L’intervento operato dal legislatore sulla disciplina domestica del transfer pricing con l’articolo 59 del d.l. 24 aprile 2017, n. 50, con le sue rilevanti implicazioni sia sotto il profilo sostanziale, sia sotto il profilo procedurale, si colloca in un quadro di crescente attenzione verso le problematiche di carattere tributario connesse all’attività delle imprese multinazionali. Se da un lato è inevitabile che le giurisdizioni interessate a tali fenomeni si dotino di strumenti che permettano risposte efficaci alle strategie di aggressive tax planning poste in atto dai contribuenti che possono decidere l’allocazione dei loro redditi non in base al luogo di effettiva produzione ma in base all’ottimizzazione del loro carico tributario, è altrettanto necessario evitare che il contrasto ai fenomeni di evasione/elusione internazionale determini situazioni di doppia imposizione. L’introduzione del nuovo articolo 31-quater nel D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ad opera del comma 2 del citato articolo 59, sembra tentare di fornire una risposta pragmatica a questo problema, offrendo al contribuente un nuovo percorso, alternativo a quello indubitabilmente più gravoso previsto nell’ambito delle procedure amichevoli di composizione delle controversie internazionali, per l’eliminazione, o, quanto meno, l’attenuazione dei possibili effetti di doppia imposizione derivanti dalle rettifiche di transfer pricing. Infatti, la nuova disposizione riconosce la possibilità all’impresa residente appartenente al gruppo multinazionale, di correggere, diminuendola, la propria base imponibile fino a concorrenza della rettifica in aumento effettuata nei confronti della sua parte correlata a condizione che tale rettifica:
- sia stata effettuata da una giurisdizione con la quale sia in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni e che consenta un adeguato scambio di informazioni;
- abbia il carattere di definitività, cioè la relativa imposta sia stata assolta in via definitiva, e sia pertanto irripetibile, o comunque non più modificabile a favore del contribuente;
- sia stata determinata in conformità al principio di libera concorrenza.
La pubblica consultazione sul provvedimento di attuazione
La nuova disciplina introdotta dal d.l. 24 aprile 2017, n. 50 nell’articolo 31-quater del D.P.R. 600/73, rinvia ad un apposito provvedimento di attuazione, che molto opportunamente l’Amministrazione finanziaria ha deciso di pubblicare in bozza per avviare una pubblica consultazione finalizzata a recepire le considerazioni ed i suggerimenti dei soggetti interessati prima della sua emanazione definitiva. Il provvedimento direttoriale pubblicato in bozza si articola su sei punti di cui il primo essenzialmente individua i requisiti soggettivi dei contribuenti potenzialmente interessati, mentre i cinque successivi sono dedicati rispettivamente alle modalità di accesso alla procedura, all’ammissibilità dell’istanza, allo svolgimento del procedimento, alle possibili cause della sua estinzione ed, infine, ai rapporti con le procedure amichevoli. La fase di consultazione, che si è conclusa il 21 marzo scorso, ha prodotto una serie di interessanti osservazioni ed ha, inevitabilmente, fatto emergere più di qualche dubbio.
Le condizioni di ammissibilità dell’istanza
Tralasciando l’aspetto dei requisiti soggettivi per l’accesso alla procedura, che necessariamente non possono che ricalcare quelli normativamente previsti per l’applicazione della disciplina sul transfer pricing[1], e concentrando l’attenzione direttamente sugli aspetti più critici, i primi nodi interpretativi da sciogliere e le prime difficoltà operative si incontrano nel paragrafo 2 del provvedimento che disciplina le condizioni di ammissibilità dell’istanza di accesso alla procedura.
Il punto 2.3 lett. d) si preoccupa che venga adeguatamente assolto dal contribuente istante l’onere probatorio con riguardo sia alla già accennata definitività della rettifica operata dall’altra giurisdizione, sia alla conformità delle rettifiche operate al principio di libera concorrenza.
Con riferimento al requisito della definitività il provvedimento direttoriale richiede non solo l’allegazione in copia degli atti impositivi dai quali scaturisce la rettifica in aumento, emessi dall’autorità fiscale estera, con annessa traduzione di cortesia in lingua italiana o, in alternativa, in lingua inglese, ma pretende l’esibizione di apposita certificazione rilasciata da parte dell’autorità fiscale estera dalla quale risulti la definitività della rettifica in aumento effettuata.
Se sul piano concettuale è indiscutibilmente comprensibile e condivisibile che si sia ritenuto di dover applicare alla fattispecie lo stesso requisito prescritto anche per il riconoscimento dei crediti per le imposte assolte all’estero, qualche perplessità suscita la previsione secondo cui la mancata esibizione della certificazione rilasciata dall’ordinamento straniero comporti la conseguenza di impedire anche solo l’ammissione alla procedura. D’altra parte, non risulta chiaro come dovrebbero assolvere l’onere certificativo le giurisdizioni estere e neppure se abbiano effettivamente un obbligo giuridico e, nel caso, dove tale obbligo giuridico si fondi, di rilasciare su richiesta del contribuente la certificazione della definitività del pagamento effettuato, posto che l’ordinamento tributario straniero avrà esercitato il suo potere autoritativo attraverso gli atti a rilevanza esterna già notificati al destinatario, equivalenti ai nostri atti di accertamento, adesione o conciliazione giudiziale. Peraltro, la procedura si può incardinare solo con riferimento alle giurisdizioni con le quali sia in vigore una Convenzione contro le doppie imposizioni e che consentano un adeguato scambio di informazioni. Quindi, risultando sempre possibile per l’Amministrazione finanziaria attivare gli idonei strumenti di assistenza amministrativa internazionale al fine di verificare la veridicità di quanto rappresentato dal contribuente istante, comminare l’inammissibilità per la mancata produzione della certificazione, appare una conseguenza eccessiva. La stessa durata del procedimento fissata nel termine, da intendersi ragionevolmente come ordinatorio, di 180 giorni, dovrebbe indurre a valutare con maggiore flessibilità la possibilità di assolvere l’onere probatorio sulla definitività della rettifica in aumento subita dalla controparte correlata estera[2].
Sulla base di queste e simili considerazioni, all’esito della consultazione pubblica è stato formulata la proposta[3] di non vincolare rigidamente l’ammissibilità dell’istanza alla produzione della certificazione dell’autorità fiscale straniera, ma piuttosto di consentire al contribuente di fornire la prova attraverso qualsiasi mezzo o documento idoneo a garantire l’effettività e la definitività della rettifica di transfer pricing subita all’estero dal gruppo.
Un altro aspetto suscettibile di creare difficoltà operative di non poco conto è l’ulteriore condizione, sempre richiesta dalla lett. d del punto 2.3 a pena di inammissibilità dell’istanza, di documentare tutti gli elementi di diritto e di fatto che consentano di valutare che la rettifica in aumento, effettuata nel Paese estero, sia conforme al principio di libera concorrenza. È evidente che la particolare procedura introdotta dall’articolo 31-quater del D.P.R. 600/73 non prevedendo il coinvolgimento diretto dell’autorità fiscale della giurisdizione straniera che ha operato la rettifica di transfer pricing, come avviene invece nelle procedure di composizione delle controversie internazionali, le c.d. Mutual agreement procedure, in cui la ripartizione della potestà impositiva scaturisce dalla dialettica tra gli ordinamenti tributari coinvolti, non possa prescindere da una valutazione sul rispetto degli standards elaborati sulla materia in sede internazionale. In caso contrario, la potestà impositiva italiana subirebbe un’ingiustificata menomazione, per giunta trovandosi ad avallare quegli stessi comportamenti che, giustamente, persegue nei confronti degli altri contribuenti. Tuttavia, anche in questo caso non risulta di agevole comprensione quale sia, in concreto, l’onere del contribuente istante, soprattutto perché non è detto che sia in possesso di documenti elaborati nel corso di una procedura straniera che ha riguardato, in definitiva, un soggetto terzo, ancorché appartenente allo stesso gruppo, né che sia in grado di ricostruire e documentare i percorsi logici, giuridici e matematici seguiti dall’Autorità fiscale straniera nella predisposizione della rettifica di transfer pricing. Anche in questo caso la conseguenza dell’inammissibilità dell’istanza appare sproporzionata, sempre in considerazione del fatto che l’Amministrazione finanziaria manterrebbe, comunque, la possibilità di ricorrere alla cooperazione internazionale tra amministrazioni fiscali, ogniqualvolta ritenga insufficienti gli elementi sui quali basare la propria valutazione.
Gli aspetti sostanziali: la conclusione della procedura
Tralasciando l’analisi dell’iter procedurale e dei termini temporali ad esso connessi, gli aspetti sostanziali della procedura sono tendenzialmente concentrati nel paragrafo 4 ed in particolare ai punti 4.3, Al termine dell’istruttoria, la procedura si conclude con l’emissione di un atto motivato di accoglimento o di rigetto da parte dell’Ufficio, e 4.4, In caso di accoglimento, l’Ufficio comunica all’Autorità fiscale dello Stato estero la rettifica in diminuzione riconosciuta. La procedura si perfeziona con un provvedimento del Direttore dell’Agenzia che dispone il rimborso dell’imposta calcolata sull’imponibile corrispondente alla rettifica effettuata a titolo definitivo nell’altro Stato e ne da comunicazione al competente ufficio dell’Agenzia delle Entrate che espleta tutte le formalità necessarie ad erogare il rimborso.
La previsione contenuta nel punto 4.3, ha indotto ad interrogarsi sulla natura dell’atto, in particolare quello di rigetto, che conclude il procedimento[4], per sapere se vada qualificato come un provvedimento autonomamente impugnabile oppure no. Certo richiederebbe uno sforzo interpretativo includere tra gli atti impugnabili ai sensi del D.Lgs. 546/92, il rigetto dell’istanza, ma il successivo punto 4.3 sembrerebbe ricondurre l’intera procedura nell’alveo delle domande di rimborso il cui diniego è pacificamente impugnabile. Tuttavia, aderire a questa soluzione implicherebbe che in assenza di impugnazione, l’atto si consolidi divenendo definitivo, circostanza che però comporterebbe[5] anche la preclusione di un riesame nell’ambito delle procedure di composizione delle controversie fiscali internazionali, mentre al contrario è lo stesso articolo 31-quater a fare salva in ogni caso, la facoltà per il contribuente di richiedere l’attivazione delle procedure amichevoli, previsione recata dalla norma primaria che è comunque riprodotta anche nel paragrafo 6 del Provvedimento[6]. Sembrerebbe, quindi, più corretta la soluzione suggerita da Assonime secondo cui l’atto dovrebbe avere natura endoprocedimentale e, pertanto, non sarebbe autonomamente impugnabile.
Nel caso in cui la procedura si concluda in senso favorevole al contribuente istante, il provvedimento come già si è visto, prende in considerazione un’unica ipotesi, quella del rimborso. Tuttavia, è evidente che l’eventuale riconoscimento della rettifica in diminuzione del reddito dell’impresa residente potrebbe produrre anche altri esiti come l’emersione di una maggior perdita. La mancata esplicita previsione di questa eventualità non dovrebbe ragionevolmente comportare l’impossibilità di riconoscerne la legittimità dell’utilizzo in compensazione, considerato che non si ravvisano né nella norma primaria, l’articolo 31-quater del D.P.R. 600/73, né nel provvedimento di attuazione, né, infine nella norma generale che disciplina l’utilizzo delle perdite, l’articolo 84 del TUIR, motivi per imporre un tale divieto. D’altra parte, l’articolo 31-quater, fa esplicito riferimento alla diminuzione del reddito situazione potenzialmente compatibile sia con l’emersione di un credito, da richiedere a rimborso o utilizzare in compensazione, ma anche con l’emersione di una maggior perdita. La bozza di consultazione non ha previsto neppure il caso di un esito parzialmente favorevole al contribuente o ancora quello di una richiesta di riconoscimento parziale degli effetti della rettifica operata dall’altro ordinamento (ad esempio, perché il contribuente è consapevole che la corretta applicazione dell’arm’s length principle avrebbe condotto a risultati diversi, ma la sua parte correlata all’estero ha comunque accettato la contestazione per motivi “transattivi”), che in linea di principio appaiono coerenti con lo spirito della norma primaria.
Un’ultima osservazione va doverosamente fatta al nuovo approccio anche metodologico che l’Amministrazione finanziaria sta adottando e che attraverso l’adozione della procedura della pubblica consultazione testimonia un rinnovato livello di attenzione nei confronti dei contribuenti.
[1] Sull’aspetto soggettivo, nel suo documento n.4/2018 di risposta alla consultazione pubblica, Assonime osserva, con riferimento alla bozza di decreto ministeriale recante “Linee guida per l’applicazione delle disposizioni previste dall’art. 110 comma 7 del Testo Unico delle Imposte sui redditi approvato con d.P.R. 22 Dicembre 1986, n. 917, in materia di prezzi di trasferimento”, l’opportunità di sostituire nella definizione di “imprese associate” la locuzione “la stessa persona” con “una persona”.
[2] Si osserva che il punto 4.2 del Provvedimento afferma che “l’Ufficio, ove necessario, potrà richiedere l’attivazione degli strumenti di cooperazione internazionale tra amministrazioni fiscali; in tali casi il termine di conclusione della procedura indicato al precedente punto 3.1 deve intendersi sospeso per un periodo di tempo pari a quello necessario per l’ottenimento delle informazioni richieste all’Amministrazione fiscale del Paese a cui si è chiesta la collaborazione”, con un’ulteriore potenziale dilatazione dei termini di perfezionamento della procedura.
[3] Il suggerimento è contenuto nel Documento del gruppo di studio TP dell’AIDC Milano, messo a punto in risposta alla richiesta di pubblica consultazione. Dal punto di vista pratico un esempio suggerito dalla dottrina è quello relativo “alla produzione di un atto di accertamento estero in relazione al quale si possa evincere che, in base alla normativa straniera, sia stata posta in essere una procedura analoga a quella prevista a livello interno dall’art. 15 del D.Lgs. n. 218/1997 e dunque, nella sostanza, l’acquiescenza rispetto alla pretesa oggetto di accertamento” (Cfr. Duilio Liburdi e Massimiliano Sironi in il fisco, 15 / 2018, p. 1414, Rettifiche in diminuzione derivanti dal transfer pricing). Naturalmente si possono immaginare altre situazioni di irripetibilità di quanto pagato all’Amministrazione finanziaria, omologhe a quelle conosciute dal nostro ordinamento, adesioni, conciliazioni giudiziali etc.
[4] Cit. documento n. 4/2018 di risposta alla consultazione pubblica, Assonime che lamenta la possibilità che si riproducano situazioni di incertezza come quelle generatesi in relazione alle risposte emanate in sede di interpello disapplicativo.
[5] Cfr. Circolare dell’Agenzia delle entrate del 5 giugno 2012, n. 21 “A seguito della mancata impugnazione dell’atto di accertamento l’effetto di definitività dell’imposta dallo stesso recata impedisce che quest’ultima possa essere modificata a seguito di un riesame in seno alla MAP e dell’eventuale accordo raggiunto fra le autorità competenti … La funzione deflativa del contenzioso che caratterizza la ratio degli istituti definitori in esame, con gli ulteriori previsti effetti premiali sotto il profilo sanzionatorio, comporta una qualificazione analoga – per la valenza che gli istituti possono esplicare nell’ambito della MAP – a quella della mancata impugnazione, sotto il profilo della immodificabilità di quanto definito”.
[6] Cfr. paragrafo 6, punto 6.3 del Provvedimento: Con riferimento alle rettifiche in aumento definitive operate all’estero, generatrici di doppia imposizione e da cui trae origine l’istanza, resta ferma, in caso di rigetto, la facoltà per il contribuente di richiedere l’attivazione delle procedure amichevoli previste dalle convenzioni internazionali contro le doppie imposizioni sui redditi o dalla Convenzione relativa all’eliminazione delle doppie imposizioni in caso di rettifica degli utili di imprese associate, con atto finale e dichiarazioni, fatta a Bruxelles il 23 luglio 1990, resa esecutiva con legge 22 marzo 1993, n. 99.