Il presente contributo analizza il tema delle azioni collettive nel contenzioso bancario, finanziario e assicurativo, alla luce dei nuovi scenari che si stanno delineando in Italia anche alla luce delle normative, domestica e di attuazione europea, che ne definiscono il regime.
1. Introduzione
Negli ultimi anni, sono state introdotte in Italia e in Europa nuove normative volte a rendere più efficaci le azioni collettive contro le imprese. Da un lato, l’implementazione della normativa in tema di azioni di classe ha modificato il panorama procedurale codicistico introducendo una disciplina nazionale; dall’altro, la Direttiva 1828/2020, che ha apportato modifiche al Codice del Consumo, ha rinnovato il sistema di tutela predisposto con specifico riferimento ai consumatori. Il risultato è, quindi, che per le azioni collettive “domestiche” sussistono ad oggi due normative parallele con campi di applicazione e regole differenti su diversi aspetti, tanto sostanziali quanto procedurali[1].
A. L’azione di classe
La legge 12 aprile 2019, n. 31, ha introdotto nel Codice di Procedura Civile il nuovo titolo dedicato ai procedimenti collettivi, con l’implementazione dell’azione di classe e inibitoria, in vigore a partire dal 19 maggio 2021[2]. Sotto un profilo oggettivo, l’azione, regolata dall’art. 840 bis e ss., è volta a tutelare i “diritti individuali omogenei” lesi da atti o comportamenti posti in essere da un’impresa o da un ente gestore di servizi pubblici o di pubblica utilità nell’esercizio della loro attività.
Sotto un profilo soggettivo, si supera l’applicabilità ai soli consumatori, essendo legittimati attivi gli esercenti diritti facenti parte di una classe di danneggiati: siano essi persone fisiche e/o giuridiche (inclusi investitori, risparmiatori, etc.). Sono parimenti legittimati le associazioni e le organizzazioni senza fine di lucro, i cui obiettivi statutari comprendano la tutela di diritti individuali omogenei e siano iscritti in un apposito elenco istituito presso il Ministero della Giustizia, senza necessità di alcun mandato specifico.
Dal punto di vista procedimentale, la nuova azione di classe si compone di tre fasi:
- la prima fase, per valutare l’ammissibilità della domanda;
- se la domanda è ritenuta ammissibile, la seconda fase per l’esame del merito, nella quale viene attribuita la prima facoltà di adesione all’azione di classe, entro un determinato termine, da parte di eventuali titolari di diritti individuali omogenei; e
- se l’azione è ritenuta fondata sull’an, la terza fase – nella quale viene attribuita una analoga seconda facoltà di adesione all’azione di classe delimitata nel tempo – volta alla quantificazione della pretesa risarcitoria. In quest’ultima fase, il c.d. rappresentante comune degli aderenti formulerà una sua preliminare valutazione al giudice delegato, il quale poi emetterà la propria decisione.
La nuova azione di classe prevede quindi un importante incentivo: un sistema di adesione a doppio turno, in base al quale l’adesione all’azione è consentita non solo successivamente al filtro di ammissibilità, ma anche dopo la stessa sentenza che accoglie l’azione di classe. Tale sistema, tuttavia, potrebbe creare non pochi problemi alle imprese convenute sotto il profilo della valutazione della “portata” dell’azione di classe. Infatti, se i potenziali aventi diritto possono decidere di aderire nella terza fase – ossia addirittura dopo la sentenza che accoglie nel merito l’azione di classe – le società convenute potrebbero conoscere l’effettivo quantum della pretesa della classe di danneggiati soltanto nella fase finale: con la necessaria conseguenza che le medesime società potranno trovare difficoltà, ad esempio, a determinare correttamente gli accantonamenti adeguati per l’azione di classe e in sostanza il relativo rischio di causa; come pure, analoghe difficoltà potranno avere nel valutare eventuali soluzioni transattive elaborate prima delle varie adesioni. Le imprese convenute quindi dovranno approntare adeguati presidi per gestire il rischio di causa derivante dalle azioni di classe.
L’azione deve essere proposta con ricorso davanti alla sezione specializza in materia di impresa competente per il luogo in cui ha sede la parte resistente, e al procedimento si applica il rito semplificato di cognizione, con previsione di pubblicazione del ricorso nell’area pubblica del Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia e ulteriori specifici obblighi informativi a carico degli enti legittimati sul proprio sito web e sul sito istituzionale del Ministero delle Imprese e del Made in Italy[3].
B. L’azione rappresentativa
La Direttiva 1828/2020 del 25 novembre 2020 ha introdotto nel panorama europeo le azioni rappresentative a tutela degli interessi collettivi dei consumatori, abrogando la precedente direttiva 22/2009. Gli Stati europei avrebbero dovuto adottare e pubblicare, entro il 25 dicembre 2022, le disposizioni necessarie per conformarsi alla Direttiva, da applicarsi poi a decorrere dal 25 giugno 2023. La Direttiva ha lasciato ai singoli Stati membri ampia scelta sulle regole da stabilire per strutturare le azioni rappresentative[4], a partire dalla scelta tra un sistema di opt in (per il quale i singoli consumatori dovranno specificatamente richiedere l’adesione all’azione), oppure di opt out (per il quale vi saranno automaticamente ricompresi salva loro espressa volontà contraria)[5].
Alcuni Stati europei si sono dimostrati particolarmente attenti all’implementazione della Direttiva, come i Paesi Bassi, già caratterizzati da un sistema nazionale di ricorso collettivo di lunga data, i quali hanno disposto l’impiego del meccanismo – particolarmente favorevole per i consumatori – di opt out per i cittadini olandesi (e di opt in invece per i cittadini di altri Stati Membri). Mentre altri Stati membri, tra cui Spagna e Francia, non hanno ancora introdotto una disciplina di adattamento.
L’Italia, ha recepito la Direttiva con il D. Lgs. 28/2023, che è intervenuto a modificare gli artt. 140 bis e ss. del Codice del Consumo. L’azione rappresentativa, ora regolata dall’art. 140 ter e ss. del Codice del Consumo, è volta a tutelare i consumatori dalle violazioni da parte di un operatore commerciale delle disposizioni contenute nelle materie previste dalle normative di cui all’Allegato I della Direttiva, trasposto nell’Allegato II septies del Codice del Consumo[6]. Alcune violazioni sono trasversalmente riconducibili a più settori, ivi incluse, a mero titolo esemplificativo, quelle relative alla responsabilità da prodotto difettoso, alla garanzia dei beni di consumo, alle pratiche commerciali scorrette, all’impiego di clausole vessatorie, alla pubblicità ingannevole, e in generale la violazione dei diritti dei consumatori, mentre altre sono specificatamente dedicate alle materie bancarie, finanziarie e assicurative[7], che la Direttiva tiene in grande considerazione[8].
La neo introdotta azione rappresentativa non si sostituisce, ma si aggiunge all’azione di classe già prevista dalla disciplina procedurale, richiamandone altresì in larga parte la disciplina, incluso il sistema di adesione a doppio turno[9]. Vi è comunque, tra le due, una sostanziale differenza in tema di legittimazione attiva, che per le azioni rappresentative nazionali è propria soltanto:
- delle associazioni dei consumatori e degli utenti inseriti nell’elenco di cui all’art. 137 del Codice del Consumo;
- degli enti designati in un altro Stato membro e iscritti nell’elenco elaborato e pubblicato dalla Commissione europea; nonché
- degli organismi pubblici indipendenti nazionali di cui all’articolo 3, numero 6), del regolamento (UE) 2017/2394, mentre i consumatori non sono direttamente autorizzati ad agire.
Quanto all’oggetto dell’azione, l’azione rappresentativa è limitata ai rapporti tra consumatori (per tali intendendosi qualsiasi persona fisica che agisce per scopi estranei alla propria attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale), e professionisti (per tali intendendosi qualsiasi persona fisica o giuridica che, indipendentemente dal fatto che si tratti di un soggetto pubblico o privato, agisce, anche tramite un altro soggetto che opera in suo nome o per suo conto, per fini relativi alla propria attività commerciale, imprenditoriale, artigianale o professionale), con conseguente esclusione quindi dei rapporti business to business.
È interessante notare come le azioni rappresentative possano assumere anche una declinazione transfrontaliera, che permette alle associazioni di altri Stati UE (purché presenti nell’apposito elenco tenuto dalla Commissione europea) di promuovere azioni anche in Italia, e alle organizzazioni di consumatori italiane di fare altrettanto in altri Stati membri, con ciò aumentando i rischi di forum shopping.
Particolare attenzione deve poi dedicarsi al tema del third party funding (ovvero il finanziamento dell’azione da parte di un terzo a fronte della remunerazione in misura percentuale su quanto ottenuto in caso di esito favorevole), essendo prevista nel ricorso introduttivo la necessità di indicare i finanziamenti ricevuti o promessi da parte di terzi e, come causa di inammissibilità della domanda, la circostanza che il soggetto che abbia finanziato l’azione sia concorrente del convenuto o dipenda da quest’ultimo[10].
2. Possibili azioni collettive nel settore bancario, finanziario e assicurativo
Tanto le azioni di classe, quanto le azioni rappresentative sono destinate ad impattare il contenzioso anche nei settori bancario, finanziario e assicurativo, rispetto ai quali sono state avviate le prime azioni sulla base delle riformate normative codicistica e consumeristica. Dal Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia[11], sul quale è possibile monitorare le “class action” ad oggi avviate e pubblicate, risultano al momento proposte in tali settori solo un esiguo numero di azioni di classe e rappresentative[12]. In tali ambiti, le azioni collettive sono spesso avviate quali “follow on actions”, ovvero azioni a seguito di segnalazioni (e sanzioni) da parte delle Autorità di Vigilanza di settore (es. Consob, Banca d’Italia) o dell’Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato (AGCM).
Alla luce dei giudizi che vengono tipicamente promossi nei settori bancario, finanziario e assicurativo, sono ipotizzabili diverse tipologie di contestazioni che potrebbero essere teoricamente tentate contro gli intermediari bancari, finanziari e assicurativi anche attraverso i nuovi strumenti delle azioni collettive.
A. Azioni collettive nel settore bancario
Nell’ambito del contenzioso bancario, una prima categoria di azioni che potrebbe essere intentata è quella legata alla mancata comunicazione ai clienti di informazioni chiare e sufficienti, soprattutto durante la commercializzazione di prodotti o servizi bancari.
Alcuni clienti, inoltre, potrebbero essere tentati di utilizzare questo strumento processuale nei casi in cui ritengano siano stati loro addebitati tassi d’interesse o commissioni percepite come eccessivamente elevate o impropriamente determinate a causa della vessatorietà delle clausole contrattuali sottostanti[13]: ad esempio, i sottoscrittori di contratti di mutuo, leasing o finanziamento indicizzati al parametro Euribor. A questo proposito, infatti, con ordinanza n. 34889 del 13/12/2023, la Corte di Cassazione si è inserita per la prima volta nell’acceso dibattito giurisprudenziale sul punto, dichiarando la nullità del tasso applicato ad un contratto di leasing, in quanto determinato per relationem al tasso Euribor fissato attraverso l’“accordo manipolativo della concorrenza da un certo numero di istituti bancari” dal 2005 al 2008, sanzionato con decisione della Commissione Europea del 4 dicembre 2013. Tale pronuncia potrebbe in teoria aprire a nuove azioni sul tema, anche di tipo collettivo: e ciò sebbene la decisione in questione – a dire il vero – abbia suscitato più di qualche perplessità, già evidenziata peraltro dalla giurisprudenza di merito. Diversi tribunali, infatti, si sono dimostrati in aperta critica con la decisione presa dalla Cassazione. In particolare, la recente ordinanza del Tribunale di Torino del 29 gennaio 2024 e quella del Tribunale di Livorno, anch’essa del 29 gennaio 2024, hanno comprensibilmente evidenziato inter alia come non possa qualificarsi come contratto “a valle”, agli effetti della repressione dell’intesa anti-concorrenziale di manipolazione dell’Euribor, qualsiasi contratto di credito in corso di esecuzione negli anni tra il 2005 e il 2008 e parametrato all’Euribor, a prescindere dall’accertamento – che si presenta come necessario – dell’avvenuta adesione della banca in questione all’intesa per la manipolazione del prezzo. Tanto è vero che poi la Suprema Corte è stata indotta a ridimensionare in parte il proprio orientamento. Infatti, con successiva pronuncia n. 12007 del 3 maggio 2024, la Corte di Cassazione ha offerto un’interpretazione più aderente ai precedenti arresti, sostenendo inter alia la necessità appunto che sia in effetti accertata una reale adesione della banca in questione all’intesa per la manipolazione del prezzo[14].
Similmente, i sottoscrittori di contratti di mutuo a tasso variabile con una clausola floor potrebbero avviare azioni collettive facendo leva su quell’orientamento giurisprudenziale che afferma la vessatorietà di detta clausola, in quanto determinerebbe uno squilibrio ingiusto nella distribuzione dei rischi legati all’andamento dei tassi[15]. Al riguardo, per completezza, giova segnalare comunque l’esistenza di un orientamento contrario, anzitutto nelle pronunce dell’Arbitro Bancario Finanziario, che ha evidenziato – ricordando il principio di autonomia contrattuale delle parti ex art. 1322 c.c. – che la clausola floor non è in sé vessatoria, attenendo alla determinazione delle condizioni economiche del contratto, e potrebbe configurarsi illegittima solo se formulata in modo ambiguo o non chiaramente intellegibile, non quando espressamente contenuta nel contratto in modo chiaro e visibile[16].
B. Azioni collettive nel settore finanziario
Possibili azioni collettive, tanto alla luce della disciplina codicistica quanto consumeristica, potrebbero essere avviate anche nell’ambito dei servizi di investimento. Anzitutto, i clienti potrebbero essere tentati di promuovere azioni nei confronti di banche e intermediari finanziari, qualora ritengano di non aver ricevuto adeguate informazioni sulla natura, i rischi e le caratteristiche di prodotti finanziari: per esempio nel caso in cui, nell’ambito del servizio di collocamento, il prospetto fornito dall’intermediario non contenga informazioni ritenute sufficienti o corrette sui prodotti collocati. Ancora, azioni collettive potrebbero avviarsi a seguito di accuse di manipolazione o di insider trading su un mercato regolamentato.
Vi è comunque da osservare che le azioni di classe, nel contesto dei servizi di investimento, potrebbero presentare in realtà notevoli complessità e risultare quindi di difficile esperimento, a tacer d’altro per le peculiarità intrinseche proprio dei servizi prestati dagli intermediari finanziari che, in quanto tali, potrebbero comportare molteplici criticità già nella fase preliminare di ammissibilità delle azioni di classe stesse[17].
Bisognerà quindi attendere l’evoluzione giurisprudenziale e le prime casistiche in tema, per comprendere se i singoli servizi di investimento (quali, ad esempio, i servizi di consulenza e di gestione patrimoniale) o gli illeciti commessi dai consulenti finanziari possano rientrare effettivamente nell’ambito di applicazione delle azioni collettive, dovendosi pur sempre dimostrare tra l’altro il requisito dell’omogeneità dei diritti individuali interessati.
C. Azioni collettive nel settore assicurativo
Anche l’ambito assicurativo potrebbe essere interessato da azioni di classe o azioni rappresentative, nonostante ad oggi non ne siano ancora state avviate. In particolare, potrebbero essere introdotte azioni collettive in ipotesi di pratiche di vendita o distribuzione di prodotti assicurativi ritenute ingannevoli, o ancora per la presenza di clausole percepite come vessatorie nella contrattualistica fornita ai clienti. Detto filone di contenziosi potrebbe verosimilmente svilupparsi per quelle polizze maggiormente legate ai consumatori, come ad esempio le polizze vita. Anche in questo caso, tuttavia, si rinvengono non poche criticità, affinché un’azione di classe possa essere ritenuta ammissibile.
3. Due aree emergenti: Fintech e ESG
Due ulteriori aree, attualmente in particolare espansione, potrebbero in teoria essere interessate nel prossimo futuro da azioni collettive: Fintech e ESG.
Lo sviluppo di nuove tecnologie ha sicuramente avuto un impatto significativo nei settori bancario, finanziario e assicurativo, come visibile dall’aumento delle transazioni finanziarie online, l’affermarsi di app di pagamento o ancora la crescita delle banche digitali. Allo stesso modo, i progressi tecnologici hanno impattato anche sul funzionamento dei servizi bancari e d’investimento tradizionali, come visibile ad esempio dall’uso crescente della biometria, dell’autenticazione multi-fattore o ancora dall’implementazione di tool di intelligenza artificiale. L’impiego di nuove tecnologie potrebbe aprire la strada a contestazioni, e quindi a contenziosi collettivi, in merito a eventuali responsabilità delle banche e degli intermediari nei casi, ad esempio, di truffe online, frodi con carte di credito, phishing, nonché per violazioni di cybersecurity e privacy[18]. Parimenti, l’uso delle criptovalute e della tecnologia blockchain, così come delle piattaforme di finanza decentralizzata, potrebbe dare luogo ad azioni collettive relative alla sicurezza delle piattaforme e delle operazioni ivi effettuate[19].
Anche la crescente attenzione ai rischi finanziari legati ai temi ESG e di finanza sostenibile potrebbe essere fonte di azioni collettive. Non si può escludere infatti il rischio per le banche, le istituzioni finanziarie e le compagnie assicurative, di essere coinvolte, anche solo in modo strumentale, in azioni collettive da parte di coloro che si ritenessero danneggiati da dichiarazioni percepite come non veritiere in merito alle pratiche ESG, alle iniziative di sostenibilità o agli investimenti green, oppure dalla distribuzione di prodotti non conformi alle caratteristiche dichiarate (con rischio di conseguenti accuse di greenwashing)[20].
Anche in questi casi è comunque doveroso precisare che le azioni di classe, in ambiti così peculiari, non sono facilmente concepibili e numerosi aspetti critici potrebbero emergere, anche qui, sin dalla fase di valutazione della loro ammissibilità.
4. Considerazioni conclusive
L’introduzione di due tipologie di azione, l’estensione dell’ambito soggettivo di applicazione, il sistema di adesione a doppio turno e la possibilità di avviare azioni rappresentative transfrontaliere rappresentano solo alcuni dei fattori incentivanti che potrebbero dare nuovo impulso alla “class action” in Italia. In questo contesto, particolare attenzione dovrà essere prestata anche nel contenzioso bancario, finanziario e assicurativo, rispetto a cui si stanno avviando ora alcuni procedimenti.
Uno dei temi centrali che si prospetterà sarà legato all’identificazione dei diritti oggetto di causa. Affinché possano proporsi azioni collettive è necessaria la sussistenza di “diritti individuali omogenei”, con ciò eliminandosi il requisito dell’identità del diritto che dava luogo ad interpretazioni restrittive. La categoria dei diritti omogenei non trova una precisa definizione codicistica, per cui l’interpretazione giurisprudenziale ha fatto riferimento a quei diritti la cui violazione sia il risultato di un unico evento che abbia prodotto danni di natura seriale[21]. Il requisito della omogeneità andrà quindi di volta in volta verificato in relazione all’oggetto di tutela, alla tipologia di pronuncia giudiziale richiesta e alla ragione giuridica a fondamento della domanda.
Lo sviluppo di nuove forme di azioni collettive rende quindi sempre più necessario anche per le banche, gli intermediari finanziari e le compagnie assicurative implementare efficaci strategie di protezione. Tra queste, vi è anzitutto la necessità di migliorare i propri protocolli di valutazione e gestione del rischio d’impresa, di governance e di compliance; verificare che i materiali forniti ai clienti e le pratiche di marketing non siano fuorvianti e siano conformi agli standard stabiliti; sviluppare efficaci meccanismi di alternative dispute resolution e di gestione dei reclami e delle richieste precontenziose. In questo modo, infatti, non solo si ridurrà il rischio delle azioni collettive in sé, ma si disporrà anche di strumenti adeguati a gestire e affrontare efficacemente i processi collettivi che dovessero comunque essere introdotti.
[1] Va precisato che per gli illeciti commessi fino al 19 maggio 2021, la disciplina di riferimento continuerà ad essere quella precedente dell’art. 140 bis e ss. del Codice del Consumo.
[2] La riforma dell’azione di classe ha preso le mosse dalla constatazione che il modello di azione consumeristica, previsto all’art. 140 bis e ss. del Codice del Consumo, aveva avuto uno scarso utilizzo, considerato l’esiguo numero di azioni avviate, il basso tasso di adesione dei danneggiati e i dilatati tempi di svolgimento dei processi collettivi.
[3] La ratio del regime di pubblicità previsto è consentire ai danneggiati di decidere se aderire o meno all’azione, seguirne l’andamento, avvalersi per tempo del provvedimento risarcitorio e compiere altre scelte quale quella di beneficiare o meno di un accordo transattivo; tuttavia, vi sono potenziali criticità costituite da un’eccessiva esposizione mediatica, con potenziali danni reputazionali per le imprese, e un possibile coinvolgimento massivo dei potenziali aventi diritto in fase di adesione.
[4] Addirittura, è stato previsto al Considerando 12 della Direttiva che “dovrebbe spettare agli Stati membri decidere il grado di somiglianza richiesto delle singole richieste o il numero minimo di consumatori interessati da un’azione rappresentativa per le misure riparative, affinché il caso possa essere ammesso come azione rappresentativa”.
[5] L’articolo 9 della Direttiva prevede invece che i singoli consumatori che non risiedono abitualmente nello Stato membro dell’organo giurisdizionale avanti cui è proposta l’azione siano tenuti a esprimere la propria volontà di aderire.
[6] Rispetto all’Allegato I alla Direttiva 1828/2020, nell’Allegato II septies del Codice del Consumo è stato inserito il riferimento ai nuovi Regolamenti UE nn. 2022/1925 («regolamento sui mercati digitali») e 2022/2065 («regolamento sui servizi digitali).
[7] A mero titolo esemplificativo, in materia bancaria sono state ricomprese violazioni nell’ambito dei mutui fondiari e dei contratti di credito ai consumatori, degli istituti di moneta elettronica, i pagamenti elettronici e i servizi di pagamento; nell’ambito finanziario e assicurativo, la violazione della normativa MiFID II, la disciplina sul prospetto informativo, il trading su un mercato regolamentato, l’investimento in strumenti finanziari, gli Organismi di investimento collettivo in valori mobiliari (OICVM), i prodotti di investimento e assicurativi preassemblati destinati agli investitori al dettaglio (PRIIPs) e la violazione della disciplina Solvency II.
[8] Ai sensi del Considerando 13 della Direttiva “[…] In particolare, poiché la domanda di servizi finanziari e di investimento da parte dei consumatori è in aumento, è importante migliorare l’applicazione del diritto dei consumatori in tali settori”.
[9] L’articolo 1, comma 2, della Direttiva prevede “La presente direttiva non osta a che gli Stati membri adottino o mantengano in vigore i mezzi procedurali per la tutela degli interessi collettivi dei consumatori a livello nazionale. Tuttavia, gli Stati membri provvedono affinché almeno un meccanismo procedurale che consente agli enti legittimati di intentare azioni rappresentative al fine di ottenere provvedimenti sia inibitori che risarcitori sia conforme alla presente direttiva”.
[10] Si tratta di un importante incentivo alle azioni collettive, che ne garantirebbe il dovuto sostegno economico, ma che può celare improprie lotte giudiziarie avviate indirettamente da un concorrente. Con la Risoluzione del 13 settembre 2022 il Parlamento europeo ha raccomandato alla Commissione Europea «l’istituzione di un sistema di autorizzazione per i finanziatori di contenziosi». La Direttiva 1828/2020, a questo proposito, ha previsto che gli Stati debbano provvedere a che, qualora un’azione rappresentativa volta a ottenere provvedimenti risarcitori sia finanziata da un terzo, siano evitati conflitti di interesse e che il finanziamento da parte di terzi aventi un interesse economico nella proposizione o nell’esito dell’azione rappresentativa non allontani l’azione rappresentativa dalla tutela degli interessi collettivi dei consumatori.
[11] Dati estratti dal Portale dei Servizi Telematici del Ministero della Giustizia (cfr. Portale Servizi Telematici. Class Action – Azioni di Classe (giustizia.it)), ultimo aggiornamento in data 15 luglio 2024.
[12] Giova segnalare altresì che il Tribunale di Venezia, con ordinanza datata 11 luglio 2023, ha dichiarato ammissibile ai sensi della disciplina consumeristica previgente, un’azione di classe instaurata sul finire del 2022, argomentando che le condotte illecite addebitate a un istituto di credito bancario in relazione agli investimenti dal medesimo proposti ai propri clienti, erano state poste in essere in epoca anteriore all’entrata in vigore degli artt. 840 bis ss. c.p.c. In particolare, il giudizio era volto a procurare un ristoro per i clienti “al dettaglio” della banca, i quali si dolevano delle perdite scaturite da investimenti che la controparte avrebbe loro consigliato senza fornire adeguate informazioni, in un arco temporale piuttosto ampio, collocabile tra il 2012 e il 2015.
[13] Sul punto, l’Associazione Movimento Consumatori ha già avviato una prima azione collettiva inibitoria ai sensi degli artt. 140 ter e ss. del Codice del consumo dinnanzi al Tribunale di Torino in data 23 ottobre 2023, contestando l’inserimento, nei contratti con i consumatori, di clausole ritenute vessatorie, di cui l’Associazione richiedeva la dichiarazione di nullità. A seguito di atto di rinuncia depositato dall’associazione ricorrente, il Tribunale di Torino con provvedimento del 13 novembre 2023 ha dichiarato l’estinzione del processo. L’Associazione, in data 22 novembre 2023, ha introdotto un nuovo giudizio, formulando contestazioni affini sulla vessatorietà delle clausole, e richiedendo che ne venga inibito l’utilizzo.
[14] La Suprema Corte ha affermato “I contratti di mutuo contenenti clausole che, al fine di determinare la misura di un tasso d’interesse, fanno riferimento all’Euribor, stipulati da parti estranee ad eventuali intese o pratiche illecite restrittive della concorrenza dirette alla manipolazione dei tassi sulla scorta dei quali viene determinato il predetto indice, non possono, in mancanza della prova della conoscenza di tali intese e/o pratiche da parte di almeno uno dei contraenti (anche a prescindere dalla consapevolezza della loro illiceità) e dell’intento di conformare oggettivamente il regolamento contrattuale al risultato delle medesime intese o pratiche, considerarsi contratti stipulati in “applicazione” delle suddette pratiche o intese; pertanto, va esclusa la sussistenza della nullità delle specifiche clausole di tali contratti contenenti il riferimento all’Euribor, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 287 del 1990 e/o dell’art. 101 TFUE” (Cass. civ., SU, 3/05/2024, n. 12007).
[15] A favore di tale interpretazione vedasi Corte d’Appello di Milano, 6 settembre 2022, n. 2836, che ha dichiarato la nullità della clausola floor, disponendo la restituzione degli interessi addizionali che aveva generato, inibendo inoltre alla banca convenuta l’utilizzo futuro della clausola nella forma dichiarata nulla.
[16] Cfr. sul punto ABF, Collegio di Roma, 23 maggio 2023, n. 5018; ABF, Collegio di Napoli, n. 8843/2022; ABF, Collegio di Roma, n. 6953/2022; ABF, Collegio di Roma, n. 6936/2022; ABF, Collegio di Milano, n. 11583/2018.
[17] Solo per fare un esempio, è discutibile se un soggetto, che agisce come cliente professionale su sua specifica richiesta, possa essere considerato come consumatore per come definito dalla Direttiva e dunque agire utilizzando l’azione rappresentativa.
[18] Sul punto, ricordiamo nel 2022 un’azione di classe contro un istituto di pagamento digitale avanti al Tribunale di Milano ai sensi dell’articolo 840 bis del Codice di Procedura Civile per la mancata adozione di misure di sicurezza ritenute adeguate e di forme efficienti di autenticazione dei clienti, che avrebbero favorito secondo i ricorrenti numerosi casi di phishing e di frodi nei pagamenti elettronici.
[19] Sul tema, è stata avviata nel 2022 un’azione di classe ai sensi dell’articolo 840 bis del Codice di Procedura Civile avanti al Tribunale di Milano nei confronti della piattaforma globale di scambio di criptovalute da parte di un gruppo di investitori per le perdite asseritamente subite per via di interruzioni e malfunzionamenti della piattaforma in momenti critici di trading.
[20] E’ discutibile, ad esempio, se un’azione rappresentativa possa essere avviata, nell’ambito della prestazione dei servizi di investimento, per la mancanza di informazioni sulle preferenze di sostenibilità, o per la violazione di quelle fornite, considerando che il Regolamento 2021/1253 in materia di prodotti ESG prevede che le informazioni relative agli obiettivi di investimento includano le preferenze di sostenibilità del cliente e che, secondo l’ESMA, se l’intermediario intende raccomandare un prodotto che non soddisfa le preferenze di sostenibilità iniziali del cliente, deve consentire al cliente di modificare le sue preferenze di sostenibilità per il prodotto e registrare tale richiesta (Orientamento n. 35-43-3172 del 3 aprile 2023, n. 82).
[21] In linea con tale definizione anche Trib. Milano 8 novembre 2013 e Trib. Venezia 12 gennaio 2016. Cass. civ. 31 gennaio 2018, n. 2320, ha puntualizzato che la finalità è quella di tutelare verso condotte illegittime che esplicano i propri effetti, in maniera analoga, su una pluralità di individui, mentre nell’art. 840 bis c.p.c. si fa riferimento, più generico, a “fatti cagionati nello svolgimento delle attività”.