La Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, con sentenza n. 12688 del 9 maggio 2024 (Pres. Tria, Rel. Marotta), si è pronunciato sul carattere ritorsivo di un licenziamento, in relazione all’attività di Whistleblower di un lavoratore che aveva denunciato all’Anac, alla procura regionale della Corte dei conti e alla prefettura, delle condotte illecite di vertici aziendali.
Questo il principio di diritto affermato in materia di licenziamento del whistleblower: “come sottolineato anche da questa Corte (di recente: Cass. n. 14093 del 2023), la segnalazione ex art. 54-bis del d.lgs. n. 165 del 2001 (cd. “whistleblowing”) sottrae alla reazione disciplinare del soggetto datore tutte quelle condotte che, per quanto rilevanti persino sotto il profilo penale, siano funzionalmente correlate alla denunzia dell’illecito, risultando riconducibili alla causa di esonero da responsabilità disciplinare di cui alla norma invocata”.
Inoltre, ha affermato che “l’allegazione, da parte del lavoratore, del carattere ritorsivo del licenziamento intimatogli non esonera il datore di lavoro dall’onere di provare l’esistenza della giusta causa o del giustificato motivo del recesso; solo ove tale prova sia stata almeno apparentemente fornita incombe sul lavoratore l’onere di dimostrare l’illiceità del motivo unico e determinante (l’intento ritorsivo) che si cela dietro il negozio di recesso. In tema di licenziamento ritorsivo, l’accoglimento della domanda di accertamento della nullità è subordinata alla verifica che l’intento di vendetta abbia avuto efficacia determinativa esclusiva della volontà di risolvere il rapporto di lavoro, anche rispetto ad altri fatti rilevanti ai fini della configurazione di una giusta causa o di un giustificato motivo di recesso, essendo da escludere ogni giudizio comparativo fra le diverse ragioni causative del recesso, ossia quelle riconducibili ad una ritorsione e quelle connesse, oggettivamente, ad altri fattori idonei a giustificare il licenziamento”.
La Cassazione, sulla base del duplice principio di diritto così espresso, ha cassato infatti la pronuncia della Corte territoriale impugnata, la quale aveva ritenuto sanzionabile con il licenziamento il lavoratore, in ragione di un difetto di coordinamento con i vertici aziendali ed una non meglio precisata omissione di “doverosi atti di ufficio” che, tuttavia, non risultavano supportati dalla chiara indicazione delle disposizioni regolamentari specificamente violate, da parte della difesa aziendale.
Peraltro, nel caso di specie, la lesione del vincolo fiduciario, così grave da non consentire neppure la prosecuzione temporanea del rapporto, era stata genericamente collegata dalla Corte territoriale alla negativa incidenza sugli interessi aziendali della condotta omissiva del lavoratore, per la qualifica ed il ruolo dallo stesso rivestito.
Ciò, ponendo la suddetta lesione non in relazione alla violazione di precisi obblighi contrattuali (non chiaramente esplicitati secondo la Corte) ma in rapporto ad una imprecisata condotta non armonizzata con gli obiettivi aziendali e senza che fosse chiarito quale effetto causale, nella sequenza procedimentale, avesse determinato.
Da ciò, la Corte ha altresì desunto la fondatezza dei rilievi del lavoratore ricorrente, che aveva impugnato il licenziamento, in ragione dell’attività di whistleblower dal lavoratore medesimo svolta, il quale aveva presentato varie denunce ex art. 54- bis d.lgs. n. 165/2001 all’ANAC, alla Procura regionale della Corte dei Conti ed alla Prefettura aventi ad oggetto condotte illecite poste in essere dai vertici aziendali (e tra questi proprio dal Direttore sul quale, nella prospettazione attorea, sarebbe ricaduta la competenza ad impugnare l’avviso di accertamento oggetto di causa) oltre che alla successiva collaborazione prestata dal predetto nell’indagine avviata dalla Procura Regionale della Corte dei Conti nei confronti della società.
Se è vero, infatti, che in tema di licenziamento ritorsivo, il motivo illecito, determinante ed esclusivo, richiede il previo accertamento dell’insussistenza della causale posta a fondamento del licenziamento, secondo la Cassazione la Corte di merito, trincerandosi sulla ritenuta sussistenza di una giusta causa, non aveva affatto preso in considerazione le denunce presentate dal lavoratore, la tempistica dell’irrogato provvedimento espulsivo rispetto all’avvenuta conoscenza da parte di dirigenti e CdA delle denunce presentate ed al prospettato ed ingiustificato progressivo ridimensionamento delle attribuzioni del lavoratore.