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Le Linee guida italiane in materia di prezzi di trasferimento

7 Giugno 2018

Gianni De Robertis, Chief Economist di Studio Associato – Consulenza legale e tributaria (KPMG), Partner di KPMG Advisory S.p.A.; Lucia Barone, Executive Senior Advisor, Studio Associato – Consulenza legale e tributaria (KPMG)

Di cosa si parla in questo articolo

Il decreto MEF

Il comma 7 dell’art. 110 Tuir, come modificato dall’art. 59, comma 1, del DL 50/2017 convertito con modificazioni nella Legge 96/2017, preannunciava la pubblicazione di linee guida in materia di prezzi di trasferimento da emanarsi sulla base delle migliori pratiche internazionali.

Il decreto del Ministero dell’Economia e delle Finanze (di seguito il “Decreto”) contenente le suddette linee guida è stato approvato in data 14 maggio 2018 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2018.

Il Decreto contiene nove articoli che toccano taluni aspetti cruciali per l’applicazione della normativa in materia di prezzi di trasferimento, tra cui, la definizione di imprese associate, la nozione di comparabilità, la descrizione e graduazione dei metodi per la determinazione dei prezzi di trasferimento, nonché i concetti di aggregazione delle transazioni e di intervallo di valori conformi al principio di libera concorrenza.

Inoltre, nella versione definitiva il Decreto introduce anche novità in tema di servizi a basso valore aggiunto e di documentazione in materia di prezzi di trasferimento.

Le definizioni e i principi contenuti nel Decreto danno un contributo significativo nella direzione di creare un contesto più chiaro e definito per i prezzi di trasferimento. Ciascuno di questi elementi, tuttavia, è caratterizzato da un elevato grado di complessità e, come tale, lascia aperte numerose questioni interpretative e applicative.

Per tale ragione si auspica che i principi enunciati e le nozioni introdotte nell’ordinamento dal Decreto vengano integrate e chiarite con esempi e casistica in documenti di prassi di prossima pubblicazione con il pregio di mantenere vivo il dialogo e il confronto tra Fisco e contribuenti su queste importanti tematiche.

La pubblica consultazione

Prima della approvazione definitiva, il provvedimento era stato pubblicato in bozza e fatto oggetto di pubblica consultazione.

Tale pratica, diffusa a livello internazionale, consente agli interessati (nel caso di specie contribuenti, associazioni di categoria, consulenti etc.) di commentare il contenuto di un provvedimento prima della sua finalizzazione esprimendo un’opinione, suggerendo modifiche e integrazioni.

In occasione della pubblica consultazione è stata inoltre pubblicata la traduzione in italiano delle Linee Guida dell’OCSE sui Prezzi di Trasferimento per le Imprese Multinazionali e le Amministrazioni Fiscali nella versione del luglio 2017 (di seguito le “Linee Guida OCSE”).

Le considerazioni e i suggerimenti espressi in occasione della pubblica consultazione sono stati ampiamente recepiti nella versione definitiva del provvedimento che di seguito si commenta nelle sue parti più salienti.

Definizione di imprese associate e di partecipazione

L’art. 2 del Decreto definisce i termini chiave della normativa sui prezzi di trasferimento, in primo luogo quello di imprese associate. In particolare, l’art. 2 prevede che per imprese associate si intendono le imprese residenti e le società non residenti quando una di esse partecipa, direttamente o indirettamente, nella gestione, nel controllo o nel capitale dell’altra o una diversa società detiene analoga partecipazione su entrambe.

In questo ambito viene ulteriormente chiarito che per “partecipazione nella gestione, nel controllo o nel capitale” di un’impresa o di una società deve intendersi “la partecipazione per oltre il 50 per cento nel capitale, nei diritti di voto, o negli utili di un’altra impresa” (c.d. controllo di diritto) oppure “l’influenza dominante sulla gestione di un’altra impresa, sulla base di vincoli azionari o contrattuali” (i.e. controllo di fatto”).

Il concetto di influenza dominante rimane quindi nella definizione del Decreto molto ampio in quanto configurabile in presenza di vincoli contrattuali non meglio specificati senza necessità che vi sia concomitanza con forme di partecipazione al capitale o agli utili.

Con riferimento, in particolare, alle ipotesi di controllo di fatto, si auspica che l’Amministrazione finanziaria dia nei preannunciatidocumenti interpretativi, che dovrebbero seguire l’emanazione del decreto, indicazioni ulteriori in grado di meglio chiarire e circoscrivere l’ambito di applicazione della definizione di “influenza dominante” in modo da scongiurare una eccessiva espansione del requisito soggettivo della disciplina sui prezzi di trasferimento, che potrebbe, come da più parti evidenziato, essere foriera di dannosi fenomeni di doppia imposizione.

Nozione di comparabilità

La nozione di comparabilità è centrale nell’ambito dei prezzi di trasferimento in quanto necessariamente implicano per la loro definizione un confronto tra due situazioni: le transazioni tra imprese appartenenti ad un medesimo gruppo, che potrebbero essere inficiate da logiche diverse da quelle di mercato, e la transazione tra soggetti indipendenti che invece al mercato sono fedeli. Queste ultime operazioni rappresentano il parametro di riferimento per la valutazione delle prime a condizione che tra le due categorie sussista un accettabile grado di comparabilità.

La nozione contenuta all’art. 3 del Decreto riprende fedelmente quella elaborata in sede OCSE, tanto nelle Linee Guida OCSE[1] quanto nel modello di convenzione OCSE[2], e di conseguenza recepita nelle convenzioni contro le doppie imposizioni siglate dall’Italia.

In virtù di tale definizione si considerano comparabili tra loro operazioni tra le quali non sussistono differenze significative tali da incidere in maniera rilevante sull’indicatore finanziario utilizzabile in applicazione del metodo più appropriato o, in presenza di eventuali differenze significative, è possibile eliminare o ridurre tali differenze con accurate rettifiche.

Indicazioni maggiori su quali possano considerarsi differenze significative e sulle accurate rettifiche in grado di porvi rimedio si auspica arrivino con uno o più disposizioni applicative o documenti di prassi da emanarsi a cura dell’Agenzia delle Entrate.

Nell’ambio dell’art. 3, al comma 2, sono indicate altresì le caratteristiche economicamente rilevanti o fattori di comparabilità che devono essere identificati nelle relazioni commerciali o finanziarie tra le imprese associate, non solo per determinare se due o più operazioni sono comparabili tra loro, ma ancor prima per delineare in modo accurato l’effettiva operazione tra di loro intercorsa.

Si tratta dei termini contrattuali delle operazioni, delle funzioni svolte da ciascuna delle parti coinvolte nelle operazioni, tenendo conto dei beni strumentali utilizzati e dei rischi assunti, inclusi il modo in cui queste funzioni si collegano alla più ampia generazione del valore all’interno del gruppo multinazionale cui le parti appartengono, delle circostanze che caratterizzano l’operazione e le consuetudini del settare, delle caratteristiche dei beni ceduti e dei servizi prestati, delle circostanze economiche delle parti e le condizioni di mercato in cui esse operano, e delle strategie aziendali perseguite dalle parti.

Per una ampia trattazione di questi fattori di comparabilità si ritiene che gli operatori potranno far riferimento alle Line Guida OCSE[3] come periodicamente aggiornate, cui il Decreto rimanda operando un vero e proprio “rinvio mobile” tanto nei considerando quanto nell’articolo 9 che anticipa disposizioni applicative di prossima emanazione.

I metodi di determinazione dei prezzi di trasferimento e l’aggregazione delle operazioni

Per quanto riguarda la determinazione dei prezzi di trasferimento, all’art. 4 sono indicati come conformi ai principio di libera concorrenza tanto i metodi c.d. tradizionali basati sulla transazione, e cioè il metodo del confronto di prezzo, il metodo del prezzo di rivendita e il metodo del costo maggiorato, quanto i metodi c.d. basati sull’utile della transazione, il metodo del margine netto della transazione e il metodo transazionale di ripartizione degli utili.

L’applicazione dei questi metodi era, in realtà, diffusa ed accettata dall’Amministrazione finanziaria anche prima del Decreto; tuttavia in precedenza i metodi tradizionali erano considerati metodi “base”mentre l’opportunità di utilizzo in pratica di “altri metodi” andava esaminata di volta in volta in ipotesi di inadeguatezza dei primi.

Allo stato attuale questa sorta di gerarchia può considerarsi superata in quanto solo se, tenendo conto dei fattori di comparabilità, può essere applicato con uguale grado di affidabilità un dei metodi tradizionale ed un metodo basato sull’utile della transazione, si applicherà con preferenza il primo e, a parità di condizioni, il metodo del confronto di prezzo.

In sostanza i contribuenti avranno a disposizione maggiore spazio per poter dimostrare ciò che di frequente accade in concreto e cioè che i metodi basati sul profitto risultano maggiormente appropriati ed in quel caso questi ultimi, e non il confronto di prezzo o i metodi tradizionali, saranno da applicarsi in via preferenziale.

La previsione fa altresì salva la possibilità di applicare un metodo alternativo nel caso in cui il contribuente dimostri che nessuno dei metodi elencati può essere applicato in modo affidabile, sempreché detto metolo alternativo restituisca un risultato coerente con quello che otterrebbero imprese indipendenti nel realizzare operazioni comparabili con quelle analizzate.

Al successivo art. 5 si viene ribadita l’impostazione c.d. transazionale per cui il principio di libera concorrenza va applicato operazione per operazione. Tuttavia si riconosce espressamente la facoltà di aggregazione di due o più operazioni controllate che risultano tra loro strettamente legate, o che formano un complesso unitario, tale da non consentire una valutazione separata che risulti affidabile.

Si osserva come tale approccio rappresenti, al ricorrere di determinate condizioni, una lecita ed opportuna semplificazione nonché il modus operandi più diffuso nella operatività delle imprese in grado di tenere in debita anche la presenza di talune strategie commerciali.

Intervallo di valori conformi al principio di libera concorrenza

L’art. 6 del Decreto recepisce quanto previsto nelle linee Guida OCSE, e di fatto già da tempo verificato nella prassi operativa, e cioè come in molte occasioni l’applicazione del più appropriato metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento conduca non ad un singolo valore di libera concorrenza per le operazioni associate bensì ad una gamma (“range”) di potenziali valori egualmente affidabili ed accettabili. Questo avviene perché, come noto, il “transfer pricing non è una scienza esatta”[4].

Si considera, infatti, conforme al principio di libera concorrenza l’intero intervallo di valori risultante dall’indicatore finanziario (prezzo o margine) selezionato in applicazione del metodo più appropriato, riferibile ad a un numero di operazioni non controllate parimenti comparabili.

L’operazione controllata, o l’insieme di operazioni opportunamente aggregate, si considera, a sua volta, conforme ai principio di libera concorrenza, qualora il relativo indicatore finanziario sia compreso nell’intervallo medesimo.

L’aspetto più controverso e non pienamente risolto è quello trattato al comma 3 dell’art. 6, vale a dire cosa avvenga nell’ipotesi in cui l’indicatore finanziario non rientri nell’intervallo di libera concorrenza. La norma prevede che l’amministrazione finanziaria effettua una rettifica ai fine di riportare il predetto indicatore all’interno dell’intervallo, fatti salvi il diritto per l’impresa associata di presentare elementi che attestino che l’operazione controllata soddisfa il principio di libera concorrenza, e la potestà per l’amministrazione finanziaria di non tenere conto di tali elementi adducendo idonea motivazione.

La norma non specifica, infatti, nel caso in cui si renda necessaria una rettifica dell’Amministrazione Finanziaria (giacché l’indicatore finanziario ricade all’esterno dell’intervallo e la giustificazione addotta dal contribuente non trova accoglimento), quale punto del range possa/debba essere utilizzato dall’Amministrazione finanziaria per riportare il valore dell’operazione controllata all’interno del suddetto intervallo.

Le alternative praticabili sono in sostanza la scelta del punto del range più prossimo al valore dell’indicatore finanziario utilizzato dal contribuente, nell’assunto che tutti i valori dell’intervallo siano parimenti comparabili, o l’utilizzo di valori di tendenza centrale, quali la mediana, come indicato anche dalle Linee guida OCSE[5] laddove persistano difetti di comparabilità dell’analisi tali da non giustificare il posizionamento su di uno qualsiasi dei punti dell’intervallo.

Con riferimento a tale ultima disposizione, è auspicabile una presa di posizione dell’Amministrazione finanziaria che sostenga quanto più possibile soluzioni favorevoli al contribuente, in considerazione del fatto che il transfer pricing non è una scienza esatta bensì una materia che implica ampi margini di discrezionalità e che espongono i gruppi ad un elevato rischio di doppia imposizione.

Servizi a basso valore aggiunto

L’introduzione di una previsione ad hoc in tema di servizi a basso valore aggiunto, insieme all’art. 8 in tema di documentazione, rappresenta la principale novità della versione definitiva del Decreto rispetto alla bozza offerta in pubblica consultazione.

L’art. 7, in linea con le Linee Guida OCSE[6], in particolare, introduce per il contribuente la facoltà di scegliere un approccio semplificato nella valorizzazione in base al principio di libera concorrenza dei servizi a basso valore aggiunto resi nell’ambito del gruppo. Previa predisposizione di apposita documentazione, il cui contenuto si presume verrà dettagliamene illustrato dall’Amministrazione finanziaria, la valorizzazione del servizio è determinata aggregando la totalità dei costi diretti e indiretti connessi alla fornitura del servizio stesso, aggiungendo un margine di profitto pari ai 5% dei suddetti costi.

La norma esclude per definizione dall’ambito dei servizi a basso valore aggiunto quelli che il gruppo multinazionale presta a soggetti indipendenti e, pur non contenendo un’elencazione puntuale, considera tali i servizi che hanno natura di supporto, non sono parte delle attività principali del gruppo multinazionale, non richiedono l’uso di beni immateriali unici e di valore né contribuiscono alla creazione degli stessi, non comportano l’assunzione, l’insorgere o il controllo di un rischio significativo da parte del fornitore.

Documentazione

Altra novità del Decreto rispetto alla bozza offerta in pubblica consultazione è l’introduzione dell’art. 8 che anticipa l’aggiornamento delle disposizioni in tema di documentazione in sui prezzi di trasferimento con provvedimento da emanarsi a cura del Direttore dell’Agenzia delle entrate.

Il comma 2 dell’art. 8 accresce le garanzie per i contribuenti che predispongono la documentazione in materia di prezzi di trasferimento precisando che la stessa può essere ritenuta “non idonea” (con conseguente esclusione del regime premiale di disapplicazione delle sanzioni) solo nel caso in cui non fornisca i dati conoscitivi necessari per una compiuta analisi.

La circostanza, invece, che il contribuente abbia semplicemente adottato un metodo di determinazione dei prezzi di trasferimento oppure operazioni e soggetti comparabili non condivisi dall’Amministrazione finanziaria non inficia l’idoneità della documentazione, come pure la presenza di omissioni o inesattezze non suscettibili di compromettere l’analisi degli organi di controllo.

 


[1] V. Chapter III Comparability Analysis delle Linee Guida OCSE.

[2] V. art. 9 OECD Model Tax Convention.

[3] V. D. Guidance for applying the arm’s length principle delle Linee Guida OCSE.

[4] V. par. 3.55 delle Linee Guida OCSE.

[5] V. par. 3.57 delle Linee Guida OCSE.

[6] D. Low value-adding intra-group services delle Linee Guida OCSE.

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