizio delle attività di esame degli investimenti provenienti da Paesi terzi. Soprattutto afferma l’attribuzione di poteri propri alla Commissione stessa, che può ora esprimere pareri a tutela dei comuni interessi[8]. La proposta di regolamento è contenuta nella comunicazione della Commissione del 13 settembre 2017[9], la cui rubrica: «Accogliere con favore gli investimenti esteri diretti tutelando nel contempo gli interessi fondamentali», dichiara l’intento di salvaguardare il principio di apertura agli investimenti di provenienza estera, subordinandone l’applicazione al rispetto dell’imperativo interesse generale, di cui ogni Stato è portatore[10]. Già in quella sede la Commissione suggeriva l’adozione di meccanismi di controllo per «determinati investimenti», constatando il diffondersi di casi di acquisizione strategica di imprese europee, che dispongono di «tecnologie fondamentali», da parte di investitori esteri, spesso controllati dallo Stato[11]. L’argomento è affrontato guardando allo scopo concreto dell’investimento, in quanto espressione non già di una normale concorrenza tra imprese, piuttosto del ricorso a strumenti di libero mercato da parte di Stati sovrani, che perseguono interessi di altra natura[12]. Alle misure di selezione spetta di entrare nel merito dell’operazione, per consentire al decisore di acquisire ogni utile elemento per esprimere la propria valutazione. Conseguente che il potere interdittivo degli Stati membri possa assumere un ruolo così pregnante, da divenire strumento rimesso ad un esercizio discrezionale del golden power da parte dei Governi, con evidente imprevedibilità e rischio di discriminazione in danno degli investitori. Le scelte comunitarie si preoccupano quindi di salvaguardare i principi, che animano i trattati e definiscono un percorso procedurale predeterminato e trasparente[13], che conduca a decisioni motivate e ricorribili. Ne discende l’indicazione di criteri procedimentali, orientati al principio di legalità e ad affermare trasparenza e non discriminazione di trattamento. In quella stessa occasione, quando cioè viene avanzata la proposta di adozione del regolamento, la Commissione UE, nel considerare il carattere vincolistico, che caratterizza le disposizioni nazionali, rivolge un significativo passaggio anche alle restrizioni introdotte per gli investimenti, che vengono effettuati all’interno dell’Unione, confermandone la compatibilità con i Trattati[14]. La sola condizione è che i vincoli siano conformati alle medesime circostanze e procedure applicative, stabilite per i flussi di capitale provenienti da Paesi terzi. Una declaratoria che esprime la diretta, forte sensibilità degli Stati membri all’argomento e riconosce la permanenza di autonome ragioni nazionali di tutela, conservando ad ogni singolo Stato piena capacità vincolistica, anche intracomunitaria.

Con l’emanazione del regolamento in discorso[15], l’Unione si è quindi dotata, per la prima volta su scala comune, di un quadro di riferimento per il controllo degli investimenti esteri diretti, sul presupposto che si tratti di materia rientrante nell’ambito della politica commerciale comune, perciò di competenza esclusiva dell’Unione, a tenore dell’art. 207, par. 1, Tfue, che include espressamente gli investimenti esteri diretti tra le materie da regolamentare secondo principi uniformi[16]. Come è stato rilevato da autorevole dottrina nasce «una nuova fattispecie di cooperazione amministrativa europea», articolata su un procedimento composto tra attività affidate al livello nazionale ed al livello europeo, che segna un importante avanzamento nel processo di integrazione comunitario in materia particolarmente sensibile, quale la sicurezza[17]. Il regolamento è orientato ai principi delle libertà di stabilimento e di movimento dei capitali, dichiarando già al Considerando (1) tutti i benefici che derivano dagli IED, mentre al Considerando (2) fa esplicito richiamo al «contesto aperto agli investimenti», affermato nel Tfue. Si preoccupa poi di dettare la cornice regolatoria dei meccanismi di controllo (art. 3), precisandone i requisiti di trasparenza, non discriminazione e ricorribilità. In sostanza si tratta degli stessi caratteri, delineati, nel tempo, dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia[18], e che già hanno conformato le discipline nazionali. Agli Stati membri il compito di fissare circostanze e motivi dei controlli, nonché le procedure da seguire. É poi introdotto l’obbligo di notificare alla Commissione le forme di selezione già esistenti ed ogni successiva modifica, allo scopo di formare e pubblicare un elenco dei meccanismi adottati. Le modalità di selezione vengono legate alla presenza di fattori critici, che riguardano l’oggetto dell’investimento ed alcune caratteristiche dell’investitore, stabilendo un percorso di valutazione comune ai Paesi membri.

Sul piano oggettivo quei fattori si traducono nel pesare l’incidenza degli investimenti «sulla sicurezza e sull’ordine pubblico», con riferimento ai molteplici settori economici, individuati all’art. 4, par. 1, del regolamento, raccolti in gruppi dedicati alle infrastrutture, alle tecnologie, ai fattori produttivi. Ne deriva che presupposto per lo svolgimento di ogni valutazione è il rilievo strategico del settore economico, dato che è l’appartenenza ad uno tra quelli indicati a consentire il concreto esame dell’investimento. In altre parole la criticità va misurata sugli effetti, che si producono nel caso specifico, a fronte dell’ampia gamma di settori individuati dalla norma. Sotto questo profilo il regolatore comunitario offre una vasta copertura settoriale, con elencazione non tassativa, che affida la valutazione degli «effetti potenziali» dell’investimento, sia al singolo Stato membro, che alla Commissione[19]. Maggiore la discrezionalità di giudizio, che deriva dall’applicare quei criteri rispetto alla tutela di diritti insopprimibili, quali il controllo su «l’accesso a informazioni sensibili» e la difesa di «libertà e pluralismo» dei mezzi d’informazione, con una prospettiva di taglio trasversale, che chiede di considerare le conseguenze, anche indirette, degli IED in ogni situazione, da cui possa scaturire un rischio per quelle libertà. Quanto al profilo soggettivo dell’investitore[20] è invece previsto un esame, che considera aspetti, che riguardano situazioni specifiche, come la presenza del controllo pubblico o il rischio di coinvolgimento in «attività illegali o criminali». Veri e propri indicatori di rischio, capaci di segnalare l’intenzione strumentale dell’investitore. Non incidono sul carattere strategico delle attività interessate, ma orientano[21] la valutazione sugli obiettivi dell’investitore e perciò sugli effetti finali dell’operazione[22].

4. Situazione di emergenza ed esercizio dei poteri speciali nella soft law dell’Unione europea

Il regolamento, rapidamente ricordato, prevede la propria applicazione a decorrere dall’11 ottobre 2020. Come si è detto però, nel frattempo, la Commissione si è vista costretta, con comunicazione del 13 marzo 2020[23], a riconoscere nella pandemia da Covid-19 un major schock per l’economia globale ed europea, invitando i Paesi membri a vigilare ed usare tutti gli strumenti disponibili, per evitare che la crisi attuale provochi la perdita di tecnologie e di beni di valore strategico[24]. Ha preannunciato inoltre linee guida per l’applicazione del regolamento (EU) 2019/452, fornite poi dalla successiva comunicazione del 25 marzo 2020[25]. Quest’ultimatorna a ripetere l’affermazione di principio di favorevole apertura dell’Unione agli investimenti esteri, perché essenziali per lo sviluppo economico, la competitività, l’impiego, l’innovazione. Il contenuto dell’intervento è però centrato sui meccanismi di selezione, con particolare attenzione al rischio di acquisizioni nei settori della sanità, delle attività industriali connesse o della ricerca, citando lo specifico esempio dello sviluppo dei vaccini. In sostanza la Commissione si preoccupa di vigilare sul rischio che gli investimenti esteri diretti[26], con un mercato europeo volatile e sottovalutato, possano risultare dannosi in via generale, ma soprattutto per la capacità dell’Unione di fornire adeguata tutela alla salute dei suoi cittadini. L’aspetto che la pandemia ha posto al centro delle necessità di protezione. La comunicazione ricorda che la responsabilità di esercitare il controllo è attribuita agli Stati membri, che sono invitati a fare pieno uso dei meccanismi di selezione, di cui dispongono – ovvero di adottarne ove assenti – per il settore della salute e per ogni altro settore di rilievo critico, allo scopo di prevenire i movimenti di capitali da Paesi terzi, che potrebbero compromettere la sicurezza o l’ordine pubblico europei. Sollecita la cooperazione tra gli Stati, quando gli IED possono aver negativo impatto sul mercato unico dell’Unione, precisando che le acquisizioni di beni connessi all’assistenza sanitaria avrebbero esattamente un effetto del genere. Apre poi al riesame delle acquisizioni estere in corso, per dare applicazione alle disposizioni del regolamento, rilevando come gli investimenti, che non sono stati sottoposti a selezione, restano soggetti per quindici mesi dal loro completamento ad osservazioni e pareri da parte degli Stati membri, che possono adottare le conseguenti misure di mitigazione[27].

In sintesi la Commissione UE è rapidamente intervenuta all’interno dell’assetto regolatorio dato, per sollecitare l’utilizzo di meccanismi di selezione degli IED, accelerare alcuni effetti del reg. (EU) 2019/452 e dichiarare in modo esplicito il carattere strategico delle attività connesse alla ricerca e all’industria nel settore salute, in rapporto ad un’esigenza di sicurezza, che resta affidata alla valutazione del singolo Stato membro, ma è immessa in un quadro di coordinamento, che ne afferma il rilievo di carattere comunitario.

5. La dilatazione delle esigenze di sicurezza nell’ordinamento interno

Nell’ordinamento interno, com’è noto, la disciplina organica della materia risale al decreto golden power, il d.l. 15 marzo 2012, n. 21. La dottrina, tra l’altro, ha segnalato la similitudine di questo assetto ordinatorio con le discipline vincolistiche, rivolte al controllo di specifici settori economici, con lo scopo di assicurare tutela a valori di rilievo costituzionale[28]. Peraltro le disposizioni di golden power non s’indirizzano a dettare requisiti d’ingresso, di esercizio o altri adempimenti connessi al concreto svolgimento delle attività considerate. Forniscono invece uno strumento utilizzabile verso una pluralità di settori economici, per attuare una supervisione su ragioni ed effetti dei flussi di capitale, connessi ad un investimento estero. L’intervento dello Stato afferma un sistema di controllo, che si propone fini di pubblico interesse, riassunti dai concetti di sicurezza ed ordine pubblico. Piuttosto che con prescrizioni ordinatorie settoriali, l’analogia sembra proporsi con discipline di tutela di natura trasversale, come, ad esempio, l’adeguata verifica o la limitazione all’uso dei contanti in materia di antiriciclaggio, espressione della ricerca di un bilanciamento tra necessità di protezione e vincoli alle libertà. Lo Stato si è dotato di uno strumento di vigilanza sugli assetti proprietari e sulla governance delle società in questione, esercitato a prescindere dalla nazionalità degli azionisti. Il meccanismo del golden power può essere attivato indifferentemente nei confronti di soggetti italiani, comunitari o extra UE, verso i quali si è però previsto un potere di intervento «rafforzato»[29].

Sotto la spinta dei concreti accadimenti, il concetto di sicurezza è stato di volta, in volta invocato a difesa dell’imperativo interesse pubblico, riconosciuto sempre in nuovi settori di attività economica, spaziando dai fattori produttivi alle informazioni sensibili, fino alle infrastrutture finanziarie[30]. É poi nel corso del 2019 che il legislatore è intervenuto ripetutamente, dapprima con il d.l. n. 22 del 2019, per classificare le reti di telecomunicazione elettronica a banda larga con tecnologia 5G, come attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale. Quindi con il d.l. n. 64 del 2019, peraltro decaduto per mancata conversione[31]. Infine con la l. 18 novembre 2019, n. 133, che, nel convertire il d.l n. 105 del 2019[32], ha ancora modificato «la disciplina dei poteri speciali nei settori di rilevanza strategica». In questa occasione il legislatore è intervenuto, per adattare l’assetto normativo alle nuove disposizioni comunitarie. Tra l’altro ha traslato l’elencazione contenuta nell’art. 4, par. 1, del ripetuto regolamento, in modo da sottoporre ai meccanismi di selezione degli investimenti «i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale, ulteriori rispetto a quelli individuati»[33], ottenendo l’immediato allargamento del novero dei settori suscettibili di valutazione in chiave di IED.

Il quadro normativo che ne è derivato mantiene la stessa bipartizione regolatoria, affermata nei Trattati. Da un lato il principio di tutela della sicurezza viene declinato con un significato strettamente legato alla difesa, anche di natura bellica, e perciò focalizzato sui rischi, provocati dagli investimenti esteri «in caso di minaccia di grave pregiudizio per gli interessi essenziali della difesa e della sicurezza nazionale»[34]. Le previsioni conseguenti attingono all’art. 346 Tfue, che dispone una riserva di competenza in favore degli Stati membri, per cui «i trattati non ostano» all’adozione delle misure, che ogni Stato ritenga di assumere in relazione «alla tutela degli interessi essenziali della propria sicurezza». Le eventuali restrizioni adottate non devono alterare le condizioni di concorrenza nel mercato interno – eccezion fatta per le produzioni «specificamente militari» -, ma non incontrano ostacoli nel regolare anche gli investimenti intracomunitari. Di conseguenza la norma nazionale si rivolge in modo indistinto ad investitori esteri, sia interni all’Unione europea, sia di Paesi terzi[35]. Per tutti gli altri settori, cui è riconosciuto rilievo strategico, la nozione di sicurezza esprime invece uno scopo protezionistico ad ampio spettro, che si misura con il principio della libertà di movimento dei capitali, affermato nell’art. 63 Tfue[36], con valore erga omnes, perciò direttamente invocabile anche da investitori di Paesi terzi. L’affermazione è temperata dal diritto degli Stati membri di mantenere ovvero applicare restrizioni, nelle diverse ipotesi indicate dai successivi artt. 64 e 65 Tfue. In particolare quest’ultimo, attraverso la formula di chiusura, recata dal par. 1, lett. b), ammette l’adozione di misure «giustificate da motivi di ordine pubblico o di pubblica sicurezza», senza distinguere tra investitori esterni od interni all’Unione e lasciando agli Stati membri l’individuazione degli interessi generali da tutelare. Ugualmente è fatta salva la possibilità di disporre limitazioni «in materia di diritto di stabilimento», in quanto «compatibili con i trattati».

Le forme di controllo disciplinate con il decreto golden power sono rivolte a verificare gli effetti delle modificazioni nell’assetto proprietario, sia per composizione, che per proporzione, e delle decisioni, che incidono sulla governance delle società, coinvolte negli investimenti esteri diretti. Per quanto riguarda la situazione proprietaria, i poteri speciali d’intervento sono indirizzati verso i soli soggetti esterni all’Unione, in ipotesi di «acquisto […] di partecipazioni in società, che detengono gli attivi individuati come strategici»[37], alla condizione però che si tratti di investimenti durevoli, che determinano l’insediamento stabile dell’acquirente. In proposito si può osservare che gli investitori di Paesi terzi non possono avvalersi della libertà di stabilimento[38], anzi continuano ad essere considerati esterni anche quando risultino stabiliti in un Paese membro dell’Unione, se sottoposti al controllo, diretto o indiretto, di persona fisica o giuridica extra Ue ovvero qualora «sussistano elementi che indichino un comportamento elusivo», rispetto alle disposizioni, che regolano la materia[39]. É una definizione particolarmente restrittiva, che il legislatore interno ha usato per precludere a questa tipologia d’investitore la possibilità di mutarsi in soggetto stabilito, in conseguenza del suo insediamento già conseguito all’interno dell’Unione. Quanto invece alle decisioni di tipo endosocietario, che comportano variazioni nella titolarità, nel controllo o nella disponibilità «degli attivi […] o il cambiamento della loro destinazione» s’incontra un’ulteriore modulazione dei poteri. É imposto un generalizzato obbligo di notifica alle Autorità preposte, che non esclude gli investitori intracomunitari, per i settori economici dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni. Diversa la scelta quando si tratta dei settori indicati con rinvio al reg. 2019/452[40], in questa ipotesi la notifica per le scelte di governance è richiesta soltanto, quando comportino dei risultati «a favore di un soggetto esterno all’Unione» ovvero abbiano l’effetto di trasferire la «sede sociale in un Paese non appartenente all’Unione europea».

Da questa diversità di struttura regolatoria sono derivate le note difficoltà interpretative, incontrate nell’applicazione del disposto, che attiene al trasferimento «a qualsiasi titolo» di partecipazioni, posto che il tenore letterale della norma fa riferimento all’acquisto «da parte di un soggetto esterno all’Unione europea». D’altronde esigenze di tutela degli imperativi interessi nazionali si sono proposte al decisore interno con intensità forse maggiore, per operazioni effettuate da investitori intracomunitari, che non per investimenti extra UE[41]. Conseguente che l’interpretazione dell’Autorità abbia condotto ad un’applicazione estensiva dell’obbligo di notifica, anche nei confronti di investitori intracomunitari. La decisione assunta in rapporto al caso concreto ha evidenziato la necessità di chiarire l’ambito applicativo della norma, dimostrando come la sola difesa degli asset strategici, attraverso il controllo sulle decisioni di governance, non fornisca piena tutela degli imperativi interessi generali. Il cambiamento degli assetti proprietari può infatti comportare la subordinazione a disegni imprenditoriali, che hanno il concreto effetto di frenare la crescita e lo sviluppo delle realtà nazionali.

6. La difesa dei livelli occupazionali e della produttività

Alcune disposizioni che il decreto liquidità dedica alla materia, con il dichiarato scopo di accrescere le possibilità d’intervento selettivo delle Autorità, sono dotate di una valenza di tipo transitorio, legata all’attuale situazione di emergenza. Altre incidono invece stabilmente sui processi di selezione, dettate dalla necessità di integrare aspetti regolatori, che avevano mostrato difficoltà applicative. In tal senso l’art. 16 apporta modifiche al decreto golden power, inserendo, opportunamente, la possibilità di attivare d’ufficio il procedimento di selezione degli investimenti «nei casi di violazione degli obblighi di notifica […], anche in assenza della notifica». Viene inoltre stabilito che, nell’ambito delle attività istruttorie, si potrà avanzare la richiesta di «informazioni e di esibire documenti» a soggetti pubblici e privati, sempre allo scopo di acquisire elementi utili a valutare l’investimento estero. L’art. 17 interviene invece sulla disciplina delle società quotate, per integrare l’art. 120 t.u.f., attribuendo alla Consob la facoltà di prevedere una nuova soglia del 5%, per l’obbligo di comunicazione delle partecipazioni rilevanti, in caso di acquisto nel capitale di emittenti quotati «ad azionariato particolarmente diffuso». La modifica non è legata ad un termine di efficacia, la decisione affidata all’Autorità di vigilanza può però avere effetto soltanto «per un periodo di tempo limitato», oltre a dover essere motivata da esigenze di tutela degli investitori e da obiettivi di «efficienza e trasparenza del mercato». La formula replica la soluzione adottata nel corpo dello stesso art. 120 t.u.f., in relazione alla determinazione della soglia minima di partecipazione nel capitale di una società quotata, e ne mantiene il carattere circoscritto nel tempo, che ben si adatta all’attuale congiuntura.

In coda al medesimo art. 17, in sede di conversione, è stato aggiunto un comma 1bis[42], quanto meno eterogeneo rispetto al quadro regolatorio sin qui delineato. È questa una delle prescrizioni con valenza transitoria al 31 dicembre 2020, ma che associa alla situazione contingente «l’ulteriore finalità della tutela del mantenimento dei livelli occupazionali e della produttività». L’obiettivo viene connesso a due specifici settori economici: l’agroalimentare e la siderurgia[43]. L’esplicito riferimento a quei settori è lo specchio della loro particolare rilevanza e del peso esercitato sull’intero sistema produttivo nazionale[44], tanto da suscitare un’espressa affermazione protezionistica. Per altro verso un collegamento limitato ai due settori e la qualificazione di «ulteriore» attribuita a quella finalità sembrano dichiarare, che si tratti di uno scopo, estraneo ai fattori critici usualmente considerati dai meccanismi di selezione. La previsione normativa comporta comunque la necessità di avere cognizione degli effetti dell’investimento estero rispetto ad una finalità, che introduce un indicatore di rilievo strategico, che viene connesso ai soli due settori evidenziati. Non sembra dubbio che l’esercizio dei poteri speciali acquisti così una nuova prospettiva, peraltro entro un termine e con ambiti delimitati, ma dove è eminente l’impatto dell’investimento, rispetto allo scopo dichiarato dalla norma. In altre parole beni e risorse dei settori considerati acquisiscono valore strategico, in rapporto agli effetti occupazionali e produttivi, che ne derivano. In proposito si può osservare, che le generali ragioni protezionistiche, che hanno condotto alla definizione di un quadro dei poteri speciali a tutela degli imperativi interessi nazionali, sono già aperte a comprendere quegli stessi obiettivi. Se i meccanismi di selezione sono rivolti alla tutela del sistema Paese nel suo insieme, non sembra dubitabile che aspetti come produttività ed occupazione ne costituiscano una componente centrale, idonea a motivare le ragioni di una decisione ostativa all’investimento. É però altrettanto manifesto che l’esplicita indicazione normativa concentra l’attenzione su componenti del sistema economico, particolarmente esposte agli effetti, che possono derivare dall’attuale situazione d’instabilità. La scelta non appare distonica rispetto al quadro comunitario di riferimento, né introduce elementi di discrezionalità, che possono alterare i criteri di predeterminazione e ricorribilità, che presiedono ai procedimenti di controllo. D’altronde il reg. (EU) 2019/452, nell’indicare l’opportunità di disporre di fattori critici da considerare «nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico», precisa che tale elenco «dovrebbe restare non esaustivo» ed aggiunge una vasta casistica di «fattori pertinenti» di cui gli Stati membri e la Commissione dovrebbero tenere conto[45]. Il comma aggiunto all’art. 17, l. n. 40 del 2020, mette in luce le ripercussioni sociali, che possono conseguire ad un investimento estero, con una esplicitazione di finalità, che piuttosto che introdurre nuovi contenuti precettivi, si fa portatrice di un criterio valoriale, capace di orientare l’analisi a fini selettivi degli investimenti. Così facendo segnala un primario obiettivo di tutela, secondo una scala, che fa delle urgenze sociali l’elemento che guida il giudizio sugli effetti potenziali dell’investimento. Non può sfuggire come la norma s’ispiri al ben noto principio affermato all’art. 41 cost., che lega la libertà di iniziativa economica alla sua utilità sociale. Se dunque la libera circolazione dei capitali attraverso i confini nazionali è manifestazione della privata autonomia, che concorre alla crescita economica del Paese, il legislatore sottolinea la necessità di misurare primariamente ogni investimento in rapporto alle sue conseguenze sul piano sociale. Si può osservare infine come, accanto alla tutela del diritto alla salute dei cittadini, emerga l’esigenza di fronteggiare le conseguenze della pandemia, anche per aspetti di più diretto impatto con l’attuale situazione dei mercati.

7. Obblighi estesi agli investitori intracomunitari

É invece l’art. 15 a definire nuovi e più estesi obblighi di notifica degli investimenti[46], senza però intervenire direttamente sul decreto golden power. In primo luogo va infatti a sostituire l’art. 4bis, comma 3, del d.l. n. 105 del 2019[47], una norma di tipo transitorio, che disponeva lo scrutinio sugli acquisti di partecipazioni, fin tanto che la normativa secondaria, non avesse provveduto a determinare i beni e i rapporti di rilevanza strategica[48]. Riguardava le acquisizioni da parte dei soli soggetti esterni all’Unione, «a qualsiasi titolo», di partecipazioni in società, che detenevano attivi nei settori indicati nel reg. (EU) 2019/452, art. 4, par. 1, ma limitatamente alle lettere a) e b) di quell’elenco. L’acquisto doveva inoltre determinare l’insediamento stabile dell’investitore, come conseguenza del controllo ottenuto. In sintesi la selezione operava rispetto ad investitori di Paesi terzi, per acquisti che comportavano l’insediamento di una stabile organizzazione e riguardavano i soli settori indicati. Nella nuova versione i criteri, che guidano l’azione selettiva cambiano completamente. Ora l’obbligo di notifica per l’acquisto a qualsiasi titolo di partecipazioni, si rivolge a tutti gli investitori e non più soltanto ad «un soggetto esterno all’Unione». Inoltre, sul piano oggettivo, viene riconosciuto valore critico all’intera gamma dei settori elencati all’art. 4, par. 1, reg. (EU) 2019/452, superando la precedente limitazione alle sole infrastrutture, «siano esse fisiche che virtuali», ed alle tecnologie e prodotti a duplice uso. A fugare il rischio di possibili diverse interpretazioni il legislatore si preoccupa di precisare, che nel settore finanziario sono compresi anche il creditizio e l’assicurativo, a sottolineare il rilievo di quei comparti dell’economia e malgrado si tratti di attività sottoposte ad intensa regolazione pubblicistica. Analoga precisazione riguarda il settore sanitario, per rendere esplicito, che ne fanno parte «la produzione, l’importazione e la distribuzione all’ingrosso di dispositivi medicali, medico chirurgici e di protezione individuale». Dove è evidente l’esigenza difensiva, che s’indirizza a funzioni ed attività di specifico peso nella corrente necessità di garantire forniture sanitarie in misura adeguata all’attuale picco di domanda. Scompare infine il richiamo alle sole operazioni, che determinano un «insediamento stabile» conseguente all’acquisizione del controllo della società interessata. La sua eliminazione lascia intendere che ogni acquisto di partecipazioni debba essere notificato, a prescindere dalla sua rilevanza ai fini del controllo societario e, di conseguenza, anche dal suo carattere durevole. I meccanismi di golden power vengono applicati in massima scala, per rispondere alla particolare vulnerabilità del sistema Paese. L’esatta determinazione degli asset, che hanno connotazione strategica resta riservata alla normativa secondaria, nel frattempo però il panorama dei settori economici, vincolati al controllo, è esteso all’intera latitudine del ricordato art. 4, par. 1, reg. (EU) 2019/452. L’esigenza di tutela viene così assicurata attraverso la sottoposizione a controllo di ogni investimento estero diretto, volto all’acquisto di una partecipazione in società operanti nell’ampio novero di quei settori. La norma mantiene la precedente validità temporale, confermandosi come disposizione di collegamento con la futura regolazione di secondo livello, per la cui adozione però non è posto alcun termine. Il che lascia immaginare una certa stabilità per l’estensione degli effetti delle nuove previsioni introdotte.

Si aggiunge poi un comma 3bis, con il quale s’introducono regole valide fino al 31 dicembre 2020, per «contrastare l’emergenza epidemiologia […] e contenerne gli effetti negativi», perciò con effetti limitati nel tempo e nello scopo. Soltanto per il periodo considerato sono imposti nuovi obblighi di notifica, che gli investitori devono rispettare sia per le decisioni societarie, che hanno effetto sulla disponibilità degli attivi, sia per l’acquisto di partecipazioni nel capitale delle società, che quegli attivi detengono. Quanto alle decisioni che riguardano la governance societaria, l’obbligatorietà della notifica è stabilita in via generale, per ogni decisione modificativa di titolarità, controllo o disponibilità o da cui derivi il cambiamento della destinazione degli attivi e senza distinguere tra investitori esterni od interni all’Unione. In tal modo sono rafforzati, o meglio, superati i vincoli che pure il decreto golden power detta, ma con riguardo ai beni e rapporti di rilevanza strategica, definiti «ulteriori»[49], e soltanto per le decisioni societarie, indirizzate «in favore di soggetto esterno all’Unione» ovvero che comportano «il trasferimento della sede sociale in un Paese non appartenente all’Unione europea». Ben si vede qui, come la disciplina transitoria ricerchi la maggiore ampiezza dell’ambito d’intervento a fini di protezione, sia per oggetto che per soggetti coinvolti. Ugualmente per gli acquisti «a qualsiasi titolo di partecipazioni» nelle società, che detengono attivi rilevanti, l’intervento normativo del decreto liquidità vuole allargare le possibilità applicative dei meccanismi di selezione. Gli obblighi di notifica riguardano infatti l’acquisto «da parte di soggetti esteri, anche appartenenti all’Unione europea» e per tutti i settori economici, che il decreto golden power individua[50], sempre che si tratti di acquisizione, che procuri l’insediamento stabile dell’investitore. É esattamente il punto controverso che, come si è detto[51], ha fin qui sollevato forti dubbi interpretativi e viene risolto con l’esplicito riferimento anche agli investitori intracomunitari. Sono resi più stringenti i vincoli posti ad acquirenti di Paesi terzi, per i quali s’introduce la necessità di notifica per gli acquisti di partecipazioni, anche se per quote che non consentono il controllo, mutuando il meccanismo delle soglie, previsto nel t.u.f., per la comunicazione obbligatoria delle partecipazioni rilevanti. Anche in questo caso i vincoli che il decreto golden power normalmente dispone, sono superati. Si assiste infatti all’estensione nei confronti dei soggetti intracomunitari, accogliendo un’esigenza che, come si è detto, aveva già spinto l’esecutivo all’esercizio dei poteri speciali anche nei loro confronti. Per i soggetti di Paesi terzi non si tiene conto dell’acquisizione del controllo della società interessata all’investimento. Ne risulta un metodo di selezione di largo impatto, che va ad intercettare investimenti anche contenuti in termini quantitativi. Si può osservare che l’assetto regolatorio così definito, da una parte individua i presupposti dell’esame, obbedendo alle regole di trasparenza e conoscibilità, dall’altra riserva un trattamento diverso e più stringente agli investitori esterni all’Unione, con scelta che solleva qualche perplessità, almeno sotto il profilo della non discriminazione.

8. Un richiamo al principio di solidarietà

La situazione di emergenza ha spinto il legislatore interno verso un’estensione applicativa dei meccanismi di protezione, che non si limita a rafforzare gli strumenti di selezione degli IED, in adesione alle indicazioni di soft law della Commissione. Piuttosto l’occasione ha consentito di rispondere ad un’esigenza di tutela, che si era manifestata da tempo anche nei confronti degli investitori intracomunitari. Sotto questo profilo è possibile osservare che l’iniziativa sembra sfuggire alla linea armonizzata di tutela, dettata dal reg. (EU) 2019/452, per sostenere il generale interesse pubblico in chiave nazionale, sulla base della concreta casistica, che si è prodotta negli ultimi anni. D’altra parte ad ogni dose di maggior protezione introdotta, corrisponde una maggiore restrizione degli spazi di autonomia privata. Si può discutere dell’adeguato bilanciamento raggiunto tra esigenze di tutela nazionale e diritti degli operatori economici, ma le conseguenze dell’epidemia hanno provocato o, comunque, dato occasione per un’evidente reazione difensiva, che ha provocato l’innalzamento delle barriere all’ingresso per gli investitori esteri. Le considerazioni sui caratteri soggettivi dell’investitore e sul controllo esercitato dagli Stati sovrani, sono scivolate in secondo piano, superate da nuove e immediate necessità, che guardano al diritto alla salute, all’occupazione, alla capacità produttiva del Paese. Al tempo stesso il profilo protezionistico, che si è delineato è chiaro indice delle difficoltà, che incontra il cammino verso l’Unione europea, quando permangono situazioni di concorrenza tra sistemi paese, caratterizzati da costi e politiche diversi e lontani da un’effettiva convergenza. Una riflessione o, meglio, una constatazione conclusiva in un percorso di costruzione europea, che si dimostra ancora lungo e insidioso, può portare a considerare come la pandemia abbia prodotto una situazione di particolare crisi non solo sanitaria ed economica, ma anche istituzionale. É emersa infatti la fragilità di un sistema comunitario improntato alle libertà di scambio nei mercati, ma scarsamente orientato alla solidarietà, malgrado nel preambolo del Tue si possa leggere che gli Stati membri hanno dato vita all’Unione anche «desiderando intensificare la solidarietà tra i loro popoli rispettandone la storia, la cultura e le tradizioni» e ancora all’art. 3 si affermi che l’Unione «promuove la coesione economica, sociale e territoriale, e la solidarietà tra gli Stati membri».

 

[1] «L’Italia è anche il primo paese che, in questo ambito, ha fatto specifico riferimento alle operazioni infra-Ue. Anche se non è l’unico paese che applica la disciplina del controllo diretto anche di investitori europei. In Francia, in tal senso, è attivo per alcuni settori ritenuti strategici», così G. Napolitano, inA. Montanari, Il Golden Power non deve distorcere i mercati, in Assinews.it, 12 giugno 2020.

[2] Di particolare rilievo il caso dell’acquisizione del controllo di fatto, da parte del gruppo francese Vivendi, di una società come Telecom, che detiene e gestisce una fondamentale infrastruttura di rete nel settore delle telecomunicazioni. Altra vicenda di estrema attualità è relativa alla messa al bando di Huawei da parte di alcuni paesi, come Usa e Australia, che hanno escluso dall’asta del 5G il colosso hi-tech di Shenzen con l’accusa di spionaggio industriale e ingerenze di intelligence, mentre in Italia il settore delle telecomunicazioni a banda larga è stato sottoposto al controllo ai fini della sicurezza nazionale.

[3] In proposito, tra gli altri, cfr. A. Comino, Golden Powers per dimenticare la Golden Share, in Riv. it. dir. pubb. com., 2014, 1038: «in questa fase, Stati come la Francia, la Germania e l’Italia hanno posto maggiormente l’attenzione al tema degli investimenti stranieri e ai rischi da essa derivanti per la sicurezza e gli interessi nazionali. In questi paesi sono stati introdotti sistemi di controllo affatto dissimili da quello americano, che ne è stato evidentemente il modello di ispirazione». Cfr. in argomento, ampiamente: M. Lamandini, Libera circolazione dei capitali, diritto di stabilimento e diritti speciali a favore dello stato: dalla golden share al golden power, in M. Benedettelli e M. Lamandini (diretto da), Diritto societario europeo e internazionale, Torino, 2016, 107 e ss.; Id., Golden share e libera circolazione dei capitali in Europa e in Italia, in Giur. comm., 2016, 671; A. Sacco Ginevri eF.M. Sbarbaro, La transizione dalla golden share ai poteri speciali dello Stato nei settori strategici: spunti per una ricerca, in LNCC, 2013, 109 e ss. V. inoltre F. Bassan, Dalla golden share al golden power: il cambio di paradigma europeo nell’intervento dello Stato nell’economia, in Dir. int. eur., 2014, 57 ss.; A. Triscornia, Golden power: un difficile connubio tra alta amministrazione e diritto societario, in Riv. soc., 2019, 736: «In questo senso il d.l.15 marzo 2012 n. 21[…] segna un punto di rottura rispetto alla previgente disciplina; e la veste della decretazione d’urgenza, scelta dall’Italia per prevenire una terza condanna ad opera della Corte di Giustizia, non deve trarre in inganno. L’antefatto dell’intervento governativo nulla toglie alla portata innovatrice del passaggio dai meccanismi della golden shareal sistema del golden power»e il recente articolo di R. Magliano, Gli orientamenti della Commissione europea sul controllo degli investimenti esteri diretti e i golden powers rafforzati in tempo di pandemia, in Riv. dir. banc., luglio 2020.

[4] Sul punto, tra agli altri, A. Sacco Ginevri eF.M. Sbarbaro,La transizioni dalla golden share ai poteri speciali dello Stato nei settori strategici: spunti per una ricerca, cit., 147: «emblema del mutamento di prospettiva richiamato è l’eliminazione di congegni di diritto societario a contenuto “singolare” piegati a esigenze pubblicistiche – quali, ad esempio, le clausole statutarie immodificabili (i.e. quelle che contenevano i precedenti poteri speciali) o gli amministratori di nomina pubblica obbligatoriamente privi del diritto di voto – a fronte dell’attrazione delle imprese strategiche vigilate entro schemi di supervisione esterna e “per settore”».

[5] In proposito cfr. Senato della Repubblica, Golden Power d.l.n. 64 del 2019/A.S. 1412 (decaduto per mancata conversione), documentazione per l’esame parlamentare, 2: «Per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, la Commissione europea ha adottato nel 1997 una apposita Comunicazione, nella quale ha chiarito che l’esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su criteri obiettivi, stabili e resi pubblici e se è giustificato da motivi imperiosi di interesse generale. Riguardo agli specifici settori di intervento, la Commissione ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro, qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica purché, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, sia esclusa qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economico».

[6] É la posizione emersa dalla decisione del Panel WTO, 5 aprile 2019 (DS512), Russia – Measures concerning traffic in transit, ricorrente Ukraine, nel riconoscere ad ogni Stato la possibilità di definire cosa considerare d’interesse per la sua sicurezza: «As for the discretion accorded to a Member under the chapeau of Article XXI(b), the Panel found that “essential security interests” could be generally understood as referring to those interests relating to the quintessential functions of the state. The Panel observed that the specific interests at issue will depend on the particular situation and perceptions of the state in question and can be expected to vary with changing circumstances. For these reasons, the Panel held that it is left in general to every Member to define what it considers to be its essential security interests (see paras. 7.130-7.131)».

[7] Per diffusi riferimenti in argomento si rinvia a A. Triscornia, Golden power: un difficile connubio tra alta amministrazione e diritto societario, cit., 737.

[8] Alla Commissione UE è attribuito il potere di esprimere pareri. In particolare è l’art. 8 del reg. (EU) 2019/452 che ne lega la possibilità al caso in cui «un investimento estero diretto possa incidere su progetti o programmi di interesse per l’Unione per motivi di sicurezza o di ordine pubblico». Lo stesso articolo al par. 3 precisa che: «Ai fini del presente articolo, tra i progetti o programmi di interesse per l’Unione figurano quelli che comportano un importo consistente o una quota significativa di finanziamenti dell’Unione o quelli che rientrano nel diritto dell’Unione in materia di infrastrutture critiche, tecnologie critiche o fattori produttivi critici che sono essenziali per la sicurezza e l’ordine pubblico. L’elenco dei progetti o programmi di interesse per l’Unione figura nell’allegato».

[9] V. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni, Brussels, 13 settembre 2017 COM(2017)494final, nel sito eur-lex.europa.eu/legal-content.

[10] Ampiamente sul regolamento (EU) 2019/452 cfr. G. Napolitano, Il regolamento sul controllo degli investimenti esteri diretti: alla ricerca di una sovranità europea nell’arena economica globale, in Riv. reg. merc., 2019, 1, a commento del reg. UE 2019/452, dove:«Per un altro verso, può ritenersi uno dei primi e più organici tentativi di affermare una nuova sovranità europea nell’arena economica globale, eventualmente declinabile anche in chiave protezionista».

[11] In proposito la Comunicazione 13 settembre 2017, cit. 1, richiama espressamente il «Documento di riflessione sulla gestione della globalizzazione», COM(2017) 240 del 10 maggio 2017. In argomento, con accento sulla concorrenza tra Stati in campo economico, L. Arnaudo, À l’économie comme à la guerreNota su golden power, concorrenza e geo-economia, in Merc. con. reg., 2017, 435: «Normativa e prassi nazionale, peraltro, non rappresentano un caso originale e isolato, risultando piuttosto espressione di una tendenza che ha assunto anche una dimensione comunitaria, con un corposo pacchetto di documenti e proposte normative sugli scambi commerciali reso noto il 13 settembre 2017». Diffusamente sul dibattito e sulle proposte formulate in materia di Fondi Sovrani e regolazione dei settori strategici, S. Alvaro, M. Lamandini, A. Police eI. Tarola, La nuova via della seta e gli investimenti esteri diretti in settori ad alta intensità tecnologica. Il golden power dello Stato italiano e le infrastrutture finanziarie, in Quad. giur. Consob, 20, febbraio 2019, 16 ss.

[12] Sul punto, tra gli altri, cfr. A. Sacco Ginevri, Società, golden power verso un modello più europeo, in NTplusfisco, 5 ottobre 2019: «Per assicurare tale equilibrio le barriere all’ingresso dovrebbero tener conto dei vincoli che gli operatori domestici incontrano in uscita, secondo la tradizionale regola della reciprocità. Inoltre, gli acquirenti stranieri dovrebbero agire secondo logiche prettamente imprenditoriali – e dunque in leale e trasparente concorrenza con gli altri operatori – e non a servizio di forze politiche o in rappresentanza di interessi pubblici stranieri». Ancora L. Arnaudo, À l’économiecomme à la guerreNota su golden power, concorrenza e geo-economia, cit., 434 per il richiamo ad una riflessione in chiave di intelligence economica ed il rinvio alla teoria di Strangesul potere strutturale nell’ambito della politica economica internazionale, che si basa su quattro fattori portanti: sicurezza, produzione, finanza, conoscenza.

[13] V. Comunicazione 13 settembre 2017, cit. 11: «Inoltre, la Commissione propone misure proporzionate e trasparenti e nel contempo riduce al minimo gli oneri amministrativi che pesano su governi e investitori. La proposta garantisce anche un regime per gli investimenti tra paesi terzi diversi basato sulle regole, prevedibile e non discriminatorio, in linea con i principi fissati nella pertinente giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione europea».

[14] V. ancora Comunicazione 13 settembre 2017, cit., 8: «I meccanismi di controllo nazionali rappresentano una restrizione alla libera circolazione dei capitali e alla libertà di stabilimento, in particolare per quanto riguarda gli investimenti all’’interno dell’UE. Tuttavia, il trattato consente agli Stati membri di adottare provvedimenti volti a limitare tali libertà purché non introducano discriminazioni basate sulla nazionalità, possano essere giustificati, in particolare da motivi di sicurezza pubblica o ordine pubblico o da altri motivi volti a tutelare gli interessi generali definiti dalla Corte di giustizia, e rispettino i principi di proporzionalità e certezza del diritto».

[15] In argomento, tra gli altri, S. Vellucci, The new regulation on the screening of FDI: the quest for a balance to protect EU’s essential interests, in Dir. comm. int., marzo 2019, 122: «The principal points that will be dealt with are the asymmetries related to the voluntary character of national screening systems; the pros and cons connected to the cooperation mechanism; the subjective and objective criteria for the screening; the limitation of the scrutiny to the grounds of security and public order or the potential inclusion of references also to reciprocity or economic considerations (section IV.2)».

[16] Sembra utile ricordare anche il par. 6 dell’art. 207 Tfue: «L’esercizio delle competenze attribuite dal presente articolo nel settore della politica commerciale comune non pregiudica la ripartizione delle competenze tra l’Unione e gli Stati membri e non comporta un’armonizzazione delle disposizioni legislative o regolamentari degli Stati membri, se i trattati escludono tale armonizzazione». In proposito cfr. anche R. Magliano,Tutela degli interessi strategici e controllo degli investimenti esteri diretti: la proposta di regolamento delle istituzioni europee, in Dir. comm. int., settembre 2018, 699: «Come noto il tema degli IED è ancora oggetto di chiarimenti e la Corte di Giustizia solamente nel recente Parere n. 2 del 2015, sulla competenza a concludere un accordo di libero scambio con Singapore, ha chiarito la portata della competenza dell’Unione in materia di politica commerciale comune: in particolare i giudici europei hanno statuito che vi sia un’ampia area di competenza esclusiva dell’Unione ad esclusione degli investimenti esteri “di portafoglio” e del regime di risoluzione delle controversie tra investitori e Stati. Sebbene l’art. 207 Tfue sia stato riformulato, l’azione dell’Unione non può arrivare ad impedire agli Stati membri di esercitare le proprie competenze esclusive in materia di ordine pubblico e sicurezza: in tale prospettiva, gli Stati membri dovrebbero poter adottare, nel rispetto del diritto dell’UE, le misure necessarie ad evitare l’elusione dei loro meccanismi di controllo e delle relative decisioni. Essi devono comunque garantire un level playing field oltre ad un quadro normativo che delinei confini precisi entro cui tutti gli operatori possano operare».

[17] V. ancora G. Napolitano,Il regolamento sul controllo degli investimenti esteri diretti: alla ricerca di una sovranità europea nell’arena economica globale, cit., par. 5.

[18] La giurisprudenza della Corte di Giustizia ha progressivamente delineato la compatibilità di un «trattamento nazionale», che comporta restrizioni alle due libertà fondamentali di movimento dei capitali e del diritto di stabilimento, nel rispetto del criterio di proporzionalità, di carattere non discriminatorio e giustificato da motivi di imperativo interesse pubblico. In proposito cfr. A. Triscornia, Golden power: un difficile connubio tra alta amministrazione e diritto societario, cit., 733 e s.; ampiamente S. Alvaro, M. Lamandini, A. Police eI. Tarola, La nuova via della seta e gli investimenti esteri diretti in settori ad alta intensità tecnologica. Il golden power dello Stato italiano e le infrastrutture finanziarie, cit., 12 ss.

[19] Circa l’individuazione dei settori strategici M. Massella Tucci Teri, La disciplina nazionale sul Golden Power, primi problemi applicativi, in Aa. Vv.,Golden Power, raccolta interventi SIRS, dicembre 2019, 159 e ss., ricorda come l’Avvocatura di Stato ritenga tassativo l’elenco delle attività strategiche individuate nella normativa secondaria in applicazione dell’art. 1, comma 1, l. n. 56 del 2012, richiamando la giurisprudenza della Corte di Giustizia laddove indica «che una delle condizioni generali di legittimità di simili meccanismi di controllo è che il regime dei poteri speciali sia fondato, tra l’altro, su criteri noti in anticipo alle imprese interessate. Ciò, al fine di evitare un utilizzo arbitrario del potere da parte dell’amministrazione e fornire al giudice nazionale criteri sufficientemente precisi per consentirgli un controllo sull’esercizio di tale potere. In breve, l’investitore dovrebbe sapere in anticipo se l’investimento è, o meno, soggetto al golden power e, a tal fine, deve essere nella condizione di conoscere se le attività della società target possano rientrare tra quelle considerate strategiche».

[20] La definizione di investitore estero “ai fini del presente regolamento” è contenuta all’art. 2, par. 1, n. 2), reg. (EU) 2019/452: “«investitore estero», una persona fisica di un paese terzo o un’impresa di un paese terzo che intende realizzare o ha realizzato un investimento estero diretto.”

[21] Sembra utile ricordare qui il Considerando (13), regolamento (EU) 2019/452: «Nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico, dovrebbe essere possibile per gli Stati membri e la Commissione tenere conto di tutti i fattori pertinenti, compresi gli effetti sulle infrastrutture critiche, sulle tecnologie, comprese le tecnologie abilitanti fondamentali, e sui fattori produttivi che sono essenziali per la sicurezza o il mantenimento dell’ordine pubblico la cui perturbazione, disfunzione, perdita o distruzione avrebbe un impatto significativo in uno Stato membro o nell’Unione. A tale proposito, dovrebbe altresì essere possibile per gli Stati membri e la Commissione tenere conto del contesto e delle circostanze dell’investimento estero diretto, in particolare della possibilità che un investitore estero sia controllato direttamente o indirettamente, ad esempio attraverso finanziamenti consistenti, comprese le sovvenzioni, da parte del governo di un paese terzo, o persegua progetti o programmi all’estero a guida statale».

[22] La formula dell’art. 4, par.2, Reg. 2019/452 è stata replicata dal d.l.n. 105 del 2019, attraverso l’inserimento di un comma 3bis all’art. 1, d.l.n. 21 del 2012 (decreto golden power), che si rivolge agli investimenti effettuati da «soggetti esterni all’Unione europea».

[23] Cfr. Communication from the Commission to the European Parliament, the European Council, the Council, the European Central Bank, the European Investment Bank and the Eurogroup Coordinated economic response to the COVID-19 Outbreak, Brusseles, 13 marzo 2020 COM(2020) 112 final, 2, inec.europa.eu/info/sites/info/files/communication-coordinated-economic-response-covid19-march-2020.

[24] Cfr. Communication cit. 2: «Member States need to be vigilant and use all tools available at Union and national level to avoid that the current crisis leads to a loss of critical assets and technology. This includes tools like national security screening and other security related instruments. The Commission will guide Member States ahead of the application of the Foreign Direct Investment Screening Regulation».

[25] V. Communication from the Commission Guidance to the Member States concerning foreign direct investment and free movement of capital from third countries, and the protection of Europe’s strategic assets, ahead of the application of Regulation (EU) 2019/452 (FDI Screening Regulation), Brusseles, 25marzo2020 C(2020) 1981 final.

[26] Per la definizione v. art. 2, sub 1), reg. UE 2019/452 secondo cui l’investimento estero diretto comprende ogni investimento che ha lo scopo di stabilire un legame durevole con l’impresa oggetto di acquisizione, per l’esercizio di un’attività economica in uno Stato membro.

[27] Cfr. Communication cit. nt. 10, allegato, par. 3: «È importante tenere presente che, nel caso in cui un investimento estero non sia oggetto di un processo nazionale di controllo, il regolamento prevede che gli Stati membri e la Commissione possano formulare osservazioni e pareri entro quindici mesi dalla realizzazione dell’investimento estero. Ciò può portare all’adozione di misure da parte dello Stato membro in cui ha avuto luogo l’investimento, comprese le necessarie misure di attenuazione dei rischi. In pratica, un investimento estero realizzato ora (marzo 2020) potrebbe essere oggetto di osservazioni ex post da parte degli Statimembri o di pareri della Commissione a partire dall’11 ottobre 2020 (data di piena applicazione del regolamento) fino al giugno 2021 (quindici mesi dalla realizzazione dell’investimento)».

[28] Così A. Triscornia, Golden power: un difficile connubio tra alta amministrazione e diritto societario, cit., 739: «In questo senso, è difficile non riconoscere al d.l. 15 marzo 2012 n. 21 la natura di disciplina settoriale, con assoggettamento delle imprese strategiche ad un sistema di supervisione e controllo non troppo dissimile da quello cui sono tradizionalmente sottoposte le società che operano in campi in cui entrano in gioco valori costituzionali primari». Cfr. inoltre A. Sacco-Ginevrie F.M. Sbarbaro, La transizioni dalla golden share ai poteri speciali dello Stato nei settori strategici: spunti per una ricerca, cit., 147: «emblema del mutamento di prospettiva richiamato è l’eliminazione di congegni di diritto societario a contenuto “singolare” piegati a esigenze pubblicistiche – quali, ad esempio, le clausole statutarie immodificabili (i.e. quelle che contenevano i precedenti poteri speciali) o gli amministratori di nomina pubblica obbligatoriamente privi del diritto di voto – a fronte dell’attrazione delle imprese strategiche vigilate entro schemi di supervisione esterna e “per settore”, coerentemente con quanto accade in altri contesti affini in cui i poteri pubblici intervengono a tutela di valori costituzionali rafforzati. Non è una novità, del resto, che imprese operanti in settori che incidono sul pubblico risparmio (banche, assicurazioni, agenzie di rating, soggetti abilitati in genere, et similia) o coinvolte in operazioni che producono impatti sul mercato o sui consumatori (v. società quotate, ovvero società che pongono in essere operazioni rilevanti a fini antitrust) o comunque esercenti servizi strategici (editoria, energia, comunicazioni, ecc.) operino entro vincoli di sistema di natura pubblicistica». Per L. Ardizzone e M. Vitali, I poteri speciali dello Stato nei settori di pubblica utilità, in Giur. comm., 2013, 923: «l’ascendenza costituzionale — unitamente alla totale irrilevanza del rapporto partecipativo — conduce, quindi, a considerate l’intervento dello Stato nelle vicende societarie nei settori rilevanti su un piano extra-sociale, estraneo ai meccanismi di gestione secondo le regole comuni. Si verifica, quindi, una sorta di accidentale interferenza nell’applicazione della disciplina societaria nel caso di esigenze collettive contingenti, senza che ne derivi però una sua conformazione e tipizzazione relativamente ai settori rilevanti, come invece avvenuto per le società quotate e quelle operanti nei marcati finanziari».

[29] Sul punto, tra gli altri, cfr. F. Bassan, Dalla golden share al golden power: il cambio di paradigma europeo nell’intervento dello Stato nell’economia, cit., 79: «non c’è diversità di trattamento degli investimenti nei settori essenziali in ragione della nazionalità dell’investitore, applicandosi la disciplina a investitori nazionali, di Stati membri e di Paesi terzi, questi ultimi vincolati a regime di reciprocità e a scrutinio separato in caso di stabilimento, nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni».

[30] V. in proposito S. Alvaro, M. Lamandini, A. PoliceeI. Tarola, La nuova via della seta e gli investimenti esteri diretti in settori ad alta intensità tecnologica. Il golden power dello Stato italiano e le infrastrutture finanziarie, cit.,con riferimento all’art. 14, l. n. 172 del 2017 e attenta ricostruzione dell’evoluzione della normativa e della giurisprudenza della Corte di Giustizia in materia, dove 5: «È la prima volta che in Italia ed in Europa i poteri speciali dello Stato entrano nel settore finanziario per disciplinare gli investimenti esteri diretti. Non è così negli Stati Uniti dove il settore finanziario è sempre stato visto come un settore strategico nazionale, all’occorrenza da salvaguardare».

[31] In forza del d.l.n. 64 del 2019 il C.d.M., nella riunione del 5 settembre 2019, aveva deliberato l’esercizio dei poteri speciali con riferimento ad alcune operazioni riguardanti le comunicazioni elettroniche basate sulla tecnologia 5G e l’acquisizione di componenti ad alta intensità tecnologica. Tuttavia, alla luce della mancata conversione in legge, l’atto è decaduto il 9 settembre 2019. Nel corso dell’esame parlamentare del disegno di legge di conversione del d.l. n. 75 del 2019 è stato approvato un emendamento con il quale si è prevista la sanatoria degli effetti del d.l.n. 64 del 2019.

[32] In proposito, tra gli altri, cfr. A. SACCO GINEVRI, Società, golden power verso un modello più europeo, cit.: «Dopo venticinque anni di tumultuosa esistenza, il d.l. 105/2019 sulla sicurezza nazionale cibernetica segna il momento di massima espansione dei poteri speciali dello Stato italiano nei settori strategici dell’economia (golden powers). Nati come «mano minacciosa del Leviathano» sulle grandi imprese privatizzate (G.Rossi), e poi sistematicamente censurati dalla Corte di giustizia Ue per violazione delle libertà comunitarie fondamentali, i golden powers tornano a brillare con le spinte protezionistiche post crisi finanziaria, sino a raggiungere il loro massimo splendore nel corso degli ultimi mesi, nel corso dei quali il nostro legislatore ha trasformato in oro, «alla stregua di Re Mida» (Ruiz-Jarabo Colomer), un numero sempre maggiore di imprese strategiche». Il d.l. n. 105 del 2019 è stato convertito nella l. 18 novembre 2019, n. 133, in proposito V. Senato della Repubblica, Legislatura 18ª, Atto n. 1570, Dossier n.166. Articolo 4bis(Esercizio dei poteri speciali del Governo):«L’art. 4-bis, introdotto durante l’esame presso la Camera dei deputati, detta disposizioni in materia di esercizio dei poteri speciali del Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché per le attività di rilevanza strategica nei settori dell’energia, dei trasporti e delle comunicazioni, recando norme analoghe a quelle contenute nel decreto-legge n. 64 del 2019, pur con una serie di modifiche ed integrazioni». Il provvedimento introduce anche norme di coordinamento con il regolamento (EU) 2019/452.

[33] Una sintesi delle modifiche apportate dalla l. n. 133 del 2019 è reperibile in Senato della Repubblica, d.l. 23/2020 – A.C. 2461, Dossier, Misure per le imprese e in materia di settori strategici, salute, lavoro, termini amministrativi e processuali, 15 aprile 2020, 98.

[34] Si occupa dell’argomento l’art. 1 del decreto golden power, cui si è poi aggiunto anche il dettato dell’art. 1bis, d.l.n. 21 del 2012, rubricato: «Poteri speciali inerenti le reti di telecomunicazione elettronica a banda larga con tecnologia 5G», che al comma 1 esordisce: «Costituiscono, ai fini dell’esercizio dei poteri di cui al comma 2, attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale i servizi di comunicazione elettronica a banda larga basati sulla tecnologia 5G».

[35] Si deve osservare che analoga bipartizione ordinatoria non si rinviene nel regolamento (EU) 2019/452, che inserisce «la difesa» tra le infrastrutture critiche, descritte all’art. 4, par 1, lett. a), d’altronde la disciplina comunitaria è rivolta alla selezione dei soli IED provenienti da Paesi terzi.

[36] Cfr. Capital movements, Overwiew: «Free movement of capital is one of the key elements in the EU single market, and is enshrined in the Treaty of Maastricht. With the entry into force of this treaty in 1994 all restrictions on capital movements and payments across borders were prohibited. The aim of liberalisation is to enable integrated, open, and efficient European financial markets. For European citizens, free movement of capital means the ability to carry out many transactions», in ec.europa.eu/info/business-economy-euro/banking-and-finance/financial-markets/capital-movements.

[37] In particolare sulla nozione di partecipazione utilizzata nel d.l. n. 21 del 2012, cfr. V. Donativi, Golden power e acquisto di partecipazioni: la nozione di ‘partecipazione’, in Aa. Vv., Golden Power, raccolta interventi SIRS, dicembre 2019, cit., 60: «Tanto all’art. 1, quanto all’art. 2, si parla di ‘partecipazioni’ senza ulteriori specificazioni. E ciò diversamente da altre previsioni normative che, pur dettate in ambiti differenti, presentano significative affinità o elementi di contatto sistematico».

[38] Nella giurisprudenza della Corte di Giustizia si è formato il consolidato orientamento per cui l’investimento proveniente da Paese terzo ed inteso ad ottenere il controllo di un’impresa o comunque a consentire l’esercizio di prerogative gestorie in modo stabile e durevole, riguardi in via principale il diritto di stabilimento e sia perciò soggetto alle restrizioni dettate dal Paese che ospita l’impresa, con esclusione della possibilità d’invocare la libertà di movimento dei capitali.

[39] É la previsione di cui all’art. 2, comma 5bis, del decreto golden power.

[40] Il riferimento è all’art. 2, d. l. 21/2012. In particolare è il comma 1ter, come sostituito dal d.l. 105/2019, che recita: «i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale, ulteriori rispetto a quelli individuati nei decreti di cui all’articolo 1, comma 1, e al comma 1 del presente articolo, nei settori di cui all’articolo 4, paragrafo 1,del regolamento (UE) 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio».

[41] Com’è noto in occasione dell’acquisto del controllo di fatto di una rilevante società di telecomunicazioni da parte di un investitore intracomunitario, la scelta dell’esecutivo è stata di applicare i meccanismi di selezione, ritenendo presente l’obbligo di notifica ed imponendo condizionalità stringenti, come da decisione del Consiglio dei Ministri del 2 novembre 2017. In argomento cfr. A. Jacchia eD. Scavuzzo, Golden Power. L’Italia rilancia uno strumento di protezione delle imprese nazionali strategiche sull’onda del caso Vivendi, in lexology.com, gennaio 2018. V. inoltre M. Massella Tucci Teri, La disciplina nazionale sul Golden Power, primi problemi applicativi, cit., 162: «Questo, tuttavia, avrebbe comportato una totale apertura dell’ordinamento nazionale all’incondizionato e libero stabilimento in Italia di operatori europei, anche in settori reputati strategici: un risultato che andrebbe addirittura oltre quanto richiesto dai Trattati e dalla giurisprudenza europea, che riconoscono, bensì, il diritto di stabilimento, ma nel contempo non escludono completamente la possibilità di restrizioni – certamente eccezionali e di ambito circoscritto – se queste siano giustificate dai c.d. motivi imperativi di interesse pubblico e siano rigorosamente proporzionate alla garanzia di tali interessi».

[42] Sembra utile richiamare qui il testo dell’art. 17, comma 1bis, l. n. 40 del 2020: «Fino al 31 dicembre 2020 per i settori agroalimentare e siderurgico le disposizioni del presente articolo e degli articoli 15 e 16 si applicano anche per perseguire l’ulteriore finalità della tutela del mantenimento dei livelli occupazionali e della produttività nel territorio nazionale».

[43] Non sono tra quelli che indica l’art.4, par. 1, reg. (EU) 2019/452, con elencazione priva di carattere tassativo, salvo quanto prevede alla lett. c), che però si occupa della «sicurezza alimentare».

[44] Vanno ricordate in proposito le annose difficoltà proposte dal caso delle Acciaierie di Taranto e dell’intero complesso ex ILVA.

[45] V. Considerando (12) reg. (EU) 2019/452: «Al fine di orientare gli Stati membri e la Commissione nell’applicazione del presente regolamento, è opportuno indicare un elenco di fattori che potrebbero essere presi in considerazione nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico […] L’elenco di fattori che possono incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico dovrebbe restare non esaustivo». Inoltre il Considerando (13): «Nel determinare se un investimento estero diretto possa incidere sulla sicurezza o sull’ordine pubblico, dovrebbe essere possibile per gli Stati membri e la Commissione tenere conto di tutti i fattori pertinenti, compresi gli effetti sulle infrastrutture critiche, sulle tecnologie, comprese le tecnologie abilitanti fondamentali, e sui fattori produttivi che sono essenziali per la sicurezza o il mantenimento dell’ordine pubblico la cui perturbazione, disfunzione, perdita o distruzione avrebbe un impatto significativo in uno Stato membro o nell’Unione».

[46] Sia il vecchio, che il nuovo testo del comma 3 dell’art. 4bis, d.l. 21 settembre 2019, n. 105, prevedono che la notifica sia effettuata ai sensi del «comma 5 dell’art. 2 del decreto legge n. 21 del 2012».

[47] La modifica normativa riguarda il comma 3 dell’art. 4bis, d.l. n. 105 del 2019, fin qui in vigore con riferimento ai settori indicati nel Regolamento (EU) 2019/452, art. 4, par. 1, lettere a) e b).

[48] La locuzione utilizzata all’art. 2, comma 1ter, d.l. n. 21 del 2012 e che rinvia alla regolazione secondaria recita: «sono individuati, ai fini della verifica in ordine alla sussistenza di un pericolo per la sicurezza e l’ordine pubblico […] i beni e i rapporti di rilevanza strategica per l’interesse nazionale, ulteriori rispetto a quelli individuati nei decreti di cui all’articolo 1, comma 1, e al comma 1 del presente articolo, nei settori di cui all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2019/452».

[49] É la formula utilizzata all’art. 2, comma 1ter, d.l. n. 21 del 2012, per rinviare ai «settori di cui all’articolo 4, paragrafo 1, del regolamento (UE) 2019/452 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 19 marzo 2019».

[50] La disposizione di cui al nuovo testo dell’art. 4bis, comma 3bis, lett. b), d.l. n. 105 del 2019, rinvia «ai beni e rapporti di cui al comma 1 dell’articolo 2, nei settori indicati alla lettera a), ovvero individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al citato articolo 2, comma 1ter, del decreto legge n. 21 del 2012».

[51] V. sub § 5 e nota 37. L’estensione dell’obbligo di notifica per gli acquisti di partecipazioni nelle società considerate riguarda tutti gli investitori anche nella nuova versione del comma 3 dell’art. 4bis, d.l. 105/2019, che si rivolge però ai soli settori definiti con rinvio all’art. 4, par. 1, reg. (EU) 2019/452. Il comma 3bis del medesimo art. 4bis, d.l. 105/2019, con efficacia limitata al 31 dicembre 2020, coinvolge nell’obbligo di notifica anche i settori indicati nell’art. 2, comma 1, d.l. 21/2012, cioè energia, trasporti e comunicazioni.


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