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Approfondimenti

Le modifiche alla normativa in materia di equity crowdfunding

14 Febbraio 2018

Alessandro Portolano, socio, Chiomenti

Di cosa si parla in questo articolo

Premessa

Dal momento in cui è stata introdotta (nel 2012), la disciplina dell’equity crowdfunding ha subìto numerosi interventi di modifica, che ne hanno mutato i lineamenti anche in maniera significativa.

La rapida evoluzione che ha caratterizzato questa disciplina deve essere attribuita principalmente a due ragioni, una di ordine politico-economico e una seconda di ordine normativo.

Sotto il primo versante, a venire sempre più in rilievo è stata l’esigenza di sostenere lo sviluppo delle attività imprenditoriali, offrendo canali alternativi rispetto al lending per il reperimento di risorse da destinare alla crescita, anche attraverso la promozione di forme di investimento (e non di vero e proprio finanziamento).

Dal punto di vista più propriamente giuridico, invece, gli interventi di modifica riflettono un processo di progressivo affinamento della disciplina nazionale alla luce della concreta esperienza applicativa e del quadro normativo europeo. Infatti, anche per l’assenza di una specifica cornice comunitaria, la regolamentazione dell’equity crowdfunding ha talvolta mostrato punti di non perfetto coordinamento con talune categorie giuridiche tipiche del diritto dei mercati finanziari, tra cui in particolare quelle dei servizi d’investimento e dell’offerta al pubblico.

Ciò premesso, saranno di seguito sinteticamente illustrate le più recenti novità normative in materia diequity crowdfunding, introdotte con la novella del Testo Unico della Finanza e del Regolamento Consob n. 18592/2013. Una volta delineato questo quadro generale, saranno poi sviluppati i primi approfondimenti su alcuni dei temi di maggiore interesse posti dalle recenti riforme, con particolare riguardo a: (i) la qualificazione giuridica delle quote di s.r.l.; (ii) gli strumenti di tutela patrimoniale degli investitori e (iii) la disciplina del c.d. “self placement”.

Le modifiche alla normativa in materia di equity crowdfunding: il quadro generale

Come anticipato, nell’ultimo anno, la disciplina dell’equity crowdfundingha subito importanti cambiamenti.

Tra questi, la novità di maggiore impatto è rappresentata dall’estensione della platea dei soggetti cui è consentito offrire quote o azioni del proprio capitale di rischio tramite portali.

In tal senso, occorre ricordare che la nozione originaria di “offerente” comprendeva solo le c.d. start-up innovative (anche in forma di s.r.l.)[1]. L’ambito di applicazione di questa nozione, tuttavia, è stato progressivamente ampliato. Una prima apertura è avvenuta nel 2015, quando sono stati aggiunti: (a) le PMI innovative, (b) gli OICR e (c) le società che investono prevalentemente in start-up innovative[2]. Come evidenziato anche dalla Consob[3], tale estensione non ha raggiunto gli obiettivi sperati in termini di aumento del numero degli offerenti, data la difficoltà per le imprese di rispettare i requisiti soggettivi – legati al carattere di innovatività – previsti dalla normativa[4].

Per tale ragione, con la Legge di Bilancio per il 2017[5], il legislatore ha deciso di consentire, in via generale, a tutte le piccole e medie imprese, anche in forma di s.r.l., di accedere a questo canale di raccolta di capitale di rischio. Si tratta di una estensione molto significativa, in quanto amplia notevolmente il novero delle società che potenzialmente attinte dal fenomeno dell’equity crowdfunding, soprattutto in considerazione delle caratteristiche del tessuto industriale italiano. Per piccole e medie imprese, infatti, devono intendersi tutte le società che, in base al loro più recente bilancio, soddisfino almeno due dei seguenti criteri: (a) numero di dipendenti inferiore a 250, (b) totale dello stato patrimoniale non superiore a 43 milioni di Euro e/o (c) fatturato netto annuale non superiore a 50 milioni di Euro[6].

Sono state, inoltre, ammesse ad effettuare offerte sui portali anche le c.d. imprese sociali[7].

Tale ampliamento dimostra la volontà del legislatore di consentire alle PMI, anche in forma di s.r.l., di accedere a canali di finanziamento diversi da quello bancario e di reperire così più facilmente i capitali necessari per realizzare i propri progetti.

L’obiettivo di favorire lo sviluppo delle PMI tramite la diffusione dello strumento del crowdfunding è alla base di altre novità normative, quali: (a) l’ampliamento del novero dei c.d. gestori di diritto alle SGR, SICAF e SICAV, seppur limitatamente all’offerta sui portali di quote o azioni di OICR che investono prevalentemente in PMI[8]; (b) l’estensione a tutte le PMI in forma di s.r.l. del meccanismo semplificato di circolazione delle quote previsto da i commi 2-bis e ss. dell’art. 100-ter del TUF, nonché (c) l’abrogazione dell’obbligo per gli intermediari di intestare le quote detenute per conto dei sottoscrittori (o degli acquirenti) direttamente a questi ultimi, trascorsi due anni della perdita di qualifica di start-up innovativa[9].

L’ampliamento del “bacino di utenza” del crowdfunding, d’altra parte, ha richiesto un rafforzamento delle misure a tutela degli investitori. In tal senso, il legislatore ha ritenuto necessario di incrementare i poteri di controllo della Consob sull’attività dei portali. In particolare, è stato conferito all’Autorità il potere di convocare gli amministratori, i sindaci, e il personale dei gestori dei portali iscritti nell’apposito registro (art 50-quinquies, co. 6, del TUF). In linea con questa esigenza, la Consob ha altresì modificato il regime sanzionatorio previsto nel Regolamento n. 18592 del 2013, in modo da renderlo più flessibile. Sono state riviste, e ampliate, le ipotesi in cui l’Autorità può disporre in via cautelare la sospensione dell’attività del gestore[10].

Un secondo nucleo di modifiche al Regolamento è, invece, da ricondursi, in via diretta o indiretta, al recepimento in Italia della MiFID II. Infatti, pur operando in regime di esenzione dalla MiFID, l’operatività dei portali, proprio in virtù di quanto disposto dalla Direttiva 2014/65 (per le imprese “esenti”), è stata sottoposta all’applicazione di condizioni più stringenti.

Ci si riferisce, in particolare, ai seguenti profili: (a) l’obbligo per i portali di equity crowdfunding di aderire ad un sistema di indennizzo a tutela degli investitori o di stipulare un’assicurazione di responsabilità professionale che garantisca agli investitori un livello di protezione equivalente (art. 50-quinquies, co. 3, del TUF); (b) l’obbligo, per i medesimi portali, di elaborare una più rigorosa e dettagliata policy sui conflitti di interessi; e (c) la delega alla Consob per l’adozione di disposizioni attuative in materia di whistleblowing interno (ovvero di procedure specifiche per la segnalazione al proprio interno, da parte del personale, di atti o fatti che possano costituire violazioni delle norme disciplinanti l’attività svolta)[11].

In particolare, l’applicazione dell’esenzione facoltativa di cui all’art. 3 della MiFID II è stata condizionata all’assolvimento dell’obbligo di dotarsi di una copertura “da un sistema di indennizzo degli investitori riconosciuto in conformità della direttiva 97/9/CE” oppure da “un’assicurazione di responsabilità professionale che, considerate le dimensioni, il profilo di rischio e la forma giuridica delle persone escluse a norma del paragrafo 1 del presente articolo, garantisca una protezione equivalente alla clientela”.

Quanto, poi, alla lett. (b), la Consob ha rafforzato la disciplina già contenuta nel Regolamento Consob n. 18592 del 2013[12], imponendo ai portali – sulla falsariga di quanto previsto, in via generale, per gli intermediari ex artt. 33 e 34 del Regolamento UE n. 565/2017 – di elaborare e mantenere policy efficaci sul conflitto di interesse e di comunicare ai clienti la natura e le fonti dei conflitti di interessi, nel caso in cui le misure adottate non fossero sufficienti ad escludere il rischio di nuocere agli interessi dei medesimi. In questa prospettiva, deve essere letta anche l’introduzione di un regime ad hoc per l’offerta sul portale di quote o azioni emesse dallo stesso gestore o da società controllate/controllanti (c.d. “autocollocamento”).

Il conferimento alla Consob della delega ad adottare le disposizioni attuative dell’art. 4-undecies del TUF in materia di whistleblowing deriva dalla volontà di estendere l’obbligo di adottare procedure di segnalazione interna degli illeciti, previsto dall’art. 71 della Direttiva n. 2013/36/UE (c.d. CRD IV)[13], anche ai soggetti che prestano servizi di investimento, pur se in regime esenzione dalla MiFID[14].

Infine, deve evidenziarsi che, in sede di revisione del Regolamento in materia di crowdfunding, la Consob ha deciso di ridurre, seppur soltanto in taluni specifici casi, la soglia degli strumenti finanziari che deve essere sottoscritta, in relazione a ciascuna offerta, da investitori qualificati. Nello specifico, è prevista una soglia inferiore – pari al 3% (e non al 5%) – per le offerte effettuate da PMI in possesso della certificazione del bilancio, relativa agli ultimi due esercizi precedenti l’offerta, redatti da un revisore contabile. Si tratta di una modifica apportata dalla Consob all’esito del processo di consultazione, su istanza del mercato. Nel documento di consultazione, infatti, la soglia del 5% era stata confermata, nonostante le difficoltà (molto) spesso riscontrate dai portali nel soddisfare tale requisito. L’Autorità, anche sulla spinta degli operatori di settore, ha ritenuto ragionevole introdurre una soglia ridotta almeno per le società di maggiori dimensioni, per le quali sia disponibile una situazione tecnica[15].

La qualificazione delle quote di s.r.l.

La raccolta di capitale di rischio tramite portali è stata consentita, sin dal 2012, non solo alle società per azioni, ma anche alle società a responsabilità a limitata (purché rientrassero nel novero delle start-up innovative).

Tale scelta si è accompagnata ad alcune modifiche delle norme di diritto societario, volte a superare taluni limiti imposti dalla disciplina delle s.r.l.. In particolare, è stato disposto che tali s.r.l. possano offrire il proprio capitale di rischio al pubblico[16], in deroga all’articolo 2468, co. 1, c.c., ed emettere plurime categorie di quote, fornite di diritti diversi e con contenuto liberamente determinabile (nei limiti imposti dalla legge)[17], anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, co. 2 e 3, c.c.. Queste modifiche hanno indubbiamente determinato una riduzione della tradizionale distanza tra il modello azionario e il modello – tendenzialmente – personalistico, tipico delle s.r.l..

L’assunzione, da parte delle quote di queste s.r.l., di caratteristiche tipiche delle azioni, tuttavia, poteva e doveva essere considerata una ipotesi del tutto eccezionale e, come tale, non in grado di incidere sulla qualificazione giuridica delle quote, che – con larga maggioranza – la dottrina considerava “prodotti finanziari” (sub specie di “forma di investimento di natura finanziaria” ex art. 1, co. 1, lett. u) del TUF). Tale regime speciale, infatti, era riservato ad un numero molto limitato di società (che avevano i requisiti di innovatività richiesti dalla normativa) e aveva un limite temporale (dato che la qualifica di start-up innovativa veniva in ogni caso persa dopo 5 anni dalla costituzione della società).

A seguito dell’estensione delle medesime deroghe a tutte le PMI in forma di s.r.l., senza alcun limite temporale, deve quindi domandarsi se le quote non debbano essere ora più correttamente classificate nella categoria strumenti finanziari, alla stregua dei titoli azionari.

L’analisi più approfondita della questione rivela come sussistano ancora argomenti, di natura normativa e sistematica, che lasciano preferire la qualificazione sinora adottata (prodotti finanziari).

In primis, occorre considerare che, a mente della Sezione C dell’allegato I al TUF, sono strumenti finanziari i valori mobiliari, gli strumenti del mercato monetario, le quote di un organismo di investimento collettivo e talune tipologie di contratti derivati. Le quote di s.r.l. non compaiono espressamente né nel novero dei valori mobiliari né in quello di alcuna delle richiamate sottocategorie, a differenza delle azioni che rientrano invece tra i valori mobiliari di cui all’art. 1, co. 1-bis, del TUF. Ciò posto, si potrebbe, tuttavia, arguire che le quote possano rientrare tra i valori mobiliari in quanto “titoli equivalenti” alle azioni, che possono essere negoziati nel mercato dei capitali.

In senso contrario, tuttavia, depone anzitutto la lettera dell’art. 100-ter (come da ultimo modificato) che tiene chiaramente distinti gli strumenti finanziari e le quote di s.r.l.. Rilevano in particolare due aspetti: (i) la circostanza che l’offerta di strumenti finanziari e l’offerta di quote siano disciplinate in due commi distinti[18] e (ii) il fatto che il co. 2-quater, nel regolare l’esecuzione di sottoscrizioni, acquisti e alienazioni di titoli tramite i portali, distingua nettamente tra gli “strumenti finanziari emessi da piccole e medie imprese e da imprese sociali” e le “quote rappresentative del capitale delle medesime”[19].

A ciò deve aggiungersi che, nel documento recante gli esiti della consultazione relativa alla prima versione del regolamento sul crowdfunding (pubblicato in data 12 luglio 2013), la Consob ha chiarito che “i particolari profili caratterizzanti le offerte al pubblico delle quote di start-up innovative aventi forma societaria di s.r.l. riconducono tali strumenti alla nozione di prodotti finanziari e dunque le fanno rientrare in un concetto “allargato” di strumenti finanziari”. Dal punto di vista tecnico, dunque, l’Autorità ha qualificato le quote come prodotti finanziari. Il richiamo a un “concetto allargato di strumenti finanziari” sembra, invece, da ricondursi allo specifico e limitato contesto del regolamento in esame, in cui la Consob ha incluso nella nozione di “strumenti finanziari” anche le quote. La Consob, peraltro, sembra aver confermato questa impostazione anche nel documento di consultazione relativo alla revisione del regolamento pubblicato il 6 luglio 2017, nel passaggio in cui segnala come il comma 1-bis dell’art. 100-ter del TUF abbia “la funzione di consentire a tutte le PMI costituite in forma di s.r.l. di offrire al pubblico come prodotti finanziari le relative quote sociali […]”

Infine, anche da un punto di vista sostanziale, deve evidenziarsi che – nonostante l’innegabile avvicinamento delle PMI in forma di S.r.l. alle S.p.A. – sussistono ancora differenze tipologiche e strutturali fra i due tipi sociali e (quindi) fra azioni e quote. In particolare, la disciplina delle PMI in forma di S.r.l. non impone il superamento del principio di unicità e unitarietà della partecipazione del socio, che è proprio delle s.r.l. e antitetico rispetto a quello delle S.p.A.. Come opportunamente notato anche in dottrina[20], infatti, la creazione di categorie di quote (aventi lo stesso valore nominale e idonee a conferire a chiunque ne sia titolare gli stessi diritti) non costituisce un obbligo per le s.r.l. che intendono offrire quote del proprio capitale tramite portali, bensì una semplice facoltà. Le s.r.l. conservano la possibilità di non “standardizzare” le quote offerte tramite portali, lasciando a ciascun investitore la possibilità di acquistare una partecipazione (unitaria) di valore nominale diverso (e che conferisce diritti diversi).

Gli strumenti di tutela patrimoniale degli investitori

Come anticipato, al fine di dare attuazione alla MiFID II, la nuova lettera e-bis) del comma 3 dell’art. 50-quinquies del TUF prevede che l’iscrizione nel registro dei gestori dei portali di equity crowdfunding sia subordinata all’”adesione a un sistema di indennizzo a tutela degli investitori o stipula di un’assicurazione di responsabilità professionale che garantisca una protezione equivalente alla clientela, secondo i criteri stabiliti dalla Consob con regolamento”. Si tratta di una previsione chiaramente finalizzata alla tutela degli investitori, cui viene assicurata una copertura per il caso di danni derivanti dall’esercizio dell’attività di intermediazione da parte del portale, quali ad esempio i danni causati dalla violazione dei sistemi di sicurezza di rete del gestore o da azioni dolose o fraudolente dei suoi dipendenti.

L’attuazione di detta norma è risultata, tuttavia, particolarmente problematica, sotto due distinti profili: (i) l’assenza – almeno nel quadro attuale – di un sistema di indennizzo[21], che permetta l’adesione dei portali di equity crowdfunding; e (ii) l’individuazione dell’importo dei massimali della copertura assicurativa.

In considerazione della questione sub (i), nonché delle difficoltà riscontrate dagli operatori a reperire tempestivamente sul mercato una polizza assicurativa idonea, la Consob ha ritenuto opportuno concedere una proroga di sei mesi del termine di applicazione dell’art. 7-bis del Regolamento Consob n. 18592 del 2013, che attua l’art. 50-quinquies, co. 3, lett. e-bis) del TUF. Inoltre, l’Autorità ha invitato il Fondo Nazionale di Garanzia – quale unico sistema di indennizzo avente i requisiti richiesti dalla MiFID II – ad adeguare il proprio statuto per consentire ai gestori dei portali di parteciparvi[22].

Con riferimento, invece, all’individuazione dell’importo dei massimali della copertura assicurativa, la Consob, nel documento di consultazione, aveva assunto come parametro di riferimento i valori previsti dalla disciplina sui requisiti patrimoniali delle società di consulenza finanziaria[23], ovvero: 1.000.000 euro per ciascuna richiesta di indennizzo e 5.000.000 per l’importo totale delle richieste di indennizzo, ridotti rispettivamente di dieci volte e della metà. Tale riduzione dei massimali (rispettivamente a 100.000 e 2.500.000 Euro) era stata giustificata dalla diversa natura del servizio offerto dal portale (ricezione e trasmissione di ordini in luogo della consulenza) e dai ridotti importi storicamente intermediati dalle piattaforme di equity crowdfunding.

L’Autorità, nella versione finale del Regolamento, ha però mutato indirizzo. La scelta iniziale, infatti, pur garantendo una maggiore protezione gli investitori e avendo un fondamento sistematico, non era sufficientemente in linea con il dettato dell’art. 50-quinquies, co. 3, lett. e-bis) del TUF che, come visto, richiede che l’assicurazione di responsabilità professionale garantisca al cliente “una protezione equivalente” al sistema di indennizzo. Ebbene, il Fondo Nazionale di Garanzia (ai sensi dell’art. 5, co. 1, del D.M. n. 485/1997) offre una copertura di ammontare massimo di soli 20.000 Euro per ogni richiesta di indennizzo. Pertanto, il corrispondente massimale dell’assicurazione professionale è stato allineato a tale cifra. Con riferimento poi al massimale per l’importo totale delle richieste di indennizzo, la Consob ha deciso non solo di ridurne significativamente l’ammontare, ma anche di differenziarne l’entità a seconda della scelta del portale di effettuare in proprio la valutazione di appropriatezza dell’investimento o meno[24]. In particolare, in linea con l’art. 3 della MiFID IIche richiede di modulare l’obbligo di stipula dell’assicurazione professionale tenendo conto anche del“profilo di rischio” del soggetto esente, l’Autorità ha previsto un massimale per l’importo totale delle richieste di indennizzo pari a 1.000.000 di Euro per i portali che effettuano in proprio la valutazione di adeguatezza e di 500.000 di Euro per i portali che affidano tale verifica agli intermediari che ricevono e perfezionano gli ordini di sottoscrizione dei titoli. In quest’ultimo caso, infatti, sono gli intermediari a rispondere in proprio della correttezza di tali valutazioni.

La disciplina del “self placement”

Fino alle ultime modifiche apportate al Regolamento n. 18592/2013, il complesso normativo in materia di equity crowdfunding non disciplinava espressamente la pubblicazione sui portali di offerte aventi ad oggetto il capitale di rischio dei gestori dei medesimi (c.d. auto-collocamento o self placement).

D’altra parte, il quadro normativo previgente offriva taluni argomenti a sostegno della possibilità, per i gestori, di offrire sul portale le quote di propria emissione. Il più significativo era contenuto nell’Allegato III del richiamato Regolamento, ai sensi del quale, nell’ambito dell’informativa sulla singola offerta, doveva essere data disclosure anche degli eventuali “conflitti di interesse connessi all’offerta, ivi inclusi quelli derivanti dai rapporti intercorrenti tra l’offerente e il gestore del portale […]”. Il Regolamento ammetteva quindi che tra gestore e offerente potessero intercorrere “rapporti” rilevanti dal punto di vista del conflitto di interessi, senza escludere eventuali legami di tipo partecipativo, persino – deve ritenersi – nella forma del controllo totalitario.

In questo contesto, la Consob – nel documento di consultazione al Regolamento sul Crowdfunding pubblicato in data 6 luglio 2017 – ha proposto l’introduzione di un espresso divieto per le operazioni diself placement. Tale previsione, nelle intenzioni dell’Autorità, doveva costituire un corollario della nuova e più stringente disciplina in materia di conflitto di interessi introdotta nel Regolamento, in attuazione delle previsioni recate dalla MiFID II in materia di regole di condotta dei soggetti in esenzione facoltativa. In particolare, il richiamato documento di consultazione spiegava la ratio del divieto in ciò che i portali sarebbero “strutturalmente sprovvisti di presidi e cautele in grado di assicurare in maniera sostanziale una gestione efficace delle situazioni di conflitto di interesse in caso di autocollocamento”.

Nel corso della consultazione, la Consob ha tuttavia ricevuto talune osservazioni provenienti dal mercato, che sottolineavano l’eccessiva rigidità della previsione, soprattutto in considerazione dell’assenza di un simile vincolo per gli intermediari “tradizionali” (cui è pacificamente consentito collocare titoli di propria emissione). Secondo quanto osservato dai partecipanti alla consultazione, in particolare, la carenza di presidi a tutela degli investitori non dovrebbe costituire il fondamento di un divieto, potendo invece giustificare l’introduzione di obblighi rafforzati per la gestione della specifica situazione di conflitto di interessi[25].

Tenuto conto di tali osservazioni, l’Autorità ha espunto il riferito divieto dal testo del Regolamento, ma ha comunque subordinato la possibilità di effettuare operazioni di autocollocamento al rispetto di una serie di condizioni. Più in dettaglio, i gestori che intendono collocare le proprie quote tramite il portale dovranno: (i) individuare un mercato di riferimento per i titoli offerti; (ii) adottare adeguati presidi operativi e procedurali volti ad assicurare che gli strumenti offerti siano compatibili con le caratteristiche, le esigenze e gli obiettivi del mercato di riferimento; (iii) incaricare un soggetto terzo indipendente di effettuare la due diligence dell’operazione; (iv) affidare ai soggetti che ricevono e perfezionano gli ordini il compito di effettuare la valutazione di adeguatezza degli strumenti finanziari rispetto al profilo dell’investitore e, in ogni caso, (v) astenersi dal condurre l’offerta, laddove i conflitti di interesse non possano essere gestiti adeguatamente.

Si tratta, con tutta evidenza, di requisiti particolarmente rigorosi. Le nuove regole in materia di autocollocamento (ed in particolare l’obbligo di avvalersi di un soggetto terzo per la valutazione dell’operazione e di adottare presidi di product governance) rischiano di rivelarsi – al momento della loro concreta applicazione – un ostacolo così rilevante da risultare nella sostanza equivalenti all’originario divieto. Basti, infatti, pensare che i portali, per la natura della loro attività, non dispongono, né sono tenuti a disporre, delle informazioni necessarie a compiere una effettiva analisi all target market del prodotto. Sul punto, quindi, l’apertura della Consob rischia di tradursi, per il mercato, in una vittoria di Pirro.

Conclusioni

La vivacità del settore dell’equity crowdfunding rappresenta certamente un dato positivo, poiché dimostra l’attenzione del legislatore primario e secondario alle istanze non solo dell’imprenditoria – per così dire – industriale, ma anche di quella del settore finanziario che, attraverso il sempre più massiccio impiego degli strumenti tecnologici (amplissima è ormai l’analisi e la letteratura sul fintech), rivendica la possibilità di occupare spazi operativi sinora poco battuti. Si tratta di una attenzione e di un interesse, peraltro, che rimangono quanto mai vivi anche a seguito delle ultime modifiche normative, come dimostra la presenza di un’apposita sezione dedicata al crowdfunding all’interno del documento conclusivo dell’”indagine conoscitiva sulle tematiche relative all’impatto della tecnologia finanziaria sul settore finanziario, creditizio e assicurativo” predisposto dalla VI Commissione parlamentare permanente finanze e presentato il 13 dicembre 2017.

Questo successo è, in parte, giustificato: sul piano economico il crowdfunding ha dimostrato di avere buone potenzialità di crescita e di poter offrire un contributo all’economia “reale”. Tuttavia, il potenziale dell’equity crowdfunding, per la maggior parte, è rimasto ancora inespresso, sia per ragioni culturali ed economiche sia anche (sebbene – in verità – in misura minore) per ragioni normative. Non può, infatti, non rilevarsi come i frequenti interventi normativi in materia – indice dell’ancora imperfetto coordinamento tra la legislazione nazionale e la disciplina comunitaria di riferimento (in primis con riferimento alla disciplina dei servizi d’investimento) – abbiano costituito un elemento di instabilità per il settore e, pertanto, un freno allo sviluppo dell’operatività. In proposito, non può quindi non auspicarsi che il ruolo di ricucire le regole del sistema riportandole a unità, finora svolto suppletivamente (e con indubbi risultati) dalla Consob, sia assunto dal legislatore ordinario, se non da quello comunitario.

 


[1] Cfr. art. 25 del d.lgs. n. 179 del 2012, nella versione al tempo vigente.

[2] Tale modifica è stata introdotta con il d.l. n. 3/2015.

[3] Cfr. documento recante gli esiti della consultazione (12 luglio 2013) relativa alla revisione del regolamento n. 18592 del 2013 sulla raccolta di capitali di rischio tramite portali, p. 2.

[4] Tali requisiti sono previsti dal d.l. n. 3 del 2015. Tra questi, a titolo esemplificativo, è compreso il raggiungimento di un volume di spesa in ricerca, sviluppo e innovazione in misura uguale o superiore al 3 per cento della maggiore entità fra costo e valore totale della produzione della PMI innovativa.

[5] Ovvero con il d.lgs. n. 232/2016.

[6] Cfr. comma 5-novies dell’art. 1 del TUF, che rinvia per la definizione all’articolo 2, paragrafo 1, lettera (f), primo alinea, del regolamento (UE) 2017/1129.

[7] Ai sensi dell’art. 1, co. 5-duodecies del TUF, per “imprese sociali” si intendono le imprese sociali ai sensi del decreto legislativo di cui all’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 6 giugno 2016, n. 106, costituite in forma di società di capitali o di società cooperativa.

[8] Si veda l’art. 50-quinquies, co. 2, del TUF.

[9] È stato a questo proposito abrogato il comma del comma 2-quinquies dell’art. 50-quinquies.

[10] Cfr. artt. 22 e 23 del Regolamento Consob n. 18592 del 2013. In particolare, si segnala che, prima dell’ultima modifica del citato Regolamento, i provvedimenti cautelari potevano essere disposti dalla Consob soltanto in caso di gravi elementi idonei a far presumere la violazione di una disposizione atta a dar luogo alla radiazione dal registro. Oggi, invece, tali provvedimenti possono essere adottati anche qualora i gravi elementi siano idonei a far presumente l’esistenza di una violazione per la quale è prevista la semplice sospensione.

[11] Si veda l’art. 50-quinquies, co. 6-bis, del TUF.

[12] In particolare, era già previsto che il gestore dovesse operare “evitando che gli eventuali conflitti di interesse che potrebbero sorgere nello svolgimento dell’attività di gestione dei portali incidano negativamente sugli interessi degli investitori” (art. 13, co. 1, del Regolamento Consob n. 18592 del 2013).

[13] Tale obbligo, a carico delle banche, è stato recepito in Italia con l’introduzione dell’art. 52-bis del TUB(e corrispondente normativa attuativa).

[14] Tale delega è stata attuata dalla Consob con la Delibera n. 20264 del 17 gennaio 2018, che ha introdotto all’interno del Regolamento sul crowdfunding un nuovo articolo (art. 20-bis) dedicato alle procedure per la segnalazione delle violazioni, di cui viene definito il contenuto minimo.

[15] Si veda, in particolare, la relazione illustrativa degli esiti della consultazione relativa al Regolamento n. 18592 del 2013, pubblicata il 5 dicembre 2017.

[16] In particolare, l’art. 100-ter, co. 1-bis, del TUF (analogo alla prima versione dell’art. 26, co. 5, del d.l. n. 179/2012, che però naturalmente faceva riferimento alle sole start-up innovative) prevede che: “in deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, primo comma, del codice civile, le quote di partecipazione in piccole e medie imprese costituite in forma di società a responsabilità limitata possono costituire oggetto di offerta al pubblico di prodotti finanziari, anche attraverso i portali per la raccolta di capitali, nei limiti previsti dal presente decreto”.

[17] Più in dettaglio, l’art. 26, co. 2, del d.l. n. 179/2012, nella sua versione attuale (sostanzialmente identica a quella originaria, se non per l’ambito di applicazione soggettivo) recita: “L’atto costitutivo della PMI costituita in forma di società a responsabilità limitata può creare categorie di quote fornite di diritti diversi e, nei limiti imposti dalla legge, può liberamente determinare il contenuto delle varie categorie anche in deroga a quanto previsto dall’articolo 2468, commi secondo e terzo, del codice civile”.

[18] Ovvero, la prima nel comma 1 e la seconda nel comma 1-bis. Tale distinzione era presente fin dal momento dell’introduzione della disciplina dei portali di equity crowdfunding: l’art. 26, co. 5, del d.l. n. 179 del 2012 infatti già prevedeva una disciplina specifica per le quote, equivalente a quella attualmente confluita nel comma 1-bis dell’art. 100-ter. Ciò sembrerebbe confermare che, sin dall’inizio, il legislatore nazionale ha ritenuto le quote distinte dai veri e propri strumenti finanziari.

[19] Più in dettaglio, la norma recita: “l’esecuzione di sottoscrizioni, acquisti e alienazioni di strumenti finanziari emessi da piccole e medie imprese e da imprese sociali ovvero di quote rappresentative del capitale delle medesime, effettuati secondo le modalità previste alle lettere b) e c) del comma 2-bis del presente articolo, non necessita della stipulazione di un contratto scritto”.

[20] Cfr. GUACCERO, La start-up innovativa in forma di società a responsabilità limitata: raccolta del capitale di rischio ed equity crowdfunding , in Banca Borsa Titoli di Credito, 2014, pp. 699 ss., ove si legge che:“la categorizzazione delle quote non è necessaria affinché esse vengano offerte al pubblico, dal momento che è certamente possibile offrire al pubblico quote partecipative, per così dire, ordinarie, in tutto identiche a quelle già emesse a favore dei soci fondatori

[21] Avente – come imposto dall’art. 3, co. 2, della MiFID II – un’autorizzazione a operare in Italia ai sensi della Direttiva 97/9/CE.

[22] Cfr. relazione illustrativa degli esiti della consultazione, pubblicata il 5 dicembre 2017.

[23] Cfr. art. 4, co. 1, del D. n. 66/2012.

[24] Ai sensi dell’art. 13, co. 5-bis e 5-ter, del Regolamento in esame, infatti, il gestore di un portale di equity crowdfunding possono scegliere se verificare in proprio che il cliente abbia il livello di esperienza e conoscenza necessario per comprendere le caratteristiche essenziali e i rischi che l’investimento comporta (valutazione di appropriatezza) oppure se far compiere tale verifica ai soggetti che ricevono e perfezionano gli ordini, come definiti nella nuova lett. e-bis) dell’art. 2, co. 1, del Regolamento.

[25] Cfr., ad esempio, le osservazioni presentate dall’Associazione Italiana di Equity Crowdfunding, reperibili sul sito web della Consob, nella sezione dedicata alla consultazione sul regolamento n. 18592 del 2013 pubblicata in data 6 luglio 2017.

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