1. La legittimazione autonoma del curatore
Nel corso del 2021, con due pronunzie ravvicinate (Cass., 30 giugno 2021, n. 18610 e Cass., 14 settembre 2021, n. 24725), la Suprema Corte ha raggiunto un traguardo significativo nell’elaborazione e ricostruzione sistematica del tema della responsabilità della Banca per abusiva concessione di credito; si apre così un nuovo e incandescente fronte nel rapporto sempre teso tra procedure concorsuali e istituti bancari.
Più nel dettaglio la Suprema Corte ha riconosciuto l’autonoma legittimazione del curatore fallimentare nel far valere la responsabilità della Banca per l’abusiva concessione del credito sotto il duplice profilo del subentro nei diritti già spettanti al fallito nell’esercizio dell’azione di responsabilità verso la Banca e, per altro verso, nell’esercizio dell’azione di “massa” a tutela del ceto creditorio, pregiudicato dall’avvenuta abusiva concessione del credito all’impresa ormai “decotta”.
La Corte di Cassazione si è discostata dal proprio risalente indirizzo secondo cui l’azione di risarcimento del danno promossa dal curatore per i danni subiti dal ceto creditoria non sarebbe stata riconducibile all’interno della categoria delle azioni di massa, con la conseguenza di escludere la legittimazione attiva del curatore a far valere autonomamente in giudizio le ragioni risarcitorie vantate nei confronti della Banca dai creditori della società; in tale prospettiva, si riteneva che il curatore fosse legittimato attivo all’azione diretta verso i terzi (come la Banca) solo qualora tale azione fosse collegabile “primariamente e direttamente” ad un fatto illecito commesso dalla società fallita attraverso i suoi amministratori, potendo il terzo essere coinvolto solo se in concorso con il fallito e non, invece, autonomamente.
Oggi i giudici di legittimità affermano, viceversa, che l’azione avente ad oggetto l’accertamento dell’abusiva concessione del credito, volta ad ottenere il ristoro dei danni subiti dall’intero ceto creditorio, sia qualificabile come azione di massa e riconosce, pertanto, la legittimazione attiva del curatore fallimentare (e, dunque, – va da sé – anche del liquidatore nelle procedure di liquidazione coatta amministrativa e del commissario nelle procedure di amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi) nei confronti della Banca, in relazione sia ai danni gravanti sull’impresa in conseguenza della concessione di credito “abusiva”, sia a quelli subiti dal ceto creditorio nel suo complesso, in relazione a quanto dal medesimo perduto in conseguenza della concessione del credito all’impresa in una situazione di crisi irreversibile.
La responsabilità della Banca per abusiva concessione del credito diviene azionabile in via autonoma dal curatore e, quindi, totalmente svincolata dall’eventuale parallela responsabilità degli organi sociali per abusivo ricorso al credito.
Secondo la nuova prospettiva della Suprema Corte, la responsabilità della Banca nei confronti dell’impresa fallita ha natura contrattuale ai sensi dell’art. 1218 c.c. per diretta violazione di obblighi che governano i contratti di credito, mentre quella nei confronti del ceto creditorio ha natura extracontrattuale o aquiliana.
2. I contorni della responsabilità della Banca
Le recenti pronunzie della Suprema Corte sono, sotto altro e diverso profilo, altresì rilevanti in quanto delineano con buona precisione i contorni della responsabilità della Banca per abusiva concessione del credito.
La condotta del soggetto finanziatore è da ritenersi incauta allorquando essa si ponga in contrasto con gli obblighi previsti a suo carico dal sistema normativo complessivamente considerato. In tale ambito assumono rilievo: (i) gli obblighi legali primari di cui all’art. 1176, comma 2, c.c.; (ii) la disciplina primaria e secondaria di settore, nonché (iii) gli accordi internazionali.
Dall’insieme di tali regole emerge in capo al finanziatore l’obbligo di rispettare il principio di c.d. sana e corretta gestione che permea l’intero ordinamento bancario e impone alla Banca di verificare il merito creditizio del cliente che abbia richiesto un finanziamento sulla base di adeguate informazioni che spetta al finanziatore stesso reperire.
Osserva, infatti, la Suprema Corte, in particolare nella citata pronunzia dello scorso mese di settembre 2021, come “dal sistema normativo nel suo complesso emerg[a] la rilevanza primaria per l’ordinamento dell’obbligo di valutare con prudenza, da parte dell’istituto bancario, la concessione del credito ai soggetti finanziati, in particolare ove in difficoltà economica. L’erogazione del credito che sia qualificabile come ‘abusiva’, in quanto effettuata, con dolo o colpa, ad impresa che si palesi in una situazione di difficoltà economico-finanziaria ed in mancanza di concrete prospettive di superamento della crisi, integra un illecito del soggetto finanziatore, per essere egli venuto meno ai suoi doveri primari di una prudente gestione, che obbliga il medesimo al risarcimento del danno, ove ne discenda l’aggravamento del dissesto favorito dalla continuazione dell’attività d’impresa”.
Il confine – in concreto – tra finanziamento lecito ed illecito è sovente labile e la Suprema Corte, nella pronunzia da ultima citata, sottolinea come i finanziamenti erogati ad imprese in crisi non siano di per sé illeciti; la linea di demarcazione è individuabile qualora la concessione del finanziamento alteri “la correttezza delle relazioni di mercato”.
La Suprema Corte si mostra consapevole della complessità della scelta del “buon banchiere”, “stretto com’è tra il rischio di mancato recupero dell’importo in precedenza finanziato e la compromissione definitiva della situazione economica del debitore, da un lato, e la responsabilità da incauta concessione di credito, dall’altro lato” e demanda agli organi giudicanti di merito il compito di valutare se la Banca, nella concessione del finanziamento in favore dell’impresa, abbia (a parte il caso di eventuale dolo) agìto con imprudenza, negligenza, violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline, o abbia viceversa, pur nella concessione del credito, agito con ogni dovuta cautela, al fine di prevenire l’evento.
Tale “esimente” – osserva la Suprema Corte – ricorrerà ove l’organo giudicante, ad esempio, accerti che la Banca abbia operato nell’intento del risanamento aziendale, erogando credito ad impresa suscettibile, secondo una valutazione ex ante, di superamento della crisi o almeno di razionale permanenza sul mercato.
La legittimità della condotta della Banca nella concessione di credito ad un’impresa in difficoltà presuppone, quindi, il compimento da parte della medesima di una valutazione preventiva da cui sia possibile desumere ragionevoli prospettive di risanamento in capo al soggetto richiedente il finanziamento; tale valutazione ex ante dovrà essere effettuata, “sulla base di documenti, dati e notizie acquisite”, da cui possa in buona fede desumersi la volontà e la possibilità del soggetto finanziato di utilizzare il credito allo scopo del risanamento aziendale, secondo un progetto oggettivo, ragionevole e fattibile.
Come ineccepibilmente chiarito dalla Suprema Corte, “quel che rileva, dunque, non è più il fatto in sé che l’impresa finanziata sia in istato di crisi o d’insolvenza, pur noto al finanziatore, onde questi abbia così cagionato un ritardo nella dichiarazione di fallimento: quel che rileva è unicamente l’insussistenza di fondate prospettive, in base a ragionevolezza e ad una valutazione ex ante, di superamento di quella crisi. In sostanza, sovente il confine tra finanziamento “meritevole” e finanziamento “abusivo” si fonderà sulla ragionevolezza e fattibilità di un piano aziendale”.
La valutazione del piano industriale eseguita in conformità al principio generale di “ragionevolezza” assurge, dunque, ad elemento dirimente al fine di escludere l’eventuale responsabilità della Banca per incauto affidamento di credito ad un’impresa in crisi.
3. Le strategie difensive alla luce del nuovo orientamento giurisprudenziale
La Suprema Corte mostra grande equilibrio nel comprendere che la legittimazione autonoma del curatore ad agire nei confronti della Banca può aprire un ampio e articolato fronte di iniziative giudiziarie e, come si è visto, individua una preziosa contromisura idonea a paralizzare l’eventuale promozione “a tappeto” di cause civili.
La Banca può evitare, con buona approssimazione, di incorrere in responsabilità laddove sia in grado di provare ex post di avere valutato ex ante l’adeguatezza del piano industriale predisposto dall’impresa finanziata, anche quando sia evidente e palese lo stato di insolvenza ed anche al di fuori di una specifica procedura di risanamento.
Diviene strategico per il ceto bancario dotarsi di documentati processi valutativi riguardanti la fattibilità delle assumption contenute nei piani industriali predisposti dal cliente; in assenza di ciò il rischio concreto è che le procedure concorsuali cerchino legittimamente di pescare nelle deep pocket degli istituti bancari.