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Note

L’attività dei confidi minori alla luce della sentenza (SS.UU. civ.) 15 marzo 2022, n. 8472

9 Febbraio 2024

Antonio Di Ciommo, Dottorando Ricerca in Diritto e Tutela, Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Giulia Agostini, Dottoranda di Ricerca in Ius Civile, Università degli Studi di Roma Tor Vergata

Di cosa si parla in questo articolo

[*] SOMMARIO: Con la Sentenza 15 marzo 2022, n. 8472, le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione hanno stabilito che non è affetta da nullità la fideiussione rilasciata da un c.d. “confidi minore” nell’interesse di un proprio socio e a beneficio di un terzo (diverso da una banca o da un soggetto altrimenti autorizzato all’esercizio del credito). Come noto, ai sensi dell’art. 112 TUB in combinato disposto con la c.d. “legge confidi”, i “confidi minori” possono rilasciare garanzie esclusivamente a favore degli intermediari autorizzati all’esercizio del credito. Si rende perciò necessario indagare se, in seguito alla pronuncia delle Sezioni Unite, ai c.d. “confidi minori” sia ormai consentito rilasciare garanzie anche al di fuori dell’attività tipica (ed esclusiva) di «garanzia collettiva dei fidi» ovvero se il caso esaminato dalle Sezioni Unite sia una eccezione e, dunque, se la sentenza sia o meno idonea a mutare i confini delle riserve di attività creditizia di cui agli artt. 10 e 106 TUB e il vincolo di esclusività dei beneficiari delle garanzie di “confidi minori” previsti dall’art. 112 TUB e dalla c.d. “legge confidi”.

ABSTRACT: With Judgement 15 March 2022, no. 8472, the Civil Joint Sections of the Court of Cassation ruled that the suretyship proffered by a so-called “less significant confidi” acting in the interest of its associate and to the benefit of a third party (that is neither a bank nor another intermediary authorised to provide financing), cannot be deemed null and void. Indeed, under Article 112 of the Italian Consolidated Banking Law, read in conjunction with the so-called “law on confidi”, “less significant confidi” are authorised to issue guarantees solely to entities that are duly authorised to provide financing. Therefore, as a consequence of the Civil Joint Sections’ ruling, it is of paramount importance to ascertain whether “less significant confidi” are now permitted to issue guarantees beyond their usual (and exclusive) activity of «collective guarantee of loans» or if the case scrutinised by the Civil Joint Sections can be deemed to be exceptional. This will allow determining whether the Joint Section’s ruling has redefined (or can redefine) the limits of the authorisation requirements according to Articles 10 and 106 of the Italian Consolidated Banking Law to provide financing and the restrictions to the type of entities that can benefit from the guarantees issued by “less significant confidi” according to Article 112 of the Italian Consolidated Banking Law and the so-called “law onconfidi”.


1. Premessa. Il potenziale mutamento della riserva di attività creditizia in seguito alla Sentenza 8472/2022

Con la Sentenza 15 marzo 2022, n. 8472, le Sezioni Unite civili della Corte di cassazione hanno stabilito che non è affetta da nullità la fideiussione rilasciata da un c.d. “Confidi minore” nell’interesse di un proprio socio e a beneficio di un terzo (diverso da una banca o da un soggetto altrimenti autorizzato all’esercizio del credito).

La pronuncia in discorso può incidere significativamente sia sul novero delle attività esercitabili dai c.d. “confidi minori”, sia, più ampiamente, sui limiti della riserva di attività creditizia rispetto alle precedenti interpretazioni relative agli artt. 10 e 106 TUB.

Infatti, la Sentenza 8472/2022 rende necessario indagare se debba intendersi ormai consentito ai c.d. “confidi minori” rilasciare garanzie fideiussorie anche al di fuori della loro attività tipica di garanzia collettiva dei fidi a beneficio dei propri associati.

2. I precedenti gradi di giudizio

Un confidi minore, iscritto nella sezione speciale di cui al previgente art. 155, comma 4, TUB rilasciava in favore di un proprio socio e a beneficio di un terzo (una società per azioni di diritto comune) una fideiussione a garanzia di un contratto estimatorio.

Il confidi mancava di onorare la fideiussione e la società commerciale beneficiaria, nel frattempo dichiarata fallita, il 9 novembre 2012 otteneva dal giudice del Tribunale di Parma un decreto ingiuntivo a tutela delle proprie ragioni di credito. Nel frattempo, il 17 ottobre 2013 veniva dichiarato fallito anche il confidi fideiussore.

Il curatore fallimentare della società commerciale beneficiaria chiedeva l’ammissione del proprio credito allo stato passivo del confidi, presentando la propria richiesta di adempimento alla fideiussione in discorso quale titolo per l’ammissione.

Il giudice delegato, tuttavia, respingeva la domanda di insinuazione rilevando che la fideiussione rilasciata dal confidi fosse priva dei requisiti di legge, in quanto emessa da una società che rivestiva la qualifica di confidi di primo livello (ossia, i confidi c.d. “maggiori” conosciuti dalla normativa oggi vigente) e, quindi, «non inserita nell’albo speciale di cui all’art. 107 TUB» (applicabile ratione temporis).

In particolare, il giudice delegato rilevava che il confidi «non poteva fornire garanzie fideiussorie a soggetti esterni al consorzio e i soli beneficiari delle garanzie rilasciate dalla società in bonis potevano essere unicamente banche ovvero intermediari autorizzati a concedere finanziamenti. Conseguentemente, alla luce della rilevanza pubblica dell’albo in questione e, pertanto, del mancato inserimento del consorzio all’interno di esso, era nella facoltà dei soggetti beneficiari verificare autonomamente la sussistenza dei requisiti di legge, che in tali circostanze, si ribadisce, risultano del tutto assenti».

Il fallimento della società beneficiaria della fideiussione presentava opposizione al Tribunale di Roma ai sensi degli artt. 98 ss. L. Fall., la quale veniva accolta con conseguente ammissione del credito allo stato passivo del confidi fallito. In particolare, il giudice dell’opposizione sottolineava nelle proprie motivazioni che: (i) l’iscrizione del confidi nell’albo ex art. 107 TUB non era necessaria dal momento che la fideiussione era stata rilasciata a garanzia di obbligazioni contrattuali fra privati e in favore di un soggetto privato associato al consorzio stesso; e che (ii) per la validità della fideiussione rilevava esclusivamente che l’oggetto sociale del confidi consentisse il rilascio di fideiussioni[1].

Perciò, il fallimento del confidi presentava ricorso per cassazione, lamentando l’errore del giudice nel non aver affermato l’invalidità o, comunque, l’inefficacia della fideiussione, considerato che la società fallita rientrava nella categoria dei c.d. “confidi minori” e che i «soli beneficiari delle garanzie rilasciate dai confidi minori possono essere unicamente banche ovvero altri intermediari autorizzati a concedere finanziamenti», non potendo la natura privata del contratto e l’oggetto sociale del confidi giustificare la deroga a norme imperative.

Tenuto conto della delicatezza della vicenda, con Ordinanza interlocutoria del 23 settembre 2019, n. 23611, la Sesta Sezione civile della Corte di cassazione disponeva la rimessione del ricorso alla pubblica udienza della Prima Sezione, sottolineando l’esigenza che venisse verificato: (i) «il complesso delle conseguenze sanzionatorie, di tipo non negoziale, che lo svolgimento di attività non autorizzata quale […] il rilascio indiscriminato di fideiussioni da parte di confidi autorizzato a prestarle solo a banche e intermediari finanziari è per sé destinata a importare in capo al soggetto impresa e ai gestori della stessa»; e (ii) se la funzione dell’autorizzazione prevista dalla normativa TUB si spinga sino a dover ritenere la nullità dei singoli atti negoziali che siano espressione attuativa dell’attività non autorizzata o se, invece, l’applicazione di un simile meccanismo non venga in concreto a confliggere proprio con gli interessi per la cui tutela è stato prescritto il meccanismo autorizzatorio (ossia il «corretto e ordinato svolgimento del mercato, pure a proposito della posizione dei destinatari diretti delle prestazioni offerte dalle imprese»).

La Prima Sezione civile, con Ordinanza interlocutoria del 6 settembre 2021, n. 24016, rimetteva a sua volta la questione alle Sezioni Unite civili, chiedendo a queste ultime di pronunciarsi in ordine alle seguenti questioni: (i) se dalle disposizioni disciplinanti l’attività esercitabile dai confidi minori possa desumersi un divieto per gli stessi di compiere attività oltre il perimetro tipizzato dalla legge; (ii) la natura imperativa o meno di tali disposizioni e, quindi l’eventuale nullità virtuale dei negozi conclusi in contrasto con esse; (iii) se il confidi, che ha dato causa alla nullità, possa farla valere in giudizio; (iv) se il contraente in buona fede abbia diritto alla conservazione del contratto; o se (v) al caso di specie sia applicabile in via analogica l’art. 167 del codice delle assicurazioni private, in base al quale il contratto di assicurazione stipulato con una impresa non autorizzata è nullo ma il solo contraente può far valere siffatta nullità.

3. La Sentenza

All’esito del complessivo giudizio innanzi descritto, la Sentenza 8472/2022 chiarisce che il dubbio sulla validità della fideiussione rilasciata dal confidi minore sorge dal fatto che la legge prevede che i confidi minori esercitino «esclusivamente» l’attività di garanzia collettiva dei fidi e servizi strumentali e connessi nei confronti delle imprese consorziate o socie e che, tuttavia, l’ordinamento non contempla una nullità espressa o testuale con riferimento alle altre attività negoziali eventualmente poste in essere da tali soggetti.

Secondo il supremo Collegio, la questione da risolvere verte sulla possibilità che, con riferimento alla fideiussione rilasciata dal confidi, ricorra una ipotesi di c.d. “nullità virtuale” ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. per contrarietà a norme imperative di legge. L’indagine delle Sezioni Unite, dunque, si incentra sulla «verifica in concreto degli indici sintomatici della imperatività della norma, onde consentire al giudice di dichiarare la nullità anche nel silenzio del legislatore».

Dopo un excursus sugli orientamenti giurisprudenziali in tema di norme imperative e inderogabili, le Sezioni Unite affermano che l’indagine sulla imperatività della norma verte «sulla natura dell’interesse leso che si individua nei preminenti interessi generali della collettività» e che le norme imperative dalla cui violazione discende la nullità virtuale devono avere «contenuti sufficientemente specifici, precisi e individuati, non potendosi, in mancanza di tali caratteri, pretendere di applicare una sanzione, seppur di natura civilistica, tanto grave quale è la nullità del rapporto negoziale».

Tanto premesso, la Sentenza 8472/2022 tuttavia esclude che la fideiussione rilasciata dal confidi sia nulla.

In primo luogo, viene sottolineata la diversità tra il caso di specie e quello risolto in un precedente della Suprema Corte in cui era stata dichiarata la nullità virtuale di un contratto di deposito a risparmio concluso con un soggetto privo dell’autorizzazione bancaria[2]. Secondo le Sezioni Unite, il precedente richiamato verteva su un contratto bancario, categoria in relazione alla quale la legge richiede l’indefettibile presenza di almeno una parte autorizzata all’esercizio dell’attività bancaria, in ragione degli interessi pubblici sottesi alla riserva di attività. Le Sezioni Unite hanno, invece, ritenuto che il caso sottoposto al loro giudizio vertesse su un contratto di fideiussione di diritto comune, concluso dal confidi (non nei confronti del pubblico, ma) nell’interesse di un proprio associato a garanzia di un credito derivante da un contratto estimatorio di diritto comune.

In altri termini, secondo le Sezioni Unite, il caso in esame differisce da altri precedenti in quanto riguarderebbe un contratto di fideiussione di diritto comune «la cui stipulazione non è riservata ai soggetti autorizzati dal TUB e non può dirsi, in mancanza di specifiche disposizioni proibitive, “vietata” a un soggetto come il consorzio che, prima di essere un confidi, è una società cooperativa, il cui oggetto sociale, tra l’altro, gli consentiva di prestare garanzie personali e reali e di operare anche con terzi non soci».

Le Sezioni Unite proseguono, affermando che un divieto per i confidi di compiere altre attività negoziali non è espressamente previsto dalla legge, né lo si potrebbe indirettamente ricavare dalle norme che limitano l’attività di questi alla sola garanzia collettiva dei fidi (oltre che alle attività a questa connesse o strumentali). Tali disposizioni, infatti, seppur «limitative» del perimetro di attività dell’ente, comunque «non fanno perdere al [confidi minore] la capacità di agire che gli è propria quale società cooperativa e, dunque, la capacità di rilasciare garanzie non dirette a favorire il finanziamento da parte delle banche e degli altri operatori finanziari».

Il Collegio evidenzia, poi, che nel caso di specie il confidi minore non avrebbe concluso una operazione nei confronti del pubblico riservata agli intermediari finanziari, avendo «concluso un contratto di fideiussione a favore di un proprio associato, che è un’attività non riservata dall’ordinamento a soggetti autorizzati». La fideiussione, rilevano le Sezioni Unite, «non è un contratto indefettibilmente bancario», ossia la sua disciplina non muta a seconda che la fideiussione sia prestata da una banca o meno.

Peraltro, secondo il Collegio, il D.M. 53/2015 non prevede che l’attività di rilascio di fideiussioni sia riservata ai soli soggetti autorizzati e comunque non la vieta ai confidi minori.

Alla luce di queste considerazioni, le Sezioni Unite concludono che non si possa desumere un divieto assoluto per i confidi minori di svolgere altre attività fuori dal perimetro tipizzato, dal momento che, altrimenti, si dovrebbe «postulare che, secondo il codice civile, chiunque possa rilasciare fideiussioni, ad eccezione delle cooperative, alle quali sarebbe inibito di prestarle a favore dei propri associati».

A sostegno della validità del negozio vengono, poi, richiamati due indirizzi giurisprudenziali.

Il primo, piuttosto recente, che ha riconosciuto alle imprese assicuratrici la possibilità di prestare garanzie personali, sebbene il loro oggetto sociale debba limitarsi all’esercizio di attività assicurativa con esclusione di qualsiasi altra attività commerciale e purché ciò non si traduca in una sistematica attività che comporti l’assunzione di un rischio imprenditoriale ulteriore rispetto a quello tipico dell’assicuratore.

Secondo il supremo Collegio, ove il legislatore avesse voluto prevedere la sanzione della nullità, lo avrebbe fatto espressamente, come nel caso dell’art. 167 del codice delle assicurazioni private, il quale stabilisce la nullità del contratto di assicurazione stipulato con un’impresa non autorizzata[3].

Nella medesima prospettiva, le Sezioni Unite hanno richiamato anche l’orientamento secondo cui, in assenza di un divieto generale di porre in essere attività negoziali, la stipulazione di un contratto di affitto di azienda da parte del beneficiario di un finanziamento pubblico in violazione della normativa di settore non è causa di nullità del contratto, dal momento che «l’art. 1418 c.c., comma 1, con l’inciso “salvo che la legge disponga diversamente”, impone all’interprete di accertare se il legislatore, anche nel caso di inosservanza del precetto, abbia consentito la validità del negozio predisponendo un meccanismo idoneo a realizzare gli effetti voluti della norma»[4].

Su queste basi, le Sezioni Unite concludono che la fideiussione rilasciata dal confidi «non è nulla per violazione di norma imperativa, non essendo la nullità prevista in modo testuale, né ricavabile indirettamente dalla previsione secondo la quale detti soggetti svolgono “esclusivamente” la “attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali” per favorire il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario. Il rilascio di fideiussioni è attività non riservata a soggetti autorizzati (come gli intermediari finanziari ex art. 107 T.u.b.), né preclusa alle società cooperative che operino in coerenza con l’oggetto sociale».

4. La disciplina di riferimento: i confidi minori e il loro oggetto sociale

La normativa oggi vigente in materia di confidi è il risultato di una – poco opportuna – stratificazione legislativa che ha seguito, spesso in modo disorganico, gli interventi di riforma che le imprese del settore creditizio hanno subito nell’ultimo trentennio.

In generale, i confidi sono enti (spesso costituiti in forma di associazioni, consorzi o società cooperative) che esercitano l’attività di “garanzia collettiva dei fidi” nei confronti delle (piccole e medie) imprese che vi aderiscono.

In termini ancora più ampi, i confidi sono enti con scopo mutualistico (o, forse più propriamente, consortile) che esercitano attività di garanzia su finanziamenti erogati ai soggetti che vi aderiscono (o che, comunque, appartengono alle categorie imprenditoriali che li sostengono) al fine di agevolare l’accesso al credito di quei medesimi soggetti.

L’art. 112 TUB stabilisce, al primo comma, che i confidi minori «esercitano in via esclusiva l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali, nel rispetto delle disposizioni dettate dal Ministro dell’economia e delle finanze e delle riserve di attività previste dalla legge»[5].

Dunque, gli enti che intendano esercitare l’attività dei c.d. “confidi minori” devono, in primo luogo, a iscriversi all’apposito elenco tenuto dall’Organismo dei Confidi Minori (OCM), in conformità a quanto stabilito dall’art. 112 TUB.

L’art. 5 del Decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 2 aprile 2015, n. 53, dopo aver pedissequamente ribadito quanto stabilito dall’art. 112 TUB sull’esclusività dell’oggetto sociale dei c.d. “confidi minori”, definisce le attività connesse come quelle attività «che consentono di sviluppare l’attività di garanzia collettiva dei fidi, sono svolt[e] in via accessoria a quest’ultima e hanno finalità coerenti con essa» e le attività ausiliari come quelle «ausiliari all’attività svolta»[6].

Preme notare che il TUB non offre una nozione precisa dell’attività di «garanzia collettiva dei fidi», che è infatti definita aliunde dall’art. 13, comma 1, del Decreto-Legge 30 settembre 2003, n. 269 (comunemente detta “legge confidi”).

In particolare, l’art. 13, comma 1, D.L. 269/2003 definisce l’attività di garanzia collettiva dei fidi come «l’utilizzazione di risorse provenienti in tutto o in parte dalle imprese consorziate o socie per la prestazione mutualistica e imprenditoriale di garanzie volte a favorirne il finanziamento da parte delle banche e degli altri soggetti operanti nel settore finanziario».

L’attività dei confidi minori, perciò, è precisamente circoscritta dalla legge alla sola concessione di garanzie collettive a PMI socie o consorziate che siano rivolte a beneficio unicamente di intermediari autorizzati all’esercizio del credito (siano esse banche o intermediari iscritti all’Albo Unico ex art. 106 TUB[7]). Perciò, l’attività dei confidi minori costituisce una (sostanziale, anche se lieve) deroga alla vigente disciplina della riserva in materia creditizia stabilita dagli artt. 10 e 106 TUB.

5. (Segue) La riserva di attività in materia creditizia e la sorte dei contratti conclusi in violazione di essa

Come noto, sia pur congiuntamente alla raccolta del risparmio tra il pubblico e comunque quale componente essenziale dell’attività bancaria, l’art. 10 TUB riserva alle banche l’esercizio del credito, mentre l’art. 106 TUB, nel regolare l’autorizzazione degli intermediari finanziari diversi dalle banche, stabilisce che «l’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma è riservato agli intermediari finanziari autorizzati, iscritti in un apposito albo tenuto dalla Banca d’Italia».

L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività di concessione di finanziamenti in qualsiasi forma è definito dagli artt. 2 e 3 del D.M. 53/2015[8], i quali adottano una nozione aperta e sostanzialistica di siffatta attività.

In particolare, l’art. 2, comma 1, D.M. 53/2015 stabilisce che «per attività di concessione di finanziamenti sotto qualsiasi forma si intende la concessione di crediti, ivi compreso il rilascio di garanzie sostitutive del credito e di impegni di firma» e, quale figura tipica, è ricompresa la fattispecie del «rilascio di fideiussioni»[9].

L’art. 3, comma 1, D.M. 53/2015 stabilisce, poi, che «l’attività di concessione di finanziamenti si considera esercitata nei confronti del pubblico qualora sia svolta nei confronti di terzi con carattere di professionalità».

In altri termini, costituisce esercizio del credito (recte, attività di concessione di finanziamenti in qualsiasi forma) l’attività che un soggetto finanziatore compie concedendo professionalmente crediti o garanzie a beneficio o a favore di terzi.

Più specificamente, costituisce attività riservata la conclusione con terzi di contratti di finanziamento o il rilascio di garanzie a beneficio o a favore di chiunque[10] quando tale attività è svolta con professionalità e, dunque, quando tale attività può essere qualificata come una vera e propria attività di impresa[11].

Ne consegue che la prestazione di un finanziamento o il rilascio di una garanzia su base meramente occasionale, proprio perché non-professionale, non ricade nell’ambito di applicazione della riserva in discorso[12].

Le norme del D.M. 53/2015, dunque, rifuggono da una nozione vincolata e nominalistica dell’attività creditizia: non è tanto in base al tipo contrattuale che si può determinare se sussista o meno l’esercizio di attività creditizia, quanto in base agli effetti sostanziali che le parti si propongono di raggiungere con quel particolare rapporto contrattuale[13].

Dunque, sono la causa concreta che le parti hanno impresso a quel contratto e la professionalità del soggetto finanziatore (ossia la sistematicità e il metodo organizzativo con cui quest’ultimo opera nei confronti di terzi) a determinare se sussista o meno una vera e propria attività creditizia.

In altri termini, si ha esercizio del credito non tanto perché il finanziatore ha semplicemente concluso contratti di mutuo con terzi o ha rilasciato fideiussioni a beneficio del debitore garantito e a favore di terzi creditori, quanto perché il finanziatore ha concluso detti contratti mettendo a disposizione dei terzi una certa somma (o assumendosi un rischio equiparabile alla dazione di danaro) facendo al terzo credito al fine di ottenere in cambio un interesse (o altro vantaggio economico assimilabile) e che lo abbia fatto con modalità e frequenza e metodi tali da potersi affermare che questi abbia svolto questa attività con professionalità (ossia con la frequenza e l’organizzazione di capitale e lavoro, anche solo o prevalentemente proprio) tipica di un’attività d’impresa (in tal caso creditizia).

Perciò, in linea teorica, non solo la conclusione con terzi su base professionale dei contratti bancari di credito può integrare la violazione della riserva in discorso, ma anche la conclusione di contratti o il compimento di operazioni disciplinate dal diritto dei contratti comuni (come, in effetti, è il rilascio di fideiussioni) possono ricadere nell’ambito della riserva di attività creditizia se sussistono gli elementi essenziali di quest’ultima.

L’esercizio di attività creditizia in violazione della relativa riserva è presidiato da un rigoroso regime sanzionatorio di carattere penale, civile e amministrativo[14].

Ai fini che ci occupano, l’esercizio abusivo del credito è sanzionato penalmente dall’art. 132 TUB[15], mentre i contratti conclusi in violazione di siffatta riserva sono tradizionalmente ritenuti nulli ai sensi dell’art. 1418 c.c.[16].

Analogamente, la giurisprudenza ha ritenuto che sia parimenti illecito l’oggetto sociale previsto dallo statuto di società che non sono preventivamente autorizzate all’attività bancaria ai sensi dell’art. 14 TUB o alla prestazione di finanziamenti in qualsiasi forma ai sensi dell’art. 106 TUB[17].

6. Alcune lacune argomentative della Sentenza

A sostegno della validità (o, per dir così, della non-nullità) della fideiussione, la Sentenza sostiene che: (i) non vi sarebbe un espresso divieto per i confidi di compiere altre attività né tale divieto si può ricavare indirettamente o implicitamente dalle disposizioni secondo cui i confidi esercitano «in via esclusiva» o «esclusivamente» l’attività di garanzia collettiva dei fidi e i servizi a essa connessi o strumentali; (ii) la fideiussione non è un contratto riservato all’ambito del credito; e che (iii) la società che l’ha rilasciata, prima di essere un confidi, è una società cooperativa, il cui oggetto sociale, tra l’altro, consente di prestare garanzie personali e reali e di operare anche con terzi non soci.

Queste affermazioni meritano, tuttavia, di essere maggiormente approfondite, in quanto potrebbero facilmente prestarsi a rovinosi fraintendimenti.

In primo luogo, se è vero che l’ordinamento non impone espressamente ai confidi un divieto a compiere altre attività (per es., rilasciare fideiussioni a beneficio di terzi diversi dai soggetti abilitati all’esercizio del credito), è altrettanto vero che la norma è chiara nel delineare il perimetro di attività dei confidi minori e, più specificamente, che l’esclusività dell’oggetto sociale stabilite dalla legge preclude ai confidi minori di compiere attività non rientranti tra quelle espressamente consentite.

Come si è accennato, sia la c.d. “legge confidi” di cui all’art. 13 D.L. 169/2003, sia il vigente art. 112 TUB[18] prevedono che i confidi non iscritti all’Albo Unico (e, dunque, non soggetti alla vigilanza prudenziale della Banca d’Italia) possano svolgere esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi.

I confidi minori si pongono, dunque, in contrapposizione rispetto ai confidi “vigilati” (o “maggiori”): questi ultimi sono, infatti, intermediari finanziari a tutti gli effetti e, in quanto tali, autorizzati a compiere tutte le operazioni di credito di cui all’art. 2 del D.M. 53/2015 nei confronti o a beneficio di terzi, anche diversi dalle banche e dagli intermediari iscritti all’Albo Unico. Al contrario, l’attività dei confidi minori è rigidamente limitata: essi non possono svolgere attività a beneficio di soggetti diversi dalle banche e dagli altri intermediari autorizzati all’esercizio del credito.

Le Sezioni Unite avrebbero potuto esaminare meglio (come, in effetti, era loro espressamente richiesto dall’ordinanza di rimessione) il carattere eventualmente intrinseco dei limiti posti dalla legge all’attività esercitabile dai confidi minori, per poi chiarire se la violazione di tali limiti determinasse la sanzione della nullità virtuale ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. per violazione di norme imperative.

Nella Sentenza in commento, invece, le Sezioni Unite si limitano ad affermare (argomentando in modo molto laconico), che il divieto dei confidi di compiere altre attività non si possa desumere implicitamente dai riferimenti contenuti nelle norme rilevanti rispetto all’esclusività dell’attività di garanzia collettiva dei fidi.

Quanto all’affermazione che la fideiussione è un contratto che può essere concluso da chiunque e di cui chiunque può beneficiare, va detto che la Sentenza esclude la nullità della fideiussione prestata dal confidi anche sulla base della semplice considerazione che essa «non è un contratto indefettibilmente bancario» ma di diritto comune, essendo perciò accessibile a chiunque (siano essi i garanti, i debitori e i creditori garantiti) e assumere il ruolo di una qualsiasi delle parti previste per quello schema contrattuale.

Siffatta valutazione delle Sezioni Unite appare quantomeno parziale.

Indubbiamente la fideiussione è una fattispecie contrattuale di diritto comune, ma ciò non sembra sufficiente a escludere a priori un eventuale esercizio (abusivo) dell’attività creditizia da parte del soggetto che la rilascia.

La normativa settoriale, come ricordato, accoglie una concezione aperta dell’attività creditizia (riservata) e, per giunta, la fideiussione è espressamente enumerata tra le fattispecie contrattuali tipiche in cui l’attività creditizia si può manifestare.

Non è, infatti, il nomen iuris del contratto a determinare l’esercizio di attività creditizia riservata, ma il ricorrere di tre elementi essenziali, ossia che: (a) il contratto sia caratterizzato da una causa concreta di finanziamento; e che il soggetto finanziatore (b) svolga tale attività nei confronti del pubblico[19]; e (c) con professionalità[20].

Le Sezioni Unite avrebbero dovuto più opportunamente non tanto (o non solo) esaminare il tipo contrattuale, quanto piuttosto chiedersi se ricorresse o meno nel caso di specie il requisito della professionalità, ovvero la circostanza “esimente” della mera occasionalità.

In questa prospettiva, si sarebbe potuta coerentemente affermare la validità della fideiussione perché, pur violando teoricamente l’art. 112 TUB, essa si poteva qualificare come un contratto di finanziamento concluso su base meramente occasionale e, dunque, non in violazione di norma imperativa.

E, tuttavia, anche una simile conclusione non avrebbe superato tutte le perplessità residue, in quanto ciò non sembra risolvere il contrasto tra l’oggetto sociale del confidi e l’esclusività delle attività fissate (invero, in modo molto netto) dall’art. 112 TUB e dal previgente art. 155 TUB.

Come si è già sottolineato, le Sezioni Unite affermano la validità della fideiussione in quanto il confidi, quale società cooperativa, possiede un oggetto sociale che consente, tra l’altro, di prestare garanzie personali o reali, oltre che di operare anche con non soci.

Le Sezioni Unite hanno, infatti, aderito all’orientamento del Tribunale di Roma secondo cui la fideiussione era stata prestata validamente dal confidi anche perché ciò era conforme al suo oggetto sociale.

Tuttavia, non si può non sottolineare che i confidi minori sono enti rigorosamente disciplinati dalla legge, per i quali la legge prevede uno specifico iter autorizzativo che impone il possesso di requisiti (oggettivi e soggettivi), tra cui il possesso di un oggetto sociale di natura esclusiva.

Di conseguenza, e almeno in teoria, l’oggetto sociale statutario del confidi, nella parte in cui non limita le attività in discorso a quelle consentite dall’art. 13 del D.L. 169/2003 e dall’art. 112 TUB (come dal previgente art. 155 TUB), avrebbe dovuto considerarsi illecito o, quantomeno, avrebbe dovuto essere interpretato nel senso in cui le attività con i terzi ulteriori, pur se espressamente previste dallo statuto senza limiti espliciti, erano consentite unicamente con il carattere di accessorietà rispetto (e, dunque, funzionalmente) all’attività principale di garanzia collettiva dei fidi a beneficio degli intermediari autorizzati all’esercizio del credito.

Perciò, anche l’argomentazione sulla conformità della fideiussione all’oggetto sociale del confidi non convince completamente, giacché non può sostenersi la validità della fideiussione facendo riferimento allo statuto sociale del confidi, ove quest’ultimo avrebbe dovuto attenersi a quanto espressamente previsto dalla legge che, lo si ricorda, non consente ai confidi minori di rilasciare, neanche a titolo accessorio o su base occasionale, garanzie a beneficio di terzi diversi dagli intermediari autorizzati all’esercizio del credito o all’attività bancaria.

Peraltro, i richiami delle Sezioni Unite a precedenti relativi a contratti assicurativi e in tema di agevolazioni pubbliche appaiono poco attinenti al caso di specie, rispetto al quale sarebbe risultato sicuramente preferibile un richiamo a decisioni che approfondissero i limiti della riserva di attività creditizia in generale.

Conclusivamente, la soluzione prospettata dalla Corte, come alcuni hanno notato[21], sembra essere motivata dalla finalità di assicurare protezione alla parte garantita e non da una finalità autenticamente nomofilattica.

In effetti, non passa inosservato come la controversia in esame sia nata per iniziativa del confidi che ha rilasciato la garanzia e che i giudici abbiano, perciò, inteso fare sostanziale applicazione del divieto di contraddizione e del dovere di coerenza nei rapporti tra privati.

7. Alcune argomentazioni alternative

Una soluzione alternativa a quella prospetta dalle Sezioni Unite è stata ipotizzata dal Collegio di Coordinamento dell’Arbitro Bancario Finanziario che, in un caso del tutto analogo quello in commento, ha dichiarato la nullità della fideiussione ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c., con il fine espresso di riconoscere tutela al contraente «il quale alla nullità non ha dato causa, rispetto alla sua controparte, autrice della violazione della norma imperativa invalidante il negozio concluso».

Infatti, in adesione a una siffatta finalità, il Collegio dell’ABF ha applicato in via analogica l’art. 167 del codice delle assicurazioni private, condannando il confidi a corrispondere quanto dovuto ai sensi del contratto[22].

Soluzione, questa, che sembra trovare un effettivo compromesso tra l’esigenza di una stretta applicazione della legge (che, come visto, richiederebbe che venisse dichiarato nullo il negozio concluso dal confidi minore “ultra vires”) e l’esigenza di tutelare il contraente che non ha dato causa alla nullità e che verrebbe, appunto, penalizzato da una dichiarazione di nullità del negozio[23].


Conclusioni. Sulle potenziali conseguenze della Sentenza

Alla luce delle considerazioni svolte, è ora possibile indagare quale possa essere l’impatto della Sentenza sull’attività esercitabile dai confidi minori e, più in generale, sui limiti della riserva di attività creditizia.

In primo luogo, dal tenore della Sentenza, non pare possa ricavarsi una generale possibilità per i confidi minori di andare oltre il perimetro di attività comunque tracciato dalla legge.

In altri termini, la circostanza che le Sezioni Unite, nel risolvere il caso a loro sottoposto, abbiano escluso la nullità di una singola fideiussione non sembra possa indurre di per sé a ritenere che i c.d. “confidi minori” possano oltrepassare (sia pure di poco) i limiti all’attività e i caratteri di esclusività scolpiti – in modo molto evidente – nella legge e rilasciare fideiussioni a beneficio di terzi diversi dagli intermediari autorizzati all’esercizio del credito.

Simili conclusioni porterebbero a snaturare la categoria dei confidi minori e, più ampiamente, le finalità per cui l’ordinamento ha imposto la riserva di attività creditizia.

La legge, infatti, delinea molto chiaramente le attività consentite ai confidi minori, ponendole anche in contrapposizione a quelle dei confidi maggiori: mentre questi ultimi, intermediari finanziari a tutti gli effetti, sono autorizzati a compiere tutte le operazioni di credito di cui all’art. 2 del D.M. 53/2015 nei confronti o a beneficio di qualsiasi tipologia di terzi contraenti perché assoggettati a una vigilanza estremamente penetrante e a specifici (e onerosi) requisiti patrimoniali, i confidi minori possono svolgere esclusivamente l’attività di garanzia collettiva dei fidi (e servizi a essa connessi o strumentali) a favore di PMI socie o consorziate e a beneficio di soli intermediari autorizzati all’esercizio del credito, ossia a professionisti del settore la cui – esclusiva – presenza nelle singole operazioni di credito è idonea a ridurre il rischio che gli stessi confidi minori, in quanto soggetti a una vigilanza più debole, possano compiere nei confronti sia dei debitori-associati, sia dei creditori garantiti e dei danni che ne possono conseguire al tessuto produttivo in generale.

A opinione di chi scrive, non appare corretto affermare – in modo sostanzialmente apodittico – che nella legge manca un divieto per i confidi minori di svolgere altre attività rispetto a quelle tipizzate.

Enfatizzare questa lettura, infatti, rischia di fornire una interpretazione contraria alla ratio delle norme sui confidi minori e di sfumare, così, la distinzione (netta nella legge) con i confidi c.d. “maggiori”.

Conclusivamente, auspicando che le Sezioni Unite tornino sulla materia per fugare ogni dubbio interpretativo, sembra opportuno leggere la Sentenza 8472/2022 facendo riferimento in modo esclusivo (o quantomeno prevalente) al caso concreto sottoposto alla loro cognizione, non potendosene desumere un principio generale capace di ridisegnare i confini della categoria dei confidi minori e, perciò, dell’intera riserva di attività creditizia.

A opinione di chi scrive, infatti, la sentenza in discorso non pare idonea a mutare effettivamente i limiti della riserva di attività creditizia, né sembra capace di indebolire il carattere di esclusività dell’attività dei confidi minori stabilito dall’art. 112 TUB.

 

[*] L’impostazione del lavoro e i parr. 1 e 8 sono frutto del lavoro di entrambi gli autori. Antonio Di Ciommo ha redatto i parr. 3, 4 e 5 e Giulia Agostini i parr. 2, 6 e 7.

[1] Il giudice, infatti, ha rilevato che l’oggetto sociale sulla visura camerale del consorzio prevedeva testualmente che «nell’esercizio dell’attività di garanzia collettiva dei fidi possono essere prestate garanzie personali e reali» e che la società potesse «operare, ricorrendone i presupposti di legge, anche con terzi non soci».

[2] Il riferimento è a Cass., Sez. I civ., Ord. 28 febbraio 2018, n. 4760 in Giust. Civile, Massimario 2018, richiamata anche nell’ordinanza interlocutoria.

[3] Cass., Sez. I civ., Ord. 10 gennaio 2018, n. 384 in Giust. Civile, Massimario 2018.

[4] Cfr. Cass., Sez. I civ., Sent. 6 aprile 2018, n. 8499 in Giust. Civile Massimario 2018.

[5] La norma in discorso è stata introdotta dal Decreto Legislativo 13 agosto 2010, n. 141, che ha abrogato il previgente art. 155 TUB. In particolare, il previgente art. 155, comma 4-ter, TUB stabiliva che “i confidi iscritti nell’elenco speciale esercitano in via prevalente l’attività di garanzia collettiva dei fidi”, potendo esercitare, ai sensi dei successivi commi 4-quater e 4-quinquies, ulteriori attività a condizione che queste fossero prevalentemente prestate a favore di propri soci o consorziati. Detta norma regolava, dunque, i confidi iscritti all’elenco speciale di cui al previgente art. 107 TUB, la cui iscrizione abilitava al rilascio di ogni forma di garanzia finanziaria e li assoggettava alla vigilanza prudenziale della Banca d’Italia. Per converso, anche nel vigore della disciplina previgente, i confidi minori erano abilitati dalla legge alla sola attività di garanzia collettiva dei fidi (oltre che alle attività connesse e strumentali) essendo, perciò, vietata loro la prestazione di attività diverse da queste ultime.

[6] La norma, rimediando a una sorta di circolarità tautologica, enumera quali fattispecie tipiche di attività ausiliarie: (a) «l’acquisto di immobili, esclusivamente funzionali all’esercizio dell’attività principale»; e (b) «l’assunzione di partecipazioni esclusivamente in altri confidi o banche di garanzia collettiva fidi ovvero in altri intermediari finanziari che in base a specifici accordi rilascino garanzie ai propri soci nonché in società costituite per la prestazione di servizi strumentali».

[7] Tra cui sono ricompresi anche i c.d. “confidi maggiori”.

[8] Il D.M. 53/2015 ha abrogato il previgente decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze 17 febbraio 2009, n. 29, il quale recava all’art. 3 la precedente definizione di «attività di finanziamento in qualsiasi forma». Mette conto notare, tuttavia, che, ai fini che ci occupano, la definizione previgente appare perfettamente sovrapponibile a quella recata dal vigente D.M. 53/2015.

[9] Sul punto, parte della dottrina ha argomentato a favore di una “mutazione” dell’attività creditizia che, da attività di scambio tra due prestazioni di carattere pecuniario tra un creditore e un debitore, diviene un’attività di scambio tra due utilità, consistenti in un caso nel ricevere un bene necessario alla soddisfazione dei bisogni del debitore e nel secondo caso nella remunerazione di tale prestazione a favore del creditore, remunerazione che può avvenire con un interesse o assumere una diversa forma (quale può essere, per esempio, nelle attività di cessione dei crediti la differenza positiva tra il valore di ragionevole realizzo stimato dal cedente al momento della cessione e quanto effettivamente recuperato dal cessionario mediante dopo le proprie attività con il debitore con l’eventuale rinegoziazione o recupero coatto del credito). Di ciò si vede già un accenno in M. Fragali, Del mutuo, in Comm. c.c. Scialoja Branca, Bologna-Roma, 1967, 76 ss.; la teoria in parola, solamente accennata nella dottrina degli ultimi anni ‘60 relativa ai contratti bancari, trova poi il suo pieno sviluppo con l’importazione del leasing nelle prassi negoziali italiane e, in particolare, del leasing finanziario per estendersi, poi, all’intero settore creditizio. Cfr., infatti, sul punto A. Munari, Il leasing finanziario nella teoria dei crediti di scopo, Milano, 1989, 48 ss. e, più ampiamente rispetto al leasing, P. Bontempi, Diritto bancario e finanziario, Milano, 2002, 85 ss.

[10] In quanto aventi effetti equipollenti ai più comuni rapporti di finanziamento. Il rilascio di garanzie (come, ad esempio, la fideiussione) comporta per il garante, infatti, la surrogazione nella posizione del debitore garantito e il conseguente diritto di regresso nei confronti di quest’ultimo. Per una disamina del tema

[11] Pur se riferito principalmente alla disciplina della riserva in materia di servizi e attività di investimento (comunque sovrapponibile, ai fini che qui interessano, a quella prevista in materia creditizia), cfr. R. Lener, L’autorizzazione alla prestazione dei servizi di investimento, in G. Mollo (a cura di), Atti dei seminari celebrativi per i 40 anni dall’istituzione della Commissione Nazionale per le Società e la Borsa, Roma: 2014, 129 ss.; dottrina più risalente si è poi interrogata sull’interpretazione da attribuire ai concetti generali di “professionalità” e di “pubblico” quali componenti dell’attività di impresa in generale e, dunque, quali componenti essenziali della riserve di attività previste dall’ordinamento settoriale. Cfr. sul punto W. Bigiavi, La professionalità dell’imprenditore, Padova, 1948, 82 ss.; A. Asquini, Profili dell’impresa, in Scritti Giuridici, vol. 3, Padova, 1961, 121-148; G. Oppo, Realtà giuridica globale dell’impresa nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. civ., 1976, I, p 591 ss.; G. Oppo, Impresa e imprenditore, in Enc. giur. Treccani, Diritto Commerciale, vol. 16, Roma, 1989, 6 ss. e P. Spada, voce Impresa, in Digesto delle discipline privatistiche, Sez. comm., vol. 7, Torino, 1992, 49 ss.; F. Galgano, Diritto commerciale – l’imprenditore, vol. 1, IV ed., Bologna, 1999, 18. Con specifico riferimento al concetto di “professionalità” in ambito bancario e creditizio, cfr. anche P. Ferro Luzzi, Lezioni di diritto bancario, vol. 1, II ed., Torino, 2004, 30-31.

[12] Diversamente ragionando, infatti, l’ampiezza della nozione di “concessione di finanziamenti in qualsiasi forma” sarebbe tale da comprendere rapporti di credito di qualsiasi natura, con la conseguenza che chiunque correrebbe il pericolo di violare la riserva in materia creditizia sol perché vanti un credito verso un terzo.

[13] Su questa base, infatti, la dottrina degli ultimi tre decenni ha sottolineato la tendenza legislativa (peraltro, oggi molto spiccata) a rendere la nozione di attività creditizia (o finanziaria) sempre più aperta e elastica al fine di farvi ricadere fenomeni sostanzialmente equipollenti alle operazioni creditizie “tradizionali”. Sul punto, cfr. F. Capriglione, L’ordinamento finanziario italiano, Padova, 2005, II ed., 471 ss. e F. Vella, L’esercizio del credito, Milano, 1990, 56 ss.; da ultimo, si segnala infatti la sempre più forte tendenza di alcuni operatori (soprattutto di e-commerce) a cercare soluzioni di vendita e pagamento che appaiono come operazioni sostanzialmente creditizie e che, nonostante l’apertura e flessibilità della nozione di cui al D.M. 53/2015, sfuggono dall’ambito della disciplina settoriale. È appena il caso di menzionare, infatti, l’innovativo servizio c.d. “buy-now-pay-later”, che consente al consumatore di ottenere la dilazione sul prezzo dei propri acquisti e il cui rischio dell’insolvenza, in molti casi, è posto contrattualmente in capo ai venditori del bene (quali fruitori, da un punto di vista contrattuale, del servizio) e per i quali gli operatori provvedono unicamente alla riscossione delle somme e all’eventuale recupero forzato; ciò è possibile grazie a complesse operazioni di cessione del credito a favore di veicoli di cartolarizzazione appositamente costituiti e controllati dall’operatore del servizio (veicoli che, si ricorda, possono limitatamente concedere finanziamenti ai sensi della L. 130/1999). Si v., a tal proposito, alla Comunicazione della Banca d’Italia del 28 ottobre 2022 (in cui l’Autorità descrive le caratteristiche essenziali dell’operazione e le – invero stringenti – condizioni alle quali essa può non ricadere nell’ambito della riserva di attività creditizia), al parere dell’Autorità Bancaria Europea n. EBA/Op/2022/06 in cui si afferma al par. 94 che l’attività di un servizio buy-now-pay-later ha una sostanziale natura creditizia e che, perciò, dovrebbe essere considerata come «granting credit» e, infine, allo studio di L. Gobbi, Buy Now Pay Later, caratteristiche del mercato e prospettive di sviluppo in Banca d’Italia – Questioni di Economia e Finanza, n. 730, Roma, novembre 2022.

[14] In relazione al sistema sanzionatorio amministrativo di competenza della Banca d’Italia e della Banca Centrale Europea, si v. M. Perassi, Sanzioni e procedimento sanzionatorio Banca d’Italia/BCE, in Riv. Soc., fasc.1/2023, 174 ss.

[15] Anche se precedente rispetto alla istituzione del c.d. Albo Unico con la riforma degli intermediari non bancari attuata con il D.Lgs. 13 agosto 2010, n. 141, per una generale disamina del sistema sanzionatorio penale connesso alla riserva di attività creditizia e delle differenze rispetto alla diversa e più ampia attività bancaria, cfr. A. Manna, L’abusivismo bancario e finanziario nel sistema penale, in Banca borsa tit. cred., fasc. 1/1996, 374 ss.; L. Criscuolo, L’esercizio abusivo di attività finanziaria: profili giuridici e strumenti di contrasto, in Cass. pen., fasc. 4/1996, 1334 ss. Per completezza di disamina in ordine ai cessati criteri “quantitativi” previsti dalla disciplina di cui all’art. 107 e 18 TUB prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. 141/2010, cfr. F. Volpe, L’esercizio nei confronti del pubblico dell’attività finanziaria, in Banca borsa tit. cred., fasc.5/2000, 643 ss. e M. Pellegrini, Il controllo sugli intermediari finanziari non bancari. Aspetti problematici ed orientamenti giurisprudenziali, in Banca borsa tit. cred., fasc.1/2006, 57 ss.

[16] Secondo parte della giurisprudenza per contrarietà a norma imperativa, secondo altra parte per illiceità della causa. Cfr., in particolare, Cass., Sez. I civ., Sent. 28 febbraio 2018, n. 4760 in Giust. Civile Massimario 2018, secondo cui «è nullo per contrasto con norme imperative di legge, ai sensi dell’art. 1418, comma 1, c.c. (cd. nullità “virtuale”), il contratto di deposito a risparmio concluso con soggetto professionalmente dedito all’attività di raccolta del risparmio tra il pubblico, ma privo dell’autorizzazione all’esercizio dell’attività bancaria prescritta dall’art. 14 del d.lgs. n. 385 del 1993, stante la rilevanza del requisito soggettivo nella struttura dei contratti bancari, nei quali una delle parti è individuata indefettibilmente in una banca, e degli interessi pubblici sottesi alla riserva dell’attività bancaria alle imprese autorizzate, la cui tutela non può restare affidata esclusivamente alle sanzioni penali di cui agli artt. 130 e 131 del citato decreto; tale nullità per carenza di un requisito della fattispecie legale non osta tuttavia, in linea di principio, alla conversione ex art. 1424 c.c. ove il negozio sia idoneo a produrre gli effetti di altra fattispecie e previo accertamento, riservato in via esclusiva al giudice di merito, della volontà delle parti»; Trib. Saluzzo, Sent. 7 giugno 1999, in Gius., 2000, 171, secondo cui «è nullo, ai sensi del combinato disposto degli art. 132 d.lg. n. 385 del 1993 e 1418 comma 1 c.c., il contratto di raccolta del risparmio stipulato da soggetto non iscritto nell’elenco generale o in quello speciale ex art. 106 e 107 d.lg. n. 385 del 1993, e la nullità può essere rilevata d’ufficio ai sensi dell’art. 1421 c.c., anche in carenza di specifica deduzione di parte, qualora l’accertamento sulla validità del negozio costituisca presupposto indeclinabile della pretesa risarcitoria fatta valere in giudizio». Per una completa disamina delle tendenze giurisprudenziali sulla qualificazione – prevalente – della nullità dei contratti di credito per violazione della riserva di attività creditizia, si v. G. Miotto, Cessione di crediti risarcitori, attività finanziaria e nullità ex art. 1418 c.c., in Danno e responsabilità, fasc. 4/2015, 393 ss., il quale sottolinea, inoltre, la irrilevanza del titolo (se oneroso o gratuito) a cui l’operazione creditizia è stata compiuta ai fini della violazione della corrispondente riserva e conclude in favore della – prevalente – tesi giurisprudenziale che qualifica la nullità dei contratti di credito conclusi in violazione della riserva come fattispecie di nullità per contrarietà a norma imperativa ex art. 1418, comma 1, c.c.

[17] E, infatti, in Cass., Sez. II civ., Sent. 30 gennaio 2013, n. 2220, in Giust. Civile 2013, 2, I, 307, si sottolinea che «la clausola statutaria di una società a responsabilità limitata, che, nell’ambito dell’oggetto sociale, preveda la possibilità per la società di “concedere avalli, fideiussioni e garanzie di ogni genere” espressamente “nei confronti di chiunque, per obbligazioni di terzi anche non soci”, contemplando attività finanziarie svolte nei confronti del pubblico, rientra nell’area della riserva di cui all’art. 106 del testo unico bancario ed è, perciò, nulla per contrasto con norma imperativa».

[18] Come anche il previgente art. 155 TUB e il correlato D.M. 29/2009.

[19] Circostanza, peraltro, che si verifica ogni qual volta non si rientri in una delle ipotesi di esenzione specificate dall’art. 3 del D.M. 53/2015.

[20] Ossia con una frequenza tale da poter affermare la sussistenza di una vera e propria attività di impresa.

[21] Cfr. E. Olivieri, Il fulmine a ciel sereno: confidi minori, attività oltre i limiti di legge e validità delle fideiussioni, nota a Cass., SS. UU. Civ., Sent. 15 marzo 2022, n. 8472, in Diritto del Risparmio, fasc. 2/2022, 14 ss.

[22] Cfr. ABF, Coll. Coord., Decisione 16 settembre 2016, n. 7966.

[23] Anche questa via, però, presenta delle criticità considerato che, nell’applicare in via analogica l’art. 167 del codice delle assicurazioni private, andrebbe condotta un’analisi caso per caso circa il grado di intensità dell’affidamento riposto dal contraente sulla validità della fideiussione rilasciata dal confidi minore.

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