Il presente contributo analizza i principi espressi dalla sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite del 6 aprile 2023 n. 9479 che, superando il principio del giudicato implicito, ha apportato importanti novità in materia di tutela del consumatore.
Con la sentenza del 6 aprile 2023 n. 9479, la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ha ripreso i principi espressi nel 2022 dalla Grande Sezione della Corte di Giustizia UE, con le quattro sentenze di San Pasquale, così soprannominate dal nome del santo che si festeggia il 17 maggio, data di emissione delle pronunce europee emesse in cause riunite C 639/19 e C-831/19, causa C-869/19, causa C-725/19 e causa C-600/19)
La recente sentenza delle Sezioni Unite è, quindi, l’ultima tappa (forse solo in ordine di tempo) di un percorso giuridico intrapreso sia dal legislatore che dal giudice europeo finalizzato ad accrescere e a rendere effettiva la tutela del consumatore.
Ciò non può stupire se si ricorda che l’art. 169 del Trattato sul funzionamento dell’Unione Europea (TFUE), indica espressamente tra gli obiettivi dell’Unione quello di “assicurare un livello elevato di protezione ai consumatori”.
Nel corso degli ultimi anni, il giudice europeo sulla spinta del citato articolo si è spinto a superare, in ambito fideiussorio, la figura del c.d. professionista «di riflesso» o «di rimbalzo» (CGUE sent. 19 novembre 2015, causa C-74/15), ed ha imposto il rimborso dei costi istantanei in caso di estinzione anticipata del finanziamento (CGUE sent. 11 settembre 2019, causa C-383/18, c.d. sentenza Lexitor).
Finché nel 2022, proprio con le sentenze di San Pasquale (ed in particolare la decisione nella causa C-600/19 Ibercaja Banco) la Corte di Giustizia è giunta a prevedere la possibilità di sacrificare, in alcune condizioni, il principio della certezza del giudicato, quando precedentemente non vi era stata pronuncia esplicita sulla legittimità delle clausole contrattuali, in tema di decreto ingiuntivo non opposto e quindi passato in giudicato.
Alla luce di tale orientamento la nostra Suprema Corte, per armonizzare il diritto interno con quello dell’Unione Europea, come interpretato dalla CGUE, ha quindi fatto ordine in alcune disposizioni processuali del nostro ordinamento, offrendo una loro interpretazione conforme al diritto europeo, pur mantenendone la struttura di base.
E quindi:
- da un lato, per i nuovi ricorsi per decreto ingiuntivo, si è di fatto anticipato all’ambito del procedimento sommario monitorio parte di quella cognizione piena demandata al giudizio di merito;
- dall’altro lato, si è concessa una sorta di “rimessione in termini” al debitore/consumatore che non abbia proposto opposizione a decreto ingiuntivo nei termini di legge, anche se rimasto colpevolmente inerte di fronte all’azione monitoria del creditore, con conseguenti disagi per i creditori che abbiano promosso azioni esecutive confidando sulla intangibilità di un titolo esecutivo di natura giudiziale passato in giudicato. Si è così, di fatto, scelto di derogare – in talune ipotesi – al principio dell’intangibilità del giudicato, in favore di una tutela effettiva del consumatore.
Facendo un passo indietro, va ricordato che, prima di questo intervento, la giurisprudenza era del tutto consolidata nel senso di ritenere che il principio del giudicato coprisse il dedotto e il deducibile anche in caso di decreto ingiuntivo semplicemente non opposto.
Valga per tutti ricordare due tra le ultime decisioni della stessa Corte di Cassazione, di cui ricordiamo le massime per la loro puntualità nel ribadire il principio del giudicato implicito:
Cass. 24 settembre 2018, n. 22465
Il principio secondo cui l’autorità del giudicato spiega i suoi effetti non solo sulla pronuncia esplicita della decisione, ma anche sulle ragioni che ne costituiscono sia pure implicitamente il presupposto logico-giuridico, trova applicazione anche in riferimento al decreto ingiuntivo di condanna al pagamento di una somma di denaro, il quale, in mancanza di opposizione o quando quest’ultimo giudizio sia stato dichiarato estinto, acquista efficacia di giudicato non solo in ordine al credito azionato, ma anche in relazione al titolo posto a fondamento dello stesso, precludendo ogni ulteriore esame delle ragioni addotte a giustificazione della relativa domanda in altro giudizio. (Nella specie la S.C. ha ritenuto preclusa dal giudicato, formatosi a seguito dell’estinzione della causa di opposizione al decreto ingiuntivo ottenuto da una banca in relazione al saldo passivo di un conto corrente, la successiva domanda, proposta dal co1rrentista, tesa ad ottenere la ripetizione delle somme indebitamente trattenute dall’istituto di credito in forza di clausole negoziali invalide).
Cass. 4 novembre 2021, n. 31636
Il decreto ingiuntivo divenuto inoppugnabile, che abbia ad oggetto la condanna al pagamento di prestazioni fondate su un contratto a monte, preclude all’intimato la possibilità di invocare, in un diverso giudizio, la nullità del contratto o di specifiche sue clausole, atteso che il giudicato, coprendo il dedotto e il deducibile, si estende anche all’insussistenza di cause di invalidità (c.d. giudicato per implicazione discendente), ancorché diverse da quelle fatte valere nel processo definito con sentenza irrevocabile.
La nuova decisione delle Sezioni Unite in commento ribalta, dunque, questa consolidata concezione del giudicato e nasce dal caso di una consumatrice che aveva prestato una fideiussione a beneficio di un istituto di credito, escussa in seguito all’inadempimento del debitore principale.
Era stato, quindi, ottenuto un decreto ingiuntivo, che non era stato opposto dalla garante, in base al quale l’istituto creditore aveva promosso un procedimento esecutivo immobiliare ai danni della garante/consumatrice.
La garante proponeva in seguito, solo in sede di esecuzione, opposizione avverso l’ordinanza che dichiarava esecutivo il progetto di distribuzione del ricavato, eccependo la nullità del decreto ingiuntivo azionato, in quanto emesso da un giudice territorialmente incompetente, al quale il creditore si era rivolto invocando una clausola della fideiussione che derogava il foro del consumatore in assenza dei presupposti di legge, da considerarsi quindi abusiva.
Sulla base della giurisprudenza fino ad allora sviluppatasi, l’opposizione agli atti esecutivi veniva respinta in quanto il decreto ingiuntivo era passato in giudicato e, come detto, il giudicato copriva il dedotto e il deducibile.
Ricorrendo in Cassazione, la garante/consumatrice invocava la violazione della direttiva 93/13 e dell’art. 19 del TUE e, in particolare, l’effettività della tutela del consumatore, non essendoci stato alcun controllo d’ufficio, in sede di procedimento monitorio, sull’abusività delle clausole contrattuali.
Riprendendo i principi enunciati dalla CGUE nelle citate sentenze del 17 maggio 2022, che avevano già aperto un acceso dibattito in dottrina e in giurisprudenza, la Suprema Corte ha dunque fornito un’interpretazione innovativa di alcune norme processuali in materia di ingiunzione di pagamento, enunciando i seguenti principi di diritto che incidono su normative riguardanti sia la fase monitoria, sia la fase esecutiva, sia la fase di cognizione.
Riprendendo quindi i principi enunciati dalla CGUE nella sentenza del 17 maggio 2022, sopra ricordati, la Suprema Corte in via interpretativa di adeguamento ai principi europei, ha stabilito – di fatto – un’integrazione delle norme vigenti, intervenendo su distinte fasi processuali.
Per quanto riguarda la fase monitoria, le SS.UU. hanno precisato che il giudice, innanzitutto:
a) deve svolgere d’ufficio, il controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto stipulato tra professionista e consumatore in relazione all’oggetto della controversia;
al fine di svolgere adeguatamente questo controllo, il giudice del decreto deve quindi:
b) procedere in base agli elementi di fatto e di diritto in suo possesso, integrabili con il potere istruttorio d’ufficio conferitogli dalla legge (art. 640 c.p.c.), da esercitarsi in armonia con la struttura e funzione del procedimento d’ingiunzione, il che significa che il giudice:
- potrà chiedere al ricorrente di produrre il contratto e di fornire gli eventuali chiarimenti necessari anche in ordine alla qualifica di consumatore del debitore;
- ma laddove l’accertamento si presenti complesso, non potendo egli far ricorso ad un’istruttoria eccedente la funzione e la finalità del procedimento (ad es. disporre c.t.u.), dovrà respingere l’istanza d’ingiunzione, ferma restando la possibilità per il ricorrente di riproporre la domanda, sia in sede monitoria, allegando migliore documentazione probatoria, sia in via ordinaria;
c) all’esito del controllo, il giudice ha due possibili scelte:
- se rileva l’abusività della clausola, ne trarrà le conseguenze in ordine al rigetto o all’accoglimento parziale del ricorso;
- se, invece, il controllo sull’abusività delle clausole incidenti sul credito azionato in via monitoria darà esito negativo, pronuncerà decreto motivato, ai sensi dell’art. 641 c.p.c., anche in relazione alla verifica della legittimità e non abusività delle clausole;
- infine, sempre allo scopo di accordare la massima tutela al consumatore, le Sezioni Unite hanno aggiunto che il decreto ingiuntivo dovrà contenere l’espresso avvertimento che in mancanza di opposizione nel termine di legge (40 giorni) il debitore-consumatore non potrà più far valere l’eventuale carattere abusivo delle clausole del contratto e il decreto non opposto diventerà irrevocabile.
Sempre al fine di garantire la tutela del consumatore in rapporto con un soggetto che svolga professionalmente la sua attività di impresa, le Sezioni Unite hanno stabilito che anche nella fase esecutiva il Giudice deve esercitare un (sia pur) sommario controllo di merito della legittimità del titolo, naturalmente solo in assenza di motivazione del decreto ingiuntivo in riferimento al profilo dell’abusività delle clausole:
- in tal caso egli ha il dovere – da esercitarsi sino al momento della vendita o dell’assegnazione del bene o del credito – di controllare la presenza di eventuali clausole abusive che abbiano effetti sull’esistenza e/o sull’entità del credito oggetto del decreto ingiuntivo;
- ove tale controllo non sia possibile in base agli elementi di diritto e fatto già in atti, dovrà provvedere, nelle forme proprie del processo esecutivo, ad una sommaria istruttoria funzionale a tal fine;
- dell’esito di tale controllo sull’eventuale carattere abusivo delle clausole – sia positivo, che negativo – informerà le parti e avviserà il debitore esecutato che entro 40 giorni può proporre opposizione a decreto ingiuntivo ai sensi dell’art. 650 c.p.c. per fare accertare (solo ed esclusivamente) l’eventuale abusività delle clausole, con effetti sull’emesso decreto ingiuntivo, anche se passato in giudicato per effetto della mancata opposizione;
- fino alle determinazioni del giudice dell’opposizione a decreto ingiuntivo sull’istanza di sospensione del decreto opposto, il giudice dell’esecuzione non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito;
- ulteriore caso disciplinato dalla pronuncia interpretativa delle Sezioni Unite è quello in cui il debitore abbia proposto opposizione all’esecuzione ex art. 615, primo comma, c.p.c., al fine di far valere l’abusività delle clausole del contratto fonte del credito ingiuntivo non opposto e azionato in via esecutiva: in tal caso il giudice dell’esecuzione adito la riqualificherà in termini di opposizione tardiva a decreto ingiuntivo (ex art. 650 c.p.c.) e rimetterà la decisione dell’opposizione all’ufficio giudiziario che aveva emesso il decreto ingiuntivo;
- in concreto, quando il debitore propone un’opposizione esecutiva per far valere l’abusività di una clausola, il giudice dell’esecuzione assegnerà un termine di 40 giorni per proporre l’opposizione tardiva – se del caso rilevando l’abusività di altra clausola – e non procederà alla vendita o all’assegnazione del bene o del credito sino alle determinazioni del giudice dell’opposizione tardiva sull’istanza del debitore-consumatore di sospensione dell’efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo azionato in via esecutiva.
Quindi, a sua volta, il giudice dell’opposizione tardiva a decreto ingiuntivo, una volta investito dell’opposizione (solo ed esclusivamente sul profilo di abusività delle clausole contrattuali), avrà il potere di sospendere (ex art. 649 c.p.c.) l’esecutorietà del decreto ingiuntivo, in tutto o in parte, a seconda degli effetti che l’accertamento sull’abusività delle clausole potrebbe comportare sul titolo giudiziale; procederà, quindi, secondo le forme di rito.
Ovviamente, non si potrà sollevare tardivamente una eccezione che non sia riconducibile a un tema di abusività delle clausole contrattuali (ad esempio, non si potrà più eccepire l’intervenuta prescrizione).
In conclusione, si è scelto di derogare al principio della certezza del diritto e dell’intangibilità del giudicato in favore di una tutela effettiva del consumatore attraverso taluni adeguamenti del diritto processuale interno, utilizzando gli strumenti dell’interpretazione conforme e della disapplicazione.
In particolare, da un lato, si è anticipato – di fatto – all’ambito del procedimento sommario monitorio parte di quella cognizione piena demandata al giudizio di merito, nei limiti indicati dalla Cassazione, vale a dire: laddove l’accertamento sulla vessatorietà imponga, per la sua complessità, un’istruzione probatoria non coerente con il procedimento monitorio (ad es., richiedendosi l’assunzione di testimonianze o l’espletamento di c.t.u.), il giudice dovrà respingere l’istanza d’ingiunzione, che il ricorrente, se riterrà, potrà comunque riproporre (evidentemente sulla scorta di ulteriori e più congruenti elementi probanti) o, invece, affidarsi alla “via ordinaria”.
Dall’altro lato, si è concessa – di fatto – una “rimessione in termini” al debitore/consumatore, anche se rimasto colpevolmente inerte di fronte all’azione monitoria del creditore, con conseguenti disagi per i creditori che abbiano promosso azioni esecutive confidando sulla intangibilità di un titolo esecutivo di natura giudiziale passato in giudicato, di cui vedremo gli effetti nel prossimo futuro.