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Editoriali

Le procedure concorsuali al tempo del coronavirus: alcune proposte

6 Aprile 2020

Maurizio Irrera

Professore ordinario di diritto commerciale, Università degli Studi di Torino; Presidente del Centro Crisi

Di cosa si parla in questo articolo

E’ vivo il dibattito in questi giorni su possibili interventi legislativi in tema di procedure concorsuali, ma senza la previa o perlomeno contestuale adozione di misure urgentissime ed indifferibili a favore delle imprese, la discussione appare sterile e ogni intervento sul punto – seppur animato da buone intenzioni – rischia di creare ancora più danni.

L’emergenza del sistema imprese risiede, in primis, nella necessità di iniettare liquidita. Come sottolinea Mario Draghi, “(…) per proteggere l’occupazione e la capacità produttiva in un periodo di grave perdita di reddito è indispensabile introdurre un sostegno immediato alla liquidità. Questo è essenziale per consentire a tutte le aziende di coprire i loro costi operativi durante la crisi, che si tratti di multinazionali o, a maggior ragione, di piccole e medie imprese, oppure di imprenditori autonomi”.

La carenza di liquidità delle famiglie e, per quello che qui rileva, per le imprese tende a propagarsi e rischia di travolgere il Paese. Anche le aziende tuttora sane tendono a preservare la liquidità che posseggono per il timore di restarne senza, con effetti devastanti sul sistema economico nel suo complesso.

In un tale contesto appare evidente che le misure tampone dirette – ad esempio – ad impedire la dichiarazione di fallimento anche su richiesta della stessa impresa o a non consentire il ricorso alle procedure negoziate o giudiziali di componimento della crisi avrebbero un effetto deleterio, rispetto alle pur buone intenzioni. Sarebbe paradossale che migliaia di imprese, costrette a chiudere i battenti in modo definitivo a causa della crisi e dell’assenza di sostegno finanziario, dovessero rimanere in una sorta di limbo, senza neanche poter fallire; allo stesso modo sarebbe irragionevole che quell’imprese che, nell’interesse (si sarebbe detto un tempo…) dell’economia nazionale, potrebbero rimanere, seppur a fatica, sul mercato non potessero ristrutturare il loro debito.

Occorre assumere decisioni tempestive e straordinarie anche in tema di amministrazione della giustizia. Qualche proposta; incrementare nel giro di pochi mesi il numero di magistrati (500 ad esempio?) da assegnare ai Tribunali delle Imprese ed alle sezioni fallimentari dei Tribunali che dovranno affrontare e gestire la crisi d’impresa Come fare? Se si è consentito ai neolaureati in medicina di andare in corsia anche senza esame di stato, perché non farlo in modo “analogo” per i magistrati? Tre sono le strade che di primo acchito mi sento di proporre. Recuperare i primi 100-200 esclusi dell’ultimo concorso di magistratura; verificare la disponibilità – su base volontaria – di un rientro in servizio di magistrati i quiescenza; da ultimo, se professori di chiara fama possono divenire, ai sensi della nostra Costituzione, giudici di cassazione, perchè non arruolare – a tempo – i più capaci professori delle nostre università? Negli anni ‘80 del secolo scorso il CSM inviò i cosiddetti “giudici ragazzini” nelle cosiddette sedi disagiate e molto di loro si comportarono in modo eroico.

Una seconda proposta, per potenziare la capacità dei nostri tribunali fallimentari di affrontare in modo proattivo la crisi, è quella di consentire – con una norma speciale – alle imprese, magari sotto la sorveglianza delle camere di commercio, di nominare esperti in ambito giuridico o economico-aziendale o temporary manager in grado di affiancare l’imprenditore nell’individuare – se possibile – soluzioni adeguate, con costo a carico dello Stato; tutto ciò con una doppia finalità: da un lato, di aiutare concretamente le imprese ad intraprendere nuovi percorsi; dall’altro, di fornire a talune categorie professionali la chance di non disperdere le preziose competenze acquisite. Insomma, un OCRI semplificato e meno burocratizzato di quello previsto all’interno del sistema di composizione assistita della crisi, disegnato dal Codice della Crisi.

Occorre – infine – riattivare, senza se e senza ma, il funzionamento della giustizia ricorrendo a sistemi di videoconferenza, di cui tutti ormai si sono impratichiti in queste settimane. Vanno nella giusta direzione le linee guida del CSM, ma occorre essere molto decisi: in campo civile quasi tutte le udienze possono tenersi in remoto. Occorre che il generale plauso che in queste settimane stiamo riservando al personale medico e infermieristico, lo si possa rivolgere presto a giudici ed avvocati chiamati a collaborare per offrire, soprattutto in momenti così difficili, una buona giustizia.

In un tale quadro, allora, proposte analitiche di intervento sulla disciplina delle procedure concorsuali assumerebbero senso e sostanza. Occorrerà ripensare ai nostri istituti o, perlomeno, reintrerpretarli alla luce dei nuovi scenari di incertezza che ci attendono. Faccio un esempio: la fattibilità dei piani di ristrutturazione dovrà necessariamente fare i conti con un quadro di scarsa prevedibilità degli eventi futuri; ciò comporterà la necessita di adeguare il giudizio di fattibilità ad una situazione post-bellica, ma lo strumento economico-aziendale del piano non potrà essere abbandonato. Ancora: nel giudicare la responsabilità degli organi sociali occorrerà riconsiderare le cause di forza maggiore.

Il lavoro da fare è tanto; penso al principio delle continuità aziendale che dovrà essere adeguato; alla nozioni tecnica di crisi che dovrà essere ripensata alla luce degli effetti della generale crisi liquidità; alla disciplina del capitale sociale e dello stesso bilancio che dovrà tenere conto della pandemia nella quale siamo sommersi.

L’auspicio è che si possa avviare un processo di adeguamento intelligente e rapido che sostenga le imprese ad affrontare la “ricostruzione”, ma non necessariamente indulgente per evitare comportamenti opportunistici.

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