Con sentenza n. 9948 del 15 aprile 2021, la Corte di Cassazione ha affrontato il delicato tema della trasmissibilità in via ereditaria della posizione (e dei relativi diritti) di beneficiario di polizza assicurativa.
Nella vicenda in esame, gli eredi testamentari del beneficiario della polizza (premorto rispetto al contraente della polizza stessa) avevano richiesto alla compagnia assicurativa la liquidazione di quanto maturato dalla propria dante causa quale beneficiaria della polizza stessa. La posizione di beneficiaria della polizza era divenuta anche irrevocabile in quanto il (i) la beneficiaria aveva accettato la designazione e (ii) il contraente aveva altresì rinunciato per iscritto alla facoltà di revoca del beneficio.
La compagnia assicurativa aveva opposto un netto rifiuto in quanto (i) la rinuncia della facoltà di revoca era stata successivamente disconosciuta dal contraente (ii) la designazione della beneficiaria era stata revocata con designazione di altro beneficiario (sorella del contraente) e (iii) soprattutto, la beneficiaria era premorta al contraente, facendo automaticamente venir meno la sua designazione quale beneficiaria della polizza.
La Corte di Cassazione non ha investigato le tematiche relative al disconoscimento della rinuncia alla facoltà di revoca (che pur possono avere una rilevanza dirimente ai fini della soluzione del caso concreto), rinviandone l’analisi al giudice di merito. Si è invece concentrata sull’analisi della trasmissibilità mortis causa del diritto al beneficio prima del verificarsi dell’evento assicurato (morte del contraente/assicurato).
Tanto il Tribunale che la Corte d’Appello hanno accolto la tesi della compagnia assicurativa, sul presupposto che la designazione del beneficiario di polizza è connotato da intuitu personae che verrebbe meno in caso di premorienza di quest’ultimo rispetto al contraente. Peraltro, il diritto di credito del beneficiario verso la compagnia assicurativa sorge nel momento in cui si verifica l’evento assicurato (la morte dell’assicurato); prima di tale momento, il diritto di credito permane nel patrimonio del contraente, che può quindi disporne (nuovamente).
La Corte di Cassazione giunge invece a conclusioni diametralmente opposte.
Si tratta di un tema molto dibattuto in dottrina, non tanto nelle conclusioni (che coincidono con quelle a cui è giunta la Corte di Cassazione con la sentenza in commento) quanto nel titolo (iure proprio[1] o iure hereditatis[2]) con il quale avviene la trasmissione del beneficio agli eredi del beneficiario. Con la evidente differenza che nel primo caso non ci sarà bisogno di una accettazione dell’eredità, che invece sarà necessaria nel secondo.
Secondo l’orientamento consolidato della Corte di Cassazione[3], ai sensi dell’art. 1920 comma terzo del codice civile, il beneficiario di una polizza acquista un diritto proprio ai vantaggi dell’assicurazione, di fonte esclusivamente contrattuale.
Con la designazione del beneficiario, il diritto di credito esce dal patrimonio del contraente e entra a far parte del patrimonio del beneficiario, che lo acquista, appunto, iure proprio.
Si tratta di un diritto di credito pieno, di cui il beneficiario può liberamente disporre e che, alla sua morte, si trasmette ai suoi eredi.
Di converso, non fa più parte del patrimonio del contraente, che non può quindi più disporne. L’unica facoltà del contraente è la revoca della designazione, anche se il terzo ha dichiarato di volerne profittare.
La revoca della designazione dovrà avvenire in modo preciso e inequivoco: la redazione, ad esempio, di un testamento successivo alla sottoscrizione del contratto di assicurazione con una generica istituzione di erede non assume “chiara valenza di revoca dell’originario beneficiario della polizza”. Al contrario, “in difetto di alcun riferimento alla designazione formulata nel contratto di assicurazione” la disposizione testamentaria non può da sola “integrare alcuna manifestazione di volontà di revoca”.
Il contraente può anche rinunciare a questa facoltà (come sarebbe avvenuto nel caso di cui alla sentenza in commento, seppure la rinuncia sia stata successivamente disconosciuta), così cristallizzando nel tempo il diritto del beneficiario e privandosi del diritto di cambiare idea.
La Corte risolve il tema della premorienza del beneficiario con l’applicazione analogica della disciplina del contratto in favore di terzo e in particolare dell’art. 1412, comma secondo, del codice civile che prevede l’eseguibilità della prestazione in favore degli eredi del terzo, in caso di premorienza di quest’ultimo, a meno che il beneficio non sia stato revocato o lo stipulante non abbia disposto diversamente.
Ad avviso della Corte, infatti, la morte dell’assicurato è semplicemente il termine a decorrere dal quale il beneficiario (o, se premorto, i suoi eredi) può pretendere la prestazione assicurata. Pertanto la morte dell’assicurato è da considerarsi quale presupposto della sola esigibilità di un diritto di credito già acquisito al patrimonio del beneficiario irrevocabile della polizza, e trasmissibile (in via testamentaria o ab intestato) ai suoi eredi.
La rinuncia alla revoca della designazione è un negozio inter vivos post mortem, e pertanto compatibile con il divieto di stipulare le convenzioni con cui si dispone della propria successione o si dispone (anche rinunciandovi) dei diritti spettanti su una futura successione (c.d. patti successori).
Alla posizione della dottrina, che aveva respinto l’incompatibilità tra patti successori e designazione del beneficiario della polizza assicurativa, anche se effettuata in via testamentaria[4], si è aggiunta anche la posizione della Corte di Cassazione, che ha escluso la presenza nell’assicurazione sulla vita, proprio per l’autonomia del diritto acquisito ai sensi dell’art. 1920 c.c., della “connotazione tipica del negozio mortis causa, e cioè la manifestazione della volontà di disporre, a favore dei propri eredi, di un bene del quale si presupponga l’appartenenza – presente o futura – al proprio patrimonio”[5].
La sentenza non affronta le tematiche fiscali connesse alla vicenda esaminata.
Come noto, le indennità ricevute dal beneficiario di una polizza assicurativa stipulata dal de cuius sono escluse dall’Imposta sulle successioni ai sensi dell’art. 12, comma 1, lett. c), D.lgs. 31 ottobre 1990, n. 346.
Questo nella considerazione che le somme trasferite al beneficiario della polizza non derivano direttamente dal patrimonio del contraente (poi defunto), ma costituiscono erogazioni che il beneficiario riceve (iure proprio) dalla compagnia assicurativa sulla base del contratto di assicurazione.
Nell’ipotesi in esame, tuttavia, gli eredi del beneficiario subentrano – mortis causa, e quindi iure hereditatis – nel diritto di credito spettante al beneficiario della polizza.
Questa diversità di posizione tra beneficiario diretto della polizza (per il quale opera l’esenzione sopra descritta) ed erede del beneficiario (che subentra iure hereditatis nel diritto di credito del beneficiario) inducono a ritenere che per tale erede non operi l’esenzione da Imposta sulle successioni.
In questo caso, in linea di principio, l’imposta dovrebbe essere applicata sul valore della polizza al momento del decesso del beneficiario, ma un chiarimento sul punto sarebbe auspicato.
[1] MIRABELLI, Dei contratti in generale, Torino, 1958, p. 401.
[2] MESSINEO, Il contratto in generale, in Tratt. Dir. Civ. comm. CIcu-Messineo, Milano, 1972, II, p. 148.
[3] Si vedano, tra le altre, Cass. civ., 23 marzo 2006, n. 6531, in Foro it. Rep., 2006, Assicurazione (contratto), n. 157; Cass. Civ., 10 novembre 1994, n. 9388, in Giust. civ., 1995; Cass. civ., 21 dicembre 2016, n. 26606, in Rivista Assicurazioni, 2017, II.
[4] Palazzo, Istituti alternativi al testamento, in Tratt. dir. civ. Cons. Naz. Notar., Napoli, 2003, 104 ss.
[5] Cass., 14 maggio 1996, n. 4484, in Riv. Not., 1996, 1490.