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Le perdite su crediti verso imprese assoggettate a procedure concorsuali: quando dedurle

2 Settembre 2013

Giulio Andreani, Professore di diritto tributario presso la Scuola Superiore dell’Economia e delle Finanze, Dottore commercialista

Di cosa si parla in questo articolo

Una delle questioni più controverse, tra quelle concernenti la deducibilità fiscale delle perdite su crediti vantate nei confronti di imprese assoggettate a procedure concorsuali, riguarda la individuazione del periodo, o dei periodi, in cui tali perdite possono essere dedotte e dei criteri di determinazione degli importi deducibili in ciascun periodo d’imposta. In merito a questi aspetti sono state infatti prospettate in dottrina e in giurisprudenza tesi plurime fra loro contrastanti.

In base a un primo indirizzo, adottato dalla Corte di Cassazione (cfr. le sentenze n. 16330 del 2005, n. 9218 del 2011 e n. 8822 del 2012), qualora il debitore sia sottoposto a procedura concorsuale, la perdita dovrebbe essere obbligatoriamente dedotta per intero nell’esercizio in cui tale procedura ha avuto inizio, non essendo possibile frazionarla pro quota in più periodi. Questa tesi fa leva (i) principalmente sul presupposto che la ratio della norma recata dal comma 5 dell’art. 101 del Tuir (in forza del quale “le perdite su crediti sono deducibili se risultano da elementi certi e precisi e in ogni caso se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali o ha concluso un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato ai sensi dellart. 182-bis del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267”) sarebbe quella di semplificare il regime delle perdite de quibus, consentendone la deduzione immediata nell’esercizio di apertura della procedura, nonché (ii) sulla considerazione che non sarebbe logica una previsione legislativa che aggiungesse, in favore del contribuente, al beneficio della deduzione della perdita in modo automatico, in virtù del semplice assoggettamento del debitore a procedura concorsuale, l’ulteriore vantaggio costituito dalla possibilità di ripartire in più esercizi la deduzione della perdita secondo esigenze emergenti dall’entità dei risultati dei diversi periodi d’imposta.

Secondo altre tesi la perdita non dovrebbe invece essere dedotta necessariamente nell’esercizio di apertura della procedura concorsuale nei confronti del debitore, ma potrebbe esserlo anche nei periodi d’imposta seguenti, in base a criteri che, tuttavia, divergono da indirizzo a indirizzo.

Sulla scorta di un primo orientamento il creditore potrebbe dedurre la perdita anche negli esercizi successivi a quello di apertura della procedura, poichè la menzionata disposizione di cui al comma 5 dell’art. 101 del Tuir non rappresenterebbe una deroga all’ordinario regime di deduzione dei componenti negativi di reddito nel periodo di competenza, ma integrerebbe una presunzione semplice, la cui applicazione deve essere valutata caso per caso, tenendo conto del valore di presumibile realizzo del credito. Da ciò conseguirebbe che il creditore può dedurre la perdita anche nei periodi d’imposta successivi al primo, seppure non sulla base di una scelta discrezionale, ma nel necessario rispetto dei principi stabiliti dal citato art. 109, comma 1, a mano a mano che i requisiti previsti da tale norma (e cioè quelli di certezza e oggettiva determinabilità delle perdite) vengono integrati (cfr. la sentenza della Corte di Cassazione n. 12831 del 2002). In altri termini, ove non sia effettuata integralmente nell’esercizio di apertura della procedura concorsuale, pur in assenza di alcuna dimostrazione circa la irrealizzabilità del credito, la deduzione potrebbe essere effettuata nei periodi d’imposta successivi (a quello di apertura della procedura concorsuale), solo qualora si manifestino – esercizio per esercizio – i suddetti requisiti (di certezza e oggettiva determinabilità delle perdite) ovvero – secondo taluni autori – quelli di certezza e precisione previsti  dall’art. 101, comma 5, del Tuir, ordinariamente richiesti da tale norma per la deduzione delle perdite su crediti, considerato che la deduzione automatica è riconosciuta solo nel periodo di apertura della procedura (tali requisiti sono peraltro corrispondenti a quelli previsti dal citato art. 109).

Diverge radicalmente dalla tesi sopra richiamata quella per cui le perdite su crediti verso debitori assoggettati a procedura concorsuale sono in realtà l’effetto di un fenomeno valutativo, poiché concernono crediti che non sono stati né trasferiti né estinti giuridicamente: non derivano quindi da atti compiuti con soggetti terzi, suscettibili di generare componenti reddituali muniti di una propria competenza temporale, che dovrebbe essere individuata in base al momento in cui tali atti producono effetto.  Derivando tali perdite da un processo valutativo, esse sarebbero sottratte, per loro natura, all’applicazione del principio di competenza, anche alla luce di quanto affermato (invero molti anni fa) dalla Direzione delle Imposte Dirette del Ministero delle Finanze, secondo cui la possibilità di dedurre fiscalmente la svalutazione di partecipazioni societarie, in presenza dei necessari presupposti, non era preclusa, se non veniva eseguita nel primo esercizio in cui tali presupposti si manifestavano, alla sola condizione che questi non fossero successivamente venuti meno. Del resto è pacifico (pare fare riferimento a un altro componente reddituale derivante da una stima) che gli ammortamenti non dedotti in un esercizio possono essere dedotti in seguito, senza che la loro mancata rilevazione in un periodo ne impedisca la rilevanza successiva. Ciò conferma che non sono presenti nella disciplina del reddito d’impresa elementi sistematici che facciano ritenere immanente nell’ordinamento dei tributi diretti un principio in base al quale la competenza temporale rilevi anche con riguardo ai componenti reddituali discendenti da valutazioni.

Sposando un altro indirizzo, l’Associazione Italiana dei Dottori Commercialisti (cfr. la norma di comportamento n. 172 del 2008) ritiene invece che il legislatore fiscale, ammettendo la deduzione della perdita nel periodo di apertura della procedura concorsuale, abbia solo inteso introdurre una presunzione semplice circa l’esistenza della perdita in tale esercizio e non imporre l’obbligo di dedurre l’importo del credito integralmente in tale periodo; con la conseguenza che l’esercizio in cui dedurre le perdite su crediti nei confronti di clienti falliti o sottoposti ad altre procedure concorsuali sarebbe quello in cui le perdite si manifestano e sono iscritte in bilancio secondo il prudente apprezzamento degli amministratori, il che potrebbe avvenire o nell’esercizio stesso di inizio della procedura concorsuale o anche, in tutto o in parte, in quelli successivi. Ne consegue dunque che la valutazione – effettuata ai fini contabili, nel rispetto dei principi di corretta redazione del bilancio sanciti dagli artt. 2423, comma 2 (principi di verità e correttezza) e 2423-bis, comma 1, n. 4) (principio di prudenza) del c.c. e in base all’analisi della concreta possibilità di recupero del credito – vincolerebbe dal punto di vista fiscale sia il contribuente sia l’Amministrazione finanziaria. Ciò non escluderebbe tuttavia che quest’ultima possa sindacare l’operato dell’impresa, ove dimostri che i criteri da essa applicati ai fini della redazione del bilancio siano tali da comprometterne la verità e la correttezza.

Discostandosi parzialmente dalla precedente tesi, l’Assonime (cfr. la circolare Assonime n. 15 del 2013, pag. 34), pur ritenendo che la deduzione delle perdite ai fini fiscali debba avvenire nei vari esercizi in base agli importi iscritti nel bilancio, ha recentemente sostenuto che non potrebbe tuttavia essere riconosciuto all’Amministrazione finanziaria alcun potere di contestare le valutazioni effettuate dall’imprenditore in sede di redazione dello stesso; diversamente, infatti, “si verrebbero surrettiziamente a reintrodurre limiti alla rilevanza delle valutazioni compiute dal redattore del bilancio ulteriori e diversi rispetto a quelli richiesti dal legislatore”.  

Quella sopra delineata è, in sintesi, “la mappa” degli indirizzi espressi in dottrina e in giurisprudenza circa l’esercizio di deducibilità delle perdite su crediti di cui trattasi. Ne emerge una situazione caratterizzata da non poche incertezze e conseguentemente da inevitabili fattori di rischio, posto che, da un lato, le imprese potrebbero cercare di applicare di volta in volta la tesi per loro più favorevole e che altrettanto, dall’altro lato, potrebbe fare nella sua attività di controllo l’Amministrazione finanziaria, sostenendo tesi opposte a quelle adottate dai contribuenti, attesa la presenza di una pluralità di orientamenti fra loro contrastanti.

Opportunamente quindi, con la circolare n. 26/E del 1° agosto 2013, l’Agenzia delle Entrate ha affrontato l’argomento de quo, fornendo in materia un apprezzabile, ancorché sintetico e probabilmente non risolutivo, contributo interpretativo, affermando in particolare quanto segue:

  1. in presenza dell’assoggettamento del debitore alle procedure di fallimento, liquidazione coatta amministrativa, concordato preventivo e amministrazione straordinaria delle grandi imprese in crisi, nonché a seguito della pubblicazione del decreto di omologazione dell’accordo di ristrutturazione dei debiti di cui all’art. 182-bis L.F., opera un automatismo che consente la deducibilità delle perdite inerenti ai crediti vantati verso l’impresa debitrice, il quale “prescinde da ogni ulteriore verifica della definitività (delle perdite) e degli elementi certi e precisi richiesti in tutti gli altri casi”. La disposizione recata dall’ultima parte del comma 5 dell’art. 101 del Tuir deroga quindi, e in via automatica, alla regola generale contenuta nella prima parte del medesimo comma; ciò perché l’accertamento giudiziale o amministrativo dello stato di crisi del debitore è di per sé sufficiente per considerare irrealizzabile il credito verso quest’ultimo;
  2. ne discende che il legislatore considera integrati i requisisti di deducibilità “dalla data” della sentenza o del provvedimento di ammissione alla procedura concorsuale ovvero del decreto di omologa dell’accordo di ristrutturazione dei debiti. Ciò significa che i requisiti di certezza e precisione richiesti dalla regola generale recata nella prima parte del comma 5 dell’art. 101 del Tuir si intendono sussistenti e dimostrati da tale data, ma non che è deducibile, in modo altrettanto automatico, una perdita pari allo stesso ammontare del credito, nell’esercizio in cui la procedura viene aperta in capo al debitore. L’Agenzia ha infatti precisato che tuttavia “una volta aperta la procedura, l’individuazione dell’anno in cui dedurre la perdita su crediti deve avvenire secondo le ordinarie regole di competenza”; del resto, ciò di cui la norma testè citata consente la deduzione è “la perdita su crediti” (che  – per poter essere dedotta – deve essere preliminarmente individuata, cioè determinata attraverso un processo valutativo) e non “il credito”, cioè un importo pari a quello del credito vantato verso l’impresa assoggettata a procedura concorsuale.

L’Agenzia delle Entrate, pur avendo richiamato la regola della competenza, non ha tuttavia fornito indicazioni circa i criteri applicabili per individuare l’esercizio di competenza delle perdite, che peraltro non sono desumibili dal comma 2 dell’art. 109 del Tuir, non derivando le perdite di cui trattasi dal compimento di atti con soggetti terzi.

Ciò nonostante, con riguardo alla quantificazione della perdita deducibile, nella medesima circolare l’Agenzia ha affermato di ritenere applicabile il principio generale di derivazione del reddito di impresa imponibile dal bilancio, per il che, in presenza di una delle procedure menzionate, è da considerare deducibile una perdita su crediti di ammontare pari a quello imputato al conto economico.

Conseguentemente è da ritenere che l’entità della perdita deducibile in un determinato esercizio sia data dalla perdita iscritta in bilancio in conformità alle regole previste dal codice civile e ai principi contabili applicati dall’impresa. Infatti, come si legge nella stessa circolare, “la valutazione dell’entità della perdita non può consistere in un processo arbitrario del redattore del bilancio, ma deve rispondere ad un razionale e documentato processo di valutazione conforme ai criteri dettati dai principi contabili adottati”. E in effetti, specialmente nell’ipotesi di ammissione del debitore a procedure diverse dal fallimento, il credito non può essere considerato totalmente irrealizzabile e la misura della perdita può variare sensibilmente da caso a caso, a causa sia della situazione patrimoniale e finanziaria dell’impresa e della sua possibile evoluzione, sia della natura del credito e delle garanzie (anche esterne) da cui esso è assistito; pertanto la determinazione della perdita richiede necessariamente un esame specifico e analitico, da condurre sulla scorta dei documenti su cui si fonda la procedura, quali sono – ad esempio con riguardo al concordato preventivo – il ricorso per l’ammissione alla procedura, in quanto contenente l’offerta formulata ai creditori, il piano di concordato previsto dall’art. 160 L.F., la relativa attestazione di cui all’art. 161, comma 3, L.F. e la relazione del commissario giudiziale di cui all’art. 172 L.F., in base alle cui risultanze è possibile elaborare una oggettiva previsione dell’importo per il quale i crediti verso l’impresa debitrice potranno essere realizzati.

Dalla pronuncia dell’Agenzia delle Entrate discendono, ad avviso di chi scrive, i seguenti importanti corollari:

  1. relativamente alle perdite su crediti verso imprese assoggettate a procedure concorsuali (o che hanno stipulato un accordo di ristrutturazione dei debiti omologato dal competente tribunale) sussistono i requisiti di deducibilità (e precisamente quelli di certezza e precisione), indipendentemente da qualsiasi ulteriore presupposto e prova, a decorrere dall’esercizio di apertura della procedura o di omologa dell’accordo di ristrutturazione. Ciò non significa tuttavia che sia deducibile in tale esercizio un importo pari all’intero ammontare del credito;
  2. infatti l’entità delle perdite deducibili, in detto periodo così come negli esercizi successivi, è (solo) quella risultante dal bilancio correttamente redatto;
  3. la conformità del bilancio al codice civile e ai principi contabili rileva anche ai fini dell’attribuzione temporale della perdita agli esercizi cui questa compete e quindi anche ai fini della determinazione della perdita deducibile in ciascun esercizio;
  4. l’Amministrazione finanziaria ha il potere di rettificare la perdita dedotta in un determinato esercizio, nel caso in cui l’entità di quest’ultima non sia stata determinata in conformità al codice civile e ai principi contabili, e ciò anche quando la contestata differenza quantitativa derivi da un errore concernente l’attribuzione temporale della perdita all’esercizio in cui è stata dedotta. La determinazione della misura per la quale un componente reddituale è deducibile in un certo periodo è infatti intimamente connessa alla individuazione dell’esercizio (o degli esercizi) in cui quel componente reddituale può essere dedotto, trattandosi in sostanza di due aspetti del medesimo fenomeno. Ciò significa che l’Amministrazione finanziaria ha anche il potere di rettificare la deduzione di una perdita, in quanto eseguita in un esercizio diverso da quello cui deve competere in base al codice civile e ai principi contabili, tanto nel caso di deduzione eseguita anteriormente al periodo di reale competenza quanto in quello di deduzione eseguita posteriormente.

Ne emerge un indirizzo assai rigoroso e poco incline a ricercare la soluzione più pratica: sarebbe infatti certamente più agevole applicare la disposizione recata dall’art. 101, comma 5, del Tuir ritenendo comunque deducibile, nell’esercizio in cui l’impresa debitrice viene assoggettata a procedura concorsuale, un importo pari a quello del credito vantato nei confronti di quest’ultima, ammettendone tuttavia la deduzione anche nei successivi esercizi. Tuttavia l’interpretazione fornita dall’Agenzia ci sembra quella più aderente sia alla lettera della norma, che – come si è già detto – consente la deduzione della “perdita” relativa al credito, la quale deve essere peraltro preliminarmente determinata, e non del “credito” per il suo intero ammontare, sia al principio della capacità contributiva, posto che, discendendone la deducibilità (solo) delle perdite risultanti dal bilancio correttamente redatto, la determinazione del reddito d’impresa imponibile risulta quanto più prossima a quella dell’utile di bilancio, e cioè al valore che meglio di altri esprime il reddito reale dell’impresa e conseguentemente la capacità contributiva della stessa.

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