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La voluntary disclosure

17 Dicembre 2013

Avv. Prof. Stefano Loconte e Avv. Ernesto Sellitto, Studio Legale e Tributario Loconte & Partners

Di cosa si parla in questo articolo

La voluntary disclosureo collaborazione volontaria, rientra nel quadro delle misure volte a promuovere il contrasto dei fenomeni di sottrazione di redditi all’imposizione realizzata mediante l’allocazione fittizia all’estero della residenza fiscale e l’illecito trasferimento e/o detenzione all’estero di attività produttive di reddito.

Si tratta di una procedura inserita in un più vasto programma di lotta ai fenomeni di illecito fiscale internazionale in attuazione di quanto auspicato già nel 2010 dall’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e, più recentemente nell’aprile del 2013, dalla relazione della Commissione per lo studio sull’autoriciclaggio (Commissione Greco).

Il programma di voluntary disclosure nasce, come detto, con il dichiarato intento di far rientrare in Italia tutte quelle somme che sono state trasferite all’estero (o sono lì detenute) in violazione delle norme sul monitoraggio fiscale di cui al Decreto Legge numero 167 del 28 giugno 1990, convertito dalla Legge numero 227 del 4 agosto 1990.

Nonostante si parli di voluntary disclosure come di un nuovo strumento per perseguire i fini anzidetti, si fa notare come in realtà già esista nel nostro ordinamento delle norme che potrebbero permettere, in determinate circostanze, di giungere ad una definizione agevolata delle sanzioni. Ci si riferisce al Decreto Legislativo numero 472 del 18 dicembre 1997 (in particolare all’articolo 7 comma 4)1.

Già nel 2010 l’OCSE incoraggiava gli Stati membri ad introdurre, nei propri ordinamenti, politiche agevolative come strumento per raccogliere capitali e, allo stesso tempo, per contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale. Numerosi sono stati i Governi che hanno posto in essere programmi di voluntary disclosure e, nella maggioranza dei casi, è stato previsto il pagamento in misura piena delle imposte dovute (per gli anni ancora accertabili), oltre agli interessi maturati.

Negli Stati Uniti, ad esempio, chi opta per la disclosure per redditi non dichiarati derivanti da conti correnti esteri non subirà la reclusione per evasione fiscale e dovrà versare per intero le imposte evase oltre gli interessi. Inoltre le sanzioni di natura tributaria vengono ridotte dal 50% (misura ordinariamente applicata) al 20% delle imposte evase.

Il Regno Unito ha optato per regimi di disclosure differenti a seconda del Paese estero in cui sono detenuti i capitali. Ciò che tutti i programmi hanno in comune è la riduzione delle sanzioni al 10% (solitamente vanno dal 30% al 100% delle imposte dovute) e la non applicazione delle sanzioni penali.

In Germania in un primo momento era possibile aderire ai programmi di disclosure anche solo parzialmente. Questa possibilità è stata eliminata nel 2011 ed oggi è possibile aderire, beneficiando della non applicazione delle sanzioni tributarie, solo comunicando tutte le tipologie di redditi detenuti all’estero e non dichiarati. Inoltre, in caso di evasione che superi la soglia dei 50.000,00 euro (soglia penalmente rilevante), il contribuente ha la possibilità di evitare il procedimento penale pagando un ulteriore 5% delle imposte evase.

In Belgio il contribuente che vuole aderire al programma deve pagare un importo forfetario del 35% del capitale detenuto all’estero per gli anni non più accertabili, e per gli anni ancora suscettibili di accertamento gli verranno applicate sanzioni nella misura del 15% dei redditi non dichiarati (ordinariamente tali sanzioni vanno dal 10 al 200%) e non vengono applicate sanzioni penali.

In Francia è prevista l’applicazione delle sanzioni tributarie (normalmente intorno al 40%) nella misura ridotta che va dal 15% al 30% delle imposte evase, la non applicazione delle sanzioni penali ed un’ulteriore sanzione che varia tra l’1,5% e il 3% del capitale detenuto illegalmente all’estero senza l’obbligo di rimpatrio.

In Italia sta in questi giorni prendendo forma la definizione di un programma di disclosure (anche se è già prevista una forma di agevolazione – come anzi detto – nelle disposizioni di cui all’articolo 7, comma 4, del Decreto Legislativo numero 472 del 18 dicembre 1997), il cui buon esito è, ad oggi, rimesso (i) agli auspici della Commissione Greco secondo la quale “uno strumento di grande utilità per la rilevazione di capitali illecitamente esportati […] potrebbe rivelarsi l’introduzione di meccanismi di premialità in favore dei contribuenti che si autodenuncino. […] peraltro già molto diffusi all’estero, soprattutto nei paesi anglosassoni.”; e (ii) alla Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 25/E del luglio 2013 che affida all’UCIFI2 il “compito di sperimentare l’azione di contrasto (all’omessa dichiarazione di redditi di fonte estera[…] anche attraverso lo sviluppo di attività volte alla volontaria disclosure di attività economiche e finanziarie illecitamente detenute all’estero da contribuenti nazionali”.

I recentissimi lavori parlamentari, aventi ad oggetto gli emendamenti alla Legge di Stabilità per il 2014, stanno, infatti, finalizzando l’introduzione nel nostro ordinamento, coerentemente con quanto tracciato dall’OCSE e con quanto già fatto dai Paesi appena menzionati, dell’istituto della collaborazione volontaria attraverso l’inserimento degli articoli da 5-quater a 5-septies nel corpo normativo del Decreto Legge numero 167 del 28 giugno 1990.

Il presente lavoro, pertanto, si pone di commentare la bozza del provvedimento legislativo anche in un’ottica di eventuale miglioramento dello stesso nelle more della sua definitività.

Profili soggettivi

In particolare, l’articolo 5 quater introduce gli elementi essenziali del programma di disclosure volontaria indicando al comma 1 i soggetti ammessi alla procedura che, a norma dell’articolo 4, comma 1 del Decreto Legge numero 167 del 28 giugno 1990, potranno essere: “Le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate ai sensi dell'articolo 5 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, residenti in Italia che, nel periodo d'imposta, detengono investimenti all'estero ovvero attività estere di natura finanziaria, suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, (e che) devono indicarli nella dichiarazione annuale dei redditi. Sono altresì tenuti agli obblighi di dichiarazione i soggetti indicati nel precedente periodo che, pur non essendo possessori diretti degli investimenti esteri e delle attività estere di natura finanziaria, siano titolari effettivi dell'investimento secondo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, lettera u), e dall'allegato tecnico del decreto legislativo 21 novembre 2007, n. 231.

Da ciò deriva che parrebbe potranno usufruire del meccanismo della disclosure non solo le persone fisiche che hanno costituito o detengono direttamente attività finanziarie o patrimoniali al di fuori del territorio dello Stato, ma anche i titolari effettivi residenti in Italia di partecipazioni estere, immobili, crediti, trust, fondazioni di diritto estero.

Per l’individuazione del titolare effettivo si deve fare riferimento all’articolo 1, comma 2, lettera u) del Decreto Legislativo numero 231 del 21 novembre 2007 e all’allegato tecnico al medesimo Decreto secondo il quale il titolare effettivo “È la persona fisica per conto della quale è realizzata un'operazione o un'attività, ovvero, nel caso di entità giuridica, la persona o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedono o controllano tale entità, ovvero ne risultano beneficiari secondo i criteri di cui all'allegato tecnico al presente decreto3.

Profili procedurali

Ai fini del perfezionamento della procedura di disclosure è necessario che si realizzino tutte le condizioni previste dal comma 1, lettere a) e b), del citato articolo 5 quater e cioè:

a) La spontanea “indicazione” all’Amministrazione finanziaria “mediante presentazione di apposita richiestadalla quale risultino “tutti gli investimenti e tutte le attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, fornendo i relativi documenti e le informazioni per la ricostruzione dei redditi che servirono per costituirli, acquistarli o che derivano dalla loro dismissione o utilizzo a qualunque titolo, relativamente a tutti i periodi di imposta per i quali, alla data di presentazione della richiesta, non sono scaduti i termini per l’accertamento o la contestazione della violazione degli obblighi di dichiarazione di cui all’articolo 4 comma 14”.

Viene dunque in primo luogo richiesto al contribuente il pieno riconoscimento della violazione degli obblighi dichiarativi ai fini della normativa sul monitoraggio fiscale conseguente all’omessa indicazione (nella dichiarazione dei redditi) degli investimenti all’estero e delle attività di natura finanziaria non detenute nel territorio dello Stato suscettibili di produrre reddito imponibile in Italia e delle violazioni di cui all’articolo 1 del Decreto Legislativo numero 471 del 18 dicembre 1997 (omessa o infedele dichiarazione) nel caso di imponibili riferibili alle attività costituite o detenute all’estero.

In modo in quanto inaspettato, non si fa alcun riferimento ad una fase iniziale che avrebbe garantito l’anonimato del contribuente (magari attraverso delega ad un professionista) sino alla decisione di accettare o meno quanto emerso in sede di contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria e, quindi, portare o meno a termine la procedura di discolosure.

Non si esclude (ed anzi si auspica) che tale procedura possa essere dettagliata in tal senso con specifici provvedimenti emessi successivamente dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate.

Come detto poc’anzi, la richiesta di disclosure dovrà riferirsi (sulla scia del modello tedesco) a tutti i periodi d’imposta per i quali, alla data di inoltro dell’istanza, non siano ancora scaduti i termini per l’accertamento. Troveranno, di conseguenza, applicazione tutte le norme per l’individuazione dei periodi di imposta suscettibili di accertamento e quindi i termini “ordinari” di cui all’articolo 43 del Decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 29 settembre 19735 e quelli “raddoppiati” di cui (i) al Decreto Legge numero 223 del 4 luglio 2006, convertito con modificazioni nella Legge numero 248 del 4 agosto 2006 (raddoppio dei termini in presenza di un “reato tributario”) e (ii) al comma 2-bis dell’articolo 12 del Decreto Legge numero 78 del 1 luglio 2009, convertito nella Legge numero 102 del 3 agosto 2009 (raddoppio dei termini per l’accertamento dei redditi localizzati in paradisi fiscali).

Appare evidente come, ai fini della corretta individuazione dell’ambito temporale di riferimento della procedura di disclosure, l’applicazione della disciplina sui termini per l’esercizio dei poteri di accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria in relazione alle imposte sui redditi (termini identici per quel che riguarda gli accertamenti ai fini dell’Imposta sul Valore Aggiunto) debba essere coordinata con la disciplina di cui all’articolo 20 del Decreto Legislativo numero 472 del 18 dicembre 1997 e al comma 2-ter dell’articolo 12 del Decreto Legge numero 78 del 1 luglio 2009. Norme, queste ultime, che regolamentano, rispettivamente, i termini per la contestazione e l’irrogazione delle sanzioni relative alle violazioni della disciplina sul monitoraggio fiscale (pari a cinque anni dalla data in cui è avvenuta la violazione) e il raddoppio dei predetti termini in relazione ad attività finanziarie detenute in paradisi fiscali.

b) Il versamento da parte del contribuente, ai fini del perfezionamento della procedura di disclosure, in unica soluzione (a differenza di quanto avviene nelle normali procedure di accertamento con adesione) delle somme dovute in base al successivo avviso di accertamento che verrà emesso dall’Amministrazione finanziaria; tale pagamento dovrà avvenire entro i termini per la proposizione del ricorso, o, in caso di istanza di adesione all’avviso di accertamento, entro 20 giorni dalla redazione dell’atto stesso.

Sembra quindi che, poiché all’esito della discosure verrà emesso un avviso di accertamento, dovrà essere garantito il contraddittorio con il contribuente “collaborante” ai fini della determinazione della base imponibile sottratta a tassazione e delle relative sanzioni (tanto anche al fine di coordinare la nuova procedura con quella dell’accertamento con adesione, come normalmente applicabile agli avvisi di accertamento). Come detto, non appare chiaro se sia data la facoltà al contribuente di non accettare gli esiti di questo particolare contraddittorio e quali siano i riflessi di tale mancata accettazione in assenza di anonimato. Sempre entro il termine per la proposizione del ricorso avverso l’atto di contestazione o avverso il provvedimento di irrogazione delle sanzioni, inoltre, il contribuente dovrà versare – comunque in unica soluzione – le somme dovute a titolo di sanzione per la violazione degli obblighi sul monitoraggio fiscale di cui all’articolo 16 del Decreto Legislativo numero 472 del 18 dicembre 1997, e non potrà avvalersi della compensazione prevista dall’articolo 17 del Decreto Legislativo numero 241 del 9 luglio 1997.

Il mancato versamento di quanto richiesto nei termini sopra indicati comporterà il non perfezionamento della procedura di disclosure con evidenti problemi a carico del contribuente che, a quel punto, avrà ormai comunicato all’Amministrazione finanziaria tutti i suoi dati e vedrà l’atto di accertamento e contestazione acquisire natura definitiva salvo immaginare il suo diritto di proporre impugnazione innanzi ai competenti organi della giustizia tributaria.

Appare quindi in tutta evidenza non vi saranno riduzioni in termini di imposte da corrispondere all’Erario, mentre saranno oggetto di riduzione (come si vedrà nel prosieguo) le sole sanzioni applicabili6.

Sarà fondamentale comprendere, poi, se il reddito derivante dalle attività oggetto di disclosure debba essere determinato in relazione al capitale ovvero al rendimento dello stesso tenendo in debita considerazione il livello di complessità richiesto da un calcolo analitico in presenza di operazioni finanziarie magari risalenti nel tempo e di difficile prova documentale e, soprattutto, come impatterà sul calcolo della base imponibile la presunzione di redditività di cui all’articolo 12 del Decreto Legge numero 78 del 1 luglio 2009.

Necessari chiarimenti saranno, inoltre, quelli relativi alle modalità di calcolo del rendimento (forfetario o analitico), alla disciplina del riporto delle minusvalenze generate nell’ambito di attività finanziarie detenute all’estero, alle aliquote applicabili una volta individuata la base imponibile (aliquote vigenti ratione temporis, aliquote forfetarie, aliquote proprie della tassazione delle rendite finanziarie?) e alla sorte delle eventuali imposte pagate all’estero sui redditi derivanti dalle attività finanziarie oggetto della disclosure.

Ed una volta determinato il reddito del contribuente che aderisce alla disclosure dovranno essere tenute in considerazione le possibili correlazioni tra il reddito emerso in capo al contribuente e quello derivante da una eventuale attività di impresa del contribuente stesso (con rilevanti ricadute anche ai fini IVA).

L’esercizio della disclosure sarà impedito a quei contribuenti che abbiano avuto “formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività” di accertamento tributario riconducibili alle attività costituite o detenute all’estero anche nei confronti di “soggetti solidalmente obbligati in via tributaria o da soggetti concorrenti nel reato”. Si ritiene che non rientrino nella fattispecie appena menzionata, e dunque non rappresentino causa ostativa alla presentazione della richiesta di disclosure, le comunicazioni derivanti dai controlli ai sensi degli articoli 36-bis e 36-ter del Decreto del Presidente della Repubblica numero 600 del 29 settembre 1973 e le richieste pervenute attraverso questionari nonché l’avvio di un procedimento penale non (ancora) collegato ad un procedimento amministrativo tributario.

Si rammenta anche la richiesta di adesione al programma non potrà essere presentato più di una volta, anche indirettamente o per interposta persona.

Il comma 4 dispone infine che la collaborazione volontaria per la comunicazione degli investimenti e delle attività finanziarie detenute all’estero potrà essere attivata entro il 30 settembre 2016.

Profili sanzionatori

Nella bozza di articolato in esame vengono definiti, inoltre, gli effetti sanzionatori derivanti dall’adesione alla procedura di collaborazione volontaria sia per quel che riguarda le correlazioni con le sanzioni penali che con quelle amministrative.

Forti perplessità sono sempre state prospettate in relazione ad una ipotetica adesione alla procedura di disclosure avuto riguardo ai profili sanzionatori di natura penale che il contribuente avrebbe dovuto affrontare.

Il rischio evidente è legato alla fatto che una volontaria denuncia al fisco avrebbe potuto comportare per il contribuente l’apertura di una indagine penale a suo carico.

La stessa Commissione Greco, nella relazione per lo studio sull’autoriciclaggio, suggeriva che “qualora l’autodenuncia avvenisse prima dell’avvio di attività amministrativa o di indagine, si dovrebbe escludere la sanzione penale e applicare solo quelle amministrative, calibrandone opportunamente l’importo per tener conto del comportamento collaborativo; qualora essa avvenisse in corso di svolgimento di simili attività, la sanzione penale dovrebbe, invece, trovare applicazione, magari unitamente a una attenuante a effetto speciale”.

Le intenzioni del legislatore che, come abbiamo illustrato in precedenza, esclude la possibilità di far accedere alla collaborazione volontaria quei contribuenti rispetto ai quali siano già iniziate indagini o accertamenti, sembrano orientarsi verso l’esclusione “della punibilità per i delitti di cui agli articoli 4 e 5 del decreto legislativo 10 marzo 2000 n. 74” (e cioè i delitti di omessa dichiarazione e dichiarazione infedele); mentre nei casi di “dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti”, o di “dichiarazione fraudolenta mediante altri artifici”, le pene non sono escluse ma dovrebbero essere diminuite fino alla metà.

Sul punto sarà necessario coordinare la previsione di esclusione della punibilità per i delitti di cui agli articoli 4 e 5 del Decreto Legislativo numero 74 del 10 marzo 2004 con la disciplina del raddoppio dei termini di accertamento in presenza di “reati tributari” descritta in precedenza.

Per quel che riguarda le sanzioni amministrative, sembra certa l’applicazione delle sanzioni in misura pari al 50% di quelle ordinariamente applicabili laddove le attività vengano trasferite in Italia o in un Paese che garantisca lo scambio di informazioni con l’Italia.

Al contrario, in caso di non trasferimento delle attività in un uno degli stati poc’anzi indicati la riduzione delle sanzioni sarà pari al 25%.

Non appare dubitabile la circostanza che l’adesione alla procedura di disclosure integri il requisito di “eccezionalità” previsto dall’articolo 7, comma 4, del Decreto Legislativo numero 472 del 18 dicembre 1997 (espressamente richiamato, per la determinazione delle sanzioni relative alla disclosure, nelle bozze dell’emanando provvedimento) senza che vi sia possibilità da parte di alcun organo dell’Amministrazione finanziaria di sindacare tale “eccezionalità”.

In conclusione si può affermare che vi siano ancora alcuni punti da chiarire prima di poter valutare compiutamente gli effetti in capo ai contribuenti derivanti dall’introduzione nel nostro ordinamento di una procedura di voluntary disclosure e, conseguentemente, l’effettiva convenienza alla sua attivazione.

Infatti, oltre ai dubbi sollevati in precedenza vi sono altri profili meritevoli di delucidazioni tra i quali, ad esempio, le conseguenze in capo ai rapporti tra il soggetto che presenta la richiesta di disclosure ed eventuali soggetti terzi che vengono “dichiarati al Fisco” nell’ambito della procedura (tra i quali, ad esempio, possono rientrare i soggetti che cointestatari dei conti oggetto di emersione o che hanno deleghe o procure per operare su tali conti). Tali soggetti terzi potranno godere dell’anonimato rischiando, altrimenti, di essere sottoposti ad indagini da parte dell’Amministrazione finanziaria con il paradosso di non poter accedere alle agevolazioni previste invece per chi aderisce al programma di disclosure?

Da ultimo, è opportuno segnalare la necessità di chiarimenti relativi alla disciplina dell’antiriciclaggio ed in particolar modo sarà opportuno individuare in modo inequivoco quelli che dovranno essere gli obblighi di segnalazione in capo al consulente/professionista che si appresta ad affiancare il contribuente nell’ambito dei rapporti con gli Uffici dell’Amministrazione finanziaria che saranno coinvolti nel perfezionamento della procedura di disclosure.

 

1

L’articolo 7, comma 4, del D.Lgs. 472/1997 stabilisce che “Qualora concorrano eccezionali circostanze che rendono manifesta la sproporzione tra l'entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione, questa può essere ridotta fino alla metà del minimo”.


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2

Ufficio centrale per il contrasto agli illeciti fiscali internazionali, L’Agenzia delle Entrate ha infatti creato un organo apposito, L’UCIFI, che avrà il compito di mettere a punto la procedura (che sarà poi recepita da una circolare) da applicare nel caso in cui il contribuente dovesse optare per la disclosure volontaria ai fini del rientro dei capitali illegittimamente detenuti all’estero.


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3

Per titolare effettivo s'intende:

a) in caso di società:

1) la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedano o controllino un'entità giuridica, attraverso il possesso o il controllo diretto o indiretto di una percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità giuridica, anche tramite azioni al portatore, purchè non si tratti di una società ammessa alla quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta a obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti; tale criterio si ritiene soddisfatto ove la percentuale corrisponda al 25 per cento più uno di partecipazione al capitale sociale;

2) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un'entità giuridica;

b) in caso di entità giuridiche quali le fondazioni e di istituti giuridici quali i trust, che amministrano e distribuiscono fondi:

1) se i futuri beneficiari sono già stati determinati, la persona fisica o le persone fisiche beneficiarie del 25 per cento o più del patrimonio di un'entità giuridica;

2) se le persone che beneficiano dell'entità giuridica non sono ancora state determinate, la categoria di persone nel cui interesse principale e' istituita o agisce l'entità giuridica;

3) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano un controllo sul 25 per cento o più del patrimonio di un'entità giuridica.


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4

Del Decreto Legge numero 167 del 28 giugno 1990 (nda).


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5

Articolo 43 “Gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui e' stata presentata la dichiarazione. Nei casi di omessa presentazione della dichiarazione o di presentazione di dichiarazione nulla ai sensi delle disposizioni del Titolo I, l'avviso di accertamento può essere notificato fino al 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui la dichiarazione avrebbe dovuto essere presentata”.


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6

Questo aspetto è un elemento che distingue nettamente la procedura di disclosure da quelle dei condoni che sono stati introdotti nel nostro ordinamento.


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