Il recepimento di MiFID II negli ordinamenti nazionali e la sua entrata in vigore segnano un’ulteriore evoluzione della disciplina del mercato in Europa, nel solco delle numerose e ampie riforme che, in pressoché tutti i settori, si sono succedute dopo la crisi finanziaria. A differenza di altri contesti normativi (si pensi, per tutti, alla disciplina delle banche) nell’ambito dei quali si è assistito ad una vera e propria rifondazione dell’intera disciplina, MiFID II si colloca, rispetto al sistema anteriore, in una prospettiva soltanto in parte di discontinuità, giacché essa mantiene in larga misura le impostazioni di fondo che connotavano la materia nel contesto precedente. Ciò nonostante, le novità restano numerose e di rilievo: il recepimento della Direttiva ha richiesto robusti interventi normativi, come dimostrano le profonde modifiche apportate al Testo Unico della Finanza e, da ultimo, al Regolamento intermediari della Consob, sostituito con un nuovo testo (Regolamento n. 20307/2018).
Un primo dato che emerge con evidenza è rappresentato dalla nuova articolazione delle fonti: MiFID II è, a tutti gli effetti, un complesso “package” normativo, composto da più livelli (articolati secondo lo schema Lamfalussy), di cui fa parte un corposo set di technical standards, emanati dalla Commissione UE con il supporto di ESMA. Il ricorso crescente allo strumento del Regolamento – di diretta applicazione – pare un dato di rilievo, così come l’intera impostazione della Direttiva, volta ad assicurare livelli di più forte armonizzazione, limitando al contempo il fenomeno del c.d. “goldplating” da parte degli Stati membri (cfr. art. 6, c. 02, TUF). Sul piano strutturale, MiFID II si inserisce in una più ampia trama di provvedimenti tra loro interconnessi: essa si interseca, ad esempio, con il Regolamento EMIR, con il Regolamento PRIIPs e, non da ultimo, con la Seconda Direttiva sulla distribuzione assicurativa. L’impostazione di MiFID II mostra, poi, una chiara tendenza ad influenzare altri settori, tradizionalmente riconducibili al “silos” della materia bancaria, o – nuovamente – assicurativa: si pensi, ad esempio, alla disciplina della mediazione e della consulenza creditizia, o all’impostazione della Direttiva DD2 sugli intermediari assicurativi.
MiFID II mantiene la classica bipartizione tra servizi di investimento, da un lato, e disciplina delletrading venues, dall’altro: rispetto a MiFID I, tuttavia, essa scende più in profondità ed articola più intensamente entrambi gli ambiti. Sul piano dei servizi ed attività di investimento si assiste, così, all’ampiamento della nozione di strumenti finanziari (con particolare riguardo alle quote di emissione, e ai derivati), e all’inclusione nel perimetro della disciplina dei depositi strutturati, o di alcune attività di difficile classificazione nel vigore di MiFID I (ad es. l’offerta in sottoscrizione di strumenti propri, emessi dal medesimo intermediario, ora assimilata all’attività di negoziazione). Viene poi introdotta una nuova fattispecie di trading venue (gli OTF), con conseguente allungamento del “catalogo” delle attività riservate.
Nel perimetro già toccato da MIFID I, le regole si fanno ora più granulari: ne sono esempi la distinzione tra consulenza “indipendente” e non indipendente – che ha suggerito un ripensamento della disciplina già recata dal TUF con riguardo all’intera materia della consulenza – così come la maggior precisione che oggi connota la definizione dell’attività di internalizzazione sistematica. Al contempo, la disciplina diviene più ampia ed articolata: ad esempio, gli obblighi di trasparenza e informazione (con particolare riguardo ai costi dei servizi resi); la materia dei conflitti di interessi (ora articolata in regole generali, e regole di dettaglio per talune attività o servizi); il rafforzamento delle regole che pongono limiti agli inducement. Di particolare rilievo risultano, in tale contesto, le nuove regole in tema di product governance che, seguendo un approccio innovativo, anticipano la tutela dell’investitore alla stessa fase che precede l’immissione sul mercato del prodotto, al fine di ridurre il rischio di fenomeni di misselling.
La disciplina dei mercati diviene, nel contesto di MiFID II, un vero e proprio arcipelago, dalla portata assai più vasta rispetto al passato. Oltre all’introduzione dei “nuovi” OTF, la materia è connotata da un approccio volto ad estendere il ruolo del legislatore, riducendo l’autonomia delle trading venues: numerosi profili che attengono alla microstruttura e al funzionamento dei mercati, sono, infatti, ora disciplinati direttamente dal package normativo e, anche in questo contesto, le interrelazioni con altri ambiti normativi si fanno più intense (si pensi al rapporto tra MiFID II e disciplina degli abusi di mercato). Ampiamente rimodellati, e resi più pervasivi, risultano gli obblighi di pre-trade e post-trade transparency, con riguardo ai quali MiFID II punta a superare la frammentazione conseguente al quadro incompleto già tracciato da MiFID I. La nuova disciplina punta, con tutta evidenza, a rafforzare il ruolo delle trading venues,e la robustezza del ruolo che esse svolgono sul piano della price discovery: in tale contesto si segnalano le nuove regole che impongono l’esecuzione di operazioni su strumenti equity e su taluni derivati nelle trading venues riconosciute, seguendo un’impostazione che riecheggia gli ormai risalenti obblighi di concentrazione previsti in talune discipline nazionali prima della Direttiva del 1993.Con riguardo ai mercati, si assiste anche ad un primo, strutturato tentativo di graduarne la disciplina in funzione delle dimensioni, o della “rilevanza”, degli emittenti: le speciali regole previste per gli MTF rivolti alle PMI (i cc.dd. “mercati di crescita”) riflettono, nel contesto di MiFID II, la sempre maggior attenzione, anche delle istituzioni UE, verso schemi di disciplina connotati da margini di flessibilità in funzione delle dimensioni degli emittenti.
Che tutto quanto sopra rappresenti una sfida, sia per il mercato, sia per regolatori e Autorità di vigilanza pare evidente, anche alla luce dei percorsi istituzionali che si presentano all’orizzonte: Capital Markets Union, e revisione del ruolo delle Agenzie Europee sono già sul tavolo. Anche Brexit rappresenterà un’altra sfida per MiFID II: se MiFID I ebbe la ventura di entrare in vigore nel 2007, proprio a ridosso dello scoppio della crisi finanziaria, MiFID II si colloca alle soglie della separazione della piazza finanziaria londinese dall’UE, con prospettive e conseguenze ancora incerte.