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La transazione previdenziale

17 Giugno 2020

Giulio Andreani, Tax Partner, Studio Legale tributario Dentons; Angelo Tubelli, Dottore commercialista

[*] 1. Il trattamento dei crediti previdenziali nel concordato preventivo

L’art. 32, comma 5, del D.L. 29 novembre 2008, n. 185, ha esteso le disposizioni dell’art. 182-ter L. fall. (che già disciplinavano la falcidia e la dilazione di pagamento dei crediti tributari mediante la transazione fiscale) anche ai contributi amministrati da enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie e dei relativi accessori (tra questi rientrano l’INPS, l’INAIL, l’INPGI, la Cassa Edile, ecc.)[1]. La modifica ha riguardato solo il comma 1 dell’art. 182-ter e, quindi, il trattamento dei contributi amministrati dagli enti previdenziali e assistenziali nell’ambito del concordato preventivo. Tuttavia il riferimento alla “proposta di cui al comma 1” presente nel penultimo comma dell’art. 182-ter con riguardo agli accordi di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis ha fatto pacificamente – e correttamente – ritenere che la “transazione previdenziale” può essere presentata anche in connessione a questo istituto, ovverosia nell’ambito delle trattative che precedono la loro stipula e la loro omologazione.

Inoltre il successivo comma 6 del citato art. 32 del D.L. n. 185/2008 ha demandato al Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, l’emanazione, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, di un apposito decreto tramite il quale puntualmente definire “le modalità di applicazione nonché i criteri e le condizioni di accettazione da parte degli enti previdenziali degli accordi sui crediti contributivi”.

Ne discende che la disposizione generale relativa alle regole “speciali” da osservare nel trattamento dei crediti contributivi è contenuta nel comma 1 dell’art. 182-ter ed è esattamente identica a quella stabilita per il trattamento dei crediti erariali. Tale disciplina risulta integrata e completata dalle disposizioni attuative previste dal decreto 4 agosto 2009 (in G.U. n. 251 del 28 ottobre 2009) emanato dal Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell’Economia e delle Finanze, in conformità a quanto stabilito dal citato art. 32, comma 6, del D.L. n. 185/2008.

Tale decreto è stato predisposto sulla base del testo del comma 1 dell’art. 182-ter vigente in quel momento e non è stato però mai modificato al fine di adeguarlo ai principi medio tempore consolidatisi, né alla sostanziale riformulazione del comma 1 dell’art. 182-ter recata dalla Legge n. 232/2016 (Legge di bilancio 2017). Come si dirà nel prosieguo, il mancato adeguamento del decreto attuativo ha generato e tuttora genera un evidente conflitto tra fonti primarie e fonti secondarie e non poche difficoltà applicative, atteso che, nell’esaminare le proposte di transazione previdenziale, gli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie continuano ad attenersi alle prescrizioni di tale decreto e alle istruzioni conseguentemente emanate dall’INPS con la circolare 15 marzo 2010, n. 38 e dall’INAIL con la circolare 26 febbraio 2010, n. 8[2]. Tuttavia alcune disposizioni del decreto, vale a dire quelle aventi natura procedimentale e quelle riferite ai documenti dai quali la proposta di transazione previdenziale deve essere corredata, non contrastano con la nuova norma e quindi restano applicabili anche con riferimento alla disciplina attualmente in vigore.

2. La disciplina ante Legge n. 232/2016

Prima delle modifiche recate dalla Legge n. 232/2016, il comma 1 dell’art. 182-ter così testualmente recitava: “Con il piano di cui all’art. 160 il debitore può proporre il pagamento, parziale o anche dilazionato, dei tributi amministrati dalle agenzie fiscali e dei relativi accessori, nonché dei contributi amministrati dagli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie e dei relativi accessori, limitatamente alla quota di debito avente natura chirografaria anche se non iscritti a ruolo, ad eccezione dei tributi costituenti risorse proprie dell’Unione europea; con riguardo all’imposta sul valore aggiunto ed alle ritenute operate e non versate, la proposta può prevedere esclusivamente la dilazione del pagamento. Se il credito tributario o contributivo è assistito da privilegio, la percentuale, i tempi di pagamento e le eventuali garanzie non possono essere inferiori a quelli offerti ai creditori che hanno un grado di privilegio inferiore o a quelli che hanno una posizione giuridica ed interessi economici omogenei a quelli delle agenzie e degli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie; se il credito tributario o contributivo ha natura chirografaria, il trattamento non può essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari ovvero, nel caso di suddivisione in classi, dei creditori rispetto ai quali è previsto un trattamento più favorevole”.

Sotto il profilo sostanziale i principi da rispettare per il trattamento dei crediti contributivi nell’ambito della transazione previdenziale coincidevano quindi con quelli dettati con riguardo ai crediti tributari, sicché la proposta di pagamento parziale:

  1. poteva riguardare tanto i debiti contributivi aventi natura chirografaria quanto quelli assistiti da privilegio;
  2. se il credito contributivo era assistito da privilegio, doveva prevedere l’offerta di percentuali di soddisfacimento, tempi di pagamento ed eventuali garanzie in misura non inferiore a quelli offerti ai creditori titolari di crediti assistiti da privilegio inferiore o a quelli aventi una posizione giuridica e interessi economici omogenei a quelli degli enti previdenziali e assicurativi[3];
  3. se il credito contributivo aveva natura chirografaria, il trattamento non poteva essere differenziato rispetto a quello degli altri creditori chirografari, ovvero, nel caso di suddivisione in classi, doveva essere offerto quello più favorevole.

3. Il decreto interministeriale 4 agosto 2009

I suddetti principi relativi al trattamento dei crediti contributivi sono stati poi integrati dalle disposizioni attuative dettate con il decreto 4 agosto 2009, il quale ha innanzitutto stabilito (all’art. 1, comma 3) che non avrebbero potuto formare oggetto della proposta di accordo transattivo i crediti oggetto di cartolarizzazione ai sensi dell’art. 13 della Legge n. 448/1998[4] nonché i crediti dovuti in esecuzione delle decisioni assunte dagli organi comunitari in materia di aiuti di Stato (quali, per esempio, gli sgravi contributivi fruiti dalle aziende per la stipulazione di contratti di formazione a lavoro in forza della decisione della Commissione della Comunità europea dell’11 maggio 1999)[5].

3.1. Le soglie minime di soddisfacimento dei crediti contributivi

Con l’art. 3 sono state stabilite soglie percentuali minime (si fa per dire) di soddisfazione, che devono essere obbligatoriamente rispettate ai fini dell’approvazione della proposta di transazione previdenziale, che sono pari:

  1. al 100% per i crediti privilegiati di cui al n. 1 dell’art. 2778 c.c.[6] e per i crediti per premi;
  2. al 40% per i crediti privilegiati di cui al n. 8 dell’art. 2778 c.c. e per il 50% della quota degli accessori[7];
  3. al 30% per i crediti di natura chirografaria, rappresentati dal restante 50% degli accessori.

In altri termini, sulla base del decreto interministeriale il pagamento dei crediti contributivi indicati sub 1) non può essere oggetto di falcidia, ma (analogamente a quanto previsto all’epoca per l’IVA e le ritenute alla fonte nella transazione fiscale) unicamente di dilazione, la quale – a propria volta – è stabilito che non possa essere superiore a sessanta rate mensili, con applicazione degli interessi al tasso legale vigente al momento della presentazione della domanda di dilazione, purché il pagamento dilazionato sia garantito da apposita fideiussione o garanzia reale per il valore dell’importo definito nell’atto di transazione (questa condizione è stata però successivamente rimossa in via interpretativa dalla stessa INPS).

A tali criteri l’INPS, con propria circolare n. 38/2010, ne ha aggiunti altri, concernenti:

  • la misura delle sanzioni complessivamente dovute, la quale può essere rideterminata in misura ridotta comunque ad un tasso non inferiore a quello degli interessi legali;
  • la maturazione dei soli interessi legali in vigenza del piano di risanamento, la cui durata massima ammissibile in base all’art. 3, comma 3, del decreto interministeriale è – come detto – pari a 5 anni (60 mesi).

Come rilevato nella circolare INAIL 26 febbraio 2010, n. 8, la proposta di transazione previdenziale può concernere anche i crediti oggetto di rateizzazione ordinaria concessa dall’ente ovvero dall’agente della riscossione, nonché i crediti già oggetto di contenzioso, previa rinuncia alle controversie pendenti in caso di suo perfezionamento (occorre infatti evidenziare il mancato richiamo, nel decreto interministeriale, alla disposizione in tema di chiusura delle liti pendenti, riferita dal comma 5 del previgente art. 182-ter unicamente a quelle aventi ad oggetto tributi).

3.2. Gli obblighi di natura procedimentale

Come detto, poiché il comma 2 dell’art. 182-ter e quelli successivi si riferiscono unicamente alla transazione fiscale, il decreto 4 agosto 2009 disciplina anche gli aspetti procedurali della transazione previdenziale e, in particolare, la forma o il contenuto della proposta, disponendo (all’art. 2) che gli imprenditori debbono presentarla agli enti previdenziali corredata dalla documentazione prevista dall’art. 161 L. fall. e accompagnata da una relazione di un professionista in possesso dei requisiti di cui all’art. 67, comma 3, lett. d), L. fall., che attesti la veridicità dei dati aziendali e la fattibilità del piano di risanamento.

La documentazione ex art. 161 L. fall. da produrre a corredo della proposta è la stessa richiesta per il deposito della transazione fiscale, ovverosia:

  • la relazione aggiornata sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria;
  • lo stato analitico ed estimativo delle attività ed elenco creditori e delle cause di prelazione;
  • l’elenco dei titolari dei diritti reali o personali su beni di proprietà o in possesso del debitore;
  • una relazione indicante il valore dei beni e i creditori particolari degli eventuali soci illimitatamente responsabili.

Con riguardo ai criteri da rispettare affinché la proposta di transazione previdenziale possa essere accettata, l’art. 4, comma 1, del decreto interministeriale richiede inoltre:

  1. l’idoneità dell’attivo ad assicurare il soddisfacimento dei crediti anche mediante prestazione di eventuali garanzie (nei soli casi in cui il contribuente richieda il pagamento dilazionato);
  2. il riconoscimento formale ed incondizionato del credito per contributi e premi nonché la rinuncia a tutte le eccezioni che possano influire sulla esistenza ed azionabilità dello stesso (da formalizzare direttamente nella proposta quale clausola della stessa);
  3. la correntezza nel pagamento dei contributi e premi dovuti per i periodi successivi alla presentazione della proposta di accordo;
  4. il versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali operate sulle retribuzioni dei lavoratori dipendenti ai fini dell’accesso alla dilazione dei crediti, da ottemperare non solo ai fini dell’accesso alla dilazione del pagamento dei crediti contributivi, ma anche ai fini del pagamento parziale degli stessi[8] (a tale scopo viene perciò richiesto l’inserimento nella proposta di un’apposita clausola, quale formale ed incondizionato riconoscimento di debito, con cui l’impresa si impegna al regolare adempimento di tutti gli obblighi contributivi nascenti dalla data di omologazione da parte del Tribunale)[9];
  5. l’essenzialità dell’accordo ai fini della continuità dell’attività dell’impresa e di ogni possibile salvaguardia dei livelli occupazionali, tenuto conto dell’importanza che la stessa riveste nel contesto economico-sociale dell’area in cui opera.

Per queste ragioni l’INPS, nella circolare n. 38/2010, richiede, nella relazione dell’esperto indipendente, un’analisi aziendale, con la tecnica degli indici di bilancio, sulle prospettive di rilancio dell’azienda e sugli aspetti di salvaguardia dei livelli occupazionali, e che alla proposta di transazione previdenziale debbano essere allegati (a pena di inammissibilità):

  • un prospetto riportante il grado di soddisfacimento, i tempi e le modalità di pagamento per gli ulteriori debiti;
  • la quietanza di pagamento degli aggi dovuti all’esattore in caso di crediti iscritti a ruolo.
  • Si tratta peraltro di elaborazioni che una relazione redatta in conformità alla best practice contiene normalmente.

Infine l’art. 4, comma 2, del decreto 4 agosto 2009 dispone che “il mancato rispetto degli obblighi previsti nell’accordo comporta la revoca dell’accordo medesimo” (in termini di “revoca” si esprimeva anche l’art. 182-ter vigente fino al 31 dicembre 2016 con riferimento alla transazione fiscale), sicché gli enti previdenziali richiedono alle sedi competenti di operare un continuo monitoraggio sull’adempimento degli obblighi assunti da parte dell’impresa debitrice.

La procedura regolante l’istruttoria della proposta e la fase di accettazione o di rigetto della stessa è stata invece rimessa alle istruzioni operative diramate da ciascun ente. Il decreto interministeriale, infatti, sul punto si limita a stabilire unicamente che la proposta di transazione previdenziale deve essere presentata agli enti previdenziali interessati e che “I singoli enti gestori di forme di previdenza ed assistenza obbligatorie definiscono le modalità operative delle disposizioni contenute nel presente decreto”.

Al riguardo con la circolare n. 38/2010 l’INPS ha prescritto che la richiesta di transazione previdenziale, corredata della relativa documentazione, deve essere presentata alla sede competente e, nel caso di crediti iscritti a ruolo, anche all’agente della riscossione locale (cui richiedere la certificazione dei propri debiti). L’istruttoria della proposta è demandata alla sede provinciale, la quale deve verificare innanzitutto l’avvenuta presentazione di tutti i documenti richiesti e, in caso affermativo, esaminare la proposta nel merito[10], prendendo eventualmente anche contatto con gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate al fine di effettuare congiunte valutazioni in merito alla proposta presentata.

Tra gli elementi valutativi da considerare l’INPS pone l’accento, in particolare, sull’analisi della situazione dei rapporti tra l’ente previdenziale e l’azienda, che deve riguardare non la singola posizione (matricola aziendale) ma l’intera azienda, con riferimento al codice fiscale ed alle eventuali aggregazioni in gruppi societari. La ricognizione sulla complessiva situazione debitoria dell’azienda deve essere effettuata non oltre i successivi 15 giorni dal ricevimento della proposta stessa.

Ultimata l’istruttoria la sede provinciale trasmette gli atti alla direzione regionale competente[11] affinché esprima, assistita dall’avvocatura distrettuale del capoluogo di regione a cui siano assegnate le competenze di coordinamento regionale, il proprio parere[12]. In caso di parere favorevole all’accoglimento della proposta, questa è ulteriormente sottoposta al vaglio del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto per la sua definitiva approvazione, che, in caso affermativo, provvede alla definitiva sottoscrizione dell’accordo sulla base di apposita delibera di accoglimento da parte dello stesso organo.

3.3. La illegittimità del decreto 4 agosto 2009 e gli effetti del mancato rispetto degli obblighi da esso previsti

Il decreto 4 agosto 2009 si è palesato illegittimo sin dal momento della sua introduzione, perché l’art. 32, comma 6, del D.L. n. 185/2008 ha delegato al Ministero del Lavoro (e a quello dell’Economia) solo la definizione delle modalità di applicazione, nonché dei criteri e delle condizioni di accettazione delle proposte di transazione previdenziale. Orbene per “modalità di applicazione” si intende la definizione (i) dell’iter procedurale che il debitore deve seguire per il perfezionamento dell’accordo con l’ente gestore, (ii) dei criteri per individuare gli Uffici competenti a ricevere la proposta, (iii) degli atti e dei documenti richiesti per avviare l’istruttoria, (iv) delle dimostrazioni, delle rassicurazioni e delle garanzie da fornire per consentire l’accettazione della proposta, (v) dei criteri guida da utilizzare nel valutare la convenienza della proposta rispetto a modalità di riscossione alternative.

Invece il decreto non si è limitato ad individuare tali modalità, criteri e condizioni, attraverso la statuizione di principi e regole generali da applicare caso per caso, ma ha stabilito rigidi vincoli da adottare in tutte le transazioni, che peraltro prescindono dalla situazione dell’impresa debitrice, con riguardo sia all’aspetto remissorio, sia a quello dilatorio dei pagamenti. Con tale provvedimento sono state infatti stabilite le soglie di soddisfazione minime da rispettare, riguardanti il contenuto e l’oggetto della proposta di transazione previdenziale, per il che il Ministro del Lavoro e quello dell’Economia hanno ecceduto nell’attuazione della delega conferita loro dal legislatore, per di più errando nel ritenere che tutte le transazioni previdenziali potessero essere ricondotte a uno schema precostituito, caratterizzato da rigidità e inderogabilità[13].

4. La disciplina post Legge n. 232/2016

Alla sostanziale riformulazione dell’art. 182-ter L. fall. dovuta alla Legge n. 232/2016, che da una parte ha reso obbligatoria l’osservanza delle regole definite per il trattamento dei crediti (tributari e di quelli) previdenziali e, dall’altro, ha esteso la possibile falcidia a tutti i suddetti crediti in presenza dei presupposti sanciti dall’art. 160, comma 2, è conseguita l’implicita abrogazione del decreto 4 agosto 2009 o, comunque, la sua totale inefficacia[14].

Si è infatti dianzi riferito come tale provvedimento fu emesso in dipendenza di un testo dell’art. 182-ter L. fall. che non indicava alcun criterio utilizzabile dagli enti previdenziali e assistenziali per approvare, o meno, le proposte di transazione loro presentate e quindi il decreto 4 agosto 2009 finì inizialmente per svolgere (sebbene in ciò eccedendo) una comprensibile funzione integrativa di tale norma, fornendo dei parametri, ancorché troppo rigidi, impiegabili al predetto fine. Ora, però, è lo stesso art. 182-ter, nel testo vigente dal 1° gennaio 2017, a stabilire un preciso principio cui tali enti devono attenersi in sede di valutazione delle proposte di transazione loro formulate dalle imprese debitrici nell’ambito di una procedura di concordato preventivo (o delle trattative che precedono la stipula di un accodo di ristrutturazione dei debiti), ovverosia che la proposta di pagamento parziale può riguardare tanto i debiti contributivi aventi natura chirografaria quanto quelli assistiti da privilegio (nel rispetto dei già previsti criteri del “trattamento più favorevole” per i primi e del “trattamento non deteriore” per i secondi), ovvero che il trattamento offerto nella transazione previdenziale consente la soddisfazione dei crediti in misura non inferiore a (e quindi più conveniente) rispetto a quella realizzabile in caso di fallimento dell’impresa debitrice, come indicato nell’attestazione resa dal professionista indipendente. In altri termini, a decorrere dal 1° gennaio 2017 il trattamento da riservare ai crediti previdenziali segue in toto le medesime regole previste per i crediti tributari, ad eccezione, naturalmente, del diverso ordine delle cause di prelazione ad essi attribuite. È per questo che si è dapprima affermato che attualmente le prescrizioni contenute nel più volte citato decreto interministeriale in ordine al trattamento dei crediti contributivi e, in particolare, alle soglie minime di soddisfazione non sono più applicabili, sia perché ne è venuta meno l’utilità, sia perché, come detto, sono incompatibili con il nuovo testo dell’art. 182-ter nel frattempo sopravvenuto. In base a detta norma, infatti, i presupposti in presenza dei quali la proposta, può, e conseguentemente deve, essere accolta (trattandosi di una discrezionalità “vincolata”) e, per converso, in assenza dei quali la proposta non può, e quindi non deve, essere accolta, sono unicamente i seguenti:

  1. la soddisfazione degli Enti previdenziali e assistenziali non deve essere inferiore a quella realizzabile, tenuto conto del privilegio da cui i loro crediti sono assistiti e del valore di mercato dei beni e dei diritti realizzabili mediante la liquidazione dell’impresa debitrice, e tale convenienza deve risultare dalla relazione di attestazione resa da un professionista indipendente;
  2. ai creditori assistiti da un grado di privilegio inferiore a quello che assiste i crediti previdenziali e assistenziali, nonché ai creditori chirografari, non deve essere offerto un trattamento complessivamente migliore di quello previsto per i predetti enti.

Per questi motivi, anche se prima delle suddette modifiche dell’art. 182-ter, in difetto dell’indicazione di un preciso criterio di valutazione da parte della legge, qualche disposizione attuativa poteva essere a tal fine utile, oggi che è lo stesso art. 182-ter a stabilire quando la proposta transattiva è conveniente per i creditori, prevedendo anche lo strumento (l’attestazione) attraverso cui tale convenienza deve essere accertata: non sussiste perciò più alcuna necessità di ricorrere – per il predetto scopo – alle norme di attuazione previste dal decreto. Pertanto, alla luce del novellato art. 182-ter, non solo non sono più necessarie disposizioni attuative che forniscano agli enti creditori i criteri di valutazione delle proposte di transazione, ma quelle stabilite con il decreto 4 agosto 2009 si rivelano persino palesemente in contrasto con il dettato del citato art. 182-ter ogniqualvolta un’offerta di pagamento dei crediti previdenziali e assistenziali sia conveniente per gli enti creditori, e ciò risulti dall’apposita attestazione di cui al comma 1 del medesimo articolo, nonostante essa sia inferiore all’importo che risulterebbe dovuto in base al menzionato decreto interministeriale. In questo caso, infatti, tali enti avrebbero convenienza ad accettare comunque l’offerta e dovrebbero quindi approvare la transazione loro proposta sulla scorta del principio stabilito dall’art. 182-ter, comma 1, ma dovrebbero, invece, respingerla in base al decreto 4 agosto 2009; ciò con l’assurda conseguenza che disposizioni (quelle del decreto interministeriale) nate per dare attuazione a una norma di legge (quella dell’art. 182-ter) finirebbero invece per contrapporsi ad essa[15].

Ciò nonostante gli enti previdenziali e assicurativi continuano ad applicare le disposizioni del decreto interministeriale, rigettando automaticamente le proposte che non rispettino le condizioni previste dal decreto; conseguentemente, indipendentemente dal fatto che i termini dell’offerta siano per essi comunque convenienti, sono soliti negare il loro consenso alle proposte formulate nell’ambito degli accordi di ristrutturazione ovvero il loro voto favorevole a quelle presentate nel contesto di un concordato preventivo.

Giova aggiungere che in questo secondo caso, tuttavia, è fuor di dubbio, alla luce dei principi generali e della giurisprudenza formatasi sul punto, che il mancato rispetto delle previsioni recate dal decreto interministeriale non rende illegittima né inammissibile la domanda di concordato fondata su una proposta di transazione previdenziale non conforme a tali disposizioni. Infatti le soglie e le altre condizioni previste da detto decreto, proprio in aderenza al dettato normativo di quest’ultimo, configurano, a tutto concedere, solo limiti interni agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie posti ai fini dell’accettazione della proposta di un accordo formulato ai sensi dell’art. 182-ter L. fall., privi della benché minima rilevanza esterna, e non presupposti di ammissibilità dell’impresa debitrice alla procedura; con la conseguenza che la previsione di una percentuale di soddisfacimento inferiore e/o di un periodo di dilazione maggiore di quelli prescritti dal citato regolamento non possono ostare all’ammissione del concordato, non avendo titolo per integrare i presupposti di ammissione alla procedura stabiliti dalla legge fallimentare (in questo senso si vedano, tra gli altri, Tribunale di Milano, 5 dicembre 2018, Trib. Milano conc prev. n. 67/2018, e Tribunale di Massa, 6 aprile 2016). Se così non fosse, del resto, come ha affermato la stessa Corte di Cassazione con la sentenza n.16364/2018, il concordato sarebbe ostaggio della volontà degli enti previdenziali e assicurativi (oltre che delle agenzie fiscali) e ciò condurrebbe a un disvalore per tale procedura concorsuale che, invece, viene complessivamente incentivata dal legislatore.

4. Il trattamento dei crediti previdenziali negli accordi di ristrutturazione dei debiti

Al fine di raggiungere la “soglia” necessaria ai fini della omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti ex art. 182-bis (che deve essere stato raggiunto, anche sulla base di distinte pattuizioni, con i creditori che rappresentino almeno il 60% dei crediti), oltre che per poter conseguire il proprio riequilibrio finanziario e patrimoniale, il debitore può avere l’esigenza di stipulare un accordo anche con l’INPS, l’INAIL ed altri enti gestori di contributi previdenziali ed assicurativi obbligatori. In tal caso l’accordo con detti enti deve essere raggiunto necessariamente tramite il ricorso all’istituto della transazione previdenziale, poiché, analogamente a quanto già riferito con riguardo alla transazione fiscale che assiste questo tipo di accordi, l’osservanza di dette disposizioni era obbligatoria prima delle modifiche recate dalla Legge di bilancio 2017 ed è rimasta obbligatoria a seguito di dette modifiche, non operando la regola del cram down nell’ambito degli accordi di ristrutturazione omologati ai sensi dell’art. 182-bis.

Con riguardo alla disciplina vigente a decorrere dal 1° gennaio 2017, anche per la transazione previdenziale valgono le medesime considerazioni espresse con riferimento alla transazione previdenziale nel concordato preventivo, circa l’implicita abrogazione o perdita di efficacia delle disposizioni presenti nel decreto 4 agosto 2009 (almeno per la parte di esse che entra nel merito e nel contenuto della proposta)[16].

A questo riguardo è vero che il comma 5 dell’art. 182-ter, nel richiedere al professionista indipendente di riferire, nella attestazione che accompagna il piano di risanamento, circa la convenienza della proposta rispetto alle alternative concretamente praticabili, fa menzione unicamente dei “crediti fiscali”, e non anche dei “crediti contributivi”[17]. Tuttavia si è dapprima detto che il primo periodo del citato comma 5 consente al debitore “di effettuare la proposta di cui al comma 1 anche nell’ambito delle trattive che precedono la stipulazione dell’accordo di ristrutturazione di cui all’art. 182-bis” e che nella “proposta di cui al comma 1” rientra anche quella concernente il trattamento dei crediti contributivi. Poiché il citato comma 1 ammette espressamente la soddisfazione parziale dei crediti contributivi (a condizione che sia non inferiore a quella realizzabile sul ricavato in caso di liquidazione sulla base del valore di mercato dei beni o dei diritti sui quali sussiste la causa di prelazione), deve ritenersi che questo presupposto valga anche ai fini della proposta di transazione previdenziale connessa agli accordi di ristrutturazione. Pertanto, se si ritiene che il trattamento offerto non possa essere raffrontato con quello realizzabile tramite “alternative concretamente praticabili” (a causa del mancato richiamo normativo), il principio, che gli enti gestori della previdenza e assistenza obbligatorie devono utilizzare per valutare se accettare o rigettare tale proposta, resta quello del confronto tra il trattamento ivi offerto e quello che spetterebbe in caso di liquidazione concorsuale dell’impresa, analogamente a quanto accade con riferimento alla transazione previdenziale nel concordato preventivo. In virtù della natura negoziale che la transazione previdenziale assume nell’ambito degli accordi di cui trattasi, gli Uffici degli enti gestori dei contributi sono sì liberi di accettare o meno la proposta, ma anche per essi la decisione deve essere presa in base a una valutazione di convenienza.

Occorre tuttavia evidenziare come non risulta comprensibile il motivo per cui il confronto con le “alternative concretamente praticabili” dovrebbe risultare circoscritto alla sola proposta di trattamento dei crediti tributari, restandone invece esclusa quella concernente il trattamento dei crediti contributivi. Poiché le disposizioni contenute nell’art. 182-tersono dirette a stabilire, in maniera parallela, regole del tutto uniformi per il trattamento dell’una e dell’altra tipologia di crediti, è dunque da ritenere che il mancato richiamo alle “alternative concretamente praticabili” con riguardo alla transazione previdenziale sia ascrivibile a un mero refuso nella formulazione della norma. Anzi, sarebbe semmai giustificato l’utilizzo di un criterio di maggior rigore ai fini dell’approvazione della transazione previdenziale, atteso il trattamento preferenziale che il legislatore ha previsto – attraverso l’ordine delle cause di prelazione – per i crediti contributivi (tranne che per la quota chirografaria) rispetto a quelli tributari, e non il contrario.

Infine si è dapprima riferito che, in base all’art. 4, comma 2, del decreto 4 agosto 2009, “il mancato rispetto degli obblighi previsti nell’accordo, comporta la revoca dell’accordo medesimo”. Anche con riguardo alla transazione previdenziale per “revoca” deve ora intendersi risoluzione di diritto (così come per la transazione fiscale), tant’è che nella circolare n. 38/2010 la stessa INPS aveva già tenuto a ribadire che, “se il debitore non rispetta gli obblighi previsti nell’accordo transattivo, inserito in un concordato preventivo ovvero in un accordo di ristrutturazione dei debiti omologati dal Tribunale, ciascun creditore ne può chiedere la risoluzione per inadempimento ai sensi dell’art. 186 L.F.”.

5. Le modifiche recate dal Codice della crisi d’impresa

Il D.Lgs. 12 gennaio 2019, n. 14 (“Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza”) ha riordinato la disciplina della transazione fiscale e previdenziale, scindendo il contenuto dell’art. 182-ter L. fall. in due articoli, il 63 e l’88, aventi a oggetto l’attuazione di tale istituto nell’ambito di un accordo di ristrutturazione dei debiti e del concordato, allo scopo di superare le principali criticità emerse nella sua applicazione pratica.

Con riguardo alla transazione previdenziale nel concordato preventivo l’art. 88 ha mantenuto lo stesso impianto oggi presente nei commi 1-4 dell’art. 182-ter, ma con l’attesa precisazione che l’attestazione del professionista indipendente avente ad oggetto la convenienza del trattamento proposto, rispetto alla liquidazione giudiziale, assume rilevanza anche con riguardo ai crediti previdenziali (analogamente a quanto accade per la transazione fiscale).

Lo stesso dicasi con riferimento all’art. 63 (rubricato “Transazione fiscale e accordi su crediti contributivi”) concernente gli accordi ristrutturazione dei debiti oggetto di omologazione, che peraltro continua a fare riferimento unicamente alla transazione fiscale ai commi 2 e 3. L’omessa menzione della transazione previdenziale si rinviene anche nel testo del primo periodo del comma 1, a norma del quale “Nell’ambito delle trattative che precedono la stipulazione degli accordi di ristrutturazione di cui agli artt. 57, 60 e 61 il debitore può proporre una transazione fiscale”. Invero è solo nel secondo periodo che espressamente si fa riferimento agli accordi su crediti contributivi (ex transazione previdenziale), quando si stabilisce che anche in questo ambito “l’attestazione del professionista indipendente in possesso dei requisiti di cui all’art. 2, comma 1, lettera o), relativamente ai crediti fiscali e previdenziali, deve inerire anche alla convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale; tale circostanza costituisce oggetto di specifica valutazione da parte del tribunale”.

Come evidenziato con riguardo alla proposta di transazione fiscale che accompagna le trattative precedenti la stipula degli accordi di ristrutturazione dei debiti, anche con riferimento alla transazione previdenziale l’art. 63 non richiede il rispetto dei principi di trattamento non deteriore (per i crediti contributivi privilegiati) o più favorevole (per i crediti contributivi chirografari) invece previsti per quella che assiste la domanda di concordato preventivo.

Per quanto concerne la valutazione della convenienza del trattamento proposto rispetto alla liquidazione giudiziale, si è dapprima osservato che nella prassi operativa sia l’Agenzia delle Entrate, sia l’INPS spesso ritengono non accettabile la proposta di transazione fiscale o previdenziale quando la percentuale di pagamento offerta è inferiore a determinate soglie (che l’INPS individua in quelle stabilite dal “famigerato” decreto 4 agosto 2009), sebbene la soluzione proposta preveda un trattamento pacificamente migliore rispetto a quello derivante da possibili soluzioni alternative. A questa problematica il legislatore ha posto (parziale) rimedio con il comma 5 dell’art. 48, a norma del quale “Il tribunale omologa gli accordi di ristrutturazione anche in mancanza di adesione da parte dell’amministrazione finanziaria quando l’adesione è decisiva ai fini del raggiungimento delle percentuali di cui all’art. 57, comma 1, e 60 comma 1 e quando, anche sulla base delle risultanze della relazione del professionista indipendente, la proposta di soddisfacimento della predetta amministrazione è conveniente rispetto all’alternativa liquidatoria”. Pertanto, sulla base della disciplina introdotta con il Codice della crisi d’impresa e della insolvenza, gli accordi di ristrutturazione sono omologabili anche in mancanza di adesione dell’Agenzia delle Entrate alle proposte di transazione fiscale connesse, a condizione che tale adesione – come normalmente accade – risulti decisiva al fine del raggiungimento delle percentuali del 60% (o del 30% in taluni casi) dei crediti stabilite per la omologabilità degli accordi stessi[18]. Analoga previsione, tuttavia, non è stata inserita con riferimento agli accordi sui crediti contributivi.

Una pari dimenticanza ha di conseguenza riguardato anche il termine di 60 giorni entro cui l’Agenzia delle Entrate deve esprimere la propria adesione alla proposta di transazione fiscale, trascorso inutilmente il quale l’accordo, ai sensi del comma 5 dell’art. 48, diventa comunque omologabile. La medesima disposizione, infatti, non è stata prevista con riguardo agli accordi su crediti contributivi, nonché con riferimento al concordato preventivo, anche se sarebbe stata da considerare opportuna, specie in tutti i casi in cui il voto dell’INPS o dell’ente gestore è decisivo ai fini dell’approvazione delle proposte.

Ad entrambe queste incongruenze dovrebbe porsi rimedio con l’entrata in vigore del decreto recante disposizioni integrative e correttive al D.Lgs. n. 14/2019. Lo schema di decreto correttivo trasmesso dal Consiglio dei Ministri ai competenti organi il 13 febbraio 2020, infatti, prevede la possibilità per il Tribunale di omologare gli accordi di ristrutturazione dei debiti contenenti la proposta di transazione previdenziale anche senza l’assenso degli enti previdenziali, i quali hanno tempo per deliberare al riguardo entro novanta (invece che sessanta) giorni dal deposito della proposta.

Inoltre, analogamente a quanto previsto per la transazione fiscale, nello schema di decreto correttivo è previsto che anche la domanda di concordato preventivo contenente la transazione previdenziale è omologabile da parte del tribunale nonostante la mancata di adesione dell’ente gestore, quando sia appurata la convenienza della proposta rispetto all’alternativa liquidatoria.

Invero l’estensione dell’“adesione d’ufficio” alla transazione contributiva è da accogliere con ancora maggior favore rispetto a quella inerente alla transazione fiscale, giacché (se raffrontata con quella adottata dall’Agenzia delle Entrate) la prassi finora seguita dagli enti previdenziali è risultata, se possibile, ancora più rigida, poiché essi hanno ritenuto di dovere continuare ad applicare le indicazioni contenute nel decreto 4 agosto 2009, nonostante la modifica legislativa intervenuta dal 1° gennaio 2017 con la Legge n. 232/2016, così limitando notevolmente l’impiego dell’istituto in commento.

Infine lo schema di decreto correttivo prevede la riformulazione dei commi 1 e 2 dell’art. 63, con il ripristino dell’impostazione attualmente accolta nell’art. 182-ter la sostituzione del termine “transazione fiscale” con “transazione”, in modo da potervi comprendere anche quella previdenziale. Anche se il procedimento relativo alla transazione fiscale, disciplinato nel comma 2 dell’art. 63, e nel comma 3 dell’art. 88 (nell’ambito del concordato preventivo), continua a restare quello originariamente riferito ai tributi, la modifica in itinereintende evidentemente stabilire che il procedimento sancito nelle due predette norme riguarda anche la transazione previdenziale, con definitivo superamento del decreto 4 agosto 2009 anche per quanto concerne tale aspetto.

 


[*] Per un approfondimento dei temi trattati nel presente articolo sia consentito il rinvio alla monografia “Transazione fiscale e crisi d’impresa” di G. Andreani e A. Tubelli, Milano, 2020

[1] Come rilevato da A. La Malfa, F. Marengo, Transazione fiscale e previdenziale, 2010, pag. 265, il diritto del lavoratore alle prestazioni previdenziali e assistenziali obbligatorie è un diritto indisponibile e inviolabile ai sensi dell’art. 38 Cost., mentre il diritto di credito per contributi, premi e accessori di legge dovuti agli enti gestori di forme di previdenza e assistenza obbligatorie non ha copertura costituzionale. Il principio di indisponibilità del credito contributivo, avente rango ordinario, va però ravvisato nella disposizione contenuta nell’art. 2, comma 1, del D.L. 9 ottobre 1989, n. 338, che attribuisce di regola all’ente gestore solo la facoltà di concedere una dilazione di pagamento dei debiti contributivi al verificarsi di casi straordinari.

[2] Sulla assenza di un obbligo per l’autorità giudiziaria di attenersi alle istruzioni fornite dagli enti, si vedano sempre A. La Malfa, F. Marengo, cit., pagg. 271-274.

[3] Ai fini del confronto sub b) con la circolare n. 38/2010 anche l’INPS chiarì subito come il pagamento dell’IVA in misura intera (imposto dall’art. 182-ter vigente ratione temporis) non dovesse essere preso in considerazione ai fini dell’esame comparativo tra le percentuali e i tempi di pagamento dei crediti tributari con quelli previsti per i crediti contributivi.

[4] Con tale provvedimento l’INPS effettuò la cessione pro-soluto, a favore di una società veicolo, di tutti i crediti contributivi iscritti a ruolo al 31 dicembre 2008. L’art. 13, comma 3, della Legge n. 448/1998, tuttavia, lasciava impregiudicata la facoltà delI’INPS di concedere – nonostante l’avvenuta cessione – rateazioni e dilazioni. Cfr. A. La Malfa, F. Marengo, cit., pagg. 279 e 289.

[5] Questa esclusione risente della stessa preoccupazione (rivelatasi poi infondata) che inizialmente condusse il legislatore ad escludere dal campo oggettivo di applicazione della transazione fiscale l’IVA e i tributi costituenti risorse proprie dell’Unione Europea.

[6] Si tratta dei crediti per contributi ad istituti, enti o fondi speciali – compresi quelli sostitutivi o integrativi – che gestiscono forme di assicurazione obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti, assistiti da privilegio mobiliare ai sensi dell’art. 2753 c.c.

[7] Si tratta dei crediti per contributi dovuti a istituti ed enti per forme di tutela previdenziale e assistenziale assistiti da privilegio mobiliare ai sensi dell’art. 2754 c.c. nonché degli accessori, limitatamente al 50% del loro ammontare, relativi a tali crediti ed a quelli indicati dal n. 1) del medesimo art. 2778 c.c.

[8] Cfr. circolare INPS n. 38/2010. Tale richiesta è motivata con il fatto che il mancato versamento delle suddette ritenute configura il reato di cui all’art. 2, comma 1-bis, del D.L. 12 settembre 1983, n. 463.

[9] Cfr. circolare INPS n. 38/2010 e circolare INAIL n. 8/2010.

[10] Qualora la proposta si riveli invece carente di qualcuno dei documenti richiesti, deve essere preso immediato contatto con l’impresa per invitarla a completare la documentazione.

[11] Qualora l’impresa presenti più posizioni aperte, la direzione regionale competente è quella dove è situata la sede legale, la quale svolge un ruolo di coordinamento con le restanti direzioni dove risultano aperte altre posizioni contributive.

[12] Anche nella circolare INAIL n. 8/2010 si attribuisce al direttore regionale la competenza decisoria con apposito atto di determinazione motivato, cui è altresì rimessa la valutazione della sua convenienza.

[13] Cfr. A. La Malfa, F. Marengo, cit., pagg. 277-281.

[14] Cfr. in tal senso anche E. Stasi, “Falcidicabilità dell’IVA nella vecchia e nella nuova disciplina del concordato preventivo e degli accordi di ristrutturazione”, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali n. 1/2020, pag. 87; M. Spadaro, “Il trattamento dei crediti tributari e contributivi secondo il nuovo art. 182-ter l.fall.”, in Il fallimento e le altre procedure concorsuali n. 1/2018, pag. 11; M. Marazza, “Il debito contributivo dell’impresa insolvente”, in Argomenti di diritto del lavoro, 2017, pag. 580.

[15] Il fatto che non potesse essere un Decreto interministeriale a modificare una norma primaria era stato già rilevato dal Tribunale di Monza, 15 marzo 2010.

[16] Per quanto attiene ai criteri di applicazione di tale divieto alla transazione previdenziale perfezionata nell’ambito delle trattative che precedono la stipula degli accordi di ristrutturazione, per i quali non vige la regola del rispetto delle cause di prelazione e del relativo ordine di graduazione, assumono rilievo le medesime considerazioni esposte nel secondo e terzo capitolo in ordine alla transazione fiscale, cui pertanto si rinvia.

[17] Come osservato da M. Spadaro, cit., pag. 16.

[18] L’ulteriore condizione richiesta, affinché l’accordo risulti omologabile anche in assenza di espresso consenso (con conseguente efficacia degli effetti che ne derivano), è che il soddisfacimento dei crediti fiscali offerto dall’impresa debitrice sia, sulla base delle risultanze dell’attestazione resa da un professionista liquidazione, conveniente rispetto a quello derivante dall’alternativa liquidazione.

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