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Giurisprudenza

Le dimissioni presentate non esonerano il sindaco di società di capitali da responsabilità

23 Ottobre 2019

Edoardo Cossu

Cassazione Civile, Sez. I, 12 luglio 2019, n. 18770 – Pres. Didone, Rel. Nazzicone

Di cosa si parla in questo articolo
Il prossimo 21 novembre si terrà a Milano il Convegno di rassegna di giurisprudenza ed orientamenti notarili in materia societaria organizzato da questa Rivista. Per maggiori informazioni si rinvia al link indicato tra i contenuti correlati.

Le dimissioni non costituiscono mai condotta di adempimento del dovere, né sufficiente ad esimere da responsabilità, quando a ciò non si fossero accompagnati anche concreti atti volti a contrastare, porre rimedio o impedire il protrarsi degli illeciti, per la pregnanza degli obblighi assunti dai sindaci proprio nell’ambito della vigilanza sull’operato altrui, e perché la diligenza impone piuttosto un comportamento alternativo: equivalendo allora le dimissioni ad una sostanziale inerzia ed, anzi, divenendo esemplari della condotta colposa e pilatesca tenuta dal sindaco, del tutto indifferente e inerte nel rilevare la situazione di illegalità reiterata.

Con la pronuncia in esame, la Corte di Cassazione ha precisato che la sussistenza di fatti illeciti, da cui emerga un “campanello di allarme” della condizione di illegalità in cui versi la società, comporta un obbligo in capo ai sindaci di attivarsi tempestivamente, al fine di adottare tutte le misure e gli atti necessari per porre rimedio a tali illeciti.

I sindaci, infatti, sono tenuti ad assolvere al proprio incarico con diligenza, correttezza e buona fede, ponendo in essere ogni atto opportuno e necessario per vigilare in maniera effettiva e non meramente formale sulla gestione della società (sollecitazioni, richieste, richiami, indagini, denunce all’autorità giudiziaria); in mancanza, risponderanno sul piano civile insieme agli amministratori per omesso esercizio dei doveri di controllo attribuiti dalla legge.

Ne consegue quindi che le eventuali dimissioni rassegnate dai sindaci non possono costituire in alcun modo un’esimente da responsabilità, manifestando invece una condotta inerte e passiva in violazione dei predetti obblighi. Resta in ogni caso in capo al sindaco l’onere di provare che la mancata conoscenza degli eventi, e quindi dell’impossibilità di attivarsi, fosse determinata da fattori insuperabili.

Tale principio si applica anche con riferimento a quei fatti illeciti che sono stati commessi prima dell’assunzione dell’incarico. In particolare la Corte di Cassazione, riprendendo la sentenza n. 31204/2017, ha affermato che “l’essere stato designato alla carica [di sindaco, ndr] solo dopo la commissione dell’illecito non è di per sé circostanza sufficiente ad esimere il sindaco da responsabilità, in quanto l’accettazione della carica comporta comunque l’assunzione dei doveri di vigilanza e di controllo; né la responsabilità per il ritardo nell’adozione delle misure necessarie viene meno per il fatto imputabile al precedente amministratore, una volta che, assunto l’incarico, fosse esigibile lo sforzo diligente di verificare la situazione e porvi rimedio”.

Nel caso di specie, la Suprema Corte ha accertato che i sindaci di una S.r.l. soggetta alla procedura fallimentare – nominati nel giugno 2006 e dimessisi nel luglio 2007 (dimissioni accettate dall’assemblea nel settembre dello stesso anno) – fossero stati a conoscenza: (i) della ricezione da parte della società del processo verbale di constatazione della Guardia di Finanza, la quale nel luglio 2006 aveva dettagliatamente segnalato una gravissima situazione di illiceità fiscale derivante da un meccanismo di false fatturazioni, architettato dagli amministratori, finalizzato all’evasione tributaria mediante l’artificiale creazione di ingenti crediti IVA negli esercizi 2004 e 2005; (ii) delle distrazioni delle merci del magazzino, operate fraudolentemente dagli amministratori, e di altri beni strumentali; (iii) dell’ingiustificata risoluzione del contratto di affitto di azienda, con conseguente perdita dei relativi canoni.

Detta situazione di illiceità avrebbe quindi dovuto indurre i sindaci a tentare di: (i) riparare all’illecito fiscale mediante dichiarazioni correttive; (ii) vigilare in modo non sporadico ed in profondità sulla quotidiana gestione; (iii) sorvegliare l’integrità di ogni bene patrimoniale della società; (iv) coinvolgere la pubblica autorità per prevenire ulteriori spoliazioni.

Pertanto, posto che l’agire degli amministratori è stato caratterizzato, nel caso di specie, dal mancato rispetto dei principi di corretta gestione, la responsabilità dei sindaci si fonda sul fatto di non aver rilevato le macroscopiche violazioni e, quindi, di non avere in alcun modo ad esse reagito.

 

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