Sommario: 1. Contratti derivati ed autoqualificazione del cliente. – 2. La tripartizione dell’investitore nella MIFID. – 3. L’evoluzione giurisprudenziale più recente ed il superamento della problematica connessa alla nozione di operatore qualificato.
1. Contratti derivati ed autoqualificazione del cliente.
I derivati sono strumenti finanziari caratterizzati da un elevato livello di complessità. Si tratta, nel dettaglio, di contratti il cui valore è determinato in ragione dell’andamento di una attività sottostante nonché da ulteriori variabili strettamente collegate alla struttura ed al contratto dal quale derivano. Attraverso la cartolarizzazione dei crediti, ad esempio, sono stati creati derivati collegati al rischio di credito insito nell’operazione di finanziamento. Come emerge da un’attenta analisi della Corte dei Conti questa tipologia di contratti produce benefici immediati cui seguono forti rischi di maggiori oneri futuri. Trattasi di rischi difficilmente quantificabili a causa della frequente complessità dei derivati strutturati, molto spesso stipulati da soggetti non in possesso di una specifica competenza ed esperienza. A ciò aggiungasi l’eventualità che al momento della stipula del contratto ci siano costi impliciti che impediscano all’Ente di svolgere una corretta valutazione della convenienza economica dell’operazione.
Una delle problematiche più diffuse nel collocamento di contratti derivati attiene alla qualificazione del cliente che, se considerato operatore qualificato, non beneficerebbe della normativa a tutela dell’investitore. In linea generale, infatti, gli intermediari, dovendosi loro applicare il precedente Regolamento Consob n. 11522/1998, non avevano interesse ad avere come partner contrattuali operatori non qualificati, al fine di non essere assoggettati a tutto il dettagliato dovere di informazione previsto nel richiamato Regolamento.
Dalla normativa antecedente al recepimento della direttiva Mifid (Markets in Financial Instruments Directive, n. 2004/39/CE del 21.4.2004), cioè dal Reg. Consob n. 11522/1998, emergeva una bipartizione degli investitori: i risparmiatori retail, ai quali si indirizzava la normativa di protezione, e gli operatori qualificati, per i quali l’intermediario era esentato dal dovere di applicazione di interi blocchi di disciplina1.
Oggi il quadro si è arricchito per effetto del recepimento della direttiva Mifid (cfr. d.legis. 17.9.2007, n. 164 e delibera attuativa Consob n. 16190 del 29.10.2007)2, che ha disarticolato la categoria degli investitori, distinguendovi: a) i clienti al dettaglio; b) i clienti professionali; c) le controparti qualificate3.
Alla tripartizione delle classi di investitori è correlata un’accentuata graduazione delle tutele, con cui si è cercato di rimediare al problema determinato dall’art. 31 del Regolamento Consob n. 11522/1998 che non consentiva affatto di individuare categorie di investitori qualificati diversamente in base al loro effettivo grado di esperienza e di conoscenza dei mercati. L’inadeguatezza della vecchia regolamentazione4 era emersa più volte in sede applicativa, denunciando la necessità proprio di quegli aggiustamenti normativi introdotti successivamente.
Ai sensi dell’art. 31, comma 2°, del vecchio Reg. Consob n. 11522/1998 dovevano considerarsi operatori qualificati tanto una serie di imprenditori esercenti attività tipicamente finanziarie quanto le persone fisiche che avessero documentato la concreta e stabile prestazione della loro attività professionale, i quali dovevano provare di possedere la capacità di assumere decisioni di portafoglio e di organizzare attività di mercato5, per escludere la necessità di apprestare nei loro confronti speciali misure di investor protection6. Obiettivo della disciplina era dunque quello di escludere l’applicazione della normativa di protezione là dove i rapporti contrattuali fossero tenuti con soggetti esperti, le cui capacità di accesso alle informazioni, oltre che di cognizione e di valutazione degli strumenti finanziari, avessero determinato il venir meno della normale esigenza di tutela7.
Subito risultò chiaro che doveva essere affrontato il problema dell’accertamento delle capacità richieste, affidato dall’art. 31 Reg. Consob n. 11522/1998 esclusivamente alla dichiarazione scritta con la quale l’investitore affermava di esserne in possesso8. Dichiarazione spesso sollecitata dall’intermediario al fine di rimuovere dal risparmiatore la natura di contraente “debole” del rapporto e resa operativa con la sottoscrizione di una dichiarazione con la quale il cliente autocertifica la sua specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari.
Un significativo numero di decisioni lasciò intendere che il risalto dato unicamente alla dichiarazione resa dal cliente lo esponeva al rischio di elusione della normativa prevista in suo favore, posto che la dichiarazione avrebbe potuto essere sollecitata, se non addirittura pretesa, dall’intermediario9; sulla falsariga di ciò che è accaduto in ambito consumeristico quando, per escludere l’esercizio dello ius poenitendi, si induceva l’acquirente extra moenia a dichiarare di avere acquistato un bene da impiegare nell’esercizio della propria attività lavorativa.
Per di più proprio l’investitore più sprovveduto e privo di esperienza, purché avente veste di società o di persona giuridica, avrebbe potuto avventuratamente autovalutarsi e proclamarsi operatore qualificato, legittimando l’intermediario a disapplicare la normativa predisposta proprio a tutela di chi non è qualificato10.
Un efficace correttivo fu ritenuto quello di negare che l’intermediario potesse ritenersi autorizzato, sulla scorta dell’autodichiarazione dell’investitore, a disapplicare integralmente lo statuto protettivo previsto per gli operatori non qualificati, soprattutto quando alla dichiarazione autoreferenziale non si aggiungesse un solo fatto a sostegno dell’esattezza o, quanto meno, della plausibilità di quel giudizio11. Per giustificare tale conclusione si puntò l’accento proprio sulla formulazione dell’art. 31, comma 2°, ultima parte del vecchio Regolamento Consob n. 11522/1998, ove si richiedeva – a proposito della persona giuridica – (ai fini della qualificazione di “investitore qualificato”) una “specifica” competenza in materia di operazioni in strumenti finanziari. L’utilizzo dell’aggettivo “specifica” fu ritenuto dai giudici non casuale, bensì decisivo per affermare che la disposizione richiede qualcosa in più di una competenza ed un’esperienza ordinarie, come può essere quella derivante da operazioni di investimento solo occasionali12.
In particolare, il Tribunale di Torino13, occupatosi della dichiarazione scritta proveniente dal legale rappresentante della società o della persona giuridica14, ne ha riconosciuto l’utilità per l’individuazione di un punto di equilibrio tra esigenze di efficienza, flessibilità e fluidità del traffico giuridico ed esigenze di protezione dell’investitore, ma non per produrre l’effetto, per così dire, disapplicativo. A tale ultimo scopo, infatti, il giudicante ha richiesto l’elencazione di fatti (non di opinioni) effettivamente indicativi della competenza e della esperienza asserite. In assenza di questi parametri la dichiarazione si connota come “mera, immotivata, formulazione di un’opinione (implicante, tra l’altro, valutazioni di carattere tecnico giuridico) e non può svolgere la funzione assegnatale (…)”15.
Non sono mancati pronunciamenti altrimenti orientati16 – emblematica è la decisione della Corte d’Appello di Milano17 – che hanno escluso che gli intermediari abbiano l’obbligo di verificare l’effettivo possesso della specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari, ove essa sia stata dichiarata dal legale rappresentante di una società. Il rilascio di tale dichiarazione sarebbe da intendersi come condizione necessaria e sufficiente onde escludere l’applicazione della normativa di protezione18.
L’orientamento dei giudici milanesi era condiviso da quella parte della dottrina che, pur segnalando la problematicità della norma regolamentare, riteneva che la dichiarazione del legale rappresentante dovesse – automaticamente – indurre a reputare la società o un Ente alla stregua di un operatore qualificato, salve le ipotesi in cui all’intermediario fosse imputabile una palese violazione del principio di buona fede19.
E’ chiaro che se tale ragionamento fosse corretto, si dovrebbe inferire che il regolamento Consob aveva individuato due categorie di “operatori qualificati”: la prima costituita da soggetti che sono tali per ragioni obiettive e la seconda comprendente soggetti che diventano tali per autoproclamazione. Ciò non è sfuggito all’attenzione di una parte della giurisprudenza che ha messo in risalto l’incongruenza di tali conclusioni non solo sotto il profilo logico e teleologico – avuto cioè riguardo allo scopo di tutela proprio dell’investitore non qualificato cui dovrebbe presiedere il regolamento Consob – ma anche in considerazione della illegittimità da cui risulterebbe inevitabilmente affetto l’art. 31 del Reg. Consob20.
I termini del ragionamento sono i seguenti: l’art. 6 del Tuf autorizza la Consob a definire diversi standard di comportamento degli intermediari proprio in relazione alla “qualità ed esperienza professionale” dell’investitore; una norma secondaria che, per giustificare l’applicazione di uno statuto protezionistico in favore di operatori non qualificati, istituisse una differenziazione nelle regole di condotta dell’intermediario – fondata non già sulla “qualità ed esperienza professionale”, bensì sul giudizio al riguardo espresso dallo stesso soggetto, le cui qualità dovrebbero essere giudicate – si porrebbe in contrasto con la norma primaria21. Infatti, si verrebbero a creare standard di comportamento degli intermediari che variano sulla scorta di un criterio diverso da quello previsto dalla legge ed in aggiunta arbitrario, quanto all’elemento discretivo individuato, ed elusivo, in relazione allo scopo di tutela perseguito22.
Per completare l’argomentazione va precisato che la dichiarazione resa dall’investitore, anche ove non rispondente a verità, non vale a privarlo del diritto di invocare successivamente l’applicazione della normativa di tutela. Dal punto di vista tecnico giuridico, questo venire contra factum proprium si giustifica con il fatto che la dichiarazione dell’investitore non è un atto di natura confessoria rivolto alla controparte. La confessione verte, infatti, ex art. 2730 cod.civ., su fatti, mentre il riconoscimento che il soggetto faccia della propria qualità, attenendo al profilo valutativo o a quello della qualificazione giuridica, appare estraneo all’oggetto della confessione23.
Il contrasto dei giudizi di merito sommariamente descritto dovrebbe risolversi nel senso indicato, posto che anche la corte di Cassazione, da ultimo24, ha negato che la semplice dichiarazione, sottoscritta dal legale rappresentante, con cui la società riconosce di disporre della competenza ed esperienza richieste in materia di operazioni in valori mobiliari – pur non costituendo dichiarazione confessoria, in quanto volta alla formulazione di un giudizio e non all’affermazione di scienza e verità di un fatto obiettivo – esoneri ex se l’intermediario dall’obbligo di ulteriori verifiche mobiliari sul punto.
Proprio di recente il Tribunale di Milano25 ha sottolineato che il dato letterale della disposizione di cui all’art. 31 del Reg. Consob n. 11522/1998 consente, in presenza di dichiarazione resa da persona avente un ruolo apicale, di esonerare l’intermediario da quelle verifiche non imposte dai dati già noti. In altre parole, l’intermediario che riceve tale dichiarazione può essere considerato esonerato dall’obbligo di ulteriori verifiche sul punto e lo stesso giudice, in assenza di contrarie allegazioni specificamente dedotte e dimostrate dalla parte interessata, può porre la medesima dichiarazione a base della propria decisione, anche come unica e sufficiente fonte di prova in assenza di ulteriori riscontri. In questi termini, osservano i giudici milanesi, grava su chi intenda dedurre la discordanza tra il contenuto della dichiarazione e la situazione reale da tale dichiarazione rappresentata, l’onere di provare circostanze specifiche dalle quali desumere la mancanza dei requisiti. Ragionando in questi termini si osserva che l’investitore per sottrarsi alle conseguenze della dichiarazione resa ai sensi dell’art. 31 del Reg. Consob n. 11522/1998, deve allegare e provare che l’intermediario sapeva o doveva sapere di entrare in contatto con un ente privo della conoscenza necessaria per essere considerato operatore qualificato26.
2. La tripartizione dell’investitore nella MIFID.
Come già detto, attualmente gli investitori sono suddivisi in tre categorie distinte, a ciascuna delle quali corrisponde un diverso livello di protezione che si realizza, in concreto, con una applicazione totale, parziale o nulla delle regole di comportamento poste a carico degli intermediari27. In altri termini, la “qualifica” della controparte esonera l’intermediario dall’applicazione di un’ampia silloge di regole di condotta (norme sulla segnalazione dell’eventuale conflitto di interessi, disciplina delle informazioni tra intermediari e investitori, norme relative alla verifica e alla valutazione circa l’adeguatezza dell’operazione, normativa sulla c.d. best execution, disciplina dell’attestazione degli ordini, delle informazioni sulle operazioni eseguite, nonché sulle rendicontazioni periodiche)28 29.
Tale tripartizione è effetto del recepimento nel nostro ordinamento della direttiva Mifid, la quale sembrerebbe aver legittimato “una draconiana riduzione della tutela degli investitori”30, disponendo la disapplicazione di specifiche regole di tutela31, ed aver indotto il legislatore italiano a passare da un sistema che classificava il cliente in due categorie – l’abrogato regolamento Consob n. 11522/1998 distingueva tra clienti classificati come “operatori qualificati” ed ogni altro cliente (investitore non qualificato) – a quello attuale che si fonda, invece, sulla ricordata tripartizione che allo stato pare la più idonea a tener conto del diverso profilo degli investitori32.
Secondo l’art. 58 del nuovo Regolamento Consob n. 16190/2007 devono definirsi qualificati innanzitutto i soggetti individuati dal legislatore nel Tuf all’art. 6, comma 2°quater, lettera d), numeri 1), 2), 3), e 5). Si tratta, in particolare, di imprese di investimento, banche, imprese di assicurazione, società di gestione del risparmio, organismi di investimento collettivo, fondi pensione, imprese iscritte negli elenchi di cui agli artt. 107, 107 e 113 del Tuf, fondazioni bancarie, governi nazionali, banche centrali, organizzazioni pubbliche sovranazionali33.
Differente è la posizione del cliente professionale che, ex art. 26 lett. d) del Regolamento n. 16190/2007, è colui che possiede – secondo un’astratta valutazione – l’esperienza, le conoscenze e la competenza necessarie per prendere le proprie decisioni in materia di investimenti e per valutare correttamente i rischi che assume. In tale categoria rientrano le persone fisiche e giuridiche che soddisfano requisiti quali frequenza e dimensione delle operazioni poste in essere, entità del portafoglio e professione svolta. Nell’allegato 3 del Regolamento sono contenuti ulteriori elementi di specificazione per cui i clienti professionali sono identificati in coloro che devono essere autorizzati o regolamentati per operare nei mercati finanziari (banche, imprese di investimento, istituti finanziari autorizzati, imprese di assicurazione).
Nei confronti di chi è qualificato come “cliente professionale” non è possibile non fare applicazione di una serie di prescrizioni rilevanti, concernenti: (i) informazioni sull’impresa di investimento e i suoi servizi destinate ai clienti al dettaglio e ai potenziali clienti al dettaglio; (ii) informazioni sugli strumenti finanziari, (iii) requisiti di informazione concernenti la salvaguardia degli strumenti finanziari o dei fondi della clientela. Si applicano, invece, in ogni caso, le regole concernenti i requisiti generali delle informazioni e le informazioni riguardanti la classificazione dei clienti (artt. 27 e 35 del nuovo Regolamento Intermediari).
Per i clienti professionali opera una generale presunzione secondo cui essi sono ritenuti in grado di individuare in via autonoma le informazioni utili per assumere consapevoli scelte di investimento. Infatti gli artt. 40, comma 2°, e 42, comma 2°, Reg. n. 16190/2007 prevedono che quando il servizio sia prestato nei confronti di clienti professionali, l’impresa di investimento possa presumere che il loro livello di conoscenze del cliente sia adeguato per assumere consapevoli decisioni di investimento34.
La terza categoria, individuata in via residuale dall’art. 26 lett. e) del nuovo Regolamento Intermediari, è composta dai clienti al dettaglio (retail) ovvero quei soggetti cui l’ordinamento riconosce un maggiore bisogno di protezione che si realizza con un articolato ed analitico obbligo di informazione da parte dell’intermediario. Si tratta dei risparmiatori e di tutti gli investitori che solo accidentalmente operano nel mercato degli strumenti finanziari. Oltre alle informazioni previste per il cliente professionale, gli intermediari dovranno loro fornire informazioni analitiche (art. 28 Regolamento intermediari), sia sull’intermediario che fornisce il servizio (art. 29), sia in ordine alle modalità di salvaguardia degli strumenti finanziari e delle somme di denaro della clientela (art. 30). Si applicano inoltre la regola generale di “contratto quadro” redatto per iscritto per fornire tutti i servizi di investimento diversi dalla consulenza in materia di investimenti nonché la disciplina specifica dei contratti relativi alla gestione di portafogli (artt. 37 e 38 Reg. Consob n. 16190/2007).
Con riguardo alle altre regole di condotta, si procede ad una graduazione in considerazione della tipologia del servizio di investimento. Ci si riferisce, in particolare, al parametro dell’adeguatezza per i servizi di gestione di portafogli e di consulenza in materia di investimenti (artt. 39 e 40 del Regolamento n. 16190/2007), dell’appropriatezza per gli altri servizi (artt. 41 e 42 Regolamento n. 16190/2007) e al c.d. execution only in ordine ai servizi di negoziazione e ricezione degli ordini.
In particolare, per quanto riguarda il cliente al dettaglio, l’intermediario dovrà procedere all’acquisizione di tutta una serie di informazioni in ordine alla sua conoscenza ed esperienza, alla sua situazione finanziaria e agli obiettivi di investimento, al fine di procedere alle verifiche di adeguatezza ed appropriatezza; ancora l’intermediario dovrà eseguire gli ordini del cliente retail adottando tutte le misure ragionevoli al fine di ottenere il miglior risultato possibile (best execution)35.
La collocazione dell’investitore in una categoria non avviene una tantum ed in via definitiva; al contrario, il sistema di “classificazione” è connotato da ampia mobilità in senso verticale, verso l’alto e verso il basso36, su istanza dell’interessato o su impulso dell’intermediario37. Ad esempio i clienti professionali possono richiedere un trattamento non professionale (downgrading), così come le imprese di investimento possono decidere di fornire loro un livello più elevato di protezione.
La attenuazione della protezione rende necessario, in assenza di un accordo diverso, che l’intermediario informi, prima di qualunque prestazione di servizi, il cliente in merito al fatto che, sulla base delle informazioni di cui l’impresa dispone, egli verrà considerato un cliente professionale. E’ invece onere del cliente professionale chiedere un livello più elevato di protezione là dove, contrariamente al suo inquadramento formale ed astratto, ritenga di non essere in grado di valutare o di gestire correttamente ed in concreto i rischi assunti.
Anche il c.d. cliente retail può chiedere all’impresa di investimento di beneficiare di un trattamento diverso rispetto a quello che gli spetterebbe in ragione della propria condizione di soggetto non qualificato: si tratta del cliente professionale su richiesta (upgrading).
E’ evidente che la richiesta del cliente non è sufficiente: il Regolamento Consob n. 16190/2007 prevede espressamente, all’All. 3, parte II, che i clienti non professionali possano essere trattati come clienti professionali allorquando, dopo una valutazione adeguata della loro competenza, dell’esperienza e delle loro conoscenze, l’intermediario ragionevolmente ritenga – tenuto conto della natura delle operazioni e dei servizi prestati – che siano in grado di adottare consapevolmente le proprie decisioni in materia di investimenti, comprendendone i relativi rischi.
Per garantire che non si pongano in essere manovre elusive, l’Allegato 3 al Reg. Consob n. 16190/2007 si preoccupa di definire nel dettaglio la procedura, piuttosto articolata, con cui i clienti retail possono rinunciare allo statuto protettivo loro riservato. Il primo dato che risalta dalla lettura dell’articolato è, oltre all’insufficienza della dichiarazione del cliente, la non arbitraria valutazione da parte dell’intermediario 38. La procedura prevede, infatti, che i clienti, attraverso una dichiarazione scritta, manifestino all’impresa di investimento la volontà di essere trattati come clienti professionali, a titolo generale o rispetto ad un particolare servizio o operazione di investimento o tipo di operazione o di prodotto, rinunciando al regime di maggior favore (dal punto di vista strutturale si tratta di una rinunzia unilaterale abdicativa39). L’impresa di investimento li renderà edotti chiaramente e per iscritto in ordine alle protezioni ed ai diritti di indennizzo che potrebbero perdere; se la volontà rinunciativa resiste i clienti dichiareranno per iscritto, in un documento separato dal contratto, di essere a conoscenza delle conseguenze derivanti dalla perdita di tali protezioni40.
Il regime esentivo troverà applicazione solo se l’intermediario sarà in grado di accertare effettivamente41, con riguardo ai clienti privati, la sussistenza di almeno due dei seguenti requisiti: a) che il cliente abbia svolto operazioni di dimensioni significative sul mercato di riferimento con una frequenza media di dieci operazioni al trimestre nei quattro trimestri precedenti42; b) che il valore del portafoglio di strumenti finanziari del cliente, inclusi i depositi in contante e gli strumenti finanziari, superi 500.000 Euro; c) che il cliente lavori o abbia lavorato nel settore finanziario per almeno un anno, in una posizione che presuppone la conoscenza delle operazioni o dei servizi prestati.
Qualche perplessità ha destato in dottrina43, ai fini dell’attribuzione della qualifica di cliente professionale su richiesta, la previsione di una frequenza media delle operazioni ascrivibili al richiedente. Correttamente si è osservato che “tale requisito, avuto riguardo alla gestione collettiva, appare di dubbia riferibilità, non essendo chiarito nella normativa se l’intermediario, all’uopo interessato, debba verificare detta frequenza operativa con riferimento alla tipologia del fondo che il cliente sta per sottoscrivere ovvero agli strumenti nei quali il fondo stesso investe (in base alla propria politica gestionale)”44. Obiettivamente, l’interpretazione restrittiva della disposizione ne renderebbe estremamente difficile l’applicazione, risultando assai rari i casi in cui un cliente dia corso in un tempo tanto ristretto ad un numero così elevato di operazioni.
3. L’evoluzione giurisprudenziale più recente ed il superamento della problematica connessa alla nozione di operatore qualificato.
L’orientamento giurisprudenziale più recente in materia di derivati sembra superare il problema posto dall’art. 31 del precedente Regolamento Consob. Osservano i giudici che la “patente” di operatore qualificato non fa venir meno ogni tutela ai sensi della normativa di settore quando si ha a che fare con un intermediario, cioè con il soggetto giuridico che istituzionalmente e per eccellenza si occupa in via professionale di immettere nel circuito commerciale prodotti finanziari della tipologia più disparata (anche privi di mercato)45. Diversamente si avrebbe la paradossale conseguenza per cui, il semplice fatto di essere operatore qualificato legittimerebbe un regime deteriore del cliente dell’intermediario rispetto a quello emergente dalla teoria generale dei contratti, ove opera il principio di buona fede nella stipula e nell’esecuzione del contratto previsto in via generale dall’art. 1173 cod.civ. e sotto il profilo degli obblighi integrativi, dagli artt. 1374 e 1375 cod.civ., anche in un contesto di protezione degli interessi della controparte46. Se dunque l’art. 31, comma 1°, prevede espressamente la non cogenza applicativa degli artt. 27, 28 e 29 del Regolamento Intermediari n. 11522/1998, resta confermata l’applicazione dell’art. 26 del Regolamento e dell’art. 21 del Tuf. Ne consegue che anche nei rapporti intrattenuti con operatori qualificati l’intermediario deve rispettare i principi fondamentali stabiliti dall’art. 21 del Tuf e deve quindi comportarsi con diligenza, correttezza e trasparenza, per servire al meglio l’interesse del cliente.
Una decisione del Tribunale di Lecce47 ha sottolineato che la logica “antagonista” del contratto di scambio deve cedere il posto alla cooperazione nell’interesse altrui, regola questa immanente alla prestazione di un servizio riservato soltanto ai soggetti abilitati.
Dunque a prescindere dalla qualifica del cliente l’intermediario è comunque destinatario di precetti comportamentali che hanno carattere imperativo e che sono dettati non solo nell’interesse del singolo contraente di volta in volta implicato, ma anche nell’interesse generale all’integrità dei mercati e si impongono inderogabilmente alla volontà dei contraenti. Tutto ciò consente al giudice, pur in presenza dell’autodichiarazione, di mettere in discussione l’operazione contrattuale. Così ragionando pare corretta la posizione della giurisprudenza che ha ritenuto rovinosa, insensata e sbilanciata a tutto vantaggio dell’intermediario l’operazione in derivati che presenti costi di transazione talmente elevati da assorbire eventuali guadagni del cliente in caso di andamento lui favorevole del mercato48.
La violazione delle regole di informazione legittima l’applicazione dei principi generali in tema di inadempimento. Si tratta di una posizione che ha trovato conferma nella decisione delle Sezioni Unite49. Per i giudici di legittimità, le conseguenze per la violazione dei doveri di informazione dell’intermediario – riguardanti la fase successiva alla stipulazione del contratto d’intermediazione – assumono i connotati di un vero e proprio inadempimento (o non esatto adempimento) contrattuale50.
Quei doveri, pur essendo di fonte legale, derivano da norme inderogabili e sono quindi destinati ad integrare a tutti gli effetti il regolamento negoziale vigente tra le parti. Ne consegue che l’eventuale loro violazione, oltre a generare eventuali obblighi risarcitori in forza dei principi generali sull’inadempimento contrattuale, può, ove ricorrano gli estremi di gravità postulati dall’art. 1455 cod. civ., condurre anche alla risoluzione del contratto d’intermediazione finanziaria in corso51.
Così si esclude che l’imperatività della normativa di settore possa comportare la nullità contrattuale ex art. 1418 cod. civ. “in quanto la tutela degli obblighi di informazione e di trasparenza è affidata ad una prestazione strutturalmente caratterizzata da obblighi di comportamento che si collocano in tutte le fasi contrattuali e la cui violazione comporta inadempimento contrattuale”52. In questa prospettiva il Giudice, nell’esaminare i comportamenti tenuti dagli intermediari nelle singole fattispecie, potrà e dovrà valutare l’importanza dell’inadempimento allegato dall’investitore, sia ai fini della condanna al risarcimento dei danni, sia ai fini della eventuale risoluzione del contratto.
Quando le violazioni commesse risulteranno di gravità tale da compromettere del tutto l’equilibrio del rapporto negoziale53, l’intermediario sarà chiamato a risponderne. Ciò avrà il duplice convergente effetto, in via tipica, di concorrere alla razionalità del mercato, sanzionando gli operatori irrazionali, e di espellere dal mercato gli operatori infedeli54. Si tratta – proseguono i giudici – di risoluzione che, quoad effectum, si risolve, al pari della nullità, per la sua efficacia retroattiva, nell’obbligo restitutorio del capitale investito.
In questo modo si riconduce la sanzione dello scioglimento del vincolo contrattuale ad una regola di proporzionalità in virtù della quale “la risoluzione del vincolo contrattuale è legislativamente collegata all’inadempimento di obbligazioni che abbiano notevole rilevanza nell’economia del rapporto, avuto riguardo sia all’esigenza di mantenere l’equilibrio fra prestazioni di uguale importanza nei contratti con prestazioni corrispettive, sia all’interesse dell’altra parte che non deve essere inteso in senso subiettivo, in relazione alla stima che il creditore abbia potuto fare del proprio interesse violato, quanto in senso obiettivo, in relazione all’attitudine dell’inadempimento a turbare l’equilibrio contrattuale e a reagire sulla causa del contratto, e perciò sul comune intento negoziale”55.
Resta naturalmente da comprendere quale sia l’inadempimento idoneo – per la sua gravità – a determinare la risoluzione del contratto ex art. 1455 cod. civ.56.
Si tratta, in altri termini, di individuare i criteri capaci di attribuire contenuto alla formula “non scarsa importanza” definita da autorevole dottrina “prolissa e fumosa, quando non parolaia e tautologica”57. Il compito non è agevole, posto che i risultati raggiunti ad oggi rischiano di rivelarsi deludenti58, ciò specialmente “per la tendenza, quasi irresistibile specie nelle pronunzie giurisprudenziali, di costruire parametri complessi”59 e difficilmente accessibili. A tal proposito è stato osservato che, pur nella diversità delle espressioni letterali, la giurisprudenza utilizza formule volutamente compromissorie, fondate sul contestuale impiego di criteri, oggettivi e soggettivi, spesso surrettiziamente conciliati attraverso il ricorso alla buona fede60.
Il dato non è di poco conto giacché, come si è già accennato, se l’inadempimento non è grave non v’è risoluzione, ma soltanto risarcimento. Sul piano concreto, poi, la risoluzione produce gli effetti restitutori delle prestazioni originarie, mentre il risarcimento si limita ad imporre al debitore di ristorare il nocumento subito dal creditore.
In linea generale pare abbastanza evidente come, nella materia in esame, non sia possibile stabilire ex ante quali siano le ipotesi utili a giustificare la risoluzione del contratto attesa la peculiarità di ciascuna specifica operazione. Occorrerà, pertanto, che il giudice verifichi di volta in volta la gravità della violazione considerando la peculiarità della contrattazione e la tipologia dell’interlocutore dell’intermediario.
Nella disciplina dell’intermediazione finanziaria l’importanza dell’inadempimento deve giudicarsi tenendo presente le caratteristiche del caso concreto. Solo dopo aver verificato ciò che costituisce adempimento all’interno del concreto assetto di interessi previsto dal contratto potrà stabilirsi la “gravità” dell’inadempimento61. Questo conduce, inevitabilmente, ad una valutazione di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice del merito e, come tale, insindacabile in sede di legittimità62.
Restano, comunque, sul piano operativo le non poche difficoltà di una obiettiva valutazione della gravità dell’inadempimento63; tuttavia, tale soluzione è preferita da chi ritiene che una diversa soluzione possa condurre alla paradossale conclusione per cui l’inosservanza di qualsivoglia statuizione della normativa emanata dalla Consob dia luogo a nullità, stante la sua diretta derivazione dall’art. 6 TUF. Diversamente, la possibilità del ricorso al rimedio solutorio ex art. 1453 cod. civ. si basa su un giudizio che tiene conto della gravità dell’inadempimento e, quindi, della sua effettiva incidenza sul rapporto contrattuale.64
1 Sul punto sia consentito il richiamo a F. Greco, Informazione pre-contrattuale e rimedi nella disciplina dell’intermediazione finanziaria, Giuffrè, 2010, 11 ss.
2 Su cui cfr. Bastianon, L’integrazione dei mercati finanziariin Europa: la MiFID e la recente normativa italiana di recepimento, in Dir. un. eur., 2008, 255 ss.
Per indicazioni sulla modalità di recepimento della direttiva Mifid in Spagna (ley 19.12.2007, n. 47) cfr. Di Sarli, in Riv. soc., 2008, 626; v. Angelillis per il recepimento della direttiva in Belgio, Ib., 695; Beltrami, per l’attuazione nell’ordinamento tedesco (Finanzmarkt-Richtlinie-Umsetzungsgesetz) in Riv. soc., 2007, 1183; Annunziata, Recepita in Italia la Direttiva Mifid, ibidem, 1429.
3 Civale, La classificazione della clientela, in MIFID – La nuova disciplina dei mercati e strumenti finanziari, a cura di Zitiello, Ita, 2007, 303; Bruno-Rozzi, Il destino dell’operatore qualificatonell’ordinamento domestico alla luce della disciplina della Markets in financial instruments directive (Mifid), in Società, 2007, 561.
4 Già segnalata dalla Consob nella bozza di riforma del Regolamento n. 11522/1998 – “Documento di consultazione del 4.8.2003, che si ispirava al documento del CESR (Commitee of European Securities Regulator) denominato “A European regime of investor protection – The professional and the counteparty regimes”, in www.consob.it – che proprio per questo si era proposto di modificare in modo da prevedere che l’investitore per essere considerato un soggetto non meritevole di particolare protezione dovesse documentare il possesso di particolari requisiti.
5 Sul punto v. Lemma, L’operatore qualificato nelle operazioni in derivati, in Banca, borsa, tit.cred., 2008, 1, 76.
6 Bessone, I mercati mobiliari, Giuffrè, 2002, 69.
7 Così Tommasini, La nozione di “operatore qualificato” tra requisiti obiettivi e dichiarazioni autoreferenziali, in Riv.dir.civ., 2008, I, 313.
Sul punto v. anche la Comunicazione Consob del 13.6.1996, n. 96005724, in Boll. Consob, 1996, 6, 60, secondo cui all’interno della grande categoria del pubblico (per tale intendendosi la generalità indistinta di tutti i fruitori dei servizi di intermediazione, siano essi o meno contraenti esperti) vi è una sottocategoria costituita dagli operatori qualificati, nei confronti dei quali è possibile considerare non applicabili tutta una serie di disposizioni normative e segnatamente quelle dirette a riequilibrare la posizione di forza dell’intermediario.
8 Sul punto v. Bruno-Rozzi, Il destino dell’operatore qualificato nell’ordinamento domestico alla luce della disciplina della Markets in financial instruments directive (Mifid), cit., 587; Ruggeri, L’operatore qualificato con particolare riguardo ai contratti di swap, in questa Rivista, 2006, I, 403.
9 V. Trib. Vicenza, 12.2.2008, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, II, 203 con nota di Tatozzi, La nozione di “operatore qualificato tra vecchie incertezze interpretative e nuovi assetti normativi; Trib. Torino, 18.9.2007, in questa Rivista, 2008, I, 339; Trib. Novara, 18.1.2007, in Mondo bancario, 2007, 33; Trib. Milano, 3.4.2004, in Giur. comm., 2005, II, 36.
In dottrina v. Salatino, Contratti di swap. Dall’ “operatore qualificato” al “cliente professionale”: il tramonto delle dichiarazioni “autoreferenziali”, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, 203; Perrone, Obblighi di informazione, suitability e conflitti di interesse: un’analisi critica degli orientamenti giurisprudenziali e un confronto con la nuova disciplina Mifid, in I soldi degli altri. Servizi di investimento e regole di comportamento degli intermediari, a cura di, Perrone, Giuffrè, 2008, 11. In argomento v. anche Dolmetta-Minneci, voce «Borsa (contratti di)», in Enc. del dir., Agg., Giuffrè, V, 2001, 173 ove si sottolinea il rischio dello svuotamento del canone della trasparenza ove non si fosse dato corso a una interpretazione letterale del disposto dell’art. 31, comma 2°.
10 In questa direzione Cass., 26.5.2009, n. 12138 in www.ilcaso.it; Trib. Novara, 18.1.2007, cit.
11 Trib. Novara, 18.1.2007, cit.
Per De Nova, La responsabilità dell’operatore finanziario per esercizio di attività pericolosa, in Contratti, 2005, 711, non basta la mera dichiarazione del legale rappresentante della società ad escludere la normativa di tutela, ma occorre che la dichiarazione corrisponda ad una specifica competenza ed esperienza. Nella stessa direzione v. Sangiovanni, Contratto di swap e nozione di operatore qualificato, ivi, 2007, 1093 ss., il quale sottolinea che l’espressa dichiarazione per iscritto del legale rappresentante non è idonea ad attribuire lo status di operatore qualificato.
12 In dottrina v., in argomento, v. Costi-Enriques, Il mercato mobiliare, in Trattato di dir.comm., diretto da Cottino, Cedam, 2004, 330.
13 Trib.Torino, 18.9.2007, in questa Rivista, 2008, I, 339. Anche il Tribunale di Forlì con decisione del 12.9.2008 in www.ilcaso.it ha affermato che l’intermediario non è esentato dall’adempiere ai propri obblighi informativi per il sol fatto che l’investitore, sottoscrivendo la modulistica, ha dichiarato di possedere alte caratteristiche. Tale dichiarazione deve, infatti essere corroborata da elementi di obiettivo e positivo riscontro e non è di per sé sola sufficiente ad esonerare l’intermediario dal rispetto dei doveri di informazione e di protezione dell’investitore.
14 Sul punto v. Chionna, L’accertamento della natura di “operatore qualificato” rispetto ad una società, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, 1, 36.
15 Per Lemma, L’operatore qualificato, op.cit., 77, non può essere invocato il principio dell’autoresponsabilità al sol fine di rinvenire una qualche giustificazione ad un comportamento contrattuale che dà luogo ad un sostanziale aggiramento della normativa speciale.
16 Trib. Vicenza, 17.8.2007; Trib. Milano, 20.7.2007 in www.ilsole 24ore.com, ove è stato operato un parallelismo tra la sottoscrizione della dichiarazione ex art. 31, comma 2°, Reg. n. 11522/1998 e l’adesione del consumatore alle clausole vessatorie oggetto di trattativa individuale. Si legge nella decisione che nel caso di trattativa individuale delle clausole vessatorie, la tutela apprestata dal legislatore in favore del contraente debole non sarebbe dissimile da quella apprestata in favore della società il cui legale rappresentante abbia dichiarato il possesso della specifica competenza ed esperienza, legando cioè ad una specifica adesione, che normalmente risulterà da una separata o congiunta sottoscrizione, la deroga ad una regola generale di condotta.
17 App. Milano, 12.10.2007, in Corr. giur., 2008, 1747.
18 Si è in parte discostato dall’orientamento della Corte d’Appello di Milano, Trib. Milano, 15.10.2008, in www.ilcaso.it, che, “pur non condividendo l’interpretazione più formalistica data alla norma in esame (dalla Corte di App. Milano, 12.10.2007, cit.), non ritiene neanche che l’intermediario debba procedere a penetranti verifiche sulla sussistenza della specifica competenza ed esperienza nel settore finanziario in capo al soggetto dichiarante, prima di considerare la società/persona giuridica dichiarante come operatore qualificato. Va puntualizzato che, nel rispetto letterale della formulazione della norma, l’oggetto della dichiarazione è la specifica competenza ed esperienza in materia di operazioni in strumenti finanziari della società/persona giuridica cui è riferibile la dichiarazione stessa e non della persona fisica che la rappresenta in quel momento. Dunque sussisterà la competenza ed esperienza se la società/persona giuridica dichiarante ha già posto in essere ripetutamente operazioni finanziarie di una certa complessità, se nella sua organizzazione esiste una figura di riferimento responsabile delle operazioni finanziarie e così via; la specifica competenza ed esperienza del suo amministratore può, comunque, costituire un elemento che consente all’intermediario di individuare nella dichiarante le caratteristiche richieste dalla norma.
In una decisione precedente il Trib.Milano, (ord.), 3.4.2004, in Banca, borsa, tit. cred., 2005, II, 36 con nota di Chionna, L’accertamento della natura di “operatore qualificato”, cit., 38, aveva attribuito all’investitore lo status di “operatore qualificato”, facendo riferimento a dei requisiti oggettivo-dimensionali, menzionati in un progetto di riforma dell’art. 31, diffuso dalla Consob. Si trattava della bozza di riforma del Regolamento n. 11522/1998 cit.
19 Cfr. Ambrosini,La responsabilità della banca prima e dopo la direttiva Mifid, tra profili di invalidità e rimedi risarcitori, in Banche, consumatori e tutela del risparmio, a cura diAmbrosini-Demarchi,Giuffrè, 2009, 91; Sartori, Gli swap, i clienti corporate e la nozione di operatore qualificato, in questa Rivista, 2005; Chionna, op. cit., 38 ss.
20 App. Milano, 12.10.2007, cit. Nella stessa direzione, in dottrina v. Tommasini, op.cit., 321, per il quale si tratterebbe di una soluzione poco convincente in quanto perde di vista quel nucleo di regole di comportamento che caratterizza i rapporti degli intermediari con tutti gli investitori, a prescindere dalla tipologia di questi ultimi, e che finisce per imporre agli intermediari anche una verifica della corrispondenza alla realtà della dichiarazione resa dal legale rappresentante dell’ente, e in ultima analisi, ad attribuire rilievo all’eventuale sua difformità.
21 In questa direzione v. Perrone, op. cit., 11.
22 Così Trib. Novara, 18.1.2007, cit., per il quale è da escludersi il riconoscimento di giuridica efficacia alla dichiarazione di “operatore qualificato” resa dal legale rappresentante di società siccome non corroborata da un concreto ed obiettivo riscontro all’autoproclamata competenza ed esperienza in operazioni in strumenti finanziari.
23 Sangiovanni, op. cit., 1093 ss., il quale sottolinea che, alla luce del tenore letterale dell’art. 31 comma 2°, Reg. Consob n. 11522/1998, bisogna prendere atto che, attesa l’assenza di precisi parametri di riferimento, il possesso di conoscenze ed esperienze – laddove meramente dichiarato dal rappresentante legale – cessa di essere un fatto accertabile e provabile, per scadere a semplice opinione. Sulla distinzione tra fatto e opinione v. Id., Die Ad-hoc-Publizitat im deutschen italienischen Recht, Frankfurt am Main, 2003, 47 ss.
24 Cass., 26.5.2009, n. 12138, cit.
25 Trib. Milano, 19.4.2011, in www.ilcaso.it
26 Trib. Lecce, 9.5.2011 in www.ilcaso.it.
27 M. Barcellona, Mercato mobiliare e tutela del risparmio, Giuffrè, 2009, 125; Lucantoni, La responsabilità contrattuale dell’intermediario per la gestione del portafoglio di investimento in difformità al benchmark indicato dal cliente: l’impatto del recepimento della direttiva Mifid, nota a Trib. Biella, 5.4.2007, in Banca, borsa, tit. cred., 2009, 84; Frumento, Le informazioni fornite ai clienti, in Mifid, in La nuova disciplina dei mercati, servizi e strumenti finanziari, a cura di Zitiello, Ita, 2007, 175 ss; Salatino, op. cit., 216.
28 M. Barcellona, Mercato mobiliare, cit., 126.
29 M. Barcellona, op. cit., 126.
30 Durante, Con il nuovo regolamento intermediari, regole di condotta “flessibili” per la prestazione di servizi di investimento, in Giur. mer., 2008, 3, 633. L’argomento è affrontato anche da Costi, La direttiva 2004/39/CE (c.d. Mifid) e l’ordinamento italiano, in Scambi su merci e derivati su commodities. Quali prospettive, a cura di Lamandini-Motti, Giuffrè, 2006, 30 ss.
31 Ai sensi dell’art. 24, comma 1°, dir. Mifid, “gli Stati membri assicurano che le imprese di investimento autorizzate ad eseguire ordini per conto dei clienti e/o a negoziare per conto proprio e/o a ricevere e trasmettere ordini possano determinare o concludere operazioni con controparti qualificate (…) senza conformarsi agli obblighi previsti agli artt. 19, 21 e 22, par. 1, rispetto a tali operazioni o a qualsiasi servizio accessorio ad esse direttamente connesso”.
32 Cfr. Bruno-Rozzi, Il destino dell’operatore qualificato nell’ordinamento domestico alla luce della disciplina della Markets in financial instruments directive (Mifid), in Società, 2007, 561; Benassi, La qualificazione del direttore di banca come investitore professionale, in Banche, consumatori e tutela del risparmio, cit., 196.
33 Vi rientrano anche le imprese la cui principale attività consista nel negoziare in conto proprio nei mercati di strumenti finanziari derivati, oltre che diversi altri soggetti di diritto privato (tassativamente individuati) che, quando agiscono come investitori, sono considerati dall’ordinamento per definizione non abbisognevoli di una particolare forma di tutela. Sono qualificate controparti qualificate anche differenti categorie di clienti individuate dalla Consob, ex art. 6, comma 2°quater, lett. d), numero 4 del Tuf, nell’allegato n. 3, parte 1, punti 1 e 2 del nuovo Regolamento Intermediari.
34 Fiorio, La non adeguatezza delle operazioni di investimento tra nuova e vecchia disciplina., in Banche, consumatori e tutela del risparmio, cit., 168.
35 Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, cit., 137.
36 Sul punto v. Annunziata, La disciplina del mercato mobiliare, cit., 150.
37 Capriglione, La disciplina del mercato mobiliare, in Intermediari finanziari investitori mercati, Cedam, 2008, 158.
38 Sul punto v. Inzitari-Piccinini, La tutela del cliente nella negoziazione di strumenti finanziari, Cedam, 2008, 110, che asseriscono come sia “scomparso ogni riferimento a qualsivoglia dichiarazione da parte del legale rappresentante della società; cui adde Inzitari, Contratti derivati e dichiarazione di operatore qualificato, in Banche, consumatori e tutela del risparmio, cit., 262 ss.
39 Durante, Intermediari finanziari e tutela dei risparmiatori, cit., 97.
In generale sulla rinuncia con cui il titolare dismette una situazione attualmente presente nella sua sfera giuridico –patrimoniale e per sé favorevole senza trasferirla ad altri cfr. Montecchiari, I negozi unilaterali a contenuto negativo, Giuffrè, 1996, 127 ss.
40 Sul punto v. Sesta, La dichiarazione dei operatore qualificato ex art. 31 Reg. Consob n. 11522/1998 tra obblighi dell’intermediario ed auto responsabilità del dichiarante, in Corr. giur., 2008, 1747 ss., ove si sottolinea che il nuovo Regolamento Intermediari, in attuazione della Mifid, ha ampliato le tutele sostanziali e procedimentali a beneficio dei clienti professionali su richiesta, attraverso la drastica limitazione della loro facoltà di dichiararsi tali. Per l’A. è ben chiara, attualmente, la sussistenza dell’obbligo dell’intermediario di valutare il cliente e le sue competenze, in mancanza delle quali la disapplicazione delle regole previste per i clienti non professionali non è consentita; quindi, se attuata impropriamente, detta disapplicazione configura inadempimento dell’intermediario, cui non gioverà in alcun modo la mera richiesta del cliente. Anzi, in detta ipotesi, l’intermediario, conclusa negativamente l’indagine relativa all’effettiva sussistenza dei presupposti di cui all’Allegato 3 del Regolamento Intermediari, dovrà senz’altro respingere la richiesta del cliente.
41 Così Salatino, op. cit., 217. Per l’A. “la dichiarazione del cliente non è più sufficiente ai fini dell’attribuzione della qualifica professionale richiesta. La dichiarazione alla stregua della nuova disciplina, rappresenta solamente il primo atto di un procedimento di valutazione della competenza del cliente che è interamente a carico dell’intermediario. In questo modo dovrebbe finalmente essere ridimensionato il rischio tra quanto attestato e quanto è reale.” Sul punto v. anche Sartori, Autodeterminazione e formazione eteronoma del regolamento negoziale. Il problema dell’effettività delle regole di condotta, in Riv. dir. priv., 3, 2009. Per quest’ultimo A. si è scelta apertamente la strada etero determinata dell’effettività della conoscenza, soppiantando definitivamente il principio dell’autoresponsabilità che giustificava la rilevanza giuridico-sociale della dichiarazione.
42 Per Proietto, La nozione di operatore qualificato tra vecchia e nuova disciplina, in Contratti, 2008, 1156 ss., la normativa in esame contiene alcune espressioni di significato intuitivo, ma non preciso (cfr. operazioni di dimensioni significative), il cui reale contenuto dovrà essere identificato dal diritto vivente.
43 Per Capriglione, La disciplina del mercato mobiliare, cit., 158, sussistono difficoltà a riscontrare, ai fini della qualifica professionale su richiesta, la prevista frequenza media delle operazioni ascrivi.
44 Capriglione, op. cit., 158.
45 Così il Trib. Milano, 19.4.2011, in www.ilcaso.it.
46 Così il Trib. Milano, 19.4.2011, cit.
47 Trib. Lecce, 9.5.2011, in www.ilcaso.it.
48 Trib.Lecce, 9.5.2011, cit.
49 Cass., sez. un., 19.12.2007, n. 26725 in www.ilcaso.it. Per un approfondimento v. F. Greco, Informazione pre-contrattuale e rimedi, cit., 79 ss. e la bibliografia richiamata. Nella stessa direzione v. Trib. Milano, 14.2.2009, in Contratti, 5, 2009, 437 ss. con nota di Romeo, Il conflitto di interessi nei contratti di intermediazione.
50 Per M. Barcellona, Mercato mobiliare, cit., 43 s., l’inadempimento va riferito al contratto quadro e non, invece, ai singoli contratti di investimento in base ad esso conclusi, con la conseguenza che la risoluzione potrà investire solo il primo e non anche i secondi. L’A. (nt. 19) ritiene incomprensibili le decisioni dei giudici di merito che sembrano voler estendere l’effetto risolutorio ai singoli contratti di investimento.
51 Per Toschi Vespasiani, op. ult. cit., in caso di violazione delle norme “comportamentali”, può essere configurata soltanto una responsabilità per inadempimento, a carico dell’intermediario, con conseguente diritto dell’investitore a ricevere il ristoro del pregiudizio patrimoniale subito in dipendenza dell’acquisto dei valori mobiliari, rimanendo a carico dell’intermediario inadempiente il rischio dell’esito negativo dell’investimento. Da altro punto di vista, il comportamento contra legem potrà dare causa ad una risoluzione del contratto quadro e della singola negoziazione avvenuta in modo illegittimo, dovendosi escludere una indiscriminata caducazione a cascata di tutti gli acquisti. Sul punto v. anche Panzini, Violazione dei doveri di informazione da parte degli intermediari finanziari, cit., 998 ss. Per l’A. i singoli contratti successivi al contratto di base, pur essendo accordi distinti ed ulteriori, ne rappresentano comunque la fase esecutiva, in modo che il comportamento contrario al dovere di informazione posto in essere da parte dell’intermediario, nonostante sia precedente alla conclusione dei singoli atti, viene ad essere qualificato come inadempimento degli obblighi nascenti dal contratto quadro. Albanese, Regole di condotta e regole di validità nell’attività di intermediazione finanziaria: quale tutela per gli investitori delusi?, in Corr. giur., 1, 2008, 107 ss. Osserva che al di fuori delle ipotesi in cui l’operazione sia stata concretamente compiuta in conflitto di interessi o comunque configuri una mala gestio nell’esecuzione dell’incarico, le violazioni e le omissioni degli intermediari generano soltanto una responsabilità per i danni subiti dagli investitori, i quali a causa di tale condotta omissiva o reticente hanno concluso un contratto pregiudizievole, che però resta valido ed efficace.
52 Il passo è ripreso testualmente da Inzitari-Piccinini, La tutela del cliente, cit., 162.
53 Va segnalata, a tutt’oggi, una grande confusione della giurisprudenza di merito. In una decisione del Trib. Lecce, 31.1.2008 (ined.), il Collegio non condivide la tesi attorea che vuol configurare “l’obbligo di informazione ex art. 21 TUF come un’obbligazione contrattuale che presiede non già solo la fase precontrattuale e genetica del rapporto negoziale, ma che incide piuttosto sulle modalità esecutive del regolamento contrattuale, imponendo ad un contraente un obbligo di informazione per tutta la durata del rapporto. Tale configurazione, infatti, non trova giustificazione nella legge, nella misura in cui esula dal generico dovere di correttezza ex art. 1375 c.c. cui la condotta delle parti deve ispirarsi”. La decisione omette di richiamare l’elencazione dei doveri di informazione contenuti nella regolamentazione secondaria che attua ed esplica il contenuto dell’art. 21 TUF.
54 Trib. Parma, 9.1.2008, cit.
55 Così la motivazione del Trib. Parma, 9.1.2008, cit.
56 Amadio, In attuazione e risoluzione: la fattispecie, nel Trattato del Contratto, a cura di Roppo, Giuffrè, 2006, 119 (nt. 1) sottolinea che dopo un primo fiorire di studi, spesso di minor mole, registratosi soprattutto negli anni cinquanta, è sul finire del secolo scorso, nell’arco di circa un ventennio, la dottrina testimonia di una ripresa di interesse per il profilo della “non scarsa importanza” dell’inadempimento. In argomento v. anche Cubeddu, L’importanza dell’inadempimento, Giappichelli, 1995, 4 ss.; Gorgoni, Regole generali e regole speciali nella disciplina del contratto, Giappichelli, 2005, 132 ss., la quale riflette che il problema da risolvere, in realtà, non tanto è la ricerca della ratio dell’art. 1455 cod. civ., quanto quello dei criteri attraverso cui procedere all’accertamento dell’importanza dell’inadempimento.
57 Sacco, Il contratto, cit., 632.
58 Amadio, In attuazione e risoluzione, cit., 123.
59 Amadio, op. cit., 123.
60 Gorgoni, op. ult. cit., 134.
61 Per il Trib. Milano, 19.4.2011, cit., l’inadempimento è stato valutato nella sua capacità di compromettere l’equilibrio del rapporto negoziale dato che riguardava la diligenza nella protezione dell’interesse fondamentale per cui era nato il contratto in derivati ed alla trasparenza ed equità di trattamento in un contesto di gestione di un rapporto in conflitto di interessi.
62 Per tutte v. Cass., 21.1.2005, n. 1247, in Foro it., 2005, 29.
63 Gorgoni, op. cit., 142 ss.
64 Calandra Buonaura, op. cit., 237.