Il contributo analizza i diversi punti di contatto tra la pandemia e il diritto dei contratti, focalizzandosi sulla crisi economica innescata dalle misure di contenimento del virus. Tra gli strumenti di tutela attivabili nei contratti di durata sono da prediligere quelli di tipo manutentivo, in coerenza con un principio generale di conservazione degli atti giuridici. L’esigenza di garantire la fisiologica prosecuzione dei contratti di finanziamento, inoltre, induce alla ricerca di mezzi di adeguamento del loro contenuto anche nei casi non espressamente disciplinati dal legislatore dell’emergenza.
The essay analyses the incidence of the pandemic on Contract Law, focusing on the economic crisis caused by Covid-19 containment measures. According to the general principle of conservation of contracts, there is an exigency to prefer maintenance remedies, which enable the parties of a long-term contract to a more effective protection of their interests. With regard to loan agreements, it is required to ensure the physiological continuation of contractual relationships through the adaptation of their content even in cases that are not expressly regulated by the emergency legislation.
1. L’incidenza della pandemia e delle misure per il suo contenimento sui rapporti contrattuali
L’incidenza della pandemia da Covid-19 sul diritto delle obbligazioni e dei contratti, com’è noto, ha formato oggetto di un nutrito dibattito dottrinale. In un arco temporale insolitamente breve, sull’onda della straordinarietà del fenomeno, si sono avvicendati numerosi contributi aventi ad oggetto, in particolare, i rapporti tra la normativa emergenziale e gli istituti generali del diritto civile, nonché la selezione dei rimedi tesi al riequilibrio delle posizioni contrattuali incise dalla sopravvenienza pandemica[1].
Le soluzioni individuate sono molteplici e variegate, anche in considerazione dell’eterogeneità delle circostanze da cui scaturiscono gli effetti sul contratto. Soltanto in via di prima approssimazione, infatti, tali fattispecie possono essere ricondotte ad unità attraverso il ricorso alla generica nozione di «emergenza sanitaria». Il fenomeno dell’incidenza lato sensu pandemica sui rapporti contrattuali, a ben vedere, appare articolato, potendosi individuare almeno tre aree patologiche di contatto tra il primo e i secondi.
L’inadempimento di determinate prestazioni ovvero il ritardo sono talora determinati, anzitutto, dalla circolazione del virus tout court[2]. La tematica presenta tuttora dei profili di attualità: sebbene il governo abbia decretato la fine dello Stato di emergenza[3], la persistente diffusione del Covid-19 impatta, sia pure in misura inferiore rispetto al recente passato, sui rapporti contrattuali in essere, determinando talvolta l’impossibilità – totale o parziale, definitiva o temporanea – della prestazione. Non può infatti escludersi che, in determinati contesti, l’esecuzione della prestazione sia inibita dal pericolo del contagio, in quanto l’adempimento richiederebbe al debitore uno sforzo che va oltre quello cui egli è tenuto in forza dell’ordinaria diligenza ex art. 1176 c.c.[4]
In secondo luogo sull’esecuzione dei contratti hanno inciso, in misura persino più pregnante rispetto alla diffusione del contagio in sé, i provvedimenti adottati dalle autorità pubbliche per il contenimento del virus, tra cui la chiusura forzata di diverse attività commerciali ovvero l’introduzione di limitazioni per il loro svolgimento, nonché la restrizione di talune libertà personali. Tale incidenza ha raggiunto il suo apice durante il lockdown[5], per poi progressivamente degradare in funzione dell’allentamento degli stessi strumenti di prevenzione e controllo, in vista dell’ormai minore severità del quadro epidemiologico[6].
Le difficoltà di adempimento della prestazione contrattuale discendono infine dalla crisi economica conseguente alla drastica riduzione dei redditi di coloro che esercitano un’attività imprenditoriale rientrante nel novero di quelle sospese dall’autorità amministrativa. L’impotenza economica derivante dalle misure emergenziali, nonostante il progressivo allentamento delle stesse, si ripercuote sulla capacità degli operatori economici di onorare i propri impegni contrattuali[7].
Alla luce di quanto sin qui esposto, è evidente che il tema degli effetti della situazione sanitaria sui rapporti contrattuali in corso sia tutt’altro che lineare e abbia, invero, una natura composita. I fatti contrattualmente rilevanti, ut supra descritti, sebbene connessi a vario titolo alla pandemia in atto, non necessariamente si identificano con essa, manifestando talvolta dei profili di autonomia. L’inadempimento in taluni casi può così dipendere non dalla circolazione del virus, ma dal comando autoritativo diretto a contrastarla. La riduzione dei flussi di cassa registratasi nel periodo di lockdown è parimenti suscettiva di innescare una serie di inadempimenti a catena, anche in una fase post-emergenziale.
In questo senso si sono rivelate corrette le previsioni di coloro che, già nelle prime fasi della pandemia, paventavano che la fine del periodo emergenziale non sarebbe coinciso con un ritorno alla normalità, e che gli effetti delle misure adottate si sarebbero protratti oltre tale periodo[8].
2. Strumenti legali e convenzionali di gestione della sopravvenienza pandemica
Il carattere frastagliato del quadro appena illustrato ha rappresentato un ostacolo alla ricerca di soluzioni univoche in materia di tutele contrattuali. A distanza di oltre due anni dall’avvento della pandemia nel nostro Paese, difatti, non appare ancora del tutto soddisfatta l’esigenza di certezza che sottostà all’individuazione delle tecniche rimediali invocabili al cospetto dell’emergenza sanitaria.
Lumi al riguardo non possono che provenire dalle categorie tradizionali del diritto civile. In quest’ordine di idee, la dottrina più attenta ha qualificato la pandemia e i relativi provvedimenti di contenimento quali sopravvenienze contrattuali, contrassegnate dai caratteri dell’imprevedibilità e della straordinarietà, in grado di determinare l’impossibilità ovvero l’eccessiva onerosità della prestazione[9].
L’alterazione dell’originario equilibrio contrattuale può tradursi, in primis, nell’impossibilità della prestazione, che può discendere, tra l’altro, dalle misure anti-Covid. I provvedimenti che hanno determinato la sospensione di una moltitudine di attività imprenditoriali «non essenziali» sono qualificabili, in particolare, alla stregua di un factum principis, idoneo a impedire in maniera oggettiva l’esecuzione della prestazione[10].
Quando l’impossibilità è totale e definitiva, la parte di un contratto sinallagmatico, liberata ai sensi del I comma dell’art. 1256 c.c., non può chiedere la prestazione della controparte e, se questa è già stata eseguita, deve restituirla, secondo il dettame dell’art. 1463 c.c. Opera, infatti, la risoluzione del contratto, che discende dal venir meno del sinallagma contrattuale[11].
A tal proposito acquistano rilevanza, oltre ai princípi generali, anche alcuni contingenti interventi legislativi: gli art. 88 e 88-bis del d.l. 17 marzo 2020, n. 18 espressamente ravvisano ipotesi di impossibilità sopravvenuta della prestazione nell’àmbito dei contratti «di acquisto di titoli di accesso per spettacoli di qualsiasi natura, inclusi quelli cinematografici e teatrali, ed i biglietti di ingresso ai musei e agli altri luoghi della cultura», nonché dei «contratti di trasporto aereo, ferroviario, marittimo, nelle acque interne o terrestre, […] contratti di soggiorno e […] contratti di pacchetto turistico», per i quali i provvedimenti di contenimento del virus hanno precluso in via definitiva l’adempimento[12].
Nei contratti a prestazioni corrispettive il rimedio demolitorio è azionabile, ai sensi dell’art. 1464 c.c., anche nel caso in cui la prestazione sia impossibile non nella sua totalità, ma soltanto in parte: in tal caso, quando il creditore non abbia un interesse apprezzabile all’adempimento parziale, può domandare al giudice la risoluzione del contratto. Diversamente, se l’accipiens conserva l’interesse a ricevere la parte di prestazione rimasta possibile, ha diritto a una corrispondente riduzione della controprestazione da lui dovuta.
L’impossibilità della prestazione può differenziarsi anche sotto un profilo temporale, potendo atteggiarsi come «definitiva» oppure «temporanea». Quando l’impedimento all’esecuzione della prestazione è limitato a un periodo circoscritto, l’obbligazione si estingue ovvero sopravvive in base alla regola espressa dall’art. 1256, co. 2 c.c.[13]
La legge non ha disciplinato espressamente le conseguenze dell’impossibilità temporanea in àmbito contrattuale[14]. Nel silenzio del legislatore, secondo una dottrina il rimedio offerto al contraente, la cui prestazione sia divenuta impossibile solo temporaneamente, sarebbe la risoluzione ex art. 1463 c.c.[15] Diversamente, per un altro orientamento sarebbe invece applicabile l’art. 1464 c.c., con la conseguenza che il creditore potrebbe esercitare il diritto alla riduzione della controprestazione da lui dovuta ovvero, in alternativa, il diritto di recesso, qualora il tempo trascorso sia tale che egli non abbia più interesse alla conservazione del contratto[16]. In base ad un ulteriore insegnamento, poi, occorrerebbe avere esclusivo riguardo alla disciplina dell’obbligazione, di guisa che lo scioglimento del rapporto avverrebbe non in virtù di un atto di recesso, ma promanerebbe in via automatica al verificarsi delle condizioni di estinzione dell’obbligazione di cui all’art. 1256, co. 2, ultimo periodo[17].
Incorre nell’impossibilità temporanea della prestazione, ad esempio, l’assicuratore che si sia impegnato a coprire il rischio afferente allo svolgimento di un’attività d’impresa cessata, in toto, per un tempo limitato, corrispondente al periodo di vigenza dei provvedimenti di chiusura delle attività non essenziali[18].
Il riferimento all’impossibilità sopravvenuta consente di prendere in considerazione, sul piano della normativa di stampo emergenziale, la norma di cui al comma 6-bis (introdotto dall’art. 91, comma 1, d.l. 17 marzo 2020, n. 18) dell’art. 3 del d.l. 23 febbraio 2020, n. 6 (convertito, con modificazioni, dalla l. 5 marzo 2020, n. 13), a mente della quale «Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente decreto è sempre valutato ai fini dell’esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 del codice civile, della responsabilità del debitore, anche relativamente all’applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti».
Sull’effettiva innovatività della norma in esame sono stati sollevati dei dubbi. Vi è, in dottrina, chi ritiene che essa si limiti segnatamente a richiamare istituti generali che avrebbero operato anche in sua assenza[19]. Secondo un’altra opinione la norma in questione attesterebbe la consapevolezza del legislatore, manifestata fin dai primi mesi della pandemia, che i riflessi negativi sui contratti in corso sarebbero stati determinati non tanto dall’emergenza sanitaria tout court, quanto piuttosto dalle «misure di contenimento che naturalmente incidono sulla possibilità giuridica di adempiere»[20]. Vi è anche chi, peraltro, ritiene che la disposizione conterrebbe una tipizzazione legislativa di una causa di forza maggiore: il debitore inadempiente, normalmente gravato dall’onere di dimostrare la straordinarietà e l’imprevedibilità dell’evento, sarebbe eccezionalmente esonerato dal fornire questa prova[21].
Sotto un diverso profilo può osservarsi che le sopravvenienze contrattuali di matrice emergenziale sono idonee a cagionare, in alcune ipotesi, l’eccessiva onerosità della prestazione cui è tenuto uno dei contraenti, il quale può domandare la risoluzione del contratto – se questo ha il carattere della corrispettività – ai sensi dell’art. 1467, comma 1, c.c. La centralità del prefato rimedio demolitorio è solo in parte attenuata dalla previsione di un rimedio conservativo, ossia la c.d. offerta di riduzione a equità. Tale soluzione manutentiva sconta, infatti, il deficit di una legittimazione relativa: essa è azionabile soltanto dalla parte contro la quale è richiesta la risoluzione, nella veste di convenuto, al fine di evitare lo scioglimento del contratto; non può essere invece attivata dal soggetto che subisce l’aggravio della prestazione, ma anzi presuppone che quest’ultimo abbia chiesto la risoluzione. Lo strumento conservativo, in altre parole, è subordinato al previo esperimento del rimedio demolitorio ed è diretto a paralizzare quest’ultimo.
In via di prima approssimazione e alla luce del quadro appena tracciato, quindi, traspare che la disposizione codicistica sia improntata più alla cancellazione del contratto che alla sua conservazione.
A differenza di quanto previsto rispetto ai contratti a prestazioni corrispettive, nei contratti con obbligazioni a carico di una sola parte, l’art. 1468 c.c. sancisce che la parte obbligata può chiedere direttamente al giudice di ricondurre ad equità il contratto, attraverso una riduzione della sua prestazione o una modifica delle modalità di esecuzione. In tal caso lo strumento conservativo è l’unico esperibile, non essendo contemplata la risoluzione del contratto.
Nei contratti a prestazioni corrispettive, e specialmente nei casi in cui questi si protraggano nel tempo e non siano, quindi, ad esecuzione istantanea, i contraenti potrebbero avere l’esigenza di conservare il contratto, seppur alterato nel suo equilibrio iniziale. Il rimedio demolitorio di cui al primo comma dell’art. 1467 c.c., di conseguenza, potrebbe apparire inadeguato a soddisfare i concreti interessi di parte. Non fanno eccezione i rapporti contrattuali di durata incisi dalla situazione pandemica: in tali ipotesi l’esigenza di adeguare il contratto rispetto alla mutata situazione di fatto discende con particolare vigore[22] dal principio di buona fede in executivis[23], quale corollario del principio costituzionale di solidarietà[24].
Le parti potrebbero aver previsto quest’esigenza attraverso l’introduzione nel regolamento negoziale di clausole correttive, finalizzate a adeguare le pattuizioni negoziali il cui adempimento, a causa di determinate sopravvenienze, risulti eccessivamente gravoso ovvero addirittura impossibile. In quest’ottica, l’autonomia privata sovente ricorre a clausole di indicizzazione, che operano in via automatica attraverso il riferimento a parametri determinati, nonché a clausole che rimettono alle parti ovvero a un terzo l’adeguamento del contratto[25].
Nei contratti a lungo termine, soprattutto di matrice internazionale, è frequente il ricorso alla hardship clause, definibile – pur nella vasta eterogeneità dei rilevanti fattori perturbativi presi in considerazione dalla prassi – quale pattuizione che, al verificarsi degli eventi ivi dedotti, conduce alla sospensione della fase esecutiva del contratto, con l’obiettivo di pervenire a una revisione dei termini dell’accordo originario attraverso l’obbligo di avviare di un procedimento di rinegoziazione[26].
La clausola hardship disciplina, a ben vedere, delle ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione, configurandosi quale rimedio che favorisce la prosecuzione del contratto. Tale tipologia di pattuizioni si differenzia dalle c.d. clausole di forza maggiore, le quali prevedono che la parte che si trovi a non poter eseguire il contratto per il verificarsi un evento sopravvenuto inevitabile, non sia ritenuta responsabile per l’inadempimento. Le clausole hardship presentano tuttavia degli elementi in comune con quelle di force majeur, caratterizzandosi entrambe per un’accentuata finalità di distribuzione dei rischi legati a fattori perturbativi sopravvenuti secondo criteri di equità[27].
Malgrado tali similitudini la dottrina è incline a mantenere separate le due categorie di clausole, specialmente per le conseguenze che da esse derivano, atteso che in caso di forza maggiore la finalità non è quella di mantenere in piedi il vincolo, ma quella di far sì che il debitore si sottragga ad esso[28].
In ogni caso, fatta eccezione per il commercio internazionale o comunque caratterizzato dalla partecipazione di operatori altamente specializzati, soltanto di rado i paciscenti inseriscono nel regolamento negoziale delle clausole di adeguamento del rapporto alle sopravvenienze. Difatti la bassa probabilità che l’evento avverso si verifichi non giustifica, di regola, i costi che esse dovrebbero sopportare nel corso delle trattative per raggiungere un accordo sul punto[29].
3. L’adeguamento del contratto nel panorama del diritto nazionale e sovranazionale
In presenza di sopravvenienze contrattuali, la centralità rivestita nell’impianto codicistico dal rimedio ablativo è da tempo messa in discussione da quanti considerano i meccanismi di riduzione ad equità di cui agli artt. 1467, comma 3 e 1468 c.c. come strumenti espressivi di princípi generali le cui potenzialità applicative travalicano le fattispecie espressamente contemplate nelle previsioni legislative stesse[30].
La disciplina di taluni contratti tipici, inoltre, contiene numerose norme tese a consentire l’adeguamento del contratto al mutamento delle circostanze verificatesi nel corso del rapporto. Tali disposizioni celano, invero, un generale favor dell’ordinamento per la sopravvivenza del contratto a fronte di circostanze sopravvenute che ne turbano l’equilibrio. Tra le regole legali che secondo una parte della dottrina legittimano l’adeguamento di contratti tipici si possono annoverare, a titolo meramente esemplificativo e non esaustivo, talune norme in materia di somministrazione[31], appalto, locazione e assicurazione.
Alla disciplina dell’appalto, in particolare, viene assegnata una rilevanza sistematica significativa, specie per il suo stretto legame con il tema delle sopravvenienze contrattuali. Tra le statuizioni legislative rilevanti in tal senso spicca l’art. 1664, comma 1, c.c. che, per l’ipotesi in cui eventi sopravvenuti abbiano inciso sui costi dei materiali o della manodopera, riconosce il rimedio della revisione del prezzo. Il capoverso della medesima disposizione, per di più, stabilisce che qualora «si manifestino difficoltà di esecuzione derivanti da cause geologiche, idriche e simili», l’appaltatore abbia diritto a un equo compenso.
L’esistenza della norma in parola attesta, secondo un insegnamento, l’attenzione del legislatore verso la necessità dell’adeguamento di taluni rapporti contrattuali tipici interessati da sopravvenienze onerose[32]. A più estreme conseguenze giunge l’indirizzo secondo cui la norma in parola avrebbe una valenza ultrasettoriale: la sua area di applicazione non sarebbe limitata ai contratti di appalto, ma sarebbe estesa a tutti i c.d. scambi integrativi, ossia quelli la cui esecuzione postula una reciproca e significativa integrazione delle sfere patrimoniali delle parti. L’asserita valenza sistemica della regola in questione, peraltro, non sarebbe in contrasto con la norma di parte generale in materia di gestione delle sopravvenienze onerose di cui all’art. 1467 c.c., giacché quest’ultima troverebbe applicazione esclusivamente di fronte a «scambi puntuali», cioè quelli che si realizzano in un determinato punctum temporis e non si protraggono nel tempo[33].
Un significativo apporto alla materia del governo delle vicende modificative del rapporto contrattuale deriva, poi, dalle norme in materia di locazione e, in particolare, dall’art. 24 l. 27 luglio 1978, n. 392 (c.d. legge sull’equo canone), che ha assoggettato il canone dovuto dal conduttore ad un meccanismo di rivalutazione annuale secondo determinati parametri.
L’esigenza di gestione delle sopravvenienze emerge anche dalla regolamentazione del contratto di mandato, e in particolare dall’art. 1710 c.c., che sancisce l’obbligo del mandatario di rendere note al mandante, tra l’altro, le circostanze che possano determinare la modificazione del mandato.
Le norme succintamente descritte riflettono, secondo un’attenta dottrina, un principio generale operante nei contratti di durata e avente ad oggetto la conservazione del rapporto attraverso un suo adeguamento alle circostanze suscettive di mutarne, col tempo, l’equilibrio[34]. La revisione del contratto postula, a sua volta, un regolamento di interessi flessibile[35], capace, in nome del perseguimento del risultato divisato dai contraenti, di espandersi ovvero ridimensionarsi a seconda dei diversi fattori che possono intervenire nel corso del rapporto.
Le tendenze poc’anzi esposte si sono da tempo affermate, del resto, in ordinamenti esteri, anche extraeuropei[36], nonché nel commercio internazionale, ove, come si è visto, la prassi si avvale normalmente di determinati meccanismi – aventi una dimensione vieppiù standardizzata – per la gestione dei rischi legati alle sopravvenienze.
Sotto quest’ultimo profilo merita un cenno la specifica regolamentazione dell’istituto dell’hardship da parte dei Principi Unidroit[37], che può essere richiamata dalle parti come normativa applicabile al contratto e che, in ogni caso, può fornire rilevanti strumenti interpretativi per l’interprete ogniqualvolta la normativa nazionale non offra rimedi idonei a risolvere una specifica problematica la cui soluzione può essere rinvenuta nei Principi. In presenza di situazioni di onerosità sopravvenuta[38], in particolare, l’art. 6.2.3 dei Principi attribuisce alla parte svantaggiata il diritto di chiedere la rinegoziazione del contratto. A fronte di tale richiesta sorge l’obbligo della controparte di partecipare all’attività di revisione contrattuale in maniera fattiva, osservando un comportamento cooperativo improntato a buona fede, senza che alcuna delle parti, tuttavia, sia tenuta a pervenire a tutti i costi ad un risultato positivo. L’effettività della tutela della parte interessata dai maggiori oneri è assicurata dalla previsione del potere del giudice, in caso di mancato raggiungimento di un accordo, di risolvere il contratto, modulando – se del caso – i tempi e le modalità dello scioglimento del vincolo, ovvero di modificare il regolamento pattizio in modo da ricondurlo ad equità.
Nel sistema dei Principi, inoltre, l’interesse all’adeguamento del contratto emerge anche dalle norme in materia di adempimento di obbligazioni, in particolare di natura non pecuniaria[39]. Tra queste assume una peculiare rilevanza l’art. 7.2.2, lett. b), a mente del quale, a fronte dell’inadempimento del debitore, il diritto del creditore di esigere la prestazione non pecuniaria trova un limite nei casi in cui l’adempimento si appalesi irragionevolmente gravoso o costoso. La norma esprime, in sostanza, un principio di inesigibilità della prestazione con riguardo ai casi in cui la richiesta di adempimento, per le peculiari contingenze del caso concreto, si riveli in contrasto col principio di buona fede che governa l’esecuzione del rapporto[40].
Il riconoscimento di una certa rilevanza al principio di adeguamento del contratto da parte dei Principi Unidroit non costituisce fenomeno isolato nel panorama del diritto sovranazionale. Sotto questo profilo vengono in rilievo, infatti, anche i Principles of European Contract Law (PECL)[41], i quali contengono una disciplina in materia di hardship analoga a quella espressa dalle regole Unidroit[42]. A differenza di queste ultime, tuttavia, i PECL prevedono il potere del giudice di condannare al risarcimento dei danni derivanti dal rifiuto di una parte di prendere parte al procedimento di rinegoziazione ovvero dalla rottura delle trattative contraria alla buona fede[43]. Merita di essere segnalata, ancora, un’ulteriore distinzione attinente all’adempimento delle obbligazioni pecuniarie: diversamente da quanto previsto nei Principi Unidroit, l’art. 9:102 dei Principi di diritto europeo dei contratti prevede delle eccezioni alla regola generale della esigibilità da parte del creditore del pagamento del debito pecuniario scaduto. Segnatamente, le deroghe attengono ai «casi in cui (a) ci sia stata la possibilità di un accordo sostitutivo senza sacrifici o costi ulteriori rilevanti; o (b) l’adempimento del creditore potrebbe non essere ragionevole in relazione alle circostanze». A ben vedere la norma valorizza l’esigenza di adeguamento alle circostanze sopravvenute anche nell’àmbito dei contratti aventi ad oggetto un’obbligazione pecuniaria, superando le ritrosie legate alla concezione tradizionale che reputa normalmente irrilevanti le eventuali sopravvenienze afferenti ai rapporti aventi ad oggetto una somma di denaro[44].
4. Analisi di alcune fattispecie di settore: l’adeguamento dei contratti di finanziamento e di assicurazione
Tra i contratti che hanno subito maggiormente l’impatto della pandemia vi sono quelli di assicurazione[45] e di finanziamento[46].
Con riferimento al primo dei modelli contrattuali citati può evidenziarsi, su un piano generale, che le sopravvenienze attengono in particolar modo al mutamento del rischio assicurato, riscontrabile nei casi in cui la probabilità del verificarsi dell’evento dannoso viene meno oppure diminuisce o aumenta di intensità.
Al riguardo giova sottolineare che le sopravvenienze legate all’impossibilità e all’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione dell’assicuratore ovvero dell’assicurato soggiacciono a una disciplina specifica che in parte si discosta da quella generale[47].
Sotto questo aspetto può sin d’ora segnalarsi che le norme sancite dagli artt. 1897 e 1898 c.c., in tema, rispettivamente, di diminuzione ed aggravamento del rischio, confermano la tensione dell’ordinamento – o perlomeno di alcuni suoi settori – verso la conservazione dei rapporti di durata.
Tanto premesso, nell’ipotesi in cui la variazione del rischio si traduce in un vantaggio per l’assicuratore, che nel corso del rapporto si trovi a coprire un rischio minore di quello originario, l’assicurato ha diritto di ottenere una riduzione del premio per i periodi assicurativi successivi a quello in corso. Il riconoscimento ex art. 1897 c.c. di un diritto di recesso in capo all’assicuratore, d’altra parte, non influisce sulle prestazioni già eseguite, in ossequio al principio di irretroattività degli effetti del recesso, che opera – ai sensi dell’art. 1373, comma 2, c.c. – nei confronti dei contratti a esecuzione continuata o periodica, nel cui novero figura il contratto di assicurazione[48].
Il favor legislativo per il mantenimento degli effetti del contratto di assicurazione emergerebbe, secondo un orientamento, anche dalle regole in materia di aggravamento del rischio, quale sopravvenienza che rende il contratto di assicurazione maggiormente oneroso per l’assicuratore. Il diritto di recesso riconosciuto all’impresa assicuratrice dall’art. 1898 c.c., infatti, non potrebbe essere esercitato nel caso in cui l’accrescimento dell’intensità del rischio abbia carattere meramente transitorio[49]. Secondo la dottrina in questione, segnali nella stessa direzione proverrebbero anche dall’art. 1926 c.c., afferente alla speciale ipotesi in cui l’incremento del rischio dipenda dal mutamento di professione dell’assicurato. Tale disposizione reca la disciplina di un procedimento che – nonostante la previsione della facoltà in capo all’assicuratore di far cessare gli effetti del contratto – sarebbe essenzialmente teso alla conservazione del contratto, attraverso la riduzione della somma assicurata ovvero l’aumento del premio[50].
Le norme afferenti al mutamento del rischio assicurato, quindi, confermano come dal sistema giuridico possano trarsi indicazioni nel senso di un favor per l’adeguamento del contratto di lunga durata. Sebbene all’assicuratore sia riconosciuto in maniera diffusa il diritto di determinare lo scioglimento del vincolo, la prospettiva revisionale opera tramite le previsioni che consentono di rimodulare il premio assicurativo ovvero il quantum assicurato. La parte che subisce gli effetti negativi della sopravvenienza ottiene, in altre parole, una tutela tendenzialmente fondata non tanto sulla concessione di rimedi demolitori, secondo quanto previsto nella disciplina generale del contratto, quanto piuttosto sul diritto di ottenere una rideterminazione della prestazione, in modo da ristabilire la corrispettività dello scambio[51].
Parte della dottrina ha precisato, in questa prospettiva, che tali speciali disposizioni sono suscettive di essere integrate, in caso di lacune, non dalla disposizione generale ex art. 1467 c.c., che appunto attribuisce alla parte svantaggiata un rimedio risolutorio, ma dalla già menzionata regola di cui all’art. 1664 c.c., preordinata alla gestione delle sopravvenienze nel contesto del contratto di appalto[52]. Ciò sulla scia dell’insegnamento, ut supra ricordato, secondo cui la disposizione da ultimo citata acquisterebbe una rilevanza sistematica che si dipana oltre i confini del settore entro i quali è stata codificata, poiché espressione di un principio generale applicabile a tutti i contratti di durata prolungata[53].
Quando il mutamento (ovvero la cessazione) del rischio assicurato sia cagionato dall’evento pandemico ovvero dalle misure per il suo contenimento, la disciplina applicabile è da rinvenirsi nelle norme di cui agli artt. 1896 ss. c.c., essendo tali eventi pur sempre riconducibili alle sopravvenienze espressamente codificate nell’àmbito della disciplina tipologica del contratto di assicurazione.
Con riferimento all’ipotesi, non espressamente disciplinata dalla normativa di settore, di cessazione non definitiva ma solo temporanea del rischio, appare peraltro applicabile la norma generale ex art. 1464 c.c.[54]. Ne consegue che l’assicurato avrebbe il diritto, tra l’altro, di ottenere una riduzione del premio in relazione al periodo in cui gli effetti della misura anticontagio sono destinati a protrarsi o, comunque, durante il quale persiste l’impossibilità della prestazione dell’assicuratore.
Le coordinate ermeneutiche tracciate con riferimento all’adeguamento dei contratti di assicurazione si attagliano, nelle loro linee di fondo, ai contratti di finanziamento[55].
Essi, infatti, sono configurabili come contratti di durata, i cui effetti si prolungano nel tempo non soltanto con riferimento all’eventuale obbligazione del soggetto finanziato di corrispondere gli interessi, ma altresì, secondo un insegnamento, con riguardo alla posizione del finanziatore, la cui prestazione non si esaurirebbe in un preciso punctum temporis, coincidente con la consegna del denaro o di una determinata quantità di cose generiche, ma si protrae nel corso del rapporto e si qualifica in ragione del «passaggio del tempo corrispondente al non utilizzo dei capitali imprestati»[56].
A conferma della rilevanza del fattore temporale nei contratti di finanziamento può prendersi in considerazione, anzitutto, la previsione di cui all’art. 118 t.u.b. La disposizione sancisce la possibilità di introdurre nei contratti bancari[57], sempre che sussista un giustificato motivo, una clausola che conferisca all’istituto di credito il c.d. ius variandi, e traccia, al contempo, una distinzione tra contratti a tempo indeterminato e altri contratti di durata: con riguardo ai primi è prevista la possibilità di stabilire in via convenzionale «la facoltà di modificare unilateralmente i tassi, i prezzi e le altre condizioni previste dal contratto», mentre, rispetto ai secondi, il potere di modifica unilaterale può essere pattuito solo per le clausole non aventi ad oggetto i tassi di interesse.
La previsione in esame, per di più, regola le modalità di esercizio del ius variandi attraverso delle norme che mirano a bilanciare l’esigenza di protezione del contraente debole con l’interesse all’adattamento del rapporto contrattuale ai mutamenti sopravvenuti, attraverso la concessione di un rimedio conservativo che, rispetto alle misure revisionali di stampo concertativo (come la rinegoziazione), presenta il vantaggio di una maggiore speditezza ed economicità, in virtù dell’abbattimento delle tempistiche e dei costi connessi alle trattative.
La rinegoziazione, cionondimeno, assume un rilievo strategico anche per quanto concerne i contratti di finanziamento, in relazione ai quali si atteggia come strumento attivabile, di regola su impulso del cliente, per adeguare il contratto di finanziamento alle circostanze intercorse in pendenza del rapporto. Calando il problema nel paradigma del contratto di mutuo, è possibile osservare che il mutuatario, anzitutto, potrebbe domandare la modifica delle condizioni del contratto, tra cui il tasso di interesse ovvero la durata del rapporto, allorché, per esempio, il saggio degli interessi sia risultato, durante la fase esecutiva, significativamente più alto di quello legato all’andamento del mercato.
Per ciò che riguarda gli effetti, la rinegoziazione di norma si traduce nella semplice modifica del vigente regolamento contrattuale[58], ma la volontà delle parti potrebbe anche condurre, in ipotesi, all’estinzione del mutuo originario e alla sua sostituzione con un nuovo contratto, stipulato con lo stesso mutuante ma a condizioni diverse da quelle originarie[59].
Nel caso di rifiuto dell’istituto di credito di incardinare le trattative per la rinegoziazione, peraltro, il cliente può comunque ottenere la modificazione soggettiva del contratto, attraverso il subingresso nella posizione di mutuante di una banca diversa rispetto a quella con cui il contratto era stato inizialmente stipulato. Vengono in rilievo, in quest’ottica, le norme in materia di portabilità dei contratti di finanziamento bancari introdotte dal d.l. 31 gennaio 2007, n. 7, convertito con modificazioni nella l. 2 aprile 2007, n. 40 (c.d. decreto «Bersani-bis»). Anche prima delle novità di cui al citato decreto, in realtà, era in astratto consentita la possibilità di trasferire la posizione soggettiva di mutuante in capo ad un’altra banca attraverso l’istituto della surrogazione per volontà del debitore[60] ovvero, in alternativa, mediante la cessione del contratto[61]. La principale novità della novella legislativa riguarda l’espressa previsione dell’illegittimità dei contegni, molto frequenti in passato, con cui gli istituti di credito precludevano ovvero rendevano estremamente svantaggioso l’esercizio del diritto di surroga[62]. Infatti, a mente dell’art. 120-quater, comma 6 t.u.b. «è nullo ogni patto, anche posteriore alla stipulazione del contratto, con il quale si impedisca o si renda oneroso per il debitore l’esercizio della facoltà di surrogazione».
Benché la portabilità del finanziamento non attenga alla tematica della rinegoziazione in senso stretto, non può negarsi che nei confronti di quest’ultima essa operi, di fatto, quale incentivo. Ciò in ragione della facilità con cui il contratto può essere trasferito ad un altro istituto di credito, nonché del danno che il mutuante subirebbe, a seguito dell’opposizione di un rifiuto alla richiesta di revisione, dalla perdita della clientela e dall’acquisizione della stessa da parte di operatori economici concorrenti[63].
In alcuni casi, poi, la rinegoziazione del finanziamento non è rimessa del tutto all’autonomia delle parti, che di norma sono libere di impostare le trattative secondo le modalità che preferiscono, ma viene condotta secondo schemi predeterminati dal legislatore. L’interesse generale al corretto funzionamento del mercato, minacciato dall’eventuale inadempimento collettivo dei mutui, ha talora sollecitato, infatti, interventi normativi volti a favorire condizioni sostenibili di restituzione dei capitali mutuati e dei relativi tassi di interesse attraverso la ricontrattazione delle originarie clausole contrattuali[64].
5. L’obbligo di rinegoziare ai tempi del Covid-19. L’oscillante posizione di dottrina e giurisprudenza
La crescente attenzione che i rimedi revisionali sono stati in grado di attrarre è sfociata in una riflessione sull’idoneità del mezzo apprestato dall’art. 1467 c.c. al governo di sopravvenuti squilibri contrattuali di portata eccezionale, come quelli derivanti dal contesto pandemico, che si è appunto caratterizzato «per l’assoluta novità, l’estrema gravità e l’ampia diffusione»[65].
La disciplina codicistica è stata ritenuta da molti inadeguata[66]: tra i punti di debolezza di tale tecnica di tutela sono stati segnalati, in particolare, proprio i già ricordati limiti di operatività della reductio ad aequitatem, che può essere offerta unicamente dal convenuto dell’azione di risoluzione e non anche dal soggetto che subisce la maggiore onerosità, al quale la norma non riconosce, per la tutela dei propri interessi, alcuna alternativa alla richiesta di scioglimento del vincolo.
Tale inadeguatezza si appalesa in maniera marcata nel caso di squilibri contrattuali derivanti dal contesto pandemico, ove l’esigenza di conservazione del contratto si manifesta in misura accentuata, anche in considerazione del carattere tendenzialmente temporaneo delle sopravvenienze. L’assunto trova ulteriore conferma nella considerazione che larga parte dei contratti divenuti squilibrati coinvolgono parti che esercitano un’attività imprenditoriale. Per queste ultime i rimedi demolitori raramente si rivelano soddisfacenti, prevalendo viceversa un interesse di tipo manutentivo, giacché i contratti stipulati dall’imprenditore, quali mezzi per lo scambio di beni e servizi, rappresentano uno strumento privilegiato di circolazione della ricchezza[67].
Le misure varate per rallentare la diffusione del virus hanno sortito effetti pregiudizievoli su contratti di diversa natura. Tra questi merita una speciale menzione il contratto di locazione, su cui il dibattito dottrinale si è soffermato in maniera più intensa rispetto a quanto avvenuto nei confronti di qualsiasi altra fattispecie contrattuale. Le locazioni stipulate per l’esercizio di un’attività commerciale hanno sovente subito, in particolare, le conseguenze nefaste delle chiusure imposte dall’autorità, soprattutto in ragione del fatto che, nonostante l’interruzione ovvero la drastica diminuzione del volume di affari connessa alla chiusura – totale o parziale – dell’attività, perdurava l’obbligo del conduttore di corrispondere il canone di locazione. Il fenomeno, peraltro, si è sviluppato su larga scala, atteso che in Italia la maggior parte delle attività commerciali viene espletata all’interno di immobili di cui l’esercente non è proprietario[68].
Il legislatore, del resto, era ab origine consapevole che i contratti di locazione commerciale fossero esposti più di altri alle conseguenze negative del mare magnum dei provvedimenti di contrasto al Covid, come può evincersi dalle misure, riscontrabili nella normativa emergenziale, dedicate a questa tipologia contrattuale[69].
Proprio la tematica dell’incidenza della pandemia sui contratti di locazione ha formato oggetto di recenti tesi dottrinali e pronunce giurisprudenziali, che hanno per vero individuato soluzioni discordanti con riferimento, tra l’altro, alla distribuzione tra le parti dei rischi legati all’impossibilità o eccessiva onerosità della prestazione, nonché alla possibilità di attivare taluni strumenti di adeguamento del contratto.
In argomento si è sostenuto – in verità con argomentazioni eterogenee – che l’emergenza sanitaria e i relativi provvedimenti di contrasto siano suscettivi di rendere impossibile, sia pur temporaneamente, la prestazione del locatore[70]. L’obbligazione rimasta inadempiuta sarebbe, più specificamente, quella di mantenere la cosa locata «in stato da servire all’uso convenuto», ai sensi dell’art. 1575, n. 2, c.c.[71]. L’impossibilità, poi, oltre che temporanea sarebbe parziale, con conseguente diritto del conduttore ex art. 1464 c.c. di demandare la riduzione del canone[72].
Secondo una diversa impostazione, invece, la prestazione del locatore non sarebbe affetta da impossibilità: essa, seppur divenuta inutilizzabile per il locatario, sarebbe rimasta possibile da un punto di vista oggettivo. Di qui la proposta di una soluzione che, affrancandosi dalle tutele di cui al codice civile, fa perno sull’interpretazione estensiva di rimedi previsti dalla legislazione speciale, e precipuamente di quelli apprestati dal Codice della crisi e dell’insolvenza[73]. Lo strumento protettivo attivabile dall’imprenditore che si trovi nella condizione di non poter adempiere, ricorrendo i requisiti oggettivi e soggettivi normativamente previsti, sarebbe così quello della «segnalazione della difficoltà ai creditori, con una proposta per venirne fuori»[74]. Per un’altra opinione, riconducibile allo stesso filone interpretativo secondo cui i divieti emergenziali non potrebbero determinare l’impossibilità della prestazione del locatore, la tutela del conduttore si ridurrebbe alla scelta tra due opzioni possibili: ammettere che egli possa agire solo per la risoluzione per eccessiva onerosità del contratto ex art. 1467 c.c., salvo l’eventuale riduzione ad equità su iniziativa del locatore, ovvero riflettere sulla possibilità di riconoscere al debitore del canone locatizio uno strumento di tutela che passi per l’adeguamento del contratto divenuto squilibrato[75]. Un’altra voce dottrinale, infine, argomentando sull’insussistenza di un generale obbligo di rinegoziazione fondato sulle misure di contenimento del virus, ritiene plausibile, invocando la clausola di buona fede, «soltanto ipotizzare un obbligo di negoziare le modalità dell’adempimento dei canoni maturati nel periodo di sospensione dell’attività»[76].
Ma il quadro delle soluzioni proposte è ancor più variegato. Difatti alcuni autori, assumendo come angolo visuale la posizione del conduttore, hanno individuato soluzioni divergenti da quelle proposte sulla base della prospettiva del locatore. Il che si spiega in ragione delle precipue cause dell’inadempimento dell’obbligazione di corrispondere il canone, che si compendiano nella riduzione dei flussi di cassa e nella conseguente crisi di liquidità. Si è così sostenuto che le difficoltà economiche del conduttore, non costituendo impedimenti direttamente riconducibili ai provvedimenti restrittivi, sarebbero inidonee a determinare l’impossibilità sopravvenuta della prestazione. L’impotenza economica, infatti, sarebbe un ostacolo di natura meramente soggettiva, non assoluta e oggettiva nel senso degli artt. 1256 ss. c.c.[77] Cionondimeno, in dottrina, vi è chi, pur accogliendo la predetta impostazione di base, ritiene che in caso di inadempimento il giudice, chiamato a valutarne la gravità, potrà anche astenersi dal pronunciare la risoluzione del contratto quando un altro rimedio, alla luce del principio di proporzionalità, appaia maggiormente idoneo a bilanciare il complesso degli interessi che emerge dalla fattispecie concreta[78].
Tali rigorose posizioni, anche laddove inclini a valorizzare l’esigenza di conservazione del contratto, si discostano da quelle tesi che, svincolandosi dai formalismi dell’impianto codicistico, propongono soluzioni incentrate sulla sussistenza di un obbligo di rinegoziazione dei contratti incisi dalla pandemia e dai provvedimenti ad essa connessi. Un simile obbligo discenderebbe dai principi generali del sistema vigente – e in particolare dalla clausola generale di buona fede – a prescindere da un’apposita previsione del legislatore[79]. In quest’ordine di idee, si è ritenuto, sia pure con diverse varietà di accenti[80], che le parti siano tenute ad intavolare delle trattative volte a rimodulare le condizioni contrattuali originariamente pattuite e stravolte dal contesto emergenziale.
La prospettiva appena tratteggiata è stata avallata, infine, dalla Corte di Cassazione, seppur in sede non contenziosa, attraverso la Relazione tematica n. 56 dell’Ufficio del massimario e del ruolo. Tale documento, avente a oggetto «Novità normative sostanziali del diritto “emergenziale” anti-Covid 19 in àmbito contrattuale e concorsuale», postula che la buona fede in executivis, espressione della solidarietà costituzionale, sia fonte di un obbligo di rinegoziazione fondato sull’esigenza di adattamento del contratto alla sopravvenienza pandemica[81].
La giurisprudenza di merito, in alcuni arresti, ha recepito queste indicazioni, ritenendo che nei contratti implicanti un rapporto continuativo tra le parti, come le locazioni di beni immobili destinati all’esercizio di attività produttive, sussiste un interesse alla conservazione del rapporto che il rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta, per la sua natura demolitoria, non è in grado di soddisfare. In relazione a quanto precede, si è osservato che la sopravvenienza legata alla situazione sanitaria determina la nascita di un obbligo delle parti di addivenire a nuove trattative al fine di ricondurre il contratto entro i confini della normale alea[82].
A fronte dell’orientamento favorevole alla configurabilità di un obbligo di rinegoziazione dei canoni locatizi, tuttavia, ne è emerso uno contrario, che esclude che il principio di buona fede possa essere posto alla base di un dovere del locatore di avviare delle trattative tese a una riduzione del canone cui ha diritto[83] ovvero di un potere del giudice di modificare il regolamento contrattuale al di fuori delle ipotesi espressamente previste dalla legge[84].
Alla luce del frastagliato quadro dottrinale e giurisprudenziale possono comprendersi le ragioni di chi dal principio invocava con vigore un intervento del legislatore, chiamato a governare la situazione eccezionale con strumenti rimediali ad hoc[85], onde sgravare il giudice dal compito di farsi carico della «socializzazione dei costi della crisi» che, per la sua dimensione generalizzata, potrebbe essere assolto in maniera più efficace dal legislatore[86].
Con specifico riferimento alla materia delle locazioni, tale auspicio è stato (in parte) soddisfatto dalla l. 21 maggio 2021, n. 69, di conversione del d.l. 22 marzo 2021, n. 41 (c.d. «Decreto Sostegni»), in cui, all’art. 6-novies, si prevede un «Percorso condiviso per la ricontrattazione delle locazioni commerciali» nel quale «locatario e locatore sono tenuti a collaborare tra di loro per rideterminare il canone di locazione».
La novella legislativa, tuttavia, non pare aver dipanato del tutto i dubbi legati alla configurabilità di un obbligo di rinegoziare[87]. Essa, infatti, non disciplina dei meccanismi di tutela per il caso del mancato accordo ovvero del rifiuto del locatore di avviare nuove trattative, limitandosi a formulare un mero auspicio di collaborazione tra i paciscenti nell’àmbito di un «percorso regolato di condivisione dell’impatto economico derivante dall’emergenza epidemiologica». Sulla base di tali considerazioni alcune pronunce giudiziali hanno escluso che la disposizione possa fondare il potere del giudice di rideterminare il corrispettivo nell’ipotesi in cui le parti restino inerti oppure falliscano nel tentativo di raggiungere un accordo[88].
6. La rinegoziazione dei contratti di finanziamento tra emergenza sanitaria e obblighi di solidarietà
Ciò detto in materia di rinegoziazione nel contesto pandemico, sia su un piano generale che con riguardo al contratto di locazione, può ora porsi la questione se sia parimenti configurabile un obbligo di rinegoziazione con precipuo riferimento ai contratti di finanziamento.
Si è già avuto modo di sottolineare che nel sistema dei contratti di finanziamento la rinegoziazione giocava un ruolo non trascurabile ben prima dell’avvento del Covid-19. Si è anche accennato all’impatto pregiudizievole della pandemia sui finanziamenti in corso, in quanto la restituzione delle rate di capitale e degli interessi ha inevitabilmente risentito della crisi economica conseguente all’emergenza sanitaria.
Può ora soggiungersi che la difficoltà della classe dei mutuatari di rispettare le scadenze di pagamento durante la pandemia non è stata ignorata dal legislatore. Sono state emanate, infatti, talune misure (c.d. moratorie) tese a sospendere le obbligazioni di restituzione di determinate categorie di prestiti già accordati, nonché un piano di garanzie statali per le richieste di nuovi finanziamenti[89].
Sull’effettiva utilità di tali strumenti di tutela non sembra ci siano dubbi: essi sono stati in grado di tamponare gli effetti negativi del calo del reddito dei soggetti finanziati[90]. Terminata l’efficacia delle moratorie, tuttavia, i soggetti beneficiari potrebbero incontrare delle difficoltà a corrispondere le rate del finanziamento, in ragione delle condizioni generali dell’economia e degli ostacoli al recupero della capacità individuale di produrre reddito[91].
Le misure adottate dal legislatore dell’emergenza, pur perseguendo finalità apprezzabili, potrebbero quindi rivelarsi non sufficienti a soddisfare gli interessi in gioco. Di qui l’esigenza di individuare ulteriori meccanismi di protezione in forza di un’interpretazione evolutiva delle categorie tradizionali del diritto civile. Ai fini dell’individuazione del giusto rimedio rileva, in particolare, il sopra citato criterio selettivo delle tutele esperibili fondato sul concreto atteggiarsi della sopravvenienza contrattuale che può sì definirsi pandemica, ma solo in via di prima approssimazione[92].
Segnatamente, in base ai princípi generali, l’inadempimento delle obbligazioni dei mutuatari, riconducibile soprattutto alla crisi di liquidità conseguente alla pandemia e ai relativi provvedimenti dell’autorità, difficilmente può dar luogo, sul piano giuridico, all’impossibilità ovvero all’eccessiva onerosità sopravvenuta della prestazione.
6.1. L’obbligo di pagamento delle rate del finanziamento alla luce di un’interpretazione sistematica dell’art. 3, comma 6-bis, d.l. 23 febbraio 2020, n. 6
La qualificazione giuridica delle sopravvenienze che investono il contratto di finanziamento dipende in larga misura dalla natura normalmente pecuniaria della prestazione del debitore.
Alla luce di tale carattere, le rate che il debitore è tenuto a corrispondere non potrebbero, a rigore, divenire eccessivamente onerose nel senso richiesto dall’art. 1467 c.c.[93]. Non si dubita che il rispetto delle scadenze possa divenire più gravoso per il soggetto finanziato; è vero, altresì, che tale difficoltà non può essere considerata come meramente individuale, dato che l’ampia portata della crisi economica connessa alla pandemia ha investito ampie classi di debitori. Ciò nonostante, la sopravvenienza anzidetta non attiene direttamente alla prestazione, che non diviene di per sé più costosa a causa della pandemia, rimanendo il suo valore inalterato anche nella misura nominale[94].
La natura pecuniaria dell’obbligazione incide altresì sulla possibilità di invocare i rimedi ex artt. 1256 ss. e 1463 ss. c.c. Nei confronti dell’obbligo di pagamento delle rate varrebbe, difatti, il mai tramontato principio genus numquam perit, non essendo perciò invocabile l’impossibilità sopravvenuta della prestazione, neppure parziale o temporanea[95].
L’impostazione tradizionale, imperniata sui caratteri di oggettività e assolutezza della situazione da cui origina l’impossibilità, è da tempo oggetto di un processo di relativizzazione. In questa direzione si è sostenuto che la «causa non imputabile» di cui all’art. 1256 c.c. sarebbe altresì rinvenibile nei casi in cui «la prestazione sia possibile, ma il relativo adempimento impedirebbe, anche soltanto di fatto, l’attuazione di un dovere o l’esercizio di un diritto, espressioni concrete e genuine della personalità, considerate prevalenti a livello costituzionale rispetto all’obbligo dell’adempimento dell’obbligazione»[96]. Nondimeno, ai fini dell’applicazione dell’istituto dell’impossibilità sopravvenuta, la natura pecuniaria dell’obbligazione resta una barriera difficile da scalfire, anche nel contesto pandemico[97].
L’opinione contraria, che ammette che le prestazioni di somme di denaro possano divenire impossibili per causa Covid[98], nell’àmbito dei contratti di finanziamento si alimenta di un dato testuale: l’art. 1, comma 2, lett. n-bis), del d.l. 8 aprile 2020, n. 23 convertito, con modificazioni, in l. 5 giugno 2020, n. 40, sancisce che il finanziamento coperto con garanzia prestata da SACE S.p.A.[99] venga «destinato, in misura non superiore al 20 per cento dell’importo erogato, al pagamento di rate di finanziamenti, scadute o in scadenza nel periodo emergenziale ovvero dal 1° marzo 2020 al 31 dicembre 2020, per le quali il rimborso sia reso oggettivamente impossibile in conseguenza della diffusione dell’epidemia di COVID-19 o delle misure dirette alla prevenzione e al contenimento della stessa, a condizione che l’impossibilità oggettiva del rimborso sia attestata dal rappresentante legale dell’impresa beneficiaria […]»[100].
La norma, quindi, sembra prima facie ammettere che il percettore del finanziamento possa andare incontro all’impossibilità sopravvenuta della prestazione pecuniaria cui è obbligato. È poco probabile che il legislatore, con ciò, abbia inteso riferirsi all’impedimento fisico di effettuare il pagamento a causa dell’assenza di personale o di chiusura degli uffici[101]. Il riferimento all’impossibilità della prestazione varrebbe più verosimilmente a richiamare quelle fattispecie in cui l’adempimento sia oggettivamente ostacolato dalla contrazione dei flussi in entrata del debitore[102].
Non è questa la sede per indagare se le indicazioni del legislatore valgano o meno ad incrinare il postulato secondo cui le obbligazioni pecuniarie non potrebbero estinguersi per impossibilità sopravvenuta, sebbene sia condivisibile, nelle sue linee generali, l’idea che tale dogma vada ridimensionato[103]. Anche alla luce del contesto storico in cui la norma è stata emanata, comunque, è plausibile che la necessità di far fronte a esigenze impellenti abbia posto in secondo piano la ricerca di accuratezza del lessico giuridico: se questo è il caso, è verosimile che la voluntas legis non fosse quella di sovvertire le consolidate categorie civilistiche in materia e che la portata della norma sia quindi da confinare entro i ranghi della situazione emergenziale.
La previsione ad hoc in materia di finanziamenti, ad ogni modo, può costituire una chiave di lettura di un’altra norma, la più dibattuta dell’intero complesso normativo dell’emergenza: il già citato art. 3, comma 6-bis, del d.l. n. 6 del 2020 (di qui in avanti anche comma 6-bis)[104]. Il richiamo, operato da quest’ultima disposizione, agli artt. 1218 e 1223 c.c. potrebbe cioè comportare che il rispetto delle misure di contrasto alla pandemia sia da valutare ai fini dell’esclusione della responsabilità contrattuale anche in presenza di fattispecie che normalmente non rientrerebbero nella nozione di impossibilità della prestazione per causa non imputabile al debitore[105].
Questa soluzione, peraltro, consentirebbe di salvaguardare il carattere di precettività e innovatività della disposizione[106], in armonia col principio di conservazione degli atti giuridici[107], e di evitare l’interpretatio abrogans che discenderebbe dal ritenere la norma operante soltanto in ipotesi «tradizionali» di impossibilità sopravvenuta; in quest’ultimo caso la previsione sarebbe, di fatto, pleonastica, perché evocativa di principi e norme che avrebbero operato anche in sua assenza.
In tal guisa, ricorrendo i requisiti legislativamente previsti, anche le obbligazioni pecuniarie rientrerebbero nell’area di applicabilità dell’art. 3, comma 6-bis, stante, tra l’altro, l’ampia genericità della sua formulazione[108]. Tra le fattispecie rilevanti sarebbe annoverabile, allora, anche l’impotenza finanziaria correlata ai mezzi di contrasto all’epidemia, che rappresenta un impedimento comune a una vasta platea di soggetti e deriva da situazioni per tutti omogenee, in quanto connesse, in ultima analisi, al rispetto dei medesimi provvedimenti emergenziali.
In questo modo il mutuatario, debitore di una prestazione che per sua natura non può tendenzialmente divenire impossibile, sotto l’egida della previsione emergenziale potrebbe andare esente da responsabilità in caso di ritardo nell’adempimento. La soluzione, peraltro, consentirebbe di venire incontro ai bisogni di tutela di chi ha sottoscritto dei contratti di finanziamento che non appartengono al novero di quelli che formano oggetto delle moratorie concesse dal legislatore dell’emergenza[109].
Una simile eventualità, tuttavia, presuppone che il mancato pagamento sia causalmente riconducibile al rispetto delle misure di contenimento del virus[110], come accade quando il mutuatario abbia subito una significativa flessione delle entrate della sua attività imprenditoriale in conseguenza delle chiusure imposte dall’autorità.
Ricorrendo il predetto elemento eziologico, l’esonero del debitore dalla responsabilità ex contractu non è comunque automatico. La norma prevede unicamente che il comportamento tenuto in ossequio ai provvedimenti predetti sia valutato positivamente nell’àmbito del giudizio di responsabilità ex artt. 1218 e 1223 c.c. Nelle mani del giudice residua pertanto un ampio margine di discrezionalità nella valutazione del comportamento del debitore, il quale sarà in ogni caso ritenuto responsabile laddove l’inadempimento gli sia imputabile; situazione, quest’ultima, che si verifica ad esempio quando, nonostante le limitazioni connesse alla situazione sanitaria, risulta che egli avrebbe comunque potuto adempiere, tenuto conto del grado di diligenza richiesta e di tutte le circostanze del caso concreto[111].
6.2. L’inesigibilità delle rate del finanziamento e obbligo di rinegoziazione del contratto
Alla luce di quanto sin qui esposto, il debitore, in astratto, potrebbe non incorrere nella responsabilità per il ritardo allorché la misura di contrasto alla pandemia si sia riverberata in un temporaneo inadempimento della rata di finanziamento.
Vi possono essere casi, però, in cui il mancato pagamento sia dipeso non da una deminutio delle entrate strettamente correlata al rispetto delle misure emergenziali, bensì da una prolungata crisi economica che, seppur innescata o aggravata dai predetti provvedimenti, abbia condotto a un progressivo e duraturo depauperamento del patrimonio del debitore ovvero alla stabile riduzione della sua capacità di produrre reddito.
Si dubita che in queste ipotesi l’obbligato possa beneficiare della vis liberatoria di cui al comma 6-bis, che sarebbe limitata agli inadempimenti delle prestazioni da eseguire durante i mesi di lockdown[112], non estendendosi invece ai periodi successivi. In effetti, si incontrano tante più difficoltà a sostenere la presenza del nesso di causalità tra il rispetto dei provvedimenti e il ritardo nel pagamento delle rate, quanto più prolungata è la crisi di liquidità del debitore alla base di tale temporaneo inadempimento[113].
Di norma l’inadempimento manifestatosi a distanza di tempo somiglia viepiù a una situazione di impedimento soggettivo, correlato a una personale mancanza di liquidità; eppure sussistono istanze di giustizia sociale che impongono di tenere in considerazione l’impotenza finanziaria dei debitori anche quando essa non sia direttamente connessa alle limitazioni governative, ma comunque affondi le proprie radici nel fenomeno pandemico[114].
Soccorre a tutela del debitore la categoria dell’inesigibilità della prestazione, quale limite alle pretese creditorie che ricorre quando l’esecuzione dell’obbligo, seppur oggettivamente possibile, comporterebbe un sacrificio intollerabile per il debitore, al quale non potrebbe essere pertanto imputata la responsabilità per l’eventuale inadempimento[115]. L’interesse debitorio a non adempiere, difatti, in una dimensione assiologica e ispirata ai princípi espressi dalla Costituzione, potrebbe in teoria essere prevalente rispetto all’interesse creditorio, con il precipitato che la prestazione, in tal caso, non sarebbe in concreto esigibile[116].
È consolidata l’opinione secondo cui l’inesigibilità rappresenta l’esito di un giudizio di bilanciamento nel quale l’interesse creditorio viene soppesato con un altro interesse, avente spesso rilevanza costituzionale, che si frappone all’adempimento e che risulta preminente rispetto al primo. La portata del principio è però controversa con riguardo alla natura delle posizioni soggettive oggetto del giudizio di contemperamento: ad un orientamento che reputa idonee a rendere inesigibile la prestazione soltanto istanze di natura non patrimoniale[117], se ne contrappone un altro, incline a ritenere rilevanti anche interessi di tipo economico[118]. Quest’ultima impostazione trae conforto dalla considerazione che i diritti e le libertà fondamentali della persona, che occupano un posto di vertice nella scala dei valori costituzionali, sono suscettivi di subire un pregiudizio anche in caso di grave lesione di interessi patrimoniali[119].
In base a quanto precede, dunque, anche nell’àmbito della concessione del credito la prestazione del debitore potrebbe risultare in concreto inesigibile, come nel caso in cui l’adempimento possa mettere a repentaglio preminenti interessi costituzionali della persona obbligata o della sua famiglia ovvero la sopravvivenza dell’impresa debitrice. L’inesigibilità della prestazione pecuniaria, nei casi predetti, sebbene non possa condurre all’estinzione dell’obbligo, potrebbe legittimamente tradursi in un esonero dalla responsabilità per il ritardo[120].
A prescindere che la predetta mancanza di responsabilità derivi dall’applicazione del comma 6-bis ovvero della categoria dell’inesigibilità, si pone il problema di stabilire se il debitore, una volta trascorso l’intervallo di tempo entro il quale il suo inadempimento può considerarsi giustificato, sia tenuto a corrispondere le rate scadute durante il già menzionato lasso temporale e contestualmente anche quelle successive, secondo il piano di ammortamento originario. L’alternativa, individuabile nella postergazione delle scadenze di pagamento per un numero di giorni pari alla durata della sospensione, costituirebbe una più soddisfacente risposta ai bisogni di tutela del debitore, ma è stata scartata in quanto priva di appigli testuali[121].
Sennonché, può apparire contraddittorio venire incontro alle difficoltà del debitore, rendendo inesigibile la sua prestazione per un determinato segmento temporale, da un lato, e imporgli, non appena spirato tale periodo, l’adempimento contestuale sia dei pagamenti arretrati sia di quelli che vengono a scadenza immediatamente dopo, dall’altro. Il beneficio dell’inesigibilità temporanea, infatti, rischia di essere vanificato in quei casi in cui l’obbligato abbia recuperato soltanto un grado minimo di solvibilità, tale da consentirgli di adempiere alle rate sospese, ma comunque non ancora sufficiente, per lo meno nell’immediato, ad assicurare il pagamento di quelle ulteriori[122].
In un’ipotesi siffatta, in virtù della medesima ratio di tutela posta a fondamento dell’iniziale e provvisorio esonero dalla responsabilità per inadempimento, può suggerirsi una soluzione d’equilibrio, che tenga conto sia di un’esigenza di coerenza, onde evitare di pregiudicare gli effetti protettivi del rimedio già concesso, sia dell’interesse del finanziatore a non subire oneri ingiustificati a causa della sospensione[123].
La strada maestra, in questi casi, appare essere quella di una rinegoziazione del regolamento contrattuale[124] finalizzata alla rideterminazione del programma di rimborso rateale del finanziamento, perseguendo la sostenibilità dell’operazione economica secondo criteri di adeguatezza e proporzionalità. La rimodulazione in via convenzionale della durata del rapporto ovvero del tasso di interesse può costituire la soluzione preferibile anche per il creditore, perché consente di gestire il sopravvenuto squilibrio economico rimanendo nel terreno dell’autonomia privata e scongiurando il pericolo che le condizioni di mercato ovvero quelle personali del debitore si riflettano in uno stato irreversibile di insolvenza[125].
Indipendentemente da una spontanea iniziativa delle parti in tal senso, traendo spunto dalle ricostruzioni sistematiche in materia di sopravvenienze contrattuali e revisione del contratto[126], è peraltro postulabile l’esistenza di un potenziale obbligo ex fide bona di ricontrattare le condizioni del rimborso rateale[127], anche in mancanza di una disciplina pattizia di gestione delle sopravvenienze[128]. La crisi economica derivante dallo scenario pandemico, infatti, può in astratto qualificarsi come circostanza straordinaria ed imprevedibile che, impattando su un contratto di durata come quello di finanziamento, innesca un dovere delle parti di assumere un contegno di reciproca cooperazione ex art. 1375 c.c.[129] attraverso l’avvio di nuove trattative tese alla modifica delle clausole pattizie.
La buona fede, in quanto clausola generale, presuppone comunque una valutazione del caso concreto[130]: alla luce delle circostanze de facto, occorre verificare se l’originario piano dei ricavi e dei costi possa essere ripristinato attraverso la sostituzione di una nuova condizione di equilibrio a quella iniziale alterata, oltre i limiti della normale alea, dalla sopravvenienza emergenziale. Anche al fine di evitare comportamenti opportunistici del debitore[131], occorre dunque prendere in esame il rapporto obbligatorio nel suo complesso, verificando se un dovere di rinegoziare possa scaturire dal principio di correttezza alla luce delle posizioni di entrambe le parti[132]. È da evitare, cioè, una valutazione unilaterale, incentrata solamente sulla situazione debitoria: la dimensione cooperativa della buona fede non può prescindere da un’analisi altrettanto attenta della posizione del creditore[133], visto che anche quest’ultimo, al di là delle qualificazioni formali, può trovarsi in una condizione di vulnerabilità economica[134].
La prospettiva preferibile appare quella di una valorizzazione della ratio della complessiva operazione economica, a tutela dell’assetto di interessi divisato dai contraenti[135]. Il riferimento alla buona fede, insomma, non può valere come espediente retorico a giustificazione di un astratto ideale di giustizia contrattuale[136], ma rappresenta uno strumento imperniato sulla realtà materiale del rapporto. Così connotata la correttezza configura un mezzo di attuazione del solidarismo ex art. 2 cost. da un lato e dell’art. 41 cost. dall’altro, atteso che la libertà di iniziativa economica e i limiti connessi al suo esercizio rappresentano presidi a tutela dei contratti, favorendo la conservazione di quelli già in essere e promuovendo la stipula dei nuovi[137].
L’indagine sulla presenza dell’obbligo di rinegoziare il contratto di finanziamento si colloca in questo contesto assiologico, implicando un bilanciamento delle opposte esigenze. La ripartizione del rischio delle sopravvenienze non può prescindere dall’analisi del contesto contrattuale, anche in una prospettiva di mercato[138]. Con il che non si vuole certo affermare l’esistenza di un primato delle esigenze del commercio: l’art. 41, comma 2, cost. vieta di esercitare l’attività economica «in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla salute, all’ambiente, alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana». La dottrina più sensibile, per giunta, ha da tempo sottolineato che il rispetto della personalità umana è collocato all’apice della gerarchia assiologica espressa dall’ordinamento. Tale valore, quindi, non può essere soverchiato dal sistema di tutela degli interessi patrimoniali come l’impresa o la proprietà[139]. Il mercato, del resto, non è soltanto un sistema di regole dell’economia, ma è anche uno statuto normativo[140]: un insieme di norme e princípi giuridici diretti a regolamentare uno spazio economico che non si sottrae ai valori del personalismo e del solidarismo. In conformità a quanto precede, la celerità e la sicurezza degli scambi, nonché gli altri princípi che governano il mercato secondo criteri di efficienza, non sono in antitesi con le istanze di tutela della persona, ma sono asserviti ad esse[141].
Le coordinate ermeneutiche appena tracciate impongono di analizzare la posizione del finanziatore, compreso quello avente natura professionale, senza pregiudizi ideologici[142]. La stabilità del mercato bancario e finanziario, del resto, non si esaurisce nella protezione di interessi meramente mercantili, ma si collega a valori costituzionali come la tutela del risparmio, finalizzata all’accantonamento delle risorse funzionali ai bisogni fondamentali di vita e all’offerta di disponibilità finanziaria atta a sostenere il pieno sviluppo della personalità umana[143].
Il tema della rinegoziazione del programma di restituzione del finanziamento si snoda, quindi, tra i due poli giuridici, di rilievo costituzionale, della tutela del credito da una parte e dei bisogni fondamentali del debitore, soprattutto se contraente debole, dall’altra[144]. Il contemperamento delle opposte esigenze deve poi essere calato nello scenario del mercato, dacché l’obbligo di rinegoziazione viene influenzato dall’interesse pubblico alla corretta funzionalità del sistema bancario e finanziario, anche al fine di mantenere bassi i tassi di interesse, specialmente a beneficio dei titolari di redditi non elevati[145].
Pertanto, a seconda del contesto del concreto rapporto, la presenza di un siffatto interesse superindividuale, nel bilanciamento con altri interessi anche individuali, potrebbe suggerire l’esistenza di un dovere di rinegoziare, ad esempio quando la rinuncia ad alcune prerogative da parte del creditore possa salvaguardare la solvibilità del finanziato e contribuire a prevenire crisi sistemiche. Per contro non può escludersi che in alcune ipotesi il sacrificio richiesto al finanziatore recherebbe il rischio di porlo in una condizione di fragilità economica. Tale condizione, in base alle varie circostanze, potrebbe inibire in principio la nascita di un obbligo di rinegoziare ovvero incidere sulla misura del contegno cooperativo cui il creditore è tenuto, riducendo lo sforzo da lui esigibile secondo il canone di correttezza[146].
Secondo un’impostazione consolidata, infatti, l’inesigibilità della prestazione e l’obbligo di rinegoziazione, quali istituti derivanti dall’applicazione del principio di buona fede in funzione correttiva o integrativa[147], postulano il rispetto del limite dell’apprezzabile sacrificio che la parte è chiamata a sopportare[148].
7. Conclusioni
L’impotenza finanziaria, che in condizioni fisiologiche di mercato rimane relegata nel perimetro delle soggettive difficultas praestandi, assume quindi profili di rilevanza contrattuale a fronte di sopravvenienze eccezionali come la pandemia da Covid-19, suscettiva di ridurre il soggetto finanziato ad uno stato di vulnerabilità economica connessa ad «un’alterazione eccezionale, globale e orizzontale dell’ordinario funzionamento del mercato»[149].
Nei casi in cui l’impedimento al pagamento rateale – scaturito dalla crisi di liquidità post-Covid – non sia sussumibile in un’esimente prevista ad hoc dalla legislazione d’emergenza, i bisogni di protezione del debitore, come si è visto, possono comunque trovare soddisfazione attraverso un approccio funzionale che valorizzi il carattere di lunga durata del contratto, mediante una rilettura in chiave critica dei meccanismi tradizionali di tutela contrattuale. La ricerca del giusto rimedio, in grado di realizzare la più equilibrata composizione degli interessi di parte, induce a verificare se gli avvenimenti perturbativi di matrice pandemica abbiano inciso in negativo sulla solvibilità del debitore, malgrado il contegno diligente di quest’ultimo.
Qualora l’indagine conduca a risultati positivi, può ipotizzarsi che il pagamento non sia esigibile dal creditore, che di norma assume le vesti di un intermediario bancario o finanziario. L’inesigibilità inibisce la responsabilità per il ritardo nell’esecuzione della prestazione ma può risolversi in un mero rimedio palliativo se il debitore in stato di difficoltà economica, una volta spirato il periodo di sospensione, si trovi a dover corrispondere, oltre alle rate temporaneamente sospese, anche quelle nuove, secondo le cadenze temporali sancite in principio. Per evitare la formazione di un imbuto finanziario, in cui il beneficio iniziale sia vanificato da un successivo restringimento del canale applicativo della buona fede, è auspicabile un riequilibrio del rapporto negoziale attraverso l’avvio di nuove trattative. La soluzione adeguatrice, peraltro, sembra imporsi anche laddove vi sia l’esigenza di contenere l’importo delle rate, al fine di non gravare il debitore di oneri iniqui[150].
Più voci hanno sottolineato che l’ipotesi di un obbligo ex lege di rimodulare in via convenzionale il rapporto sacrificherebbe in maniera eccessiva il valore della certezza giuridica[151]. Non è pacifico, infatti, quale debba essere il contenuto di un simile obbligo[152], e segnatamente in quali casi il rifiuto di accettare le modifiche proposte rappresenti un contegno illegittimo, né quali rimedi siano esperibili a fronte del suo inadempimento[153].
La portata delle prefate obiezioni, tuttavia, è suscettiva di essere ridimensionata: sia perché, da tempo, si va registrando la dequotazione della tecnica della sussunzione, a vantaggio dell’uso sempre più massiccio delle clausole generali, la cui flessibilità permette di fronteggiare situazioni – come quella pandemica – dai contorni indefiniti, che mal si prestano a essere inquadrate entro i rigidi confini di una determinata fattispecie[154]; sia in quanto la presenza di un obbligo di rinegoziazione implica pur sempre il potere giudiziale (se non manipolativo, quantomeno valutativo) di controllo della corretta esecuzione del contratto secondo il contenuto delle clausole generali, in funzione di prevenzione e, se del caso, di repressione degli abusi delle parti. Il riscontro di un obbligo di ridiscutere l’impegno originario è comunque solo uno dei possibili esiti dell’apprezzamento del giudice, che potrà invero escludere una simile eventualità quando sia identificabile nell’ordinamento un altro rimedio maggiormente idoneo a rispondere ai bisogni di tutela emergenti dal contesto fattuale[155].
Infine l’intervento del giudice, chiamato a valutare la rispondenza del contegno delle parti nell’àmbito del giudizio di responsabilità, non sarebbe caratterizzato da una discrezionalità eccessiva, in contrasto con l’autonomia privata. Riscontrata la sussistenza dei presupposti per la nascita dell’obbligo legale di rinegoziare, lo scopo dell’attività revisionale sarebbe quello di conservare il contenuto programmatico del contratto, ristabilendo l’equilibrio del sinallagma. L’autonomia negoziale, cristallizzata nell’iniziale accordo, limita sé stessa nel suo futuro esercizio e traccia un perimetro di ragionevolezza intorno all’attività giudiziale, «fissando una proporzione tra le prestazioni che non può dirsi non più voluta solo perché non si è autonomamente mantenuta e realizzata»[156].
[1] Si rinvia alla dottrina citata da A. Gentili, Una proposta sui contratti d’impresa al tempo del Coronavirus, in www.giustiziacivile.com, 29 aprile 2020, p. 16, nota 1, oltre ai riferimenti bibliografici relativi agli specifici argomenti oggetto del presente contributo.
[2] L’infezione virale, ad esempio, può determinare la temporanea o permanente incapacità del lavoratore subordinato di eseguire la prestazione lavorativa. Di tale eventualità è consapevole, del resto, lo stesso legislatore, che peraltro qualifica il contagio da Covid-19 avvenuto in àmbito lavorativo come un infortunio sul lavoro. Infatti, a mente dell’art. 2, comma 2, del c.d. decreto Cura Italia (d.l. 17 marzo 2020, n. 18, convertito, con modificazioni, dalla l. 24 aprile 2020, n. 27), «nei casi accertati di infezione da coronavirus (SARS- CoV-2) in occasione di lavoro, il medico certificatore redige il consueto certificato di infortunio e lo invia telematicamente all’INAIL che assicura, ai sensi delle vigenti disposizioni, la relativa tutela dell’infortunato». Il tema è affrontato da A. G. Diana, La forza maggiore nella crisi dei rapporti contrattuali, Milano 2021, p. 130 ss.
[3] Lo stato di emergenza, deliberato dal Consiglio dei ministri il 31 gennaio 2020, è stato da ultimo prorogato fino al 31 marzo 2022. Il d.l. 24 marzo 2022, n. 70, recante «Disposizioni urgenti per il superamento delle misure di contrasto alla diffusione dell’epidemia da COVID-19, in conseguenza della cessazione dello stato di emergenza», contiene, tra l’altro, disposizioni volte a consentire il «rientro nell’ordinario», senza disporre, com’è intuibile, alcuna ulteriore proroga dello stato di emergenza.
[4] Nel trattare il tema della impossibilità della prestazione collegata al contesto pandemico, la dottrina si è occupata maggiormente di quegli impedimenti che discendono dai provvedimenti di contenimento del virus, sovente trascurando il dato che a rendere impossibile la prestazione è talora il rischio per il debitore di contrarre il virus stesso. Di quest’ultima circostanza dà conto E. Navarretta, Giustizia contrattuale, giustizia inclusiva, prevenzione delle ingiustizie sociali, in Giust. civ., II, 2020, p. 242, secondo cui l’impossibilità sopravvenuta può derivare «tanto da ragioni di fatto quanto dal c.d. factum principis». Sul ruolo della diligenza nell’àmbito dell’esecuzione del rapporto obbligatorio v. M. Giorgianni, L’inadempimento (corso di diritto civile), Milano 1975.
[5] Con tale espressione si vuole far riferimento al protocollo d’emergenza con cui, in alcuni circoscritti periodi del più ampio arco temporale in cui è imperversata la pandemia, è stata disposta «la chiusura totale delle attività produttive e degli esercizi commerciali»: così L. Regazzoni, I contratti di durata e la pandemia: dalla correzione (cogente) all’integrazione (dispositiva), in Riv. trim., 2021, IV, p. 1219 ss.
[6] Per una disamina più approfondita della situazione epidemiologica in Italia alla data di stesura del presente contributo, v. il documento redatto dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) “Covid-19: sorveglianza, impatto delle infezioni ed efficacia vaccinale. Aggiornamento nazionale 6 luglio 2022”, che illustra, tra l’altro, l’efficacia della campagna vaccinale nel prevenire infezioni, ricoveri ospedalieri e decessi.
[7] C. Cicero, Sul rapporto giuridico nella crisi di emergenza sanitaria, in Id. (a cura di), I rapporti giuridici al tempo del Covid-19, Napoli 2020, pp. 14-15.
[8] Cfr. per tutti C. Pilia, Le tutele dei diritti durante la pandemia Covid 19: soluzioni emergenziali o riforme strutturali?, in Pers. merc., 2020, II, p. 78 e C. Cicero, o.c., pp. 14-15.
[9] P. Corrias, La gestione dei rischi pandemici nei contratti assicurativi, in Resp. civ. prev., 2020, V, p. 1391 e M. Grondona, Dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica: l’eccessiva onerosità sopravvenuta tra buona fede e obbligo di rinegoziazione, in Actual. jur. iberoam., 2020, XII, p. 319, il quale suggerisce, peraltro, la distinzione tra sopravvenienza sanitaria e sopravvenienza strettamente economica.
[10] L. Biarella, Factum principis (Act of God) e forza maggiore (Force Majeure) all’epoca del Covid 19, in www.guidaldirittodigital.ilsole24ore.com, pp. 16-17.
[11] V. Roppo, Il contratto, 2ª ed., Milano 2011, pp. 935-936.
[12] Vale la pena osservare, con riferimento alle suddette fattispecie contrattuali, che gli effetti dello scioglimento del rapporto vengono modulati in maniera parzialmente difforme rispetto a quanto previsto dall’art. 1463 c.c., che sancisce, quale corollario del principio di retroattività degli effetti della risoluzione, l’obbligo della parte liberata per impossibilità sopravvenuta della prestazione di restituire la controprestazione eventualmente già ricevuta secondo le norme che regolano la ripetizione dell’indebito. Gli artt. 88 e 88-bis del decreto «Cura Italia», infatti, prevedono, per i casi di anticipato versamento del corrispettivo, che l’organizzatore dell’evento, oppure il vettore o la struttura ricettiva provvedano a rimborsare l’acquirente mediante l’emissione di un voucher, di importo pari al prezzo versato, da utilizzare entro un determinato periodo di tempo. Con tali previsioni, secondo N. Cipriani, L’impatto del lockdown da COVID-19 sui contratti, in Riv. dir. banc., 2020, p. 658, il legislatore ha inteso «salvaguardare alcuni settori che si reggono abitualmente sulla prassi del disallineamento temporale tra conclusione del contratto (e pagamento del prezzo, o quanto meno di una sua parte) e sua esecuzione, per i quali l’impatto degli obblighi restitutori sarebbe stato tale da mettere seriamente a rischio la sopravvivenza stessa delle imprese».
[13] V. Roppo, Diritto privato, 7ª ed., Torino 2020, p. 500.
[14] U. Carnevali, Contratti di durata e impossibilità temporanea di esecuzione, in Contratti, 2000, I, p. 116 ss.
[15] F. Messineo, Dottrina generale del contratto, 3ª ed., Milano 1952, p. 597.
[16] R. Sacco e G. De Nova, Il contratto, II, Torino 1993, p. 651.
[17] C. M. Bianca, Diritto civile, V, La responsabilità, 3ª ed., Milano 2021, pp. 391-392.
[18] In tal caso, venendo meno il rischio assicurato per un periodo circoscritto, la prestazione dell’assicuratore diverrebbe in parte impossibile, e sarebbe pertanto applicabile l’art. 1464 c.c., non sussistendo norme settoriali dirette a regolare altrimenti la sopravvenienza: in questi termini P. Corrias, La gestione dei rischi pandemici, cit., p. 1397. Sul tema cfr. altresì A. Dolmetta, Locazione di esercizio commerciale (o di studi professionali) e riduzione del canone per «misure di contenimento» pandemico, in www.ilcaso.it, 23 aprile 2020, p. 7, il quale, con specifico riferimento al rapporto di locazione, configura come impossibilità sopravvenuta temporanea il factum principis che, nel contesto pandemico, impedisce al locatore di adempiere all’obbligazione – ex art. 1575, n. 2, c.c. – di mantenere la cosa locata «in stato da servire all’uso convenuto». In base a quanto precede, l’a. sostiene che il conduttore avrebbe il diritto a una riduzione del canone, azionabile ai sensi dell’art. 1464 c.c.
[19] Per tutti, C. Cicero, Sul rapporto giuridico, cit., p. 19 e A. Mora, Il finanziamento al “contratto” come momento di difesa del valore comune alle parti, in M. Rescigno (a cura di), Pandemia e rapporti fra imprese. La rinegoziazione del contratto. Teoria e pratica a confronto, Milano 2021, p. 48. Un’opinione non dissimile è quella espressa da A. Dolmetta, «Misure di contenimento» della pandemia e disciplina dell’obbligazione (prime note all’art. 91 comma 1 d.l. n. 18/2020), in Banca borsa tit. cred., 2020, 2, p. 154 ss., per il quale il testo del comma 6-bis può essere inteso «nel senso di fare riferimento al sistema della responsabilità da inadempimento in quanto tale, a mezzo appunto del richiamo delle due norme più “significative” del sistema medesimo», cioè gli artt. 1218 e 1223 c.c.
[20] M. Grondona, Dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica, cit., p. 319.
[21] A. M. Benedetti, Il rapporto obbligatorio al tempo dell’isolamento: brevi note sul decreto Cura-Italia, in Contratti, 2020, II, p. 216.
[22] Non è un mistero che la pandemia abbia posto la comunità di fronte a una sfida impegnativa, che è possibile superare attraverso uno sforzo sinergico della generalità dei consociati, chiamati a perseguire uno scopo unitario. Si rimanda, sul punto, all’analisi di F. Di Marzio, Comunità. Affrontiamo la nostra prova, in www.giustiziacivile.com, 12 marzo 2020.
[23] Cfr. la Relazione tematica n. 56 dell’Ufficio del Massimario e del Ruolo della Corte Suprema di Cassazione, spec. p. 23 ss.
[24] Cfr., ex multis, Cass. 13 gennaio 1993, n. 343, in Giur. it., I, 1, c. 2129 ss., con nota di G. Sicchiero, Appunti sul fondamento costituzionale del principio di buona fede. V., altresì, le opere di U. Natoli, L’attuazione del rapporto obbligatorio, I, Milano 1974, p. 33 e S. Rodotà, Le fonti di integrazione del contratto, Milano 2004, pp. 171-175, il quale afferma che è possibile ricorrere «alle norme costituzionali al fine di determinare il contenuto della clausola di correttezza» e che l’art. 2 della Carta cost. esprime «la necessità di un agire corretto in base alla solidarietà».
[25] F. Macario, Adeguamento e rinegoziazione nei contratti a lungo termine, Napoli 1996, p. 169 ss.
[26] A. Frignani, Hardship Clause, in Noviss. dig. it., app. III, Torino 1982, p. 1181 ss; F. Macario, o.c., p. 212; A. Pisu, L’adeguamento dei contratti tra ius variandi e rinegoziazione, Napoli 2017, p. 74 ss.
[27] F. Macario, o.c., p. 207. Per una disamina generale sulle circostanze di hardship e force majeure, siano esse dedotte o meno in apposite pattuizioni contrattuali, v. F. Ferrari, Il contenzioso dei contratti e l’arbitrato internazionale, in Riv. arb., 2021, II, p. 243 ss.
[28] Sebbene in alcuni casi i fenomeni di hardship e di forza maggiore possano sovrapporsi, in sede di stesura del regolamento pattizio è preferibile non riversare in un’unica clausola la descrizione delle due tipologie di eventi, onde rappresentare le diverse fattispecie con una maggiore precisione ed evitare di generare confusione in ordine alle specifiche conseguenze che discendono da ciascuna di esse, come evidenziato da F. Benatti, Contratto e Covid-19: possibili scenari, in Banca borsa tit. cred., 2020, II, p. 198 ss. Per una distinzione tra hardship e forza maggiore, alla luce di quanto previsto dai Principi UNIDROIT, cfr. F. Ferrari, o.c., p. 243 ss.
[29] Cfr. M. Grondona, Dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica, cit., p. 324.
[30] In quest’ordine di idee si è proposto di estendere la sfera di operatività dell’art. 1468 c.c. oltre il perimetro dei contratti con obbligazioni di una sola parte, per comprendere anche i contratti a prestazioni corrispettive, quando risulti che ad essere obbligata sia rimasta soltanto una parte, in quanto la controparte abbia già eseguito in toto la propria prestazione: così P. Gallo, Eccessiva onerosità sopravvenuta, in Dig. disc. priv., Sez. civ., VII, Torino 1991, p. 236 ss. La giurisprudenza, inoltre, ha ritenuto che l’art. 1467, comma 3, c.c. attribuisca al giudice il potere di valutare l’idoneità dell’offerta di riduzione ad equità e, nel caso di inadeguatezza di quest’ultima, di intervenire direttamente per stabilire, nel rispetto del principio della domanda, la misura della modificazione necessaria ai fini della riconduzione del rapporto a una condizione di equilibrio: cfr. Cass., 18 luglio 1989, n. 3347, in Foro it., 1989, I, c. 564, con nota di F. Macario, Eccessiva onerosità, riconduzione ad equità e poteri del giudice, secondo il quale, «ammettendo la possibilità dell’integrazione giudiziale del contratto, la Cassazione assicura il corretto funzionamento del meccanismo di riequilibrio previsto dall’art. 1467, 3° comma, nel senso che, di fronte alla domanda di risoluzione, l’altra parte “può evitarla” veramente soltanto se al giudice è consentito di intervenire per colmare la “zona grigia” fra l’offerta modificativa di parte ed il rientro effettivo nell’àmbito dell’alea normale. Altrimenti, la realizzazione dell’interesse alla conservazione del contratto, rettificato o non, dipenderebbe dalla rispondenza dell’offerta alla valutazione equitativa del giudice e non dalla disponibilità a modificare equamente le condizioni, come richiede invece la lettera della legge e come suggerisce la ratio generale dei mezzi di perequazione dell’equilibrio contrattuale (art. 1432 e 1450, oltre la norma qui in esame)». V., inoltre, Id., Adeguamento, cit., p. 284 ss., ove si legge che «la realizzazione dell’interesse alla sopravvivenza del rapporto contrattuale, che fa capo al contraente avvantaggiato dall’eccessiva onerosità della prestazione, possa essere assicurata soltanto se si ammette che il giudice può intervenire in tutti quei casi in cui l’offerta sia formulata genericamente (demandando la parte offerente al giudice la necessaria specificazione) ovvero sia ritenuta non rispondente all’equità».
[31] L’art. 1560 c..c., per l’ipotesi in cui l’entità della somministrazione non sia stata determinata, prevede che essa sia parametrata al «normale fabbisogno» del somministrato, che rappresenta un concetto elastico, destinato ad assumere connotazioni differenti in relazione alle diverse circostanze di fatto; tale entità va nondimeno determinata in relazione al «momento della conclusione del contratto», di guisa che il somministrante non si troverà a dover eseguire, nel corso del rapporto, delle prestazioni eccedenti quanto preventivabile nel momento in cui il vincolo è sorto. Soffermandosi in tema di somministrazione, l’esigenza di adeguamento del contratto emerge anche dall’art. 1461 c.c. che, per l’ipotesi in cui la prestazione abbia carattere periodico e il prezzo debba essere determinato a mente dell’art. 1474 c.c., questo debba essere determinato avendo riguardo «al tempo della scadenza delle singole prestazioni e al luogo in cui devono essere eseguite». Il tema dell’adeguamento del contratto di somministrazione è affrontato da F. Macario, o.u.c., p. 103 ss.
[32] A. Pisu, L’adeguamento, cit., p. 59.
[33] M. Barcellona, Appunti a proposito di obbligo di rinegoziazione e gestione delle sopravvenienze, in Eur. dir. priv., 2003, III, cit., p. 467 ss., secondo il quale «il modello giuridico consensualistico si mostra appropriato ad un modello di scambio puntuale, ossia la cui esecuzione non presupponga alcuna duratura interferenza delle sfere patrimoniali dei contraenti ed alcun reciproco condizionamento dei loro ulteriori programmi economici», laddove «il modello giuridico conservativo, invece, appare adeguato al modello di scambio integrativo, ossia la cui esecuzione presupponga o comporti una rilevante integrazione delle sfere patrimoniali dei contraenti o un reciproco condizionamento della loro programmazione economica» (corsivi dell’a.).
[34] A. Pisu, L’adeguamento, cit., p. 56 ss.
[35] F. Macario, Adeguamento, cit., p. 103.
[36] Per una disamina di taluni strumenti di gestione delle sopravvenienze invalsi in alcuni Paesi sia europei, come la Germania e la Francia, sia extracontinentali, come la Cina e il Giappone, v. A. Pisu, o.u.c., p. 61 ss.
[37] I Principi Unidroit, quale corpo normativo contenente princípi generali in materia di contratti commerciali internazionali, rappresentano uno strumento di armonizzazione del diritto privato europeo. Come emerge dal loro Preambolo, essi rappresentano un quadro regolamentare di riferimento per le parti che li abbiano scelti come norme da applicare al contratto in luogo delle regole nazionali ovvero che si siano limitate a individuare la disciplina applicabile attraverso il riferimento a concetti generici come la «lex mercatoria» o gli «usi del commercio internazionale». In aggiunta, i Principi assurgono a modello cui i legislatori nazionali ed internazionali possono fare riferimento ogniqualvolta intendano introdurre una regolamentazione attinente ad aspetti che rinvengono una specifica disciplina nei Principi stessi. Infine, essi costituiscono uno strumento di interpretazione, anche in chiave evolutiva, di istituti del diritto nazionale ovvero di quelli contemplati nell’àmbito di convenzioni internazionali, specie nelle ipotesi in cui l’esigenza di far fronte a circostanze nuove, non perfettamente sussumibili nelle fattispecie codificate, possa essere soddisfatta in via ermeneutica e si possa così scongiurare la presenza di vuoti di tutela.
[38] In base all’art. 6.2.2 dei Principi Unidroit «Ricorre l’ipotesi di hardship quando si verificano eventi che alterano sostanzialmente l’equilibrio del contratto, o per l’accrescimento dei costi della prestazione di una delle parti, o per la diminuzione del valore della controprestazione, e (a) gli eventi si verificano, o divengono noti alla parte svantaggiata, successivamente alla conclusione del contratto; (b) gli eventi non potevano essere ragionevolmente presi in considerazione dalla parte svantaggiata al momento della conclusione del contratto; (c) gli eventi sono estranei alla sfera di controllo della parte svantaggiata; e (d) il rischio di tali eventi non era stato assunto dalla parte svantaggiata».
[39] Per le obbligazioni pecuniarie, invece, l’art. 7.2.1 sancisce il diritto del creditore di esigere la prestazione senza eccezioni, confermando così il principio, generalmente invalso nelle tradizioni giuridiche degli stati europei, secondo cui il pagamento di una somma di denaro può essere sempre demandato al soggetto obbligato.
[40] Per un’indagine sul concetto di inesigibilità nel nostro ordinamento v. A. Semprini, Inadempimenti “emergenziali”: colpa del debitore, inesigibilità della prestazione, e nuovo art. 3, comma 6-bis, d.l. n. 6/2020, in Studi urbinati, 2020, p. 769 ss., spec. nota 31 e dottrina ivi citata.
[41] I Principi di diritto europeo dei contratti si inseriscono, come i Principi Unidroit, nel solco di un processo di armonizzazione del diritto dei contratti a livello europeo, ma, a differenza di questi ultimi, il loro àmbito di operatività non è limitato ai contratti commerciali internazionali. Per una disamina del tema cfr. D. De Rada, Diritto contrattuale europeo: iter di armonizzazione e unificazione dai progetti di codificazione alla giustizia elettronica, in federalismi.it, 2018, p. 15.
[42] Cfr. art. 6:111 dei Principi di diritto europeo dei contratti.
[43] La differenza è segnalata da A. Pisu, L’adeguamento, cit., p. 69.
[44] Per una disamina dell’eccessiva onerosità in relazione all’obbligazione pecuniaria v. C. Fissotti, Risoluzione del contratto per eccessiva onerosità ed inadempimento della obbligazione, in Riv. dir. comm., 1957, I, p. 118 ss.
[45] Per quanto riguarda gli effetti della pandemia da Covid-19 sui rapporti assicurativi, v. il documento L’esigenza di semplificare i contratti assicurativi: verso modelli contrattuali più trasparenti?, consultabile sul sito www.ivass.it, contenente l’intervento di S. De Polis, Segretario generale dell’IVASS, nell’àmbito del convegno Gli effetti della pandemia sui contratti assicurativi: più trasparenza, equità e nuovi servizi? Gli scenari futuri per le compagnie, gli assicurati e gli intermediari. Con specifico riferimento alla prospettiva dell’impatto della pandemia sulle imprese assicuratrici v. S. Landini, Pandemia e autonomia privata: sopravvenienza o rischio da gestire. Piani aziendali, contratti di assicurazione, pandemic bond, in www.giustiziacivile.com, 4 maggio 2020, pp. 9-10.
[46] L’incidenza della pandemia sulla capacità dei mutuatari di adempiere gli obblighi contrattuali nei confronti degli istituti di credito è attestata dalla Banca d’Italia, tra l’altro, con nota del 22 marzo 2021, intitolata Impatto delle moratorie sui mutui sulla vulnerabilità finanziaria delle famiglie, reperibile sul sito www.bancaditalia.it.
[47] Per un esame dei profili differenziali della disciplina di settore rispetto al diritto comune v. P. Corrias, La gestione dei rischi pandemici, cit., p. 1392 ss.
[48] Nell’àmbito della categoria di contratti di durata presa in considerazione dall’art. 1373, comma 2, c.c., il contratto di assicurazione appartiene, nello specifico, al sottoinsieme dei contratti c.d. a lungo termine, come rilevato da P. Corrias, Il contratto di assicurazione nel novero dei rapporti di durata, in Resp. civ. prev., 2016, I, p. 7 ss.
[49] Cfr., in dottrina, F. Macario, Adeguamento, cit., p. 126 e, in giurisprudenza, ex multis, Cass., 18 gennaio 2000, n. 500, in www.dejure.it.
[50] F. Macario, o.c., p. 127.
[51] V., in particolare, P. Corrias, Il contratto di assicurazione, cit., p. 7 ss., che reputa «importante sottolineare che nelle ipotesi nelle quali l’assicuratore non esercita il diritto di recesso accordatogli dalla legge, il ripristino della corrispettività alterata dal mutamento del rischio assicurato, avviene tramite il meccanismo della revisione anziché mediante lo schema di cui all’art. 1467 c.c.».
[52] P. Corrias, o.u.c., p. 7 ss.; Id., Alea e corrispettività nel contratto di assicurazione (indivisibilità del premio e sopravvenienza), in Banca borsa tit. cred., 2015, III, p. 301 ss., il quale, attesa l’estrema genericità dei parametri legislativi cui legare la rilevanza del mutamento del rischio assicurato, propone di «recepire le precise indicazioni fornite dall’art. 1664 c.c. e ritenere, quindi, rilevanti, al fine della operatività dei rimedi contro la sopravvenienza, soltanto le mutazioni del rischio che incidono (nel rapporto premio-copertura) per più di un decimo del valore del premio e, ancora, accordare la revisione solo per la differenza che, sempre in detto àmbito, eccede il decimo, in modo tale che il rischio economico del decimo del valore della prestazione, resti a carico del contraente svantaggiato dall’onerosità».
[53] Cfr. nota 33.
[54] P. Corrias, La gestione dei rischi pandemici, cit., p. 1397.
[55] La nozione di contratto di finanziamento forma oggetto di dibattito in dottrina e giurisprudenza. Due sono gli orientamenti principali che si contendono il campo. Alcuni autori, pur con sfumature diverse, sostengono che i contratti di finanziamento presentano dei profili di autonomia rispetto al mutuo «ordinario», giacché, a differenza di quest’ultimo, i primi sarebbero preordinati, per volontà delle parti o del legislatore, alla realizzazione di un determinato scopo ovvero alla concessione di mezzi economici a destinazione vincolata. In questo senso, senza pretesa di esaustività, si segnalano i contributi di: M. Fragali, Finanziamento (Diritto Privato), in Enc. dir., XVII, Milano 1968, p. 605 ss.; Id., Il mutuo, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma 1966, p. 75 ss.; M. Baccigalupi, Note sul contratto di finanziamento, in Dir. econ., 1955, p. 112. In giurisprudenza v., ex multis, Cass., 10 giugno 1981, n. 3752, in Foro it., 1982, I, c. 1687 ss., con nota di L. Nivarra, Il contratto di finanziamento tra codice e legislazione speciale. La tesi volta a identificare i contratti di finanziamento coi mutui di scopo è stata criticata da R. Clarizia, Finanziamenti (Diritto privato), in Noviss. dig. it., app. III, Torino 1982, p. 759 ss., che evidenzia come la nozione giuridica di finanziamento coincida con «[i] negozi (sia contratti che titoli) attraverso i quali si procura un incremento economico-patrimoniale a favore di un altro soggetto, realizzando una causa diversa dallo scambio, dal godimento e dalla liberalità, con l’obbligo a carico di quest’ultimo di restituire il tantundem».
[56] In questi termini si esprime E. Simonetto, Mutuo (Disciplina generale), in Enc. giur. it., XX, Roma 1990, p. 7, che, con specifico riguardo al contratto di mutuo, quale paradigma della categoria dei contratti di finanziamento, chiarisce che trattasi di «un contratto a esecuzione – e a fruizione – continuata e continuativa perfetta in quanto il trascorrere del tempo sostanzia la prestazione causalmente centrale del mutuante stesso».
[57] È appena il caso di rilevare che i contratti bancari non esauriscono l’intera gamma dei contratti di finanziamento. Tuttavia, larga parte dei finanziamenti sono, nella prassi, erogati da istituti di credito, a conferma dell’elevato grado di affidamento che su di essi ripone la clientela.
[58] F. Fiorucci, La rinegoziazione dei mutui bancari al tempo del Coronavirus, in www.ilsocietario.it, 8 giugno 2020, p. 3 ss., il quale esclude che di norma si verifichi la novazione oggettiva del contratto di mutuo, in quanto l’attività di rinegoziazione abitualmente ha ad oggetto la modifica del tasso di interesse ovvero della durata del finanziamento. Tali elementi sono tendenzialmente qualificabili, seppur con qualche eccezione, come accidentali e sono pertanto avulsi dal nucleo strutturale e funzionale del contratto.
[59] G. Spoto, La rinegoziazione del contratto di mutuo e la risoluzione stragiudiziale delle controversie in materia bancaria, in Riv. dir. econ. trasp. amb., 2012, X, p. 201 ss.
[60] Segnatamente, l’art. 1202, comma 1, c.c. recita che «Il debitore, che prende a mutuo una somma di danaro o altra cosa fungibile al fine di pagare il debito, può surrogare il mutuante nei diritti del creditore, anche senza il consenso di questo».
[61] S. Bosco, Portabilità e rinegoziazione dei mutui, in Giur. merito, 2010, I, p. 265 ss. Per una disamina generale sull’istituto della cessione del contratto cfr., ex multis, R. Clarizia, La cessione del contratto, in Cod. civ. comm. Schlesinger, 2ª ed., Milano 2005.
[62] Spesso la modificazione soggettiva del rapporto era di fatto ostacolata dall’introduzione di oneri di trasferimento e costi di chiusura, come rilevato da R. Marcelli, Lo Jus Variandi nei contratti bancari: costi di chiusura e trasferimento del conto, in www.tidona.com.
[63] Invero, come emerge dal Parere dell’Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCOM) AS431, consultabile sul sito www.agcm.it, gli interventi normativi in materia di portabilità dei contratti di finanziamento rappresentano «uno stimolo per favorire la mobilità della clientela e lo sviluppo di dinamiche concorrenziali piene tra gli operatori nell’offerta dei servizi finanziari».
[64] Per un’analisi di talune ipotesi legislative di rinegoziazione del contratto di mutuo: P. L. Fausti, La “rinegoziazione” dei mutui, in Studi mat. C.N.N., 2008, IV, p. 1505 ss.; S. Viotti, I nuovi strumenti giuridici di modifica dei contratti di mutuo, in Giur. merito, 2008, XII, p. 3084 ss., il quale si sofferma sulla procedura di rinegoziazione in materia di mutui per la prima casa di cui all’art. 3 d.l. 27 maggio 2008, n. 93 convertito con l. 24 luglio 2008, n. 126; G. M. G. Presti, La rinegoziazione dei mutui ipotecari. Qualificazione e disciplina, in Aa. Vv., Mutui ipotecari. Riflessioni giuridiche e tecniche contrattuali, Milano 1999, p. 65 ss.; A. Blandini, Note mininime sulle novelle in materia di garanzie bancarie, in Banca borsa tit. cred., 2011, V, p. 752 ss.
[65] C. Pilia, Le tutele, cit., pag. 77. Discorre di «eccezionalità assoluta» del momento emergenziale C. Scognamiglio, L’emergenza covid 19: quale ruolo per il civilista?, in www.giustiziacivile.com, 15 aprile 2020, p. 3.
[66] V., ex multis, F. Macario, Per un diritto dei contratti più solidale in epoca di “coronavirus”, in www.giustiziacivile.com, 17 marzo 2020, p. 4, che esprime «la sensazione diffusa […] che queste discipline non offrano sufficienti anticorpi, ossia gli strumenti giuridici idonei per gestire le difficili vicende che potrebbero presentarsi alle corti».
[67] Benché non vi sia un’identità di vedute sulla configurabilità di un’autonoma categoria dei contratti c.d. d’impresa, non può disconoscersi che i contratti, in generale, rivestono un ruolo centrale nell’àmbito di qualsiasi entità imprenditoriale, con la conseguenza che garantire la conservazione dei loro effetti equivale a salvaguardare la vitalità dell’impresa stessa. In questo senso depongono, del resto, le norme che consentono all’attività negoziale di sopravvivere al soggetto che tempo per tempo gestisce l’impresa. Sul rapporto tra contratto e conduzione dell’impresa v., ex multis, G. Oppo, I contratti di impresa tra codice civile e legislazione speciale, in Il diritto europeo dei contratti d’impresa. Autonomia negoziale dei privati e regolazione del mercato (Convegno di studio, Siena, 22-24 settembre 2004), a cura di P. Sirena, Milano 2006, p. 15 ss. e S. Monticelli e G. Porcelli, I contratti dell’impresa, 2ª ed., Torino 2013, p. 13 ss.
[68] L. Massa, Oltre la crisi. Lockdown e locazioni commerciali, in www.giustiziacivile.com., 16 giugno 2020, p. 3.
[69] Tra gli interventi legislativi tesi a temperare le ripercussioni negative del fenomeno pandemico sui rapporti di locazione vi è la misura fiscale di cui all’art. 65 d.l. 17 marzo 2020, n.18, avente ad oggetto «Misure di potenziamento del Servizio sanitario nazionale e di sostegno economico per le famiglie, lavoratori e imprese connesse all’emergenza epidemiologica da Covid-19», convertito con modificazioni dalla l. 24 aprile 2020, n. 27. La prefata disposizione, infatti, riconosce, in favore di botteghe e negozi, un credito di imposta pari al 60% dell’ammontare del canone di locazione. Può segnalarsi, in aggiunta, quanto stabilito dall’art. 216 del d.l. 19 maggio 2020, n. 34, convertito con l. 19 luglio 2020, n. 77, a mente del quale, in virtù dello squilibrio intervenuto nel contratto di locazione a causa della sospensione dell’attività sportiva, il conduttore di palestre, piscine e impianti sportivi di proprietà di soggetti privati «ha diritto […] ad una corrispondente riduzione del canone locatizio che, salva la prova di un diverso ammontare a cura della parte interessata, si presume pari al cinquanta per cento del canone contrattualmente stabilito». Per un’approfondita analisi degli interventi legislativi adottati in materia di locazione durante il periodo emergenziale, cfr. M. Signorelli, La locazione commerciale al tempo della pandemia: prime prospettive di sistema e soluzioni resilienti, in Resp. civ. prev., 2020, V, p. 1683 ss.
[70] Così, F. Ferro Luzzi, Effetti secondari del Covid-19: la sopravvenuta, momentanea, modifica del dna dell’oggetto del contratto di locazione di esercizio commerciale, in www.giustiziacivile.com, 9 giugno 2020, p. 3, per il quale «la prestazione resasi impossibile è certamente quella del locatore che non è più in grado, senza sua colpa e per un periodo definito, di mettere a disposizione del conduttore una unità immobiliare idonea all’uso negoziale pattuito al tempo del perfezionamento del contratto». Per una diversa sfumatura di accenti si veda A. D’Onofrio, L’impatto del covid-19 sui contratti di locazione ad uso commerciale: l’eccezionalità dei fatti non impone un diritto eccezionale, in www.diritto.it, 3 aprile 2020, il quale ritiene che l’emergenza sanitaria e il conseguente impedimento dell’attività svolta dal conduttore non incida sulla possibilità oggettiva di adempimento delle prestazioni delle parti, cioè il pagamento dei canoni da parte del conduttore e l’obbligo del locatore di consentire il godimento della cosa locata. La sospensione dell’attività, piuttosto, determina l’inutilizzabilità per il conduttore della prestazione del locatore. Ampliando le maglie dell’orientamento giurisprudenziale, dapprima sviluppatosi nell’àmbito dei contratti di viaggio, in base al quale l’impossibilità della prestazione sarebbe equiparabile – ai fini rimediali – all’inutilizzabilità della stessa da parte del creditore, l’a. ritiene di poter estrapolare una regula iuris applicabile altresì alla categoria dei contratti di locazione incisi dalla situazione pandemica, in virtù della quale «al conduttore che non può servirsi temporaneamente dell’immobile locato per la precipua attività costituente la causa del contratto, né potrà recuperare nel tempo tale utilità perduta, dovrà essere riconosciuto, quantomeno, il diritto di chiedere una congrua riduzione del canone locatizio in forza dell’art. 1464 c.c. che, verosimilmente, possa compensare le ristrettezze economiche cagionate dalla sospensione dell’attività». Una posizione analoga è stata espressa da A. Dolmetta, Locazione di esercizio commerciale, cit., p. 2 ss.
[71] A. Dolmetta, Locazione di esercizio commerciale, cit., p. 7,
[72] In questo senso: E. Bellisario, Covid-19 e (alcune) risposte immunitarie del diritto privato, in www.giustiziacivile.com, 27 aprile 2020, p. 7; A. D’Adda, Locazione commerciale ed affitto di ramo d’azienda al tempo del CoViD-19: quali risposte dal sistema del diritto contrattuale?, in Nuova giur. civ. comm., 2020, suppl. III, p. 102 ss. e G. Carapezza Figlia, Locazioni commerciali e sopravvenienze da Covid-19. Riflessioni a margine delle prime decisioni giurisprudenziali, in Danno resp., 2020, VI, p. 706.
[73] Si tratta del d.lg. 12 gennaio 2019, n. 14, entrato in vigore, dopo una serie di rinvii, il 15 luglio 2022.
[74] V., per approfondimenti, A. Gentili, Una proposta, cit., p. 6 ss., secondo cui, per ciò che riguarda il dovere di pagare il canone, trattandosi di obbligo pecuniario, l’eventuale mancanza di liquidità si tradurrebbe in un’impossibilità soggettiva non idonea a integrare i caratteri dell’istituto ex art. 1256 c.c. Parimenti, la prestazione del locatore, seppur inutilizzabile, rimarrebbe possibile, potendo il conduttore continuare a occupare l’immobile anche durante il periodo di sospensione dell’attività. Il rischio collegato all’attività di impresa e al relativo pericolo per la salute, d’altronde, non riguardando il bene locato, ricadrebbe soltanto nella sfera dell’imprenditore-conduttore e non anche in quella del locatore.
[75] V. Cuffaro, Le locazioni alla prova dell’emergenza, in C. Cicero (a cura di), I rapporti giuridici, cit., pp. 33-34, per il quale non sarebbe applicabile neppure «la regola che si legge nell’art. 1623 c.c., in forza della quale provvedimenti che incidano sulla gestione produttiva giustificano la modifica contrattuale sulla misura del fitto, per la semplice ma determinante ragione che la stessa è dettata rispetto ad un diverso ed autonomo modello contrattuale caratterizzato dall’avere appunto ad oggetto un bene produttivo». Contrario all’esperibilità del rimedio della risoluzione per eccessiva onerosità del corrispettivo dovuto dal conduttore è A. Gentili, Una proposta, cit., pp. 8-9, il quale rileva che l’obbligazione di pagare il canone, per effetto della limitata fruibilità della res locata, non diviene maggiormente onerosa nel senso dell’art. 1467 c.c., rimanendo la prestazione pecuniaria invariata «sia nominalmente, sia nel valore».
[76] A. Federico, Misure di contenimento della pandemia e rapporti contrattuali, in Actual. jur. iberoam., 2020, XII, pp. 247-248, secondo cui l’obbligazione di «mantenere» la cosa locata «in istato di servire all’uso convenuto», di cui all’art. 1575, n. 2, c.c., non diviene impossibile, neppure temporaneamente. La disposizione, infatti, «non disciplina la distribuzione del rischio della sopravvenienza Covid, ma stabilisce che il locatore deve garantire la destinazione d’uso del bene sulla quale non incidono le misure di contenimento».
[77] A. Gentili, Una proposta, cit., p. 6 ss. In via generale si può rilevare che le obbligazioni pecuniarie, per opinione consolidata, non potrebbero estinguersi per impossibilità della prestazione. Sul punto v., per tutti, C. M. Bianca, Diritto civile, IV, L’obbligazione, Milano 2019, pp. 146-147 e S. Verzoni, Gli effetti, sui contratti in corso, dell’emergenza sanitaria legata al COVID-19, in www.giustiziacivile.com, p. 4. Con diversità di vedute, V. Cuffaro, Le locazioni commerciali e gli effetti giuridici dell’epidemia, in www.giustiziacivile.com, 31 marzo 2020, p. 4, il quale ha sostenuto che l’art. 3, comma 6-bis, del decreto Cura Italia introdurrebbe un’ipotesi di impossibilità temporanea della prestazione per causa non imputabile al debitore, con la conseguenza che il conduttore potrebbe invocare il rispetto dei provvedimenti anti-contagio come causa di giustificazione del mancato pagamento del canone locatizio. Cfr. altresì, con diverse sfumature di accenti, P. Serrao d’Aquino, L’ombra del Cigno nero sui rapporti negoziali: il riequilibrio contrattuale nelle locazioni ad uso commerciale a seguito delle restrizioni per il Covid-19, in BioLaw J., 2020, p. 301 ss., secondo cui, premesso che il debito di pagamento del canone, in quanto obbligazione pecuniaria, non è mai impossibile in virtù del principio genus numquam perit, «il conduttore è nella impossibilità, non come debitore di eseguire la propria prestazione, ma come creditore di utilizzare con profitto la prestazione tipica del locatore di messa a disposizione dell’immobile».
[78] N. Cipriani, L’impatto del lockdown, cit., pp. 672-673, il quale comunque nega che il conduttore sia titolare di un diritto di non adempiere o di adempiere in ritardo.
[79] F. Macario, Covid-19 e sopravvenienze contrattuali: un’occasione per riflettere sulla disciplina generale?, in Nuova giur. civ. comm., 2020, suppl. III, p. 80 ss.
[80] Id., o.u.c., p. 82 s. e M. Grondona, Dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica, cit., p. 314 ss., il quale, ammessa l’astratta esperibilità della risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta dei contratti incisi dalla pandemia e conseguenti provvedimenti, ritiene che la disciplina di cui all’art. 1467 c.c. sia derogabile dalle parti. Ciò posto, nell’ipotesi in cui le parti non si accordino al fine di riequilibrare di loro iniziativa l’assetto negoziale, sarebbe possibile sollecitare una «modificazione ope iudicis operata ex fide bona». Un’opinione parzialmente difforme è quella di E. Bellisario, Covid-19, cit., p. 11 ss., la quale esclude che l’inadempimento dell’obbligo di rinegoziare possa sfociare nella rideterminazione eteronoma del contenuto del contratto da parte del giudice, giacché «il contenuto del contratto appartiene alla sfera decisionale riservata ai contraenti, e un intervento su di esso – attraverso il conferimento al giudice di un potere sostitutivo – non può che spettare solo al legislatore». In altre parole, la tutela del contraente interessato a rinegoziare il contratto si esaurirebbe nella facoltà di agire per il risarcimento del danno, secondo la logica della responsabilità contrattuale. In questi termini anche E. Navarretta, Giustizia contrattuale, cit., p. 242 ss., la quale rimarca, per l’ipotesi di mancata attuazione degli obblighi revisionali, la differenza tra normative di settore e disciplina generale: mentre nell’àmbito delle prime «è possibile invocare l’intervento giudiziale, […] al di fuori dei loro presupposti la revisione è affidata ad un dovere negoziale, presidiato dal mero strumento della responsabilità contrattuale». Tali concetti sono stati sviluppati, altresì, in Id., CoViD-19 e disfunzioni sopravvenute dei contratti. Brevi riflessioni su una crisi di sistema, in Nuova giur. comm., 2020, suppl. III, p. 87 ss., spec. p. 90.
[81] La Relazione citata, in particolare, chiarisce che «La rinegoziazione, a fronte di sopravvenienze che alterano il rapporto di scambio, diventa, pertanto, un passaggio obbligato, che serve a conservare il piano di costi e ricavi originariamente pattuito, con la conseguenza che chi si sottrae all’obbligo di ripristinarlo commette una grave violazione del regolamento contrattuale».
[82] Ex pluribus: Trib. Roma, 27 agosto 2020, in Giur. it., p. 3443 ss., con nota critica di G. Sicchiero, Buona fede integrativa o poteri equitativi del giudice ex art. 1374 c.c. e nota favorevole di P. Gallo, Emergenza covid e revisione del contratto, e in www.ilprocessocivile.it, con nota di M. Di Marzio, COVID-19: il giudice riduce il canone delle locazioni ad uso ristorante, ove si evince che il giudice avrebbe il potere di intervenire sulla misura del canone, riducendola, quando sia riscontrata la violazione dei doveri di contrattazione secondo buona fede da parte del convenuto; Trib. Lecce, 24 giugno 2021, in www.ilcaso.it, secondo cui, nei contratti a lungo termine, «qualora si ravvisi una sopravvenienza nel sostrato fattuale e giuridico che costituisce il presupposto della convenzione negoziale, quale quella determinata dalla pandemia del Covid-19, la parte che riceverebbe uno svantaggio dal protrarsi della esecuzione del contratto alle stesse condizioni pattuite inizialmente deve poter avere la possibilità di rinegoziarne il contenuto, in base al dovere generale di buona fede oggettiva (o correttezza) nella fase esecutiva del contratto (art. 1375 c.c.)».
[83] Ex multis: Trib. Roma, 21 dicembre 2020, in Resp. civ. prev., p. 1295 ss., con nota critica di A. Pisu, Pandemia, locazioni commerciali e giustizia contrattuale: l’incerta avanzata dell’obbligo legale di rinegoziare. L’a., all’argomento – dedotto dal giudice capitolino – secondo cui non sarebbe configurabile un obbligo di rinegoziazione dei canoni in quanto il legislatore dell’emergenza ha adottato misure speciali per far fronte alla crisi di liquidità dei debitori, obietta che «l’introduzione di una norma eccezionale non può certamente precludere il ricorso a rimedi previsti dalla disciplina generale sul contratto e sulle obbligazioni, rispetto ai quali – come nella specie – non intercorra un rapporto di specialità»; Trib. Roma, 12 aprile 2021, n. 6174, in www.condominioelocazione.it, con nota di K. Mascia, Tribunale Roma: valenza dei Dpcm e inadempimento del conduttore.
[84] Trib. Roma, 16 luglio 2021, n. 3114, in www.condominioelocazione.it, con nota di K. Mascia, Locazione commerciale ai tempi del Covid-19: escluso il potere del giudice di modificare gli accordi liberamente stipulati dalle parti.
[85] C. Scognamiglio, L’emergenza covid 19, cit., p. 6 ss.
[86] E. Tuccari, Sopravvenienze e rimedi al tempo del covid-19, in Jus civile, 2020, II, pp. 467 ss. e 471 ss.; Id., La disciplina emergenziale dei contratti del settore turistico fra tutela dei viaggiatori, delle imprese e del paese, in Resp. civ. prev., 2020, VI, p. 1788 ss.
Come sottolineato da L. Ambrosini, L’interesse creditorio nell’emergenza covid tra rimedi estintivi e tensione conservativa, in Resp. civ. prev., 2021, IV, p. 1352 ss., la norma in esame ha un limitato raggio di applicazione: esso è circoscritto alle locazioni commerciali e presuppone che «il locatario abbia subito una significativa diminuzione del volume d’affari, del fatturato o dei corrispettivi».
[88] Tra i vari provvedimenti in tal senso, si segnalano: Trib. Firenze, 22 settembre 2021, n. 1605, in www.condominioelocazione.it, con nota di M. Tarantino, La rinegoziazione del canone nelle locazioni commerciali in periodo di Covid-19 non prevede l’intervento del giudice in caso di inosservanza delle parti; Trib. Roma, 30 giugno 2021, n. 11336, in www.dejure.it e Trib. Roma, 15 febbraio 2022, 2476, ivi, secondo cui la sanzione per il mancato accordo sarebbe la risoluzione del contratto ed il risarcimento del danno, essendo viceversa preclusa la possibilità di ottenere una pronuncia ex art. 2932 c.c.. Un’esegesi della disposizione normativa in oggetto è altresì presente in V. Sangiovanni, Omesso pagamento dei canoni di palestra e piscina durante il lockdown e risoluzione del contratto di locazione, in www.condominioelocazione.it.
[89] Cfr.: M. Maggiolino, Appunti sul ruolo delle banche ai tempi del COVID-19, in Riv. soc., 2020, II, p. 527 ss; V. Barba, I rapporti contrattuali nel periodo di pandemia tra norme emergenziali e diritto comune, in Bilancio pers. com., 2020, II, p. 20 ss.; L. Serafino Lentini, Moratoria dei finanziamenti bancari e criteri di maturazione degli interessi “di sospensione” nel decreto “Cura Italia”: una prima lettura, in Riv. dir. banc., 2020, II, p. 235 ss.
[90] V. la nota della Banca d’Italia del 22 marzo 2021, Impatto delle moratorie sui mutui, cit., in cui si evidenzia che «In assenza delle moratorie, nello scenario di base, sia la quota di famiglie finanziariamente vulnerabili sia la quota del loro debito sarebbe stata più elevata di oltre un decimo nel 2020, un po’ meno nel 2021».
[91] Ibidem. Per giunta si sono verificate alcune difficoltà di attuazione delle misure sospensive a causa di disfunzioni del sistema informativo, come segnalato da R. Lener e A. Di Ciommo, Primissime riflessioni su moratorie, responsabilità del debitore e sottoscrizione semplificata dei contratti in tempo di pandemia, in www.dirittobancario.it, 24 giugno 2020, p. 10.
[92] Cfr. §§ 1 e 2.
[93] Cfr. V. Roppo, Il contratto, cit., p. 950, secondo cui «l’onerosità deve colpire la prestazione nella sua oggettività, non nelle condizioni soggettive del debitore».
[94] Con riferimento alla prestazione del conduttore di corrispondere il canone di locazione, avente natura pecuniaria (alla pari della prestazione del mutuatario), ha escluso che possa prospettarsi un’ipotesi di eccessiva onerosità sopravvenuta A. Gentili, Una proposta, cit., p. 8.
[95] Corte Suprema di Cassazione, Relazione n. 56, Novità normative sostanziali del diritto emergenziale anti-Covid 19 in ambito contrattuale e concorsuale, cit., p. 7, che ribadisce che «l’eventuale crisi di liquidità del debitore è un rischio posto a carico dello stesso, anche laddove derivi dall’altrui insolvenza o da una crisi di mercato, in quanto aspetti rientranti nella sfera organizzativa individuale che egli, in piena libertà e secondo diligenza, è tenuto a gestire al meglio al fine di onorare i debiti assunti».
[96] P. Perlingieri, Dei modi di estinzione delle obbligazioni diversi dall’adempimento, in Comm. c.c. Scialoja e Branca, Bologna-Roma 1975, p. 455.
[97] V. nota 77. Cfr., altresì, N. Cipriani, L’impatto del lockdown, cit., p. 655.
[98] A. De Mauro, Pandemia e contratto: spunti di riflessione in tema di impossibilità sopravvenuta della prestazione, in www.giustiziacivile.com, 27 marzo 2020, p. 231 ss.; V. Cuffaro, Le locazioni commerciali, cit., p. 4.
[99] Cfr. art. 1, commi 1 e 2, lett. n), d.l. 23 del 2020.
[100] Corsivi aggiunti.
[101] Mentre in passato era plausibile il verificarsi di ipotesi di impossibilità materiale di corrispondere una somma di denaro, al giorno d’oggi il processo di dematerializzazione del denaro rende tale eventualità di difficile configurabilità pratica, potendo il debitore procedere al pagamento, ad esempio, mediante bonifico online ovvero altri mezzi digitali.
[102] L. Panzani, Covid, crisi e rinegoziazione, in www.dirittobancario.it, giugno 2020, pp. 4-5.
[103] Cfr. A. Semprini, Responsabilità del debitore di prestazione pecuniaria e principio solidaristico, in Resp. civ. prev., 2021, I, p. 300 ss.
[104] Cfr. § 2.
[105] Del resto, come osservato da A. Dolmetta, «Misure di contenimento», cit., p. 157, «la norma del comma 6-bis non altera la nozione di impossibilità sopravvenuta, che sta a presupposto delle regole degli artt. 1256 e 1258 c.c.; su questa nozione la norma nuova non viene ad incidere in alcun modo».
[106] V. Crisafulli, Atto normativo, in Enc. dir., IV, Roma 1959, p. 238 ss.
[107] C. Grassetti, Conservazione (Principio di), in Enc. dir., IX, Milano 1961, p. 173 ss.
[108] G. De Cristofaro, Rispetto delle misure di contenimento adottate per contrastare la diffusione del virus Covid-19 ed esonero del debitore da responsabilità per inadempimento, in Nuove leggi civ. comm., 2020, III, p. 571 ss., il quale ritiene che il comma 6-bis trovi applicazione «quando l’adozione delle misure di contenimento non abbia reso oggettivamente impossibile, nemmeno in via temporanea, l’esecuzione della prestazione, ma abbia creato per il debitore ostacoli e impedimenti […] a tal punto rilevanti e significativi da rendere irragionevole ed iniquo esigere dal debitore lo sforzo ed il dispendio di energie e risorse necessario per superare siffatti ostacoli». Una delle principali aree di applicazione del comma 6-bis sarebbe, allora, proprio quella delle obbligazioni pecuniarie, dato che «l’omessa o tardiva corresponsione delle somme dovute dal debitore pecuniario ne determina sempre e necessariamente la responsabilità per inadempimento, pacifico essendo che gli ostacoli e gli eventi sopravvenuti alla costituzione del rapporto obbligatorio non possono mai essere tali da rendere oggettivamente impossibile l’esecuzione della prestazione pecuniaria, sicché il debitore di somme di denaro che ne ometta o ritardi il versamento non ha, di fatto, nessuna concreta chance di andare esente da responsabilità per inadempimento fornendo la prova liberatoria contemplata dall’art. 1218 c.c. e dall’art. 3 del d. legisl. 9 ottobre 2002, n. 231 (recante la disciplina dei ritardi nel pagamento dei corrispettivi pecuniari nelle “transazioni commerciali”)». Sostanzialmente uniformi sono le posizioni di: A. Semprini, Inadempimenti “emergenziali”, cit., pp. 770-771; E. Giorgini, Pandemia, equilibrio delle posizioni contrattuali e giusto rimedio. Brevi annotazioni, in Actual. jur. iberoam., 2020, XII; G. Iorio, Gli oneri del debitore fra norme emergenziali e principi generali (a proposito dell’art. 91 del d.l. n. 18/2020, “Cura Italia”), ivi, 2020, XII, p. 374, per il quale «lo scenario determinato dal Covid-19 permette di affermare come in determinate fattispecie (che il giudice dovrà attentamente verificare, contemperando gli interessi in gioco) possa ritenersi giustificato il ritardo nell’adempimento delle prestazioni di denaro».
[109] Contro un simile postulato si potrebbe in realtà sostenere che il legislatore ubi voluit dixit, ubi noluit tacuit: si sarebbe scelto, cioè, di accordare il beneficio soltanto in relazione a determinati contratti di finanziamento, in presenza di specifici presupposti, lasciando invece prive della tutela ad hoc le altre fattispecie: v., sul punto, le considerazioni di F. Piraino, La normativa emergenziale in materia di obbligazioni e di contratti, in Contratti, IV, p. 505. In chiave critica si potrebbe sostenere, tuttavia, che un intervento legislativo settoriale difficilmente potrebbe frapporsi all’applicazione di princípi generali dell’ordinamento.
[110] G. De Cristofaro, o.c., p. 582.
[111] A. M. Benedetti, Il «rapporto» obbligatorio al tempo dell’isolamento: una causa (transitoria) di giustificazione?, in www.giustiziacivile.com, 3 aprile 2020, p. 5 ss.
[112] A. Semprini, Responsabilità del debitore, cit., p. 300 ss.
[113] Il trascorrere di un significativo lasso di tempo, infatti, alimenta il dubbio (da sottoporre comunque ad accertamento in concreto) che l’inadempimento sia dipeso non più dalla reductio dei flussi di cassa connessa al periodo di confinamento obbligatorio, ma da ulteriori fattori causali, intervenuti successivamente, aventi un’incidenza negativa sul recupero della capacità di produrre reddito.
[114] A. Semprini, o.u.c., p. 300 ss.
[115] Cfr. nota 40. Il principio di inesigibilità, peraltro, ha fatto breccia anche nella giurisprudenza costituzionale. V., in particolare, Corte cost., 18 marzo 1992, n. 149 e soprattutto Corte cost., 3 febbraio 1994, n. 19, in www.dejure.it, che formula il seguente principio di diritto: «quando, in relazione a un determinato adempimento, l’interesse del creditore entra in conflitto con un interesse del debitore tutelato dall’ordinamento giuridico o, addirittura, dalla Costituzione come valore preminente o, comunque, superiore a quello sotteso alla pretesa creditoria, allora l’inadempimento, nella misura e nei limiti in cui sia necessariamente collegato all’interesse di valore preminente, risulta giuridicamente giustificato». Per quanto attiene alla giurisprudenza di legittimità, v., ex multis, Cass., 25 agosto 2020, n. 17674, in www.dejure.it, che individua «un limite alla esigibilità della prestazione determinato dall’agire […] di un dovere positivo della controparte di tollerare l’inadempimento date le sopravvenute condizioni di salute del debitore».
[116] L. Mengoni, Responsabilità contrattuale (Diritto vigente), in Enc. dir., XXXIX., Milano 1988, pp. 1089-1090, il quale chiarisce che «l’inesigibilità non appartiene concettualmente agli impedimenti oggettivi della prestazione, tant’è che può configurarsi anche per le obbligazioni pecuniarie. Essa è un limite del diritto distinto da quello previsto dagli artt. 1218 e 1256, e derivante dal divieto di abuso del diritto implicito nella direttiva di correttezza impartita (anche) al creditore all’art. 1175 c.c., il quale funge qui da automa causa esimente del debitore. L’inesigibilità, nel senso ora precisato, è dunque equiparabile all’impossibilità non sul piano concettuale ma solo quoad effectum». V. anche G. Cottino, L’impossibilità sopravvenuta della prestazione e la responsabilità del debitore, Milano 1955, p. 110 ss.
[117] A. Federico, Misure di contenimento, cit., pp. 240-241. V. amplius anche O. Clarizia, Sopravvenienze non patrimoniali e inesigibilità nelle obbligazioni, Napoli 2012, p. 141 ss., per la quale «l’inesigibilità postula un procedimento di ponderazione al fine di giungere, nel concorso tra interessi mercantili e situazioni giuridiche soggettive non patrimoniali, ad un loro componimento adeguato».
[118] Tra i tanti: L. Mengoni, Responsabilità contrattuale, cit., p. 1090; G. Iorio, Gli oneri del debitore, cit., p. 374; A. Di Majo, Debito e patrimonio nell’obbligazione, in G. Grisi (a cura di), Le obbligazioni e i contratti nel tempo della crisi economica. Italia e Spagna a confronto, Napoli 2014, p. 23 ss.
[119] Per A. Di Majo, o.c., p. 23, i danni che attengono alla sfera patrimoniale sono suscettivi di riverberarsi in negativo sulle istanze fondamentali della persona. Sono esemplificativi, al riguardo, il «caso dell’imprenditore che è costretto, per pagare i propri creditori, a porre in liquidazione la propria azienda o a dover licenziare parte dei dipendenti» ovvero «quello del debitore civile che, avendo perso il proprio posto a causa della chiusura dell’azienda in cui lavorava, si trova costretto ad assumere un lavoro poco dignitoso per la sua persona, per poter pagare le rate del mutuo». In materia di atti di destinazione patrimoniale, d’altronde, si è sostenuto che taluni interessi patrimoniali, come la tutela del lavoro o dell’impresa, laddove riconducibili a valori costituzionalmente sovraordinati, siano preminenti, su un piano assiologico, su altri interessi, come la tutela del credito: così M. Nuzzo, Atto di destinazione e interessi meritevoli di tutela, in C. M. Bianca (a cura di), La trascrizione dell’atto negoziale di negoziale, Milano 2007, p. 69.
[120] A. Semprini, Responsabilità del debitore, cit., p. 300 ss.
[121] V. G. De Cristofaro, o.c., p. 590 ss., che, analizzando lo spazio applicativo del comma 6-bis, ha risolto negativamente la questione del possibile differimento dei termini di esigibilità delle rate successive al periodo di efficacia delle misure di contenimento.
[122] La ricerca dei rimedi, d’altronde, deve essere funzionale alla tutela degli interessi giuridicamente rilevanti secondo un criterio di effettività, prescindendo da logiche formaliste, come rilevato da P. Perlingieri, Il «giusto rimedio» nel diritto civile, in Giusto proc. civ., 2011, I, p. 5. Segnali in questa direzione derivano finanche dalla prassi applicativa delle sospensioni sui prestiti concesse dal legislatore dell’emergenza, giacché le Frequently Asked Questions (F.A.Q.) del Ministero dell’Economia e delle Finanze, consultabili su www.mef.gov.it, chiariscono che la sospensione determini «la traslazione in avanti del piano di ammortamento per un periodo pari alla sospensione accordata». In senso conforme, ex pluribus: ABF Napoli, 26 maggio 2022, n. 8311; Id., 26 maggio, 8312; ABF Bari, 25 marzo 2022, n. 5051.
[123] Nell’àmbito delle moratorie legislativamente concesse, assume rilevanza l’art. 56 del d.l. «Cura Italia», laddove sancisce che «il piano di rimborso delle rate o dei canoni oggetto di sospensione è dilazionato, unitamente agli elementi accessori e senza alcuna formalità, secondo modalità che assicurino l’assenza di nuovi o maggiori oneri per entrambe le parti». In questo modo il legislatore intende scongiurare che gli effetti benefici possano essere elisi dall’applicazione di costi ulteriori rispetto a quelli già previsti. Sullo sfondo vi è naturalmente l’esigenza di evitare che la dilazione si traduca in una perdita per l’intermediario, ma senza che perciò occorra necessariamente investire il creditore di un diritto al recupero della totalità degli importi che esso avrebbe conseguito in assenza della sospensiva. Per un’approfondita disamina dei temi in questione, v. L. Serafino Lentini, Moratoria, cit., p. 242 ss., il quale esclude che il tasso di interesse maturato durante la sospensione sia determinabile in misura pari al saggio di interesse del mutuo, poiché ciò comporterebbe un onere illegittimo per il cliente. Il tasso contrattuale, in quanto avente funzione corrispettiva, non può inoltre maturare durante un periodo di inesigibilità dell’obbligazione principale, essendo l’obbligazione accessoria ex art. 1282 c.c. intrinsecamente connessa alla restituzione del capitale. D’altro canto, secondo l’a., negare integralmente la debenza di interessi avrebbe il significato di imporre un onere al mutuante. L’impasse viene risolto attraverso il riconoscimento di un diritto del finanziatore ad ottenere gli interessi compensativi, attraverso l’applicazione analogica dell’art. 1499 c.c., in virtù «della funzione indennitaria rivestita dal decorso degli interessi durante il periodo di sospensione». In seno all’Arbitro Bancario Finanziario è comunque emerso un orientamento di segno opposto, in ossequio al quale, in caso di sospensione dell’intera rata, comprensiva sia degli interessi che del capitale, gli interessi maturati nel periodo della sospensione sono calcolati sul capitale residuo all’originario tasso di interesse contrattuale (cfr., fra le molte: ABF Napoli, 26 maggio 2022, n. 8311, cit.; Id., 26 maggio 2022, 8312, cit.; ABF Bari, 25 marzo 2022, n. 5051, cit.).
[124] Indicazioni in tal senso sembrano provenire dalle ipotesi legislative che accordano al cliente, che stia attraversando una significativa crisi economica, il diritto di rinegoziare i finanziamenti pendenti. A tal proposito può menzionarsi l’art. 41-bis del d.l. 26 ottobre 2019, n. 124, convertito, con modificazioni, dalla legge 19 dicembre 2019, n. 157, la cui formulazione originaria è stata sostituita da una nuova, introdotta dal d.l. 69/2021, che ha allargato le maglie della procedura di esdebitazione ivi prevista, la quale può ora essere acclusa nella proposta di accordo o di piano del consumatore ai sensi della l. 27 gennaio 2012, n. 3. In argomento A. Didone, Note minime sull’art. 40 ter del decreto sostegni: prime applicazioni di una nuova esdebitazione, in www.ilfallimentarista.it, 10 novembre 2021 e Id., Ancora sulla rinegoziazione dei mutui ex art. 41 bis D.L. 124/2019 (e succ. modifiche) e sulla sospensione del processo esecutivo, in www.dirittobancario.it, dicembre 2021.
[125] Cfr. M. Maggiolino, Appunti, cit., p. 527 ss., la quale si mostra consapevole «di come imponenti shocks macroeconomici, lasciando consumatori e imprenditori nell’impossibilità di disporre di un reddito sufficiente ad onorare i propri impegni pregressi, causino l’improvviso insorgere di importanti volumi di crediti deteriorati, i quali sono capaci di imporre significativi costi alle banche».
[126] Per tutti.: V. Roppo, Il contratto, cit., p. 963 ss.; F. Macario, Adeguamento, cit., p. 291 ss.; Id., Revisione e rinegoziazione del contratto, in Enc. dir., Annali II, Milano 2008, p. 1026 ss.; Id., Regole e prassi della rinegoziazione al tempo della crisi, in Giust. civ., 2014, III, p. 825 ss.; A. Pisu, L’adeguamento, cit., p. 192 ss.; P. Gallo, Revisione e rinegoziazione del contratto, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Agg., VI, Torino 2011, p. 804 ss; Id, Emergenza Covid e revisione del contratto, in Giur. it., 2020, XI, p. 2439 ss.; F. Grande Stevens, Obbligo di rinegoziare nei contratti di durata, in N. Lipari (a cura di), Diritto privato europeo e categorie civilistiche, Napoli 1998, p. 193 ss.; L. Castelli, L’obbligo di rinegoziazione, in Contratti, 2016, II, p. 185 ss.
[127] Non solo l’iniziale piano temporale di ammortamento, ma anche la misura delle rate, come concepita ab origine, può formare oggetto della rinegoziazione secondo buona fede quando il contesto su cui si fondava il contratto è stato stravolto dall’emergenza sanitaria. Si veda, al riguardo, F. Fiorucci, La rinegoziazione, cit., p. 1 ss.
[128] È dello stesso avviso F. Fiorucci, o.c., p. 1 ss. Contra, fra le tante, ABF Milano, 11 agosto 2021, n. 18756, che, senza alcunché argomentare in relazione alla presenza di una sopravvenienza eccezionale e straordinaria come quella pandemica, ritiene che «non sussiste un diritto alla rinegoziazione a favore del mutuatario, fatto salvo il solo caso dei mutui a tasso variabile per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione dell’abitazione principale».
[129] In tal senso la recente giurisprudenza di legittimità. Cfr., ex multis, Cass., 22 febbraio 2022, n. 5848 e Cass., 15 giugno 2021, n. 16890.
[130] F. Benatti, Contratto e Covid, cit., p. 198 ss., la quale, premesso che il Covid-19 potrebbe determinare conseguenze diverse sul piano fattuale, avverte la necessità di un’analisi fondata sul caso concreto per stabilire il reale contenuto dell’obbligo di cooperare secondo buona fede al fine di lenire i pregiudizi sia nella fase emergenziale che in quella del ritorno alla normalità.
[131] Mette in guardia dal rischio di possibili abusi del debitore, con riferimento alla materia delle locazioni, U. Salanitro, La gestione del rischio nella locazione commerciale al tempo del Coronavirus, in www.giustiziacivile.com, 21 aprile 2020, p. 9.
[132] N. Cipriani, L’impatto del lockdown, cit., p. 662.
[133] T. Vito Russo, L’arma letale della buona fede. Riflessioni a margine della “manutenzione” dei contratti in seguito alla sopravvenienza pandemica, in Riv. dir. banc., I, 2021, p. 149.
[134] L. Ruggeri e M. Giobbi, Vulnerabilità economica tra diritto emergenziale e contrattuale, in Actual. jur. iberoam., 2020, XII-bis, p. 343 ss., secondo cui «La bilateralità del bisogno, frequente quando la crisi colpisce simultaneamente e massivamente, rende necessaria una valutazione del contratto anche alla luce dell’utilità sociale quale parametro conformativo dell’autonomia privata».
[135] M. Grondona, Dall’emergenza sanitaria all’emergenza economica, cit., p. 325.
[136] M. Grondona, Il contratto nella stagione dell’emergenza sanitaria, in C. Cicero (a cura di), I rapporti giuridici, cit., p. 45.
[137] M. Grondona, o.u.c., p. 42.
[138] A. Romeo, Recesso e rinegoziazione, Pisa 2019, p. 107.
[139] P. Perlingieri, Il principio di legalità nel diritto civile, in Rass. dir. civ., 2010, I, p. 184 ss.; Id., Norme costituzionali e rapporti di diritto civile, in Rass. dir. civ., 1980, I, p. 95 ss., il quale postula la prevalenza della concezione esistenziale, incentrata sul rispetto della dignità dell’uomo, su prospettive produttivistiche.
[140] P. Perlingieri, Equilibrio normativo e principio di proporzionalità nei contratti, in Rass. dir. civ., 2001, II, p. 336. In base alla ricostruzione di N. Irti, Persona e mercato, in Riv. dir. civ., 1995, I, p. 290, «il mercato è un organismo artificiale, costruito da una scelta consapevole, da una decisione politica dello Stato».
[141] N. Lipari, Persona e mercato, in Riv. trim., 2010, III, p. 735 ss.
[142] M. Grondona, Il contratto nella stagione dell’emergenza sanitaria, cit., p. 35 ss.
[143] E. Caterini, La trasparenza bancaria, in E. Capobianco (a cura di), in Tratt. Contratti Rescigno e Gabrielli, XXI, Torino 2016, p. 174.
[144] Il conflitto tra queste esigenze è alla base anche degli interventi legislativi diretti a far fronte alle crisi da sovraindebitamento, come evidenziato da R. Di Raimo, Le discontinuità che seguono i grandi traumi: pensando al credito (e al debito), mentre la notte è ancora fonda, in www.giustiziacivile.com, 9 aprile 2020, p. 4.
[145] In questi termini F. Cafaggi, Il diritto dei contratti nei mercati regolati: ripensare il rapporto tra parte generale e parte speciale, in Riv. trim., 2008, I, p. 95 ss., il quale ritiene che gli «obblighi di rinegoziazione risentono fortemente della struttura di mercato esistente e degli obiettivi di regolazione che si perseguono, in particolare quello della diminuzione dei prezzi e l’aumento della qualità dei servizi per gli utenti finali».
[146] In via esemplificativa l’indagine sulla materialità del rapporto potrebbe indurre a considerare irragionevole uno spostamento in avanti del timing di restituzione delle rate automaticamente uguale alla durata della sospensione dell’esigibilità del credito, potendo in alcuni casi ritenersi sufficiente a garantire la solvibilità del credito una più breve traslazione delle scadenze.
[147] Si veda S. Rodotà, Le fonti di integrazione, cit., p. 163 ss. Non si prescinda, tra i tanti, nemmeno da C. M. Bianca, La nozione di buona fede quale regola di comportamento contrattuale, in Riv. dir. civ., 1983, I, p. 215; F. D. Busnelli, Note in tema di buona fede ed equità, ivi, 2001, I, p. 556; M. G. Uda, Buona fede nell’esecuzione del contratto, Torino 2004; Id., Integrazione del contratto, solidarietà sociale e corrispettività delle prestazioni, in Riv. dir. comm., 1990, V-VI, p. 301 ss.; F. Benatti, La buona fede nelle obbligazioni e nei contratti, in Aa.Vv., Atti del seminario sulla problematica contrattuale in diritto romano, Milano 1988, p. 297 ss.; L. Nanni, Scelte discrezionali dei contraenti e dovere di buona fede, in Contr. e impr., 1994, II, p .475 ss. Cfr., altresì, la dottrina più recente: F. Gazzoni, Equità e autonomia privata, Milano 2019; F. Piraino, La buona fede in senso oggettivo, Torino 2015; M. Pennasilico, Contratto e interpretazione. Lineamenti di ermeneutica contrattuale, 2ª ed., Torino 2015, spec. p. 71 ss.; A. Gentili, Senso e consenso. Storia, teoria e tecnica dell’interpretazione dei contratti, II, Tecnica, Torino 2015; F. Caringella, Studi di diritto civile, III, Obbligazioni e responsabilità, Milano 2007; P. Gallo, Il contratto, V, in Tratt, dir. civ. Gallo, Torino 2017, p. 625 ss.
[148] Cass., 20 aprile 1994, n. 3775, in Giust. civ., 1994, I, p. 2159 ss., con nota di M. Morelli, La buona fede come limite all’autonomia negoziale e fonte di integrazione del contratto nel quadro dei congegni di conformazione delle situazioni soggettive alle esigenze di tutela degli interessi sottostanti, e in Corr. giur., 1994, p. 566 ss., con nota di V. Carbone, La buona fede come regola di governo della discrezionalità contrattuale. V. anche Cass., 5 novembre 1999, n. 12310, in Foro pad., 2000, I, c. 348 ss.; Cass., 16 novembre 2000, n. 14865, in Gisut. civ., 2001, I, p. 75 ss.; Cass., 19 luglio 2018, n. 19296, in Foro amm., 2019, IV, p. 628 ss.; Cass., Sez. un., 26 maggio 2020, n. 9770, in www.dejure.it; Cass. 28 aprile 2022, n. 13342, ivi. In dottrina, il tema del fondamento e dei limiti della buona fede è stato sviluppato in maniera chiara da G. Romano, Interessi del debitore e adempimento, Napoli 1995, pp. 157-158, il quale insegna che la buona fede si pone quale criterio di selezione degli interessi meritevoli di tutela secondo l’ordinamento giuridico, consentendo di elevare «a dignità giuridica interessi del soggetto c.d. passivo, la cui soddisfazione sarà tanto più completa, quanto minore è lo sforzo o sacrificio richiesto al creditore e, soprattutto, quanto più basso, alla gerarchia dei valori giuridici, è il posto occupato dall’interesse concreto alla cui soddisfazione mira l’esercizio del credito».
[149] In questi termini F. Piraino, Contratto ed emergenza sanitaria in Italia, in Revista de Direito da Cidade, 2021, XIII, pp. 1575-1576.
[150] La modifica convenzionale dell’importo della rata deriva in genere dalla rimodulazione del tasso di interesse. In via generale può notarsi che, a fronte del periodo di inesigibilità del credito pecuniario, si potrebbe manifestare la necessità di ricalcolare proprio tale soglia percentuale. La soluzione di spalmare sull’intero capitale residuo gli interessi maturati durante la sospensione, in misura automaticamente pari al tasso pattuito nel contratto di finanziamento (v. nota 123, con particolare riferimento al citato orientamento dell’ABF, sviluppatosi interno alle ipotesi di moratoria ex lege), non appare sempre adeguata, perché potrebbe implicare un onere illegittimo per il mutuatario, in violazione del principio di corrispettività dell’interesse. D’altra parte, la tesi, pur suggestiva, secondo cui – durante la sospensione – il creditore maturerebbe interessi compensativi (cfr. L. Serafino Lentini, Moratoria, cit., p. 242 ss.) non offre una tutela adeguata nei casi in cui la misura di questi ultimi superi quella degli interessi corrispettivi contrattuali. Basti pensare al caso, in verità non inconsueto, in cui gli interessi corrispettivi di un mutuo a tasso variabile assumano un valore vicino allo zero oppure un andamento persino negativo. In una siffatta eventualità, imporre al debitore il pagamento di interessi compensativi di sospensione costituirebbe un peso economico che egli non avrebbe dovuto sopportare in condizioni di fisiologia contrattuale (sul tema degli interessi negativi nei contratti di finanziamento v., tra i vari, U. Morera e M. Sciuto, Due questioni in tema di tassi di riferimento “negativi”, in Banca borsa tit. cred., 2016, VI, p. 746 ss.; A. Dolmetta, Tasso variabile e valori negativi, in Riv. dir. banc., 2016, VII; C. Colombo, Il cantiere sempre aperto degli interessi pecuniari nei contratti bancari: appunti su tassi parametrati all’EURIBOR, pattuizioni floor e cap, tassi negativi, ammortamento alla francese e TAEG/ISC, in Riv. trim. dir. econom., 2020, II, p. 242 ss.; D. Maffeis, Causa del contratto e tassi di interesse negativi, in www.giustiziacivile.com, 5 agosto 2016; Id, Parametri negativi ed interessi nei finanziamenti: una replica ad Aldo Angelo Dolmetta, ivi, 15 settembre 2016; Id., La causa di finanziamento esclude la sopravvenienza di c.d. tassi negativi e richiede la sostituzionale, convenzionale o giudiziale, del parametro esterno divenuto durevolmente negativo, in www.dirittobancario.it; B. Campagna, L’inefficacia della clausola floor nel mutuo. Commento a Decisione del Collegio di Coordinamento ABF, 8 novembre 2018, n. 23294 – Pres. Rel. Massera, in www.dirittobancario.it, novembre 2018). Il rimedio preferibile sarebbe, pertanto, la rinegoziazione del saggio degli interessi, perché potenzialmente in grado di gestire l’effetto perturbativo sull’assetto negoziale nel rispetto dell’autonomia di ciascuna delle parti, alla quale ci si affida per giungere a un ponderato (ri)equilibrio della relazione tra i contrapposti poli soggettivi. Sulla rivalutazione del ruolo dell’autonomia privata nella risoluzione di problematiche contrattuali Covid-correlate, v. R. Rordorf, Autonomia negoziale e “giustizia del contratto” in tempo di pandemia, in www.questionegiustizia.it, 2 marzo 2022, p. 10 ss.
[151] Per tutti, E. Ferrante, Pandemia e contratto. Alcune proposte per il contenimento dell’incertezza, in Actual. jur. iberoam., XII-bis, p. 302 ss., spec. p. 310 e T. Perillo, Pandemia e rinegoziazione delle locazioni commerciali tra obbligo di rinegoziazione e interpretazione “ragionevole” del contratto, in Rass. dir. civ., 2021, III, p. 1199. Contro la tesi della configurabilità di un obbligo ex lege di rinegoziare si sono talora opposte anche considerazioni di segno pratico, come quelle legate all’inefficienza dell’amministrazione giudiziaria italiana, caratterizzata da lunghi tempi di risoluzione delle controversie. I giudici, già oberati di lavoro, non riuscirebbero a far fronte all’eventuale compito di rinegoziare i contratti: in questi termini M. Rabitti, Rinegoziazione dei contratti di impresa: obbligo o facoltà?, in M. Rescigno (a cura di), Pandemia e rapporti fra imprese, cit., p. 67 ss., spec. p. 74 ss. L’a., per l’ipotesi in cui si volesse introdurre legislativamente un obbligo di rinegoziare i contratti incisi dal contesto pandemico, al fine di favorire la deflazione del contenzioso giudiziale suggerisce, in prospettiva de iure condendo, di regolamentare una forma di negoziazione assistita affidata a «organismi professionalmente competenti e connotati da indipendenza».
[152] Tra gli studiosi che si sono occupati del tema dell’obbligo legale o convenzionale di rinegoziare, di seguito citati senza pretesa di esaustività, vi è, anzitutto, chi ritiene che il suo oggetto si esaurisca nell’avvio delle trattative per l’adeguamento del contratto (sempre che, trattandosi di obbligo contrattuale, non sia possibile trarre indicazioni chiare dalla specifica clausola contrattuale): così A. Gentili, La replica della stipula: riproduzione, rinnovazione, rinegoziazione del contratto, in Contr. impr., 2003, II, p. 667 ss.; G. Marasco, La rinegoziazione del contratto: strumenti legali e convenzionali a tutela dell’equilibrio negoziale, Padova 2006, p. 134 ss.; V. M. Cesaro, Clausola di rinegoziazione e conservazione dell’equilibrio contrattuale, Napoli 2000, p. 263 ss. In base a una diversa corrente di pensiero, invece, le parti sarebbero assoggettate all’obbligo di contrarre nuove condizioni negoziali: in questo senso, V. Roppo, Il contratto, cit., p. 973; F. Macario, Adeguamento, cit., p. 414 ss.; F. Gambino, Problemi del rinegoziare, Milano 2004, p. 8 ss.
[153] Il tema in questione, che interseca la riflessione di ampio respiro sui limiti di ingerenza del giudice nell’autonomia contrattuale, non può essere affrontato in questa sede, ove ci si può limitare a rilevare che, in linea di massima, la qualificazione della fattispecie come obbligazione di ricontrattare ovvero come obbligazione di contrarre si ripercuote sull’individuazione dei rimedi esperibili in caso di esito infruttuoso della rinegoziazione. Tendenzialmente chi sostiene quest’ultima impostazione ritiene invocabile l’intervento giudiziale ex art. 2932 c.c., volto a ottenere la sentenza che tiene luogo degli effetti del contratto modificativo non concluso (cfr., ex multis, F. Macario, o.u.c., p. 420 ss.). Opinando che il contenuto dell’obbligo si esaurisce nell’intraprendere delle nuove trattative, invece, dovrebbe concludersi che l’inadempimento, quando sia dipeso da un comportamento lesivo della correttezza, sia fonte di responsabilità risarcitoria in favore della parte diligente (per una ricostruzione della tematica, v. A. Romeo, Recesso e rinegoziazione, cit., p. 110 ss.).
[154] Si rimanda, al riguardo, alle autorevoli riflessioni di V. Roppo, Conclusioni, in C. Cicero (a cura di), I rapporti giuridici, cit., p. 160, che avverte nell’ordinamento la tendenza alla «perdita della fattispecie». Imprescindibile, poi, è un richiamo all’insegnamento di P. Perlingieri, Interpretazione ed evoluzione dell’ordinamento, in Riv. dir. priv., 2011, II, p. 160, secondo cui «Il fatto non può essere meccanicamente incasellato in una determinata fattispecie astratta, il più delle volte non rinvenibile e sempre più estranea alle tecniche legislative di un sistema caratterizzato dal pluralismo delle fonti. Al fine di individuare la disciplina più adeguata occorre che il fatto sia valutato considerando gli interessi e i valori che esprime, in relazione al contesto storico-giuridico nel quale esso si inserisce. In tal modo si garantisce il rispetto non della lettera della legge, ma del diritto, inteso come insieme indissolubile di princípi e di regole».
[155] S. Polidori, Emergenza epidemiologica e obblighi di rinegoziare nei contratti del calcio professionistico, in Actual. jur. iberoam., 2020, XII-bis, p. 482 ss.
[156] Testualmente A. Pisu, L’adeguamento, cit., p. 205. Riconosce che il principio di proporzionalità operi come argine all’arbitrio del giudice P. Perlingieri, Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-comunitario delle fonti, 3ª ed., Napoli 2006, p. 391 ss. Sull’irrinunciabilità della tecnica della ragionevolezza e della proporzionalità si vedano altresì le condivisibili considerazioni di V. Roppo, Conclusioni, cit., p. 159 ss.