Il giudizio de quo ha avuto ad oggetto il ricorso proposto dal fallimento di una società a responsabilità limitata avverso il decreto con cui il Tribunale di Taranto, in parziale accoglimento dell’opposizione proposta ex artt. 98-99 l. fall., ha ammesso al passivo un credito assistito dal cd. «privilegio industriale» di cui all’art. 3, d.lgs. c.p.s. 1° ottobre 1947, n. 1705. Nello specifico, i creditori opponenti avevano dedotto di essere eredi del fideiussore della società fallita – il quale aveva prestato garanzia personale su alcuni finanziamenti erogati alla società da parte di un istituto bancario – e di avere, in ragione di tale qualità, provveduto a pagare le somme dovute sulla base della fideiussione, così surrogandosi nel privilegio di cui all’art. 3 cit. A fronte dell’accoglimento parziale dell’opposizione, il curatore ricorrente ha lamentato l’errore in cui sarebbe incorso il Tribunale laddove non ha ritenuto applicabile in via analogica al privilegio industriale la regola di «durata ventennale dell’iscrizione» dettata dall’art. 2847 c.c. per la garanzia ipotecaria.
Sul punto, la Corte di Cassazione ha ricordato in via preliminare che “il principio della certezza dei regimi di circolazione (anche costitutiva) dei beni comporta che, nel procedere allo studio di un’eventuale applicazione in via di analogia di specifiche norme, ci si debba in ogni caso muovere con circospezione e speciali cautele”.
Su queste basi, la Suprema Corte ha innanzitutto ripercorso le caratteristiche salienti del privilegio industriale, onde verificare se l’istituto presenta affinità tali con la garanzia ipotecaria da giustificare l’applicazione analogica della disciplina sancita per tale ultima figura. Al riguardo, la Corte ha osservato che il privilegio in questione “è un privilegio speciale destinato propriamente a gravare sui beni immobili dell’«azienda finanziata» come pure sui beni mobili (macchinari, impianti e utensili) «comunque destinati al funzionamento ed esercizio» di questa; e ancora sui diritti di concessione e di brevetto industriale che risultino alla stessa pertinenti”. Il privilegio industriale, ha aggiunto la Corte, risulta poi riferibile “anche ai beni che vengono via via acquisiti dall’impresa finanziata nel corso del tempo, in sostituzione di quelli preesistenti”, presentando, cioè, quello che in letteratura è definito come profilo «dinamico» del privilegio.
In ragione della peculiare fisionomia del privilegio industriale, la Suprema Corte ha ritenuto che “nel loro insieme, gli aspetti indicati – promiscua riferibilità del privilegio industriale a beni immobili e mobili e pure ad «altri diritti»; presenza, nella sua articolazione strutturale, di un profilo «dinamico» nel suo oggetto; specifica destinazione a «cautela» del credito agevolato per il sostegno di finalità propriamente economiche – mostrano come non risultino presenti sufficienti elementi per poter in principio predicare una situazione di analogia tra il privilegio industriale e l’ipoteca immobiliare di diritto comune (che gravita su beni «specialmente individuati» e solo immobili, salvo rade eccezioni; non presenta profili dinamici; non ha causa nel perseguimento di peculiari finalità di ordine economico)”.
Le evidenti distinzioni tra i due istituti hanno pertanto condotto la Corte di Cassazione a concludere che “mancano propriamente i presupposti di base per ipotizzare l’applicazione all’istituto del privilegio industriale delle discipline che gli sono positivamente estranee”.