Lo yuan digitale, da semplice sperimentazione su base regionale, è diventato realtà globale durante le recenti Olimpiadi di Pechino con un progetto di portata “mondiale” che consentiva alle delegazioni partecipanti di scambiare transazioni in valuta digitale cinese tramite l’utilizzo di wallet virtuali.
Il termine dell’evento è praticamente coinciso con l’inizio del momento certamente più critico della situazione Russia-Ucraina, nel cui ambito la Cina – approfittando dei delicati equilibri geopolitici e finanziari mondiali – provava ad “attirare” la Russia nell’orbita del “CIPS”, il circuito cinese dei pagamenti internazionali, principale rivale dello Swift anche se per il momento decisamente più modesto sul piano delle transazioni.
In questo scenario, gli Stati Uniti, nella persona del proprio Presidente, firmavano lo scorso 9 marzo l’Executive Order on Ensuring Responsible Development of Digital Assets, documento programmatico volto a fissare gli obiettivi rispetto alle politiche responsabili di sviluppo americane in materia di asset digitali intesi in senso ampio, partendo dalle criptovalute e dalle stablecoin, fino a blockchain e più in generale alle “DLT” (Distributed Ledger Tecnology).
Tale Ordine conferisce mandato alle Autorità americane coinvolte di produrre – entro 6 mesi – un rapporto sul futuro dei pagamenti digitali, individuando le soluzioni per colmarne le principali lacune regolatorie e finalizzando, con il contributo centrale della FED, il lavoro sulla Central Bank Digital Currency americana.
Posto che il documento è in gran parte focalizzato sulla tutela della trasparenza verso i consumatori e sulla prevenzione dei rischi finanziari in materia di riciclaggio e terrorismo oltreché sullo sviluppo responsabile ed ecosostenibile delle cripto, ulteriore aspetto – particolarmente interessante – è quello relativo alla parte in cui si osserva che “Digital assets may also be used as a tool to circumvent United States and foreign financial sanctions regimes and other tools and authorities”.
L’Ordine presidenziale, dunque, precisa esplicitamente che – in un momento di delicata stabilità finanziaria globale in cui alcuni Paesi risultano o saranno in futuro destinatari di sanzioni economiche e logistiche da parte di altri – la valuta digitale “privata” potrebbe essere utilizzata come mezzo per eludere gli effetti delle sanzioni, creando riserve di valore a tutela delle fortissime svalutazioni della valuta locale.
Sulla stessa lunghezza, sempre il 9 marzo scorso, la Commissione EU ha pubblicato un proprio comunicato sulle sanzioni sino ad ora irrogate a causa del conflitto Russia-Ucraina, specificando – rispetto al blocco delle transazioni finanziarie mediante il circuito SWIFT – che “crypto assets fall under the scope of transferable securities”, dovendo pertanto le medesime misure restrittive estendersi anche alle transazioni effettuate tramite criptoassets.
Chiaramente le Autorità internazionali stanno valutando un rischio potenziale da presidiare, poiché non si è – ad oggi – avuta certezza di un utilizzo delle valute virtuali in tal senso. Anzi, i principali players dei mercati internazionali in cripto tengono a precisare che si stanno già adeguando al sistema di sanzioni irrogate per bloccare eventuali account di soggetti destinatari delle stesse o a questi riconducibili, rafforzare i presidi di “KYC” e intensificare i controlli dei wallet garantendone la massima tracciabilità possibile.
Sul tema, giova quantomeno accennare che, come noto, blockchain e DLT significano al contempo “tracciabilità” dei dati della transazione ma anche “anonimato” circa coloro che la effettuano mediante l’utilizzo di chiavi private, talvolta non disponibili ai prestatori di servizi cripto a seconda che si tratti, ad esempio, di wallet “custodial” o “self-custodial”.
Posto tale tema, rimane evidente come – in momenti di instabilità finanziaria -tutti gli assets alternativi alla moneta avente corso legale (si veda, ad esempio, il notevole aumento del valore dell’oro) assumano potenziale funzione di “bene rifugio”, rispetto al rischio sempre più elevato di inflazioni fuori controllo.
Sotto tale aspetto può essere letta la ormai altissima attenzione dei governi dei Paesi più potenti rispetto all’adozione rapida di valute digitali di stato (“Central Bank Digital Currencies”) che possano, almeno in parte, compensare il rischio che molti cittadini spostino i propri risparmi al di fuori del sistema finanziario e di pagamento tradizionale. Il rischio da fronteggiare per gli Stati è, dunque, la diffusione endemica di “sistemi di pagamento digitali” non governabili, in sostituzione del denaro contante: questo significherebbe meno strumenti in mano ai governi per controllare la politica monetaria, agendo su tassi di interesse o sul quantitative easing.
Verso una direttrice del tutto opposta corrono, invece, quei Paesi la cui valuta ha un debolissimo potere d’acquisto (si prenda, su tutti, il recente caso di El Salvador) oppure, come nel caso dell’Ucraina, la cui valuta è diventata pressoché inutilizzabile per motivi contingenti: in tal modo, si spiega l’annuncio datato 16 marzo scorso riguardo al fatto che il Presidente Zelenski abbia firmato una legge “sui beni virtuali”, già adottata dal Parlamento il precedente 17 febbraio.
Tale provvedimento, si legge sul sito ufficiale del Ministero della Trasformazione Digitale, crea le condizioni per un mercato legale per le risorse virtuali in Ucraina, il quale sarà regolato dalla National Securities and Stock Market Commission. In esso si determinano lo stato giuridico, la classificazione e la proprietà degli asset virtuali, l’elenco dei fornitori di beni virtuali e le condizioni della loro registrazione e l’attuazione di misure di monitoraggio finanziario del settore.