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Le nuove frontiere della cartolarizzazione: tra profili sistematici e incertezze di disciplina

11 Luglio 2017

Paolo Carrière, CBA Studio Legale e Tributario

Di cosa si parla in questo articolo

Con un precedente intervento su questa Rivista, (v. “Verso una concorrenza (sleale?) di modelli sul mercato dei NPL?”, 23.5.2017) avevamo commentato una serie di emendamenti (i n. 60.039, 60.053, 60.065 rispettivamente a firma degli onorevoli Bernardo, Giorgetti e Abrignani) che erano stati presentati alla Camera, nel percorso di conversione in legge della c.d. “manovrina” (il D.L. n. 50 del 24.4.2017), finalizzati a modificare la disciplina italiana delle cartolarizzazioni di cui alla legge n. 130 del 1999 con una serie di interventi che apparivano concettualmente “eversivi”. Il decreto in esame è infine stato convertito con modifiche con la L. del 15 giugno 2017, avendo in essa trovato definitiva collocazione le iniziali istanze potate avanti nei citati emendamenti, seppur con alcune significativi aggiustamenti. Aggiorniamo dunque qui di seguito quelle prime riflessioni avanzate nel corso dell’iter normativo a quello che risulta il testo finale uscito dal Parlamento. Come già avevamo segnalato, il Legislatore si è prefisso encomiabilmente di intervenire sul vigente ordinamento finanziario al fine di dotarlo di più efficaci strumenti finalizzati ad una “gestione attiva” dei NPL, (i) sia di quelli descrivibili come crediti “deteriorati” (incagli o crediti ristrutturandi) vantati dalle banche verso imprese che si trovino in stato di crisi e che abbiano intrapreso e possano intraprendere percorsi virtuosi di uscita da quella, attraverso l’impiego degli strumenti di composizione stragiudiziale o concordataria predisposti dal legislatore negli ultimi anni (piani attestati, accordi di ristrutturazione, concordati in continuità); (ii) sia con riguardo ai meccanismi finalizzati ad una più efficiente gestione dei crediti con sottostante immobiliare.

Da un lato, viene modificata la L. n. 130 del 1999 sulle cartolarizzazioni al fine di consentire alle c.d. SPV (Special Purpose Vehicle) di “acquisire o sottoscrivere azioni, quote e altri titoli e strumenti partecipativi derivanti dalla conversione di parte dei crediti”. Dall’altro lato, verrebbe chiarito che la SPV può “concedere finanziamenti al fine di migliorare le prospettive di recupero dei crediti oggetto di cessione e di favorire il ritorno in bonis del debitore ceduto” prevedendosi poi che, in questo caso, “non si applicano in questo caso le disposizioni di cui agli articoli 2467 e 2497-quinquies del codice civile” (disciplina della postergazione dei finanziamenti soci).

La condivisibile attenzione con cui il legislatore segue da vicino il grande e delicato “nodo” dei NPL, sforzandosi di offrire agli operatori strumenti efficaci ed efficienti, in linea con le più avanzate esperienze straniere, non dovrebbe tuttavia prescindere da una più attenta e ponderata considerazione degli equilibri della complessiva architettura di sistema dell’ordinamento finanziario che solo di recente pareva aver raggiunto un suo equilibrio.

Da questo punto di vista, gli interventi in questione appaiono per alcuni versi parziali, estemporanei, e disorganici.

In una prima prospettiva, tutta interna al fenomeno stesso della cartolarizzazione, l’utilizzo dello schema della “società di cartolarizzazione” per svolgere una gestione attiva degli UPL – che preveda fisiologicamente la conversione in equity o quasi-equity dei crediti ristrutturandi e successivamente, anche con erogazione di nuova finanza, una gestione attiva delle conseguenti partecipazioni societarie, in vista di una loro valorizzazione e dismissione e che abbia come obiettivo quello, encomiabile ma impegnativo, di favorire il ritorno in bonis del debitore – pare infatti immediatamente contrastare con le opzioni concettuali sottese al modello stesso di cartolarizzazione da noi adottato. Sulla scorta del modello anglosassone, anche la nostra normativa concepisce da sempre la società di cartolarizzazione come un mero veicolo “trasparente”, “passante”, tra l’originator e i sottoscrittori dei titoli ABS (Asset Backed Security), finalizzato ad un efficiente ring fencing dei crediti destinati al pagamento dei sottoscrittori e caratterizzato da una intrinseca insolvency remotness (senza dire qui del tema tutto dogmatico ma denso di implicazioni pratiche, circa la natura imprenditoriale o meno dell’ attività svolta dalla SPV). Da qui l’oggetto sociale esclusivo, la thin capitalization e i peculiari tratti della gestione dei crediti in termini di “gestione passiva”. Ogni elemento di inquinamento della chiara ed esclusiva mission del veicolo è stato dunque visto sin qui con estremo sfavore e sostanzialmente considerato estraneo al modello di riferimento. Evidentemente l’ibridazione che di tale modello verrebbe a determinarsi – ove si consentisse al veicolo di svolgere una gestione attiva dei crediti che ne preveda una loro trasformazione in partecipazioni societarie e, successivamente, una gestione attiva di questa (con tutti i profili, anche di responsabilità, connessi) – verrebbe a minare irrimediabilmente quelle sottostanti opzioni concettuali. Tale rischio vorrebbe poi forse esser scongiurato, nelle intenzioni degli estensori della norma, prevedendosi che i “compiti di gestione o amministrazione o i poteri di rappresentanza” debbano esser conferiti ad un“soggetto di adeguata competenza e dotato delle necessarie abilitazioni o autorizzazioni in conformità alle disposizioni di legge applicabili”. A parte la macchinosità e la tenuta giuridica di tale sistema di delega per isolare efficientemente la SPV delegante dai rischi connessi all’attività di gestione attiva di partecipazioni sociali (anche di controllo) in società “a rischio”, la soluzione delineata sembra alla fine “reinventarsi” – ma in maniera inedita, confusa e problematica – quello che nel nostro ordinamento già esiste; uno schema di gestione collettiva del risparmio. [1]

E allora, in una seconda prospettiva esterna al fenomeno della cartolarizzazione ma, come dicevamo, “di sistema”, c’è da domandarsi se abbia senso questa corsa alla moltiplicazione/confusione/ibridazione dei modelli, in cui – allontanandosi da quella che era la specifica mission originaria per cui ogni istituto è inizialmente nato, tutti finiscono a fare poi le stesse cose ma con regimi giuridici ben diversi, determinandosi così fenomeni di opacità e di “concorrenza sleale” tra operatori che presentano sostanzialmente lo stesso profilo operativo ma che si muovono in quadri regolamentari di riferimento del tutto differenti (norme prudenziali, requisiti, vincoli comportamentali [2] etc.). Perché, almeno ove vi siano una pluralità di portatori di titoli “nell’interesse dei quali” deve esser svolta la delega gestoria, il fenomeno è strutturalmente del tutto analogo a quello della gestione collettiva del risparmio; e allora, ove gli asset gestiti consistano di crediti da ristrutturare, agli schemi classici di natura contrattuale (fondo comune) o societario (sicav/sicaf) verrebbe oggi aggiunto un terzo ibrido schema: società di cartolarizzazione con delega contrattuale esterna ad un gestore professionale … che, nel sistema attuale, non potrebbe che esser una s.g.r.! Come detto, tale ibrida soluzione risulta, ad oggi, di non immediato inquadramento nel vigente sistema normativo della Gestione Collettiva del Risparmio di cui al Parte II Titolo III del T.U.F. laddove, all’articolo 33 comma 1, è previsto che le s.g.r. possano gestire il patrimonio e i rischi esclusivamente di “OICR”, dovendosi oggi intendere con tale acronimo la fattispecie definita all’articolo 1.1 k) del T.U.F. a cui, quindi, dovrebbe essere ricondotta anche la “società di cartolarizzazione”. In definitiva, con l’intervento normativo in esame pare dunque delinearsi un modello di intervento sugli UPL che risulta del tutto speculare e (concorrente) alla nuova e peculiare fattispecie del Fondo di Ristrutturazione [3]. Laddove, invece, non vi sia una pluralità di investitori (portatori di titoli), e non si possa dunque configurare un fenomeno di “gestione collettiva”, la concorrenza si determinerebbe invece con gli intermediari finanziari ex art. 106 T.U.B., che paiono gli unici soggetti cui sia consentita una “gestione attiva”, non collettiva, di UPL a seguito e nell’ambito dell’attività finanziaria riservata, dell’“acquisto di crediti a titolo oneroso”.

Sarebbe invece stato utile e opportuno recuperare e riaffermare con chiarezza i due distinti approcci operativi che possono applicarsi ai NPE trasferendoli a livello di disciplina in due distinti corpi normativi, contigui ma autonomi:

  • Cartolarizzazione (approccio recuperatorio e amministrazione conservativa);
  • Fondi di Ristrutturazione (valorizzazione e gestione attiva).

Dalla ricostruzione storica della fattispecie “cartolarizzazione” (o come si diceva prima della L. n. 130 del 1999, “titolarizzazione”) nel nostro ordinamento, può infatti evincersi come inizialmente, prima dell’emanazione di una legge speciale che intervenisse a disciplinare il fenomeno incentrandolo su dei veicoli societari ad hoc (c.d. SPV), la modalità con cui risultava teoricamente [4] costruibile una tale operazione era proprio attraverso il forzato e “innaturale” ricorso allo schema del “fondo comune di investimento” [5], sub specie dei c.d. “fonds de creances”. E tuttavia, il modello gestorio tipico dei fondi comuni di investimento, per sua natura dinamico, non si presentava adatto alla diversa logica sottesa a quella che può ritenersi una “pura” operazione di cartolarizzazione. Sotto questo profilo, infatti, il tratto caratterizzante della cartolarizzazione “pura” (che ha quindi giustificato prioritariamente la tipizzazione dell’operazione nell’ambito della L. n. 130 del 1999, e l’approntamento di una sua specifica disciplina) che valesse a distinguerla da una “cartolarizzazione” che facesse invece ricorso al modulo operativo del “fondo comune di investimento” deve individuarsi proprio nell’elemento della diversa filosofia gestoria. Di tipo conservativo e statico nel caso della cartolarizzazione disciplinata dalla L. n. 130 del 1999, laddove essa persegue in via prioritaria se non esclusiva la esazione dei crediti oggetto di cessione e che, pertanto, prevede un rigido vincolo di indisponibilità [6] su quelli, stante il rigido e speculare asservimento dei flussi derivanti dal loro incasso agli speculari flussi destinati ai sottoscrittori dei titoli emessi dal veicolo. Similmente improntata a non alterare il profilo di rischio dell’operazione risulta la limitata operatività gestoria che può essere svolta dallo SPV anche in ordine alla possibilità di reinvestimento. Ben diversa e tipicamente dinamica ed evolutiva è invece l’attività gestoria individuabile nell’ambito di un OICR. Tale diversa filosofia si riflette, come visto, sulla natura dei crediti oggetto delle due diverse situazioni, risultando essa ben diversa, avendo riguardo ora al loro “stadio” di maturazione, ora alla loro “qualità” in termini di esigibilità e “bontà”, da intendersi ovviamente riferita alle condizioni in cui versi il debitore. Nel caso di cartolarizzazione essi sono tipicamente polverizzati e trattabili “in massa”, in via spersonalizzata, con una logica eminentemente statica e conservativa finalizzata all’incasso (recupero), potendo essi essere indifferentemente performing o non performing. Nel caso dei “fondi di ristrutturazione”, essi sono necessariamente in uno stadio di “underperformance” che ne renda plausibile la loro “ristrutturazione” nell’ambito di un più ampio processo di ristrutturazione dell’impresa debitrice; essi devono per loro natura prestarsi ad una gestione dinamica, evolutiva e “personalizzata” nell’ambito dei complessi e articolati percorsi di uscita dalla crisi, oggi individuabili e inquadrabili in strumenti tipizzati: piani di risanamento, accordi di ristrutturazione, concordati.

Come già accennato, con le previsioni di cui al comma 4 dell’articolo 7.1 della L. n. 130 del 1999 introdotto dal D.L. n. 50 del 2017 come convertito con modificazioni dalla L. del 15 giugno 2017 il Legislatore ha inoltre encomiabilmente ritenuto di disciplinare con apposita disposizione la possibilità – ad oggi ostacolata dalla normativa applicabile alle società di cartolarizzazione – di una più efficiente gestione dei sottostanti immobiliari dei crediti oggetto di cartolarizzazione, tipicamente immobili o beni mobili registrati costituiti a garanzia di quei crediti. Mantenendo ferma l’opzione concettuale di non “inquinare” la società di cartolarizzazione ex L. n. 130 del 1999 con attività gestorie o anche con posizioni dominicali da cui possono conseguire profili di responsabilità (contrattuale o extracontrattuale), si è correttamente fatto ricorso a una detenzione/gestione indiretta di tali assets immobiliari e, tuttavia, tale condivisibile soluzione appare circondata ad oggi da un margine di incertezza operativamente limitante. In particolare, con generica locuzione all’inizio del comma 4 si prevede che “Può essere costituita una società veicolo, nella forma di società di capitali, avente come oggetto sociale esclusivo il compito di acquisire, gestire e valorizzare, nell’interesse esclusivo dell’operazione di cartolarizzazione, i beni immobili e mobili registrati nonché (… omissis)”, senza alcuna chiara indicazione su quale debba/debbano essere il soggetto/i soggetti titolari della partecipazione nella citata “società veicolo”. Possono in teoria ipotizzarsi due opzioni: (i) che la partecipazione totalitaria nella società veicolo immobiliare debba far capo alla stessa società di cartolarizzazione che quindi verrebbe a detenere il controllo totalitario sulla stessa; (ii) che la totalità delle partecipazioni nella società veicolo immobiliare debba far capo ai portatori dei titoli emessi dalla società di cartolarizzazione. L’opzione di cui a quest’ultimo punto (ii) risulta di difficile applicazione, sia in fase di collocamento dei titoli emessi dalla società di cartolarizzazione – a cui dovrebbe essere associata una contestuale e collegata offerta di partecipazioni della società veicolo immobiliare (risultando peraltro non percorribile l’ipotesi che tale veicolo possa essere costituito in forma di s.r.l., in virtù del vigente divieto di cui all’articolo 2468 primo comma codice civile) – sia nel concepire una struttura di governance coerente con la sua mission. Assai più percorribile e coerente risulta dunque lo schema di cui al punto (i) che si risolve in una detenzione in via indiretta degli assets immobiliari da parte della stessa società di cartolarizzazione, tramite un distinto veicolo societario a responsabilità limitata (a tal fine sarebbe stato più opportuno sostituire la locuzione “società di capitali” con l’esplicito riferimento alle società per azioni e a quelle responsabilità limitata) che garantirebbe l’isolamento della società stessa da ogni rischio e responsabilità derivanti e conseguenti dalla gestione e/o dalla detenzione degli assets immobiliari; rischio e responsabilità che rimarrebbero quindi circoscritte nel perimetro societario della società veicolo, salvaguardando la natura insolvency remote della società di cartolarizzazione. Inoltre, in assenza di alcuna esplicita indicazione sul regime di circolazione della partecipazione che dovrà essere totalitariamente detenuta dalla società di cartolarizzazione nel veicolo immobiliare, sarebbe stato opportuno prevedere l’incedibilità di essa fino a che non sia definitivamente conclusa la connessa operazione di cartolarizzazione.

La norma risulta inoltre lacunosa nel non prevedere alcunché in ordine alle modalità di esercizio dei poteri gestori di tale società veicolo, permanendo pertanto il rischio di una potenziale responsabilità da direzione e coordinamento ex art. 2497 c.c. e ss. in capo alla società di cartolarizzazione. Sarebbe stato pertanto quanto mai opportuno chiarire (sulla scorta di quanto previsto nel comma 8) che la gestione della partecipazione in tale società veicolo debba essere affidata all’esterno a soggetti dotati di adeguata competenza (e delle necessarie abilitazioni e autorizzazioni in conformità alla disposizioni di legge applicabile? A tal proposito e alla luce dell’attuale quadro di riserve di attività è, forse, al fine di evitare che potesse venirsi a configurare una “gestione collettiva” nell’interesse dei “portatori dei titoli” e che quindi tale soggetto debba essere necessariamente una s.g.r., che il legislatore ha dunque previsto che i poteri gestori debbano essere esercitati “nell’interesse della operazione di cartolarizzazione”, piuttosto che dei portatori di titoli?). Opportuno sarebbe stato altresì prevedere esplicitamente che per effetto di tale delega gestoria non possa conseguire in capo alla società di cartolarizzazione alcun profilo di responsabilità ex articoli 2497 e ss del codice civile, atteso che, nell’attuale sistema normativo, il conferimento della delega non sembrerebbe garantire, di per se e necessariamente, un tale risultato.

 


[1] Sull’assimilazione strutturale dei due fenomeni (cartolarizzazione e gestione collettiva del risparmio) vedi L.CAROTA, La cartolarizzazione dei crediti, in F. GALGANO (opera ideata e diretta da), Le operazione di finanziamento, Torino, 2016, 955.

[2] Si pensi, solo per fare un esempio, ai presidi organizzativi per la gestione dei conflitti d’interesse.

[3] Mi sia consentito di rinviare a P. Carrière, I “fondi comuni di ristrutturazione”: ricostruzione tipologica e inquadramento sistematico di una nuova fattispecie di OICR, in questa rivista 19 aprile 2016; Id., I “fondi comuni di ristrutturazione” tra investimento, finanziamento e cartolarizzazione, in Riv. Soc., 2016,718.

[4] Non avendo essa trovato alcuna fortuna nella prassi operativa.

[5] Cfr. Relazione al disegno di legge n. 5058 del 7 luglio 1998. Per fugare ogni dubbio, rispetto all’originario disegno di legge, fu poi introdotta l’esplicito chiarimento nell’art. 7; in argomento cfr. P. MESSINA, (nt. 17), 223; F. MAIMERI, Prime osservazioni sul disegno di legge in tema di cartolarizzazione dei crediti (AC 5058), in Banca borsa, 1999, I, 237; V. GASPARINI, L’iter parlamentare della legge sulla cartolarizzazione dei crediti, in La cartolarizzazione dei crediti in Italia, a cura di R. Pardolesi, Milano, 1999, 253; F. DI CIOMMO, I soggetti che svolgono operazioni di cartolarizzazione e la separazione patrimoniale, ivi, 42 ss.

[6] In virtù dell’art. 2, comma 3, lett. d) ede). Cfr. L.CAROTA, La cartolarizzazione dei crediti, in F. GALGANO (opera ideata e diretta da), Le operazione di finanziamento, Torino, 2016, 944 ss., 946.

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