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Le frontiere della “cartolarizzazione” si spingono ancora oltre. Un primo commento all’ultimo intervento di modifica della Legge n. 130 del 1999.

15 Gennaio 2019

Paolo Carrière, CBA Studio Legale e Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

Prosegue con accanimento, anche nella Legge di Bilancio 2019[1], quella che a questo punto appare una impietosa opera di rimaneggiamento – con innesti che paiono ispirati da una logica talora “interpretativa”, talora “correttiva” – del già martoriato corpo normativo che disciplina la nostrana “cartolarizzazione”. La nota L. n. 130 del 1999, frutto negli ultimi anni di innumerevoli, periodici, scoordinati e disarmonici interventi come è difficile riscontrare per altri testi normativi, il tutto fuori da qualsiasi attenzione all’equilibrio sistemico della delicata materia e in totale spregio anche a quelli che (sin qui) parevano i capisaldi concettuali dell’archetipo di quella operazione. La cosa era già avvenuta, da ultimo, nel 2017 con alcune innovazioni “eversive”[2] che quell’archetipo avevano già profondamente messo in discussione…qui si va anche oltre.

Sia chiaro, non si nega affatto che il legislatore debba seguire da vicino i fenomeni dell’innovazione finanziaria al fine di rendere anche il nostro spazio normativo il più possibile “accogliente” per essi, in linea con le più evolute prassi osservabili sui mercati internazionali; quel che si contesta è che questo modo di legiferare – che spesso appare parziale e disorganico o addirittura ispirato da istanze particolaristiche incomprensibili ai più, nei suoi presupposti ed effetti, smentendo ogni vocazione “generalista” che dovrebbe presentare una norma primaria – ottenga per la maggioranza degli operatori l’effetto esattamente contrario, aprendo più problemi di quanti non ne voglia risolvere, sollevando dubbi interpretativi davvero inquietanti anche su prassi operative – magari sin qui border line – ma che sul mercato hanno comunque trovato spazio grazie al silenzio (che allora verrebbe da dir “dorato”, perché assai preferibile rispetto all’attuale “Babele”) della norma e alla possibilità di assemblare utilmente altri “strumenti” giuridici già oggi resi disponibili dall’Ordinamento nostrano.

Il senso di un intervento normativo che regolasse questo fenomeno dell’innovazione finanziaria – fortemente ispirato, as usual, al sistema anglosassone – è stato, sin dall’inizio, quello di rimuovere alcuni insormontabili ostacoli giuridici al libero dispiegarsi dell’autonomia negoziale nel replicare un analogo regime di efficace segregazione patrimoniale, in via derogatoria ai principi generali della responsabilità patrimoniale (in ambito civilistico), del sistema revocatorio (in ambito fallimentare) e della natura imprenditoriale dell’attività (in ambito commerciale). Da qui l’opera di necessaria e inevitabile puntuale tipizzazione di quelle fattispecie che, potendosi fregiare dell’appellativo di “cartolarizzazione”, potessero conseguentemente godere del regime fortemente protettivo e di favore per esse disegnato. L’intervento del legislatore poteva e doveva (e dovrebbe) fermarsi qui…ogni ulteriore zelo descrittivo e prescrittivo rispetto all’impianto originario – su profili squisitamente operativi – risulta, come vedremo, spesso fonte di ambiguità e incertezza, laddove, come noto, la certezza delle risposte dell’Ordinamento costituisce la linfa vitale di queste operazioni.

E allora, in assenza di una meditata e consapevole riformulazione organica dell’istituto – ove se ne sentisse davvero l’esigenza – sarebbe sicuramente più utile astenersi dal procedere periodicamente e scompostamente nel senso indicato, finendo col rendere il quadro normativo di riferimento talmente incoerente e incomprensibile da tradire il senso stesso della sua originaria presenza in seno all’Ordinamento.

Facendo ammenda per questo iniziale sfogo – ormai talmente generalizzato e reiterato tra gli operatori del diritto innanzi, e non certo da ora, ad una tecnica legislativa disdicevole, tanto da risultare stucchevole e del tutto sterile – tenteremo costruttivamente, in primis, una non immediata ricomposizione “ragionata” del (dis)articolato intervento normativo nel tentativo di ricostruire (in assenza di alcuna utile indicazione che possa trarsi financo dai dossier di sintesi degli interventi[3]) un plausibile filo logico che lo giustifichi, per poi accennare a qualche primo spunto critico.

In tal senso, allora, gli ambiti toccati, nel corpo della L. n. 130 del 1999, dalla recente ultima “riforma” paiono così aggregabili in ordine di importanza:

1) L’intervento più “impegnativo” pare sicuramente individuabile nella introduzione – verrebbe da dire “di soppiatto” – nell’articolo 7 della citata legge (alla nuova lettera b-bis del comma 1) di quella che pare una nuova (ennesima) “tipologia” di operazione di cartolarizzazione, caratterizzabile per l’avere ad oggetto i “proventi” rinvenienti dalla “titolarità” di beni immobili o mobili registrati ovvero da diritti reali o personali riguardanti i medesimi beni (potremo pertanto chiamarla la “cartolarizzazione di proventi immobiliari”). Pur con i limiti concettuali che ora diremo e nonostante la sommarietà (al limite della cripticità) della disposizione in commento, potrebbero comunque aprirsi spazi inediti e assai interessanti nell’ambito della strutturazione di operazioni nel settore “real estate”.

In sostanza, viene introdotta una nuova forma di “cartolarizzazione” (che vuole forse riecheggiare alcuni tratti delle cartolarizzazioni pubbliche nel passato realizzate con finalità di privatizzazione del patrimonio immobiliare dello Stato, c.d. “operazioni SCIP”, le quali però sono avvenute nel quadro di in un ben più comprensibile, completo e coerente quadro normativo qui del tutto assente) che si aggiunge alle altre otto[4] già oggi delineabili nel corpo della L. n. 130 del 1999 e che rispetto a tutte le altre – e all’archetipo stesso della “cartolarizzazione” come da sempre e sin qui “tecnicamente” intesa nel nostro Ordinamento – si discosta sotto il profilo “oggettivo”, prevedendosi ora esplicitamente che oggetto di tale operazione possano essere oltre ai “crediti” (presenti, futuri, “in blocco”, come sin qui solo ipotizzabile) – anche i “proventi” (nonostante non si sia poi coordinato l’art. 1 della legge in cui, nella definizione di queste operazioni, si continua a far esclusivo riferimento a tali “crediti”!). In assenza di alcuna ulteriore articolazione del concetto e di una seppur minima traccia di disciplina ogni avveduto osservatore non può che trovarsi inizialmente spaesato. Tutto fa pensare che con il concetto di “proventi” – dovendosi necessariamente con ciò intendere qualcosa di ontologicamente diverso dai “crediti”, anche “futuri”, o anche dai “flussi monetari” da essi derivanti, quest’ultimo costituendo lo specifico oggetto della cartolarizzazione del tipo disciplinato dall’art. 7,1. a) – ci si voglia genericamente riferire a “flussi monetari” (sub specie di bene futuro ex art. 1348 c.c.) derivanti, di per sé, dalla “titolarità” di beni immobili o mobili registrati, ovvero diritti connessi; “flussi monetari” che non trovino, dunque, al momento della loro “cessione” (rectius “cartolarizzazione”), alcuna già esistente relazione genetica di natura negoziale; qualcosa di simile, allora, a quanto avviene in quelle operazioni che, nel mondo anglosassone, vengono talora dette “whole business securitisations”? Si badi che, un tale tipo di “cartolarizzazione” – per quanto da sempre concettualmente dubbia alla luce dell’art. 1.1. – parrebbe aver comunque già visto alcune applicazioni anche sul mercato italiano, l’autonomia negoziale e gli sforzi ermeneutici avendo evidentemente trovato sin qui utili spazi di manovra, magari facendosi ricorso anche a qualche ulteriore strumentario giuridico disponibile agli operatori. Da questo punto di vista l’intervento normativo in esame potrebbe allora rivelarsi improvvido – in una evidente eterogenesi dei fini – ove finisse per mettere in discussione definitivamente queste innovative esperienze di mercato (alcune magari in essere!), sancendosi ora chiaramente che tali operazioni di cartolarizzazione di “proventi” sono (semmai) esclusivamente concepibili (in quanto, appunto, operazioni di “cartolarizzazione” a cui possa quindi conseguire, in primis, lo specifico apparato protettivo per esse disegnato nella L. n. 130 del 1999, in deroga a numerosi “principi generali” di varia natura) solo in relazione a proventi derivanti dalla “titolarità di beni immobili….” (laddove anche sulle conseguenze del richiamo al concetto di “titolarità” ci sarebbe da ragionare…“titolarità” e non anche “godimento”, o questo deve intendersi ricompreso nella “titolarità”?…Si osservi come nelle operazioni SCIP si parlasse piuttosto di “cartolarizzazione dei proventi derivanti dalla dismissione del patrimonio immobiliare dello Stato”).

Ciò detto e anche solo con riferimento a questo limitato ambito nel quale, dunque, tale nuova forma di cartolarizzazione parrebbe oggi esclusivamente “sdoganata” con chiarezza, l’assenza di alcuna seppur minima indicazione di disciplina appare spiazzante, ove si porti il ragionamento fino a quelle che paiono le estreme ma inevitabili conseguenze logiche. Perché delle due l’una: o dalla qualificazione di tali operazioni in termini di “cartolarizzazione” deve farsi conseguire, in via analogico-sistematica, uno specifico regime legale di segregazione patrimoniale dei “proventi” così “cartolarizzati”, ovvero la tipizzazione di questa nuova forma di cartolarizzazione appare sostanzialmente inutile e sistematicamente fuorviante. E tuttavia, la prima conclusione – la sola che giustificherebbe la (e conseguirebbe dalla) tipizzazione così operata dal legislatore – appare assai problematica.

Sulla scorta dell’incipit dell’art. 7 (“Le disposizioni della presente legge si applicano, in quanto compatibili…”), si potrebbe infatti ritenere ricostruibile, nella “sintetica” scelta operata dal Legislatore, la volontà di consentire una applicazione, in capo all’originator, di una disciplina di segregazione dei suoi “proventi” analoga, mutatis mutandis, a quella ordinariamente prevista dall’art. 3 della legge per i “crediti”, (in capo, però, qui, alla società di cartolarizzazione!). E tuttavia una tale soluzione appare subito sistematicamente “eversiva”, in assenza di alcuna meditata ed esplicita disciplina di coordinamento col vigente ordinamento (come invece avvenne nel ben più completo e raffinato quadro normativo che, a suo tempo, disciplinò puntualmente le operazioni SCIP). È evidente, infatti, come un regime segregativo dei “proventi immobiliari” cartolarizzati che si ritenesse, sic et simpliciter, oggi applicabile “ex lege”, per effetto dell’intervenuta modifica in esame, risulterebbe del tutto scoordinato rispetto all’attuale sistema della pubblicità immobiliare, (venendosi inoltre a scavalcare anche alcuni limiti legali di generale applicazione, ad es. quelli posti dall’art. 2918 cod. civ.?). Ove poi la sottostante “titolarità immobiliare” fosse riferibile a soggetti imprenditoriali, si consentirebbe di operare sul mercato dei “traffici giuridici”- in spregio oltre che alle generali regole sulla pubblicità immobiliare anche a quelle sulla tutela del credito commerciale – a delle entità (imprenditoriali) i cui proventi operativi dovrebbero (!?) godere (parzialmente o anche totalmente, ove si pensi ad esempio a società immobiliari) di un regime di segregazione legale, al di fuori di qualsiasi presidio di pubblicità e di tipo contabile -organizzativo, in termini almeno paragonabili a quelli oggi previsti per i “patrimoni separati”; in linea allora, effettivamente, con quello che appare il modello di riferimento della “whole business securitisation”?

Una diversa soluzione ermeneutica, meno “sistemicamente” problematica, potrebbe invece invocare l’applicazione, anche a questa “nuova” fattispecie, della medesima disciplina – seppur discutibile, come tra poco diremo al successivo punto 2) – ora proprio e contestualmente introdotta con questo stesso intervento normativo per i “crediti” cartolarizzati in base a quella particolare fattispecie di cartolarizzazione da sempre, invece, disciplinata dall’art. 7,1. lett. a), nella quale, tipicamente, infatti, tali “crediti” rimangono di titolarità dell’originator; disciplina che sarebbe stato allora facile, e forse ovvio, attendersi che il Legislatore estendesse, mutatis mutandis, anche alla “nuova” fattispecie qui in esame. Una tale opzione interpretativa pare però oggi impedita, attesa, invece, la significativa mancanza di alcun esplicito richiamo di (o rinvio a) quella disciplina anche in relazione a questa “nuova” “cartolarizzazione dei proventi immobiliari”, pur essendo essa stata introdotta, per la “vecchia” cartolarizzazione ex art. 7,1. lett. a), solo “a poche battute” di distanza dall’intervento di tipizzazione della prima, operato con l’introduzione della nuova lettera b-bis del comma 1 dello stesso articolo.

Se infine, l’assordante silenzio della norma in punto di disciplina dovesse leggersi nel senso della volontà del legislatore di lasciare (come peraltro già sin qui avvenuto) alla sola autonomia negoziale l’articolazione di idonei presidi segregativi nel rispetto, quindi, dei vigenti principi generali della pubblicità immobiliare e del diritto commerciale (ricorrendo dunque al già ricco strumentario giuridico oggi disponibile: ipoteche, diritti di usufrutto, patrimoni separati, pegno e cessione di crediti…), non si capisce allora davvero il senso di un tale intervento; peraltro una tale intenzione del legislatore contrasterebbe platealmente con il ben diverso (seppur, come ora vedremo, discutibile) approccio accolto invece, in questo stesso intervento normativo, proprio con riguardo alla già citata particolare forma di cartolarizzazione disciplinata dall’art. 7,1. lett. a), per cui si è invece ritenuto necessario (solo ora?) intervenire a disciplinare (confusamente) uno specifico regime segregativo dei crediti così “cartolarizzati” e ciò allora necessariamente in capo all’originator che, in tale tipo di cartolarizzazione, ne mantiene la titolarità… come ora vedremo.

2) Il secondo intervento è infatti volto a disciplinare più nel dettaglio la fattispecie di cui alla lettera a) del primo comma del già citato articolo 7, (peraltro assai tardivamente, essendo tale fattispecie di cartolarizzazione una di quelle originarie); a questo fine viene introdotto un ulteriore periodo alla citata lettera a) ed inseriti due nuovi commi (2-octies e 2-novies) in chiusura del predetto articolo, oltre a conferirsi una “impegnativa” delega al MEF per l’implementazione di tali disposizioni.

La lettera a) dell’art. 7.1 riguarda le cartolarizzazioni dei crediti “realizzate mediante la erogazione di finanziamento” da parte della società di cartolarizzazione all’originator; trattasi in sostanza, per come utilizzate nella prassi, di quelle operazioni di tipo “sintetico” – assimilabili a sub-partecipation – in cui la titolarità dei crediti rimane in capo all’originator, dandosi luogo, nella sostanza giuridica e al di là della, per certi versi fuorviante, nozione di “finanziamento” qui utilizzata dal legislatore, ad una cessione dei “flussi monetari futuri” pur sempre derivanti (diversamente quindi dal caso dei “proventi” di cui sopra) da essi “crediti”. La modifica introdotta precisa innanzitutto (ma superfluamente) che tale forma di cartolarizzazione “ha per effetto il trasferimento del rischio” riguardante i crediti nei termini e nei modi concordati dalle parti. I due nuovi commi inseriti, invece, paiono prefiggersi l’obiettivo di disegnare uno specifico regime segregativo sui sottostanti crediti “cartolarizzati” che, rispetto a quello “ordinario” di cui all’art. 3, operi in maniera “avanzata” già in capo all’originator il quale, infatti, come già detto, di quelli mantiene qui la titolarità. E ciò avviene prevedendosi: (i) la possibilità (e non della necessità?…ma allora qual’ è la portata prescrittiva della norma che si limita a prevedere una facoltà già oggi ben contrattualmente articolabile ricorrendo ad una varietà strumenti consolidati) per il soggetto “finanziato”, (l’originator), di destinare e “segregare” i crediti oggetto di cartolarizzazione – nonché “i diritti e i beni che in qualunque modo costituiscano la garanzia del rimborso di tali crediti” – al soddisfacimento dei diritti della società di cartolarizzazione (e non invece “dei diritti incorporati nei titoli emessi”?) “ovvero ad altri scopi” (??), prevedendosi altresì l’ulteriore facoltà (?) “di costituire un pegno sui beni e i diritti predetti a garanzia del finanziamento concesso dalla società di cartolarizzazione” e; (ii) la ulteriore “possibilità” (?) di prevedere nel “contratto relativo all’operazione”, l’obbligo dell’originator di “corrispondere alla società di cartolarizzazione tutte le somme derivanti dai crediti cartolarizzati, analogamente ad una cessione”. Sebbene il senso complessivo di tutto questo intervento possa intuirsi, non possono però non segnalarsi le difficoltà di ricostruzione di un regime di disciplina ad hoc che dovrebbe qui applicarsi all’ originator e di coordinamento con l’impianto dell’art. 3 della Legge. A meno di ritenere che il Legislatore abbia così voluto introdurre (demandandone poi la disciplina al MEF) un nuovo specifico regime di “segregazione” di natura legale analogo, mutatis mutandis, a quello previsto per la società di cartolarizzazione – ipotesi che però apparirebbe subito irrimediabilmente problematica, dovendo esso applicarsi qui in capo all’originator che non riveste la natura di spv – dubbia pare in definitiva la reale utilità del tardivo e confuso intervento, posto che già oggi poteva farsi ricorso (e sin qui si è fatto) ai medesimi strumenti giuridici che, peraltro, anche qui vengono sommessamente enunciati (garanzie reali e patrimoni separati) senza che si sentisse l’esigenza di una esplicita e difficile sovrapposizione (superfetazione) normativa…risultando peraltro assai delicata l’opera di “implementazione” a cui viene pilatescamente chiamato il MEF.

3) Il terzo intervento interessa il comma 1-ter del citato articolo 1 – col quale, come, noto venne introdotta nel 2014 la facoltà, purché a certe condizioni, anche per le società di cartolarizzazione di operare “direct lending” – essendo qui il Legislatore intervenuto in due differenti punti. In primo luogo, è stato sostituito il riferimento alle microimprese con la differente locuzione di “imprese con un totale di bilancio inferiore a 2 milione di euro”. In secondo luogo, il Legislatore ha chiarito espressamente la possibilità per le società di cartolarizzazione di concedere finanziamenti “anche contestualmente e in aggiunta” alle operazioni previste ai primi due commi dell’articolo 1 legge, (e cioè, appunto, le operazioni di cartolarizzazione). La necessità del chiarimento non appare immediatamente comprensibile per come formulato. Appariva infatti già chiaro – perlomeno a parere di chi scrive – che la nuova operatività di direct lending dovesse ritenersi (tipicamente) aggiuntiva (anche se magari non necessariamente accessoria o funzionale) a quella di cartolarizzazione, essendo essa derogatoria della generale “riserva bancaria” ed innestandosi nel corpo della legge che disciplina, appunto, i soggetti che svolgono operazioni di “cartolarizzazione”, peraltro necessariamente in via esclusiva, come tuttora emerge dall’art. 3 ove è prescritto un oggetto sociale esclusivo per le società di cartolarizzazione. Poteva semmai dubitarsi del contrario, che cioè una “società di cartolarizzazione” potesse svolgere esclusivamente attività di direct lending, anche indipendentemente dalla effettiva realizzazione di operazioni di cartolarizzazione (elemento questo che avrebbe cioè potuto ritenersi qualificante affinché una “società di cartolarizzazione” potesse dirsi tale, in virtù del combinato disposto degli artt. 1 e 3). Bene, benché dalla impostazione “invertita” della questione, quale emerge della disposizione in commento, può comunque oggi concludersi, (allora a contrario!), in senso positivoin linea peraltro con quanto poteva già osservarsi sul mercato che già risultava essersi allineato a logiche (dilaganti) di shadow banking capaci di alleviare il credit crunch che in questi anni di crisi ha soffocato l’economia.

4) Il quarto intervento ha riguardato infine l’articolo 1 comma 1- bis della legge sulle cartolarizzazioni, nel quale, oltre ad una doverosa correzione di un evidente refuso (!), il legislatore introduce utilmente, al verificarsi di alcune condizioni, alcune deroghe alla disciplina civilistica dei titoli di debito, con una finalità di semplificazione dell’accesso delle piccole e medie imprese (PMI) al finanziamento tramite i “minibonds” cartolarizzabili. Precisamente viene previsto che nel caso in cui i titoli emessi dalla società veicolo siano destinati ad investitori qualificati (come definiti dall’articolo 100 del TUF) i titoli di debito emessi da una società e destinati alla società veicolo non devono rispettare i requisiti di cui all’articolo 2483 secondo comma codice civile, non dovendosi nemmeno essere rispettato il requisito di cui all’articolo 2412 quinto comma, il quale risulterà soddisfatto anche in caso di quotazione dei titoli emessa dalla società veicolo.

 

[1] L. n. 145 del 30 dicembre 2018.

[2] Sia consentito di rinviare a P. Carrière, Le nuove frontiere della cartolarizzazione: tra profili sistematici e incertezze di disciplina, in Rivista di Diritto Bancario, 11/2017.

[3] Nei Dossier Legge di Bilancio 2019 – Quadro di sintesi degli interventi 23 dicembre 2018 e Le modifiche approvate dal Senato della Repubblica 27 dicembre 2018.

[4] E cioè i tre modelli “classici”, previsti dall’originario impianto della L. n. 130 del 1999: (i) la cartolarizzazione con cessione dei crediti alla Società di Cartolarizzazione; (ii) quella con cessione a fondi comuni di investimento, ex art. 7,comma 1, lett. b); (iii) quella che ricorre alla modalità con “finanziamento” ex art. 7,comma 1, lett. a); le fattispecie successivamente introdotte, rispettivamente, (iv) all’art.1, comma1-bis (cartolarizzazione mediante la sottoscrizione o l’acquisto obbligazioni o titoli); (v) all’art. 7, comma 2-quater (cartolarizzazione di crediti sorti dalla concessione di finanziamenti da parte della società emittente i titoli); (vi) all’art. 7- bis, 7-ter e 7-quater (cartolarizzazioni relative a obbligazioni bancarie garantite); e infine le due introdotte nel 2017 con la c.d. “manovrina” (D.L. n. 50 del 24.4.2017): (vii) all’art. 7.1., commi 3 e 8, la c.d. “cartolarizzazione finalizzata alla ristrutturazione” e (viii) all’art. 7.1, commi 4 e 5,la c.d. “cartolarizzazione immobiliare”, rimandando all’articolo citato sopra alla nota 2 e, in via generale, a P. Messina, Le operazioni finanziarie nel diritto dell’economia, in Finanza pubblica e d’impresa, in E. Picozza e E. Gabrielli (a cura di/ diretto da), Trattato di diritto dell’economia, Padova 2011, p. 241 ss. e a D. Galletti, G. Guerrieri, La cartolarizzazione dei crediti, Bologna, 2002 e V. Trombetti, Le operazioni di cartolarizzazione di crediti commerciali e le recenti modifiche dei decreti Destinazione Italia e Competitività, in Banc., 2014, 61.

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