Con la Delibera n. 20660 del 31 ottobre 2018 la Consob ha disposto la sospensione – ai sensi dell’art. 99, comma 1, lett. b), TUF – di un’offerta al pubblico di criptovaute promossa da una società di diritto inglese in Italia. Il provvedimento citato conferma l’interpretazione – condivisa ormai in svariate giurisdizioni a livello internazionale – per cui le c.d. Initial Coin Offering (ICO), ovvero le offerte al pubblico aventi ad oggetto criptovalute, sono fattispecie suscettibili di configurare offerte al pubblico di prodotti finanziari, ex art. 1, comma 1, lett. t) TUF.
Le ICO rappresentano una nuova forma di raccolta del capitale presso il pubblico che sfrutta l’emissione di criptovalute e la tecnologia Blockchain al fine di finanziare progetti di natura per lo più imprenditoriale.
In Italia, in mancanza di puntuali riferimenti normativi, ci si è chiesti a lungo se dette operazioni rientrino nella disciplina dei mercati finanziari. La risposta a detto quesito è certamente affermativa e il provvedimento di Consob lo conferma, superando il (diffuso) equivoco che le ICO possano realizzarsi in “assenza di regole”. In questa prospettiva – volendo semplificare le conclusioni di un’analisi che meriterebbe una trattazione ben più diffusa e completa – le fattispecie regolate che presentano più analogie con le ICO sono senza dubbio l’offerta al pubblico di prodotti finanziari e il crowdfunding.
Venendo al caso di specie, la Consob nella Delibera in esame ha valutato di poter considerare l’ICO, alla stregua di un’operazione di offerta al pubblico di prodotti finanziari, e, di conseguenza, ha ritenuto che dovessero applicarvisi le relative norme contenute nel TUF, i cui presidi, tuttavia, sembrerebbero assenti. Da qui l’inevitabile intervento di sospensione dell’offerta, conformemente alle esigenze di protezione dei mercati e degli investitori.
Il ragionamento seguito dall’Autorità nel giungere a queste conclusioni è estremamente lineare: a tutti i casi in cui si riscontri una «comunicazione rivolta a persone, in qualsiasi forma e con qualsiasi mezzo, che presenti sufficienti informazioni sulle condizioni dell’offerta e dei prodotti finanziari offerti così da mettere un investitore in grado di decidere di acquistare o di sottoscrivere tali prodotti finanziari, incluso il collocamento tramite soggetti abilitati»devonoapplicarsi gli artt. 94 ss. TUF, nonché le regole collegate.
È dunque evidente che, sulla base di questa lettura, spetta all’interprete verificare di volta in volta l’assimilabilità dell’ICO ad un’offerta al pubblico di prodotti finanziari; in particolare, si tratta di constatare la sussistenza di tutti i requisiti della definizione normativa, compreso il fatto di ricondurre l’oggetto dell’offerta alla nozione di “prodotto finanziario”, così come riportata dall’art. 1, comma 1, lett. u) TUF. Infatti, quest’ultimo sembra rimanere l’aspetto più complesso dell’analisi, dal momento che – al netto della definizione di “valuta virtuale” contenuta all’art. 1, comma 2, lett. qq) del d.lgs. 21 novembre 2007, n. 231 – l’unica soluzione rimane quella di considerare le caratteristiche proprie del token emesso in ciascun caso concreto, verificandone la riconducibilità al gruppo degli strumenti finanziari, ovvero ad “ogni altra forma di investimento di natura finanziaria”, così da poterli collocare o meno entro l’ampio genus dei prodotti finanziari.
Il caso in esame finisce, dunque, per fornire un indirizzo ben definito – e ampiamente prevedibile – su come l’Autorità intenda affrontare il problema della regolamentazione delle ICO rispetto all’ordinamento vigente. Questo approccio, a parere di chi scrive, non potrà certamente mutare sin tanto che il Legislatore, italiano od europeo, non provvederà a definire una disciplina ad hoc per questa nuova forma di raccolta del capitale, i cui contenuti saranno comunque da determinarsi attraverso un inevitabile confronto con la più ampia e capillare disciplina dei mercati finanziari.