La Suprema Corte, attraverso l’ordinanza in esame, torna a ribadire che le condizioni di assicurazione non debbano prevedere ipotesi di esclusione della garanzia tali da delimitare eccessivamente l’oggetto del contratto a favore dell’assicuratore, rendendolo di fatto privo di utilità pratica per l’assicurato. Il rischio assicurato, al contrario, determinando la prestazione dell’impresa di assicurazione, è elemento fondamentale sulla base del quale non solo è calcolato il premio dovuto dall’assicurato, ma viene valutata la validità del contratto stesso.
Un’eccessiva delimitazione del rischio rende il contratto privo di causa, ovvero non idoneo a perseguire concretamente l’interesse dell’assicurato (cfr. Cass. 25/06/2019, n. 16902; Cass. 29/09/2018, n. 22437; Cass. 07/04/2010, n. 8235). L’inesistenza del rischio assicurato, come noto, determina la nullità del contratto (ex art. 1895 c.c.), oltre ad escludere l’interesse all’assicurazione (ex art. 1904 c.c.). Pertanto, l’interpretazione del contratto di assicurazione dovrà tener conto principalmente della volontà manifestata dei contraenti ed evitare, secondo il principio di conservazione del contratto, di attribuire allo stesso un significato che ne determini l’inefficacia (cfr. Cass. 19/02/2016, n. 3275).
La complessità anche strutturale con cui sono spesso predisposte le condizioni generali e particolari dei contratti di assicurazione non può trascurare le esigenze di trasparenza e, soprattutto, non può condurre l’assicurato a sopportare il sacrificio economico di un premio assicurativo senza essere in grado, in ragione delle molteplici esclusioni previste nel contratto, di far valere l’operatività della garanzia.
Le clausole contrattuali che neutralizzano eccessivamente il rischio assicurato generano un inevitabile squilibrio sul piano sinallagmatico, determinando un ingiustificato vantaggio in capo all’impresa di assicurazione.