Con sentenza n. 16303 del 20 giugno 2018 la Corte di Cassazione risolve la vexata quaestio della rilevanza della commissione di massimo scoperto ai fini del calcolo del TEG (tasso effettivo globale) per il periodo antecedente al 1 gennaio 2010.
1. La commissione di massimo scoperto
Con la pronuncia in esame la Suprema Corte, prima di procedere nel dettaglio della questione, definisce la nozione di commissione di massimo scoperto, confermando quella fornita dalla Banca d’Italia nelle “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” emanate il 30 settembre 1996 (e confermate fino a dicembre 2009). Nelle citate Istruzioni si legge che tale commissione viene definita “come il corrispettivo pagato dal cliente per compensare l’intermediario dell’onere di dover essere sempre in grado di fronteggiare una rapida espansione nell’utilizzo dello scoperto del conto. Tale compenso – che di norma viene applicato allorché il saldo del cliente risulti a debito per oltre un determinato numero di giorni – viene calcolato in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento”.
Al fine di inquadrare la vicenda nel contesto normativo e temporale di riferimento, si rammenta che il problema sorge a seguito dell’introduzione della disciplina regolante l’usura (legge 7 marzo 1996, n. 108). In particolare, se da un lato il quarto comma dell’art. 644 cod. pen., così come sostituito nel 1996, prevede chiaramente che “per la determinazione del tasso di interesse usurario si tiene conto delle commissioni, remunerazioni a qualsiasi titolo e delle spese, escluse quelle per imposte e tasse, collegate alla erogazione del credito”, dall’altro le “Istruzioni per la rilevazione del tasso effettivo globale medio ai sensi della legge sull’usura” non tenevano conto delle commissioni di massimo scoperto per la determinazione del TEGM (tasso effettivo globale medio).
In questa situazione di (apparente) conflitto, è intervenuto l’art. 2 bis del D.L. n. 185 del 2008 introdotto dalla legge di conversione 28 gennaio 2009, n. 2, il quale al primo comma disciplina la commissione di massimo scoperto ridimensionandone l’operatività e aggiunge al secondo comma che “gli interessi, le commissioni e le provvigioni derivanti dalle clausole, comunque denominate, che prevedono una remunerazione, a favore della banca, dipendente dall’effettiva durata dell’utilizzazione dei fondi da parte del cliente, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sono comunque rilevanti ai fini dell’applicazione dell’articolo 1815 del codice civile, dell’articolo 644 del codice penale e degli articoli 2 e 3 della legge 7 marzo 1996, n. 108”.[1]
2. Il contrasto giurisprudenziale tra la Seconda sezione penale e la Prima sezione civile
La rimessione della causa alle Sezioni Unite con ordinanza del 20 giugno 2017, n. 15188 e la conseguente pronuncia traggono origine da un contrasto giurisprudenziale che ha interessato in particolare la Seconda sezione penale e la Prima sezione civile della Cassazione.
La Seconda Sezione penale, già con la sentenza n. 12028 del 26 marzo 2010 – poi confermata dalle sentenze n. 28743 del 14 maggio 2010; n. 4669 del 23 novembre 2011; n. 28928 del 3 luglio 2014 – era ferma nel ritenere che “il chiaro tenore letterale del quarto comma dell’articolo 644 cod. pen. […]impone di considerare rilevanti, ai fini della determinazione della fattispecie di usura, tutti gli oneri che un utente sopporti in connessione con il suo uso del credito. Tra essi rientra indubbiamente la commissione di massimo scoperto, trattandosi di un costo indiscutibilmente collegato all’erogazione del credito, giacché ricorre tutte le volte in cui il cliente utilizza concretamente lo scoperto di conto corrente […]. Ciò comporta che, nella determinazione del TEG praticato da un intermediario finanziario nei confronti del soggetto fruitore del credito deve tenersi conto anche della commissione di massimo scoperto”.
La Seconda sezione penale impone, dunque, di considerare rilevanti, al fine di determinare la fattispecie di usura, tutti gli oneri sopportati da un utente in connessione con il suo uso del credito, tra i quali rientrerebbe sicuramente la commissione massimo scoperto[2].
A sostegno di questa linea interpretativa, la sentenza n. 12028 del 26 marzo 2010 argomenta nel senso di considerare l’art. 2bis D.L. n. 185 del 2008 come una “norma di interpretazione autentica del quarto comma dell’art. 644 cod. pen. in quanto puntualizza cosa rientra nel calcolo degli oneri ivi indicati, correggendo una prassi amministrativa difforme”, ammettendo, pertanto, la sua applicazione retroattiva.
Il secondo orientamento, sostenuto invece dalla Prima sezione civile (sentenze n. 12965 del 22 giugno 2016 e n. 22270 del 3 novembre 2016) – in consapevole contrasto con quello adottato dalla Seconda sezione penale -, esclude che l’art. 2 bis D.L. n. 185 del 2008 assurga a norma interpretativa autentica, trovando dunque applicazione retroattiva. Per tale ragione la Suprema Corte aveva escluso che le commissioni di massimo scoperto potessero essere incluse nella verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta[3].
Gli Ermellini fondavano le proprie ragioni in considerazione di un’asserita esigenza di simmetria ed omogeneità tra i parametri utilizzati per la determinazione del TEG applicato in concreto e quelli fissati dalla Banca d’Italia, nelle Istruzioni sopra richiamate, per la determinazione del TEGM, rilevante ai fini della definizione in astratto del tasso soglia[4].
Invero, la Prima sezione civile aveva avuto modo – nella sentenza n. 8806 del 5 aprile 2017 – di rettificare il sopra richiamato orientamento, riconoscendo di dover subordinare le Istruzioni della Banca d’Italia alla normativa del codice penale (art. 644)[5]poiché normativa di rango inferiore.
3. La decisione delle Sezioni Unite
In un contesto frastagliato, le Sezioni Unite hanno tentato di fornire un’interpretazione coerente e conforme alla normativa (anche secondaria) in vigore ante 1 gennaio 2010, dettando un principio di interpretazione uniforme ispirato alla logica e alla ratio sottesa all’usura.
3.1 L’esclusione del carattere interpretativo (e retroattivo) dell’art. 2 bis D.L. n. 185 del 2008
In primo luogo, la Suprema Corte nella sua più autorevole composizione chiarisce che l’art. 2 bis D.L. n. 185 del 2008 “non possa essere qualificato [come] norma di interpretazione autentica dell’art. 644, quarto comma, cod. pen.”. Le ragioni poste a fondamento dell’esclusione del carattere interpretativo della suddetta norma sono due: i) la sua natura innovativa e ii) il fatto che il suo carattere interpretativo non possa essere riferito al solo quarto comma dell’art. 644 cod. pen., escludendo il terzo comma dalla portata interpretativa.
In particolare, in merito alla prima ragione, le Sezioni Unite hanno ritenuto di specificare che la norma in parola “non contiene alcuna espressione che evochi tale natura [di norma interpretativa autentica], ma contiene, anzi, chiarissimi indizi in senso contrario”. Gli indizi considerati nella pronuncia in commento sono innanzitutto l’espressa previsione di una disciplina transitoria da emanarsi in sede amministrativa[6], nonché la previsione del terzo comma recante un periodo di adeguamento di 150 giorni alle disposizioni dell’art. 2 bis per i contratti.[7]
Con riguardo alla seconda ragione, la Corte di Cassazione rileva che una “tale asimmetria contrasterebbe palesemente con il sistema dell’usura presunta delineato dalla legge n. 108 del 1996”. Ciò in quanto tale legge definisce alla stessa maniera sia gli elementi – disposti dall’art. 644 cod. pen. – da considerare al fine di determinare il tasso d’interessi in concreto applicato, sia gli elementi da prendere in considerazione nella rilevazione trimestrale del TEGM e, conseguentemente, per la determinazione del tasso soglia con cui va confrontato il tasso applicato in concreto.
3.2 La non rilevanza dei decreti ministeriali
Non ritenendo decisiva l’esclusione del carattere interpretativo dell’art. 2 bis D.L. n. 185 del 2008, gli Ermellini si soffermano sulla necessità di garantire omogeneità e simmetria tra gli elementi da prendere in considerazione nelle rilevazioni trimestrali del TEGM, emanate con appositi decreti ministeriali, – esigenza già riscontrata dalla Prima Sezione Civile nella sentenza n. 12965 del 22 giugno 2016.
In tal senso, la Corte parte dal presupposto che “la commissione di massimo scoperto […] non può non rientrare tra le commissioni o remunerazioni del credito menzionate sia dall’art. 644, comma quarto, cod. pen. (determinazione del tasso praticato in concreto) che dall’art. 2, comma 1, legge n. 108 del 1996 (determinazione del TEGM), attesa la sua dichiarata natura corrispettiva rispetto alla prestazione creditizia della banca”.
Alla luce di tale presupposto, la Corte di Cassazione ipotizza che i decreti ministeriali di rilevazione del TEGM – quali provvedimenti amministrativi –, giacché non prevedono di tener conto della commissione di massimo scoperto, possano non essere conformi alla legge di cui costituiscono applicazione, con la conseguenza che semmai il giudice ordinario dovrebbe prendere atto dell’illegittimità e disapplicarli.
Tuttavia, questa ipotesi viene esclusa sull’assunto che “non è esatto che le commissioni di massimo scoperto non siano incluse nei decreti ministeriali”: questi decreti danno atto dell’ammontare medio delle commissioni di massimo scoperto, espresse in termini percentuali, seguendo le indicazioni fornite dalla Banca d’Italia nelle già più volte citate Istruzioni.
La Corte chiarisce, infine, che “la funzione dei decreti in questione è dunque essenzialmente di rilevazionedei dati necessari ai fini della determinazione del tasso soglia” e che anche la rilevazione delle commissioni di massimo scoperto era contenuta nei decreti ante art. 2 bis D.L. n. 185 del 2008; il mero fatto che “tale entità sia riportata a parte, e non sia inclusa nel TEGM strettamente inteso, è un dato formale non incidente sulla sostanza e sulla completezza della rilevazione prevista dalla legge”, ed è in ogni caso possibile – sebbene leggermente più macchinosa – la comparazione di precise quantità ai fini del superamento del tasso soglia dell’usura presunta, secondo la ratio ispiratrice dell’istituto.
In altri termini, la Suprema Corte ha preferito far prevalere, alla luce dei consolidati principi di conservazione degli atti giuridici, la sostanza dei decreti ministeriali sulla forma degli stessi.
3.3 Il richiamo al Bollettino di Vigilanza n. 12 del dicembre 2005 emanato dalla Banca d’Italia
Infine, le Sezioni Unite richiamano il Bollettino di Vigilanza n. 12 del dicembre 2005 il quale, nell’indicare le modalità di comparazione, ha inteso dar conto dell’esigenza di non trascurare, nel confronto, l’incidenza delle commissioni di massimo scoperto.
Secondo tale Bollettino, accanto alla verifica del tasso in concreto applicato con la relativa soglia di legge, bisognava confrontare “l’ammontare della percentuale dalla CMS praticata e l’entità massima della CMS applicabile (cd CMS soglia), desunta aumentando del 50% l’entità della CMS media pubblicata nelle tabelle”.
Il Bollettino prosegue precisando che “l’applicazione di sommissioni che superano l’entità della CMS soglia non determina, di per sé, l’usurarietà del rapporto, che va invece desunta da una valutazione complessiva delle condizioni applicate. A tal fine, per ciascun trimestre, l’importo della CMS percepita in eccesso va confrontato con l’ammontare degli interessi (ulteriori a quelli in concreto applicati) che la banca avrebbe potuto richiedere fino ad arrivare alle soglie di volta in volta vigenti (“margine”).[8]Qualora l’eccedenza della commissione rispetto alla “CMS soglia” sia inferiore a tale “margine” è da ritenere che non si determini un supero delle soglie di legge”.
La Suprema Corte ha dunque evidenziato che le modalità richiamate dal Bollettino sono rispettose del dettato normativo e permettono una piena comparazione tra i tassi concretamente applicati e quelli soglia, in maniera da individuare in modo preciso il superamento di tale soglia qualora il tasso in concreto applicato – incluse le commissioni di massimo scoperto – sia effettivamente eccedente la stessa.
4. Il principio di diritto
Condividendo la lettura data dal Bollettino sopra richiamato, la Corte di Cassazione enuncia il seguente principio di diritto:
“Con riferimento ai rapporti svoltisi all’entrata in vigore delle disposizioni di cui all’articolo 2 bis d.l. n. 185 del 2008, inserito dalla legge di conversione n. 2 del 2009, ai fini della verifica del superamento del tasso soglia dell’usura presunta come determinato in base alle disposizioni della legge n. 108 del 1996, va effettuata la separata comparazione del tasso effettivo globale d’interesse praticato in concreto e della commissione di massimo scoperto (CMS) eventualmente applicata – intesa quale commissione calcolata in misura percentuale sullo scoperto massimo verificatosi nel periodo di riferimento – rispettivamente con il tasso soglia e con la “CMS soglia”, calcolata aumentando della metà la percentuale della CMS media indicata nei decreti ministeriali emanati ai sensi dell’art. 2, comma 1, della predetta legge n. 108, compensandosi, poi, l’importo della eventuale eccedenza della CMS in concreto praticata, rispetto a quello della CMS rientrante nella soglia, con il “margine” degli interessi eventualmente residuo, pari alla differenza tra l’importo degli stessi rientrante nella soglia di legge e quello degli interessi in concreto praticati”.
In altri termini, è necessario svolgere una doppia comparazione, la prima tra il TEG e il tasso soglia e la seconda tra la commissione di massimo scoperto concretamente applicata e quella “soglia”. Svolta questa operazione, occorre compensare l’importo dell’eventuale eccedenza della commissione di massimo scoperto con il margine degli interessi che sia eventualmente residuato, da calcolarsi sottraendo il TEG alla soglia di legge: sussisterà usura qualora a seguito di detta compensazione dovesse sussistere ancora un importo residuale.
La pronuncia in esame è destinata ad incidere sul contenzioso pregresso in tema di commissione di massimo scoperto. È rilevante perché interviene in un quadro caratterizzato in precedenza da visioni giurisprudenziali non allineate, adottando una posizione motivata da argomentazioni differenti rispetto al contesto esistente che sembra privilegiare il punto di vista del fruitore del conto corrente rispetto a quello dell’istituto di credito.
[1] Il primo comma dell’art. 2 bis prevedeva che “sono nulle le clausole contrattuali aventi ad oggetto la commissione di massimo scoperto se il saldo del cliente risulti a debito per un periodo continuativo inferiore a trenta giorni ovvero a fronte di utilizzi in assenza di fido […]”. Si ritiene doveroso ricordare anche che tale comma è stata abrogata dall’art. 27, comma 4, D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito con modifiche nella legge 24 marzo 2012, n. 27, mentre la disciplina delle commissioni di massimo scoperto è stata sostituita dall’art. 117 bis D. Lgs, 1 settembre 1993, n. 385 (TUB), inserito dall’art. 6 bis D.L. 6 dicembre 2011, n. 201, convertito con modifiche nella legge 22 dicembre 2011, n. 214 norma “che a pena di nullità consente la previsione nei contratti di apertura credito, “quali unici oneri a carico del cliente”, di “una commissione onnicomprensiva calcolata in maniera proporzionale rispetto alla somma messa a disposizione del cliente alla durata dell’affidamento, e un tasso di interesse debitore sulle somme prelevate…”, imponendo inoltre per detta commissione il limite massimo dello 0,5%, per trimestre, della somma messa a disposizione del cliente”. In tal modo viene superata la commissione di massimo scoperto così come definita dalla Banca d’Italia nelle Istruzioni sopra menzionate.
[2] L’inclusione della commissione di massimo scoperto nel calcolo del TEG ha incontrato il favore dii numerose corti di merito che hanno inteso dar seguito a tale orientamento, scegliendo di tutelare maggiorante il fruitore del conto corrente, privilegiando, dunque, la lettera dell’art. 644 cod. pen. (ex multis, Tribunale di Arezzo, 9 febbraio 2016, n. 184; Tribunale di Vicenza, 30 gennaio 2017, n. 401; Tribunale di Alessandria, 21 novembre 2016, n. 1031; Tribunale di Firenze, 15 novembre 2016, n. 3798; Tribunale di Reggio Emilia, 4 novembre 2016, n. 1445).
[3] Cass., sez. I, 22 giugno 2016, n. 12965: “Ne deriva pertanto che per i rapporti bancari esauritisi prima del 1 gennaio 2010, allo scopo di valutare il superamento del tasso soglia nel periodo rilevante, non debba tenersi conto delle CMS applicate dalla banca ed invece essendo il giudice tenuto a procedere ad un apprezzamento nel medesimo contesto di elementi omogenei della remunerazione bancaria, al fine di pervenire alla ricostruzione del tasso soglia usurario”.
[4] Alcune corti di merito hanno invece ritenuto che l’interpretazione adottata dalla Prima Sezione Civile rispondesse a un principio condivisibile secondo cui “in materia di usura bancaria, laddove le istruzioni della Banca d’Italia applicabili ratione temporisnon prevedessero il computo della CMS nel TEGM, calcolare il TEG secondo un criterio diverso – con inclusione delle CMS – renderebbe quest’ultimo valore non correttamente confrontabile al tasso soglia. Non può pretendersi che la Banca operi in modo difforme dalle istruzioni dell’Organo di Vigilanza” (cfr. Trib. Ferrara, 21 maggio 2014, n. 592; Trib. Verona, 9 dicembre 2013).
[5] La sentenza, infatti, precisa che: “la normativa di divieto dei rapporti usurari – così come in radice espressa dall’art. 644 cod. pen., nella versione introdotta dalla legge n. 108/1996, nel suo art. 1 considera rilevanti tutte le voci del carico economico che si trovino applicate nel contesto dei rapporti di credito […] Del resto, non avrebbe neppure senso opinare diversamente nella prospettiva della repressione del fenomeno usurario, l’esclusione di talune delle voci per sé rilevanti comportando naturalmente il risultato di spostare – al livelli di operatività della pratica – la sostanza del peso economico del negozio di credito dalle voci incluse verso le voci escluse”.
[6] L’art. 2 bis dispone che il modo di determinazione del tasso soglia“resta regolato dalla disciplina vigente alla data di entrata in vigore della legge di conversioni del presente decreto fino a che la rilevazione del tasso effettivo globale medio non verrà effettuata tenendo conto delle nuove disposizioni”.
[7] La norma, infatti, dispone che “i contratti in corso alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto sono adeguati alle disposizioni del presente articolo entro centocinquanta giorni dalla medesima data”.
[8] Il Bollettino specifica che tale margine è calcolato, con cadenza trimestrale, sottraendo dagli interessi massimi che la banca avrebbe potuto richiedere, quelli effettivamente richiesti.