La Procura Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione ha richiesto a quest’ultima di confermare il principio stabilito dalla Sentenza n. 4659/2021 che ha affermato come la clausola di indicizzazione sul cambio prevista in un contratto di leasing non integri un derivato.
Ciò premesso nell’ordinanza interlocutoria si afferma che un derivato resta tale, sia dal punto di vista giuridico che da quello finanziario, anche se incorporato in un finanziamento e non ha autonomia funzionale, come può indirettamente evincersi dall’art. 62, comma 3, d.l. n. 112/2018 che vieta alle amministrazioni pubbliche di “stipulare contratti di finanziamento che includono componenti derivate” e dall’art. 2246 comma 11 bis, c.c..
Di conseguenza, l’ordinanza di rimessione segnala l’opportunità di approfondire se una clausola quale quella sopra indicata costituisca un mero meccanismo di indicizzazione del canone o se piuttosto costituisca invece un patto con cui le parti scommettono sulle variazioni di quel canone attraverso indici finanziari (Libor e tasso di cambio), e incida sul contratto di leasing, strumentalizzandone la funzione tipica e piegandola a funzioni speculative. O se introduce nel leasing una ulteriore funzione che incide sulla complessiva operazione negoziale (contratto misto).
Sul punto, evidenzia la Procura, la clausola in oggetto rappresenta un meccanismo, liberamente e consapevolmente valutato dalle parti, per l’adeguamento della prestazione pecuniaria del negozio di leasing al quale fa riferimento.
Un’ulteriore carattere della clausola in oggetto è la sua incapacità a circolare liberamente e in modo autonomo sul mercato, come già sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità.
Trova così conferma, anche sotto questo profilo, l’opinione che esclude che la clausola possa essere qualificata come un derivato.
Infine la procura sottolinea la propria aderenza con la tesi che conduce alla medesima conclusione che si fonda sul concreto assetto dei rapporti tra le parti, secondo la quale la clausola non è caratterizzata come un’operazione di investimento di risorse, dal momento che il cliente non provvede all’acquisto di uno strumento finanziario, ma viene finanziato dalla banca o dall’intermediario.
Come riconosciuto dalla stessa ordinanza interlocutoria la questione indicata è stata oggetto di esame da parte di altre recenti decisioni della Corte di cassazione.
La Cassazione sulle clausole di indicizzazione nel contratto di leasing
In primo luogo, deve richiamarsi la sentenza n. 4659/2021 che ha deciso una fattispecie identica a quella in esame, nella quale la stessa società ricorrente aveva impugnato una pronuncia della Corte d’appello di Trieste che aveva ritenuto immeritevole ai sensi dell’art. 1322 c.c. una clausola di indicizzazione del canone ugualmente parametrata al tasso Libor CHF ed al cambio del franco svizzero, inserita in un contratto di locazione finanziaria di immobile “in costruendo”.
Anche in quel caso la Corte d’appello di Trieste aveva rigettato, con la stessa diversa motivazione, l’ appello della società, che aveva poi proposto ricorso per cassazione fondato sugli stessi motivi riproposti nel presente giudizio.
Di conseguenza la procura ha ritenuto opportuno richiamare in sintesi motivazione con la quale la sentenza n. 4659/2021 ha ritenuto che la clausola di indicizzazione del contratto di leasing non sia assimilabile al “domestic currency swap”, come invece ritenuto anche dalla sentenza impugnata nel presente giudizio, e non possa essere qualificata come un derivato.
Innanzitutto si evidenzia che nel nostro ordinamento, come sottolineato dalle Sezioni unite della Corte di Cassazione nella sentenza n. 8770/2020, non si rinviene una definizione generale di “contratto derivato” malgrado esista una fenomenologia variegata nella prassi finanziaria determinata dalla diversità delle funzioni che giustificano il ricorso ai derivati e delle modalità di negoziazione.
Tale situazione, come sostenuto dalle stesse Sezioni unite nella sentenza citata, giustifica il contenuto dell’art. 1, comma 2 bis, T.U.F. che contiene una delega al Ministro dell’Economia e Finanze, per identificare nuovi potenziali contratti derivati: la scelta del legislatore italiano è stata quella di seguire quello eurounitario, “optando per una elencazione di molteplici figure e lasciando all’interprete il compito della reductio ad unum, laddove possibile (Cass. Sez. un. n. 8770/2020).
La pronuncia della Corte Costituzionale sulla struttura dei derivati
Sul punto, si richiama la convergente giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo cui ai soli fini descrittivi e con un ineliminabile margine di approssimazione dipendente dalla complessità del fenomeno, può ritenersi che i rapporti che hanno ad oggetto gli strumenti finanziari derivati sono caratterizzati, sul piano strutturale, per essere connessi ad altre attività finanziarie (quali ad esempio titoli, merci, tassi, indici, altri derivati) dal cui prezzo discende il valore dell’operazione compiuta, sicchè ferme ovviamente “restando le diversità legate al tipo di operazione prescelto, tali negoziazioni sono volte a creare un differenziale tra il valore dell’entità negoziata al momento della stipulazione del relativo contratto e quello che sarà acquisito ad una determinata scadenza preventivamente individuata” (Corte cost. n. 52/2010).
Da tali premesse le Sezioni unite, richiamandosi alla giurisprudenza di legittimità (Cass. 10598/2005), a quella di merito ed a significativi orientamenti della giurisprudenza straniera, deducono che la clausola di indicizzazione prevista in un contratto di leasing non possa assimilarsi ad uno swap, definito come “il contratto attraverso il quale due parti convengono di scambiarsi, in una o più date prefissate, due somme di denaro calcolate applicando due diversi parametri (generalmente tassi di interesse e/o di cambio) ad un identico ammontare di riferimento” sicchè “alla scadenza a alle scadenze concordate, viene effettuato un unico pagamento, su base netta, in forza di una compensazione volontaria.
E ciò in quanto, nell’ipotesi in cui le parti vogliano effettivamente porre in essere un leasing o un finanziamento per sostenere un’attività del mutuatario denominata in franchi svizzeri (o altra valuta straniera), ove esse non decidano direttamente l’erogazione del finanziamento in tale valuta, bensì in euro con indicizzazione al cambio euro/CHF, la clausola in questione, si pone quale modalità di realizzazione dell’esplicita volontà contrattuale di fornire un finanziamento in euro indicizzato al franco svizzero e non come un derivato di copertura, presentandosi come una modalità tecnica del contratto di finanziamento che rimane priva di autonomia causale, non rappresentando un contratto autonomo rispetto al finanziamento, bensì solo un meccanismo di adeguamento della prestazione pecuniaria.