Con la sentenza n. 119 del 18/02/2013 depositata in data 27/03/2013, la Commissione Tributaria Provinciale di Milano ha accolto il ricorso di una contribuente che, sottoposta ad indagini finanziarie, ha giustificato gli importi accreditati sul proprio conto corrente, e ritenuti dall’Agenzia delle Entrate come maggiori ricavi, depositando in giudizio dichiarazioni di terze persone le quali confermavano l’elargizione di somme, a titolo di liberalità, in suo favore.
La problematica in esame
Nonostante il divieto della prova testimoniale, vigente nel processo tributario, è ormai ammessa la produzione in giudizio delle dichiarazioni rese da soggetti terzi sia da parte del contribuente che da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
Esse, però, hanno il valore di elementi indiziari e, come tali, non possono essere poste, da sole, a fondamento della decisione, ma solo unitamente ad altri elementi di prova.
Tali strumenti di tutela sono offerti al contribuente al fine di garantire la parità delle armi processuali.
Dapprima è stato consentito l’ingresso nel processo di dichiarazioni di terzi a supporto della posizione della Pubblica Amministrazione. Ovvia conseguenza è stata quella di consentire anche al contribuente di introdurre nel processo tributario delle dichiarazioni rese da soggetti terzi a sostegno delle proprie ragioni.
La sentenza in commento
Nel caso in esame l’Agenzia delle Entrate accertava, a carico della ricorrente, in seguito ad indagini finanziarie, l’esistenza di movimentazioni ritenute fonte di lavoro autonomo non dichiarato.
La contribuente/ricorrente allegava al fascicolo processuale autocertificazioni di soggetti terzi in cui questi dichiaravano di aver erogato a titolo di liberalità le somme accertate dai funzionari dell’Amministrazione Finanziaria.
I giudici milanesi accoglievano il ricorso e ritenevano tali dichiarazioni, presenti negli atti del giudizio, giustificative delle somme accertate dai funzionari dell’Agenzia dell’Entrate.
La posizione della Corte di Cassazione
Secondo l’orientamento della Corte di Cassazione, confermato anche con la recente sentenza n. 21305 del 18 settembre 2013, il potere di introdurre dichiarazioni rese da soggetti terzi, quali ad esempio dichiarazioni sostitutive di atti di notorietà, va riconosciuto non solo all’Amministrazione Finanziaria, ma anche al contribuente in attuazione dei principi del giusto processo sanciti dal’art. 111 della Costituzione.
Secondo il Supremo Collegio le dichiarazioni rese da soggetti terzi hanno valore probatorio di elementi indiziari, e non sono idonee a costituire, da sole, il fondamento della decisione.
Nel caso di un accertamento bancario di carattere presuntivo, quindi, le stesse devono essere “sottoposte ad una attenta verifica da parte del giudice il quale è tenuto ad individuare i fatti noti dai quali dedurre quelli ignoti, correlando ogni indizio ai movimenti bancari contestati”.
Con la citata sentenza n. 21305 del 18 settembre scorso, la Cassazione da una lato conferma la legittimità dell’acquisizione delle dichiarazioni dei terzi nell’ambito del processo tributario e dall’altra ne esclude l’influenza sull’accertamento se esse sono eccessivamente generiche e circostanziate.
Conclusione
Alla luce della vigente normativa e della recente giurisprudenza, nell’ottica di un incremento delle garanzie del contribuente seppur non si sia giunti, ancora, all’eliminazione del divieto della prova testimoniale nell’ambito del processo tributario, si può affermare, con certezza, che le dichiarazioni rese da soggetti terzi assumono sempre più un rilevo fondamentale nella dimostrazione dei fatti di causa.
Nonostante ciò, non è ancora chiaro quali siano gli strumenti di cui il contribuente può usufruire nell’esercizio del suo legittimo diritto di difesa nell’ipotesi di utilizzo delle dichiarazioni rese da soggetti terzi da parte dell’Amministrazione Finanziaria.