Con sentenza n. 35425 del 19 dicembre 2023, la Suprema Corte (Pres. Rel. Iofrida) ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato da un socio di s.p.a. nei confronti degli amministratori al fine di ottenere la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni, asseritamente subiti a seguito di illeciti posti in essere dagli amministratori, che avevano provocato l’azzeramento del valore delle azioni della società.
La Cassazione, chiamata dal ricorrente a “esaminare e valutare l’intera vicenda fin dall’inizio”, in primo luogo rammenta che l’instaurazione del giudizio di Cassazione non può mai mirare ad una rivalutazione dei fatti storici operata dal giudice di merito.
Nel confermare la sentenza d’appello, poi, ribadisce che la domanda proposta dal socio di s.p.a. nei confronti dell’amministratore è stata correttamente qualificata dai giudici di merito come azione di responsabilità ex art. 2395 c.c. e non – come proposta dall’attore – ex art. 2043 c.c.
Nel caso in esame, la domanda proposta era stata ritenuta inammissibile (e l’attore era stato dichiarato carente di legittimazione attiva) in quanto il socio aveva dedotto un danno indiretto, non diretto nella sfera patrimoniale dell’attore.
Infatti, il danno lamentato dall’attore era il danno subito per diminuzione del valore delle azioni, a seguito del depauperamento del patrimonio sociale, valutato dai giudici di merito come danno della società, solo indirettamente riflessosi sull’azionista.
Al contrario, il socio aveva sostenuto che, quando il danno lamentato “costituisce il conseguimento di una finalità premeditata e dolosamente eseguita” dagli amministratori (nello specifico, quando rappresenta il risultato di un disegno criminoso), la perdita diventa e deve ritenersi un danno diretto del socio.
L’attore aveva inoltre contestato l’operatività dell’art. 2395 c.c. in quanto gli amministratori convenuti non avevano semplicemente “amministrato male” ma si erano comportati come “banditi”.
Perciò, ad opinione del ricorrente, l’azione esperibile dal socio danneggiato avrebbe dovuto essere inquadrata nello schema generale dell’art. 2043 c.c.