Con il d.l. 27 giugno 2015, n. 83, poi convertito con modifiche dalla l. 6 agosto 2015, n. 132, il Legislatore ha introdotto alcune modifiche alla legge fallimentare tra cui la possibilità per i creditori di una società in crisi di presentare proposte concorrenti rispetto a quella proposta dal debitore nell’ambito di una procedura concordataria. Tale sistema – come si discuterà più diffusamente nel prosieguo – è parzialmente mutuato da quello previsto nel Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense.
La norma ha una duplice ratio. Da un lato mira all’ottimizzazione delle possibilità di realizzo per i creditori concordatari che si vengono a trovare in una posizione più elastica e agevole rispetto a quella ricoperta finora, dall’altro lato si è cercato di sviluppare un altro aspetto del mercato dei mutui in sofferenza. Invero, le scelte dei creditori non sono più limitate a una semplice approvazione o rifiuto in toto della proposta avanzata dal debitore: oggi v’è la possibilità di presentare un progetto concorrente che si mostri più efficace di quello del debitore che, a questo punto, potrà essere rifiutato sulla base di un’alternativa concreta, senza che si debba necessariamente giungere a una dichiarazione di fallimento.
In sostanza questo nuovo strumento permette sia di evitare che il debitore presenti proposte chiaramente non consone al valore dell’azienda, sia di implementare il mercato dei cosiddetti distressed debts – chi ha interesse all’acquisto dell’impresa in concordato potrà, infatti, acquistare un numero di crediti sufficienti a permettergli di presentare una proposta concorrente.[1] In questo modo – in luce dei limiti di ammissibilità delle proposte concorrenti, si tratta più diffusamente nel paragrafo successivo – l’imprenditore si trova davanti a una ben precisa scelta: rispettare una percentuale minima di soddisfo dei creditori chirografari (o comunque presentare una proposta aderente alle reali aspettative economiche e/o di realizzo dell’azienda ristrutturata), o vedersi spossessato della gestione della crisi della sua impresa.
Vediamo di seguito il funzionamento e le caratteristiche principali delle proposte concorrenti nel concordato preventivo.
Requisiti soggettivi e oggettivi per la presentazione di proposte concorrenti
Secondo la norma del novellato art. 163 del R.D. 16 marzo 1942, n. 267 e succ. modifiche (legge fallimentare, di seguito “L.F.”), la legittimazione a formulare proposte concorrenti è riservata ai soli creditori che rappresentano, anche congiuntamente e anche per effetto di acquisti successivi, almeno il dieci percento dei crediti risultanti dalla situazione patrimoniale depositata ai sensi dell’art. 161 L.F. Dunque anche i terzi hanno l’opportunità di formulare proposte concorrenti potendo gli stessi acquistare crediti nella misura prescritta. In tal senso il Legislatore ha previsto che tali crediti possano anche essere acquistati in un momento successivo alla presentazione della domanda di concordato di cui all’art. 161 L.F., e la ratio di una tale scelta pare potersi rinvenire in connessione con il menzionato fine di sviluppare un mercato dei crediti in vista della possibilità di formulare proposte concorrenti nell’ambito dei concordati. In tal senso i creditori, e in particolare le banche che spesso detengono quote creditorie considerevoli, avranno la possibilità di vendere i loro crediti anche successivamente alla presentazione della domanda di concordato, e dunque proprio alla luce della potenziale presentazione di proposte concorrenti da parte di soggetti terzi a ciò interessati. In questo modo si favorisce l’instaurazione di un mercato di tali crediti simile a quello dei mutui in sofferenza (cd. Non-Performing Loans o NPL).
Le proposte concorrenti possono essere presentate dal momento in cui il debitore deposita la relazione sulla situazione patrimoniale ai sensi dell’art. 161 lett. a) L.F. che coincide con il deposito della domanda effettiva di concordato da parte del debitore. Si deve dunque ritenere che le proposte concorrenti non possano essere formulate durante la cosiddetta fase pre-concordataria, ossia a seguito di presentazione di domanda “in bianco” o “con riserva”: in tale fase i creditori, non avendo a disposizione tutta la documentazione prescritta dall’art. 161 L.F., non avrebbero invero le informazioni indispensabili per predisporre una proposta.
Il momento finale per la formulazione delle proposte concorrenti è stabilito dal quarto comma dell’art. 163 L.F. e corrisponde a trenta giorni prima dell’adunanza dei creditori. Da notare che la stessa norma, al secondo comma, prevede che l’adunanza dei creditori debba essere fissata a non oltre 120 giorni dal decreto di ammissione alla procedura concordataria e non più entro trenta giorni com’era previsto in precedenza (termine che nella prassi veniva comunque assai spesso superato), e ciò proprio al fine di consentire ai creditori di avere un margine di tempo sufficiente per predisporre e formulare una o più proposte concorrenti.
Quanto alle condizioni di ammissibilità, l’art. 163, quinto comma L.F. prevede che le proposte concorrenti non siano ammissibili se nella relazione depositata dal debitore ai sensi dell’art. 161 L.F. il professionista attesta che la proposta del debitore assicura il pagamento di almeno il 30 per cento dei crediti chirografari, in caso di concordato in “continuità aziendale”, ovvero di almeno il 40 per cento dei crediti chirografari negli altri casi. Questa disposizione parrebbe volta a consentire al debitore di mettersi al riparo da eventuali proposte concorrenti appunto offrendo il minimo di soddisfo previsto dalla legge. Il termine “pagamento” utilizzato dal Legislatore pare non doversi intendere quale il solo pagamento in denaro, volendo riferirsi a qualsiasi forma di soddisfo del ceto creditorio.
Adempimenti successivi e approvazione delle proposte
Anche l’art. 172 L.F. relativo alla relazione del commissario è stato modificato sì da rendere la norma coerente con le nuove disposizioni in tema di proposte concorrenti. Invero, il termine per il deposito della relazione sulle proposte è anticipato da dieci a quindici giorni prima dell’adunanza dei creditori. Se nei successivi quindici giorni sono presentate proposte concorrenti, il commissario ha l’onere di depositare una relazione integrativa (dandone opportuna comunicazione ai creditori) entro dieci giorni dall’adunanza dei creditori.
La mini-riforma non ha modificato la previsione per cui ai fini dell’approvazione del concordato è necessaria la maggioranza assoluta dei creditori ammessi (calcolata in base al valore del credito e non per testa) e, laddove la proposta preveda la suddivisione per classi, tale maggioranza va raggiunta anche per ogni classe.
Nel caso di più proposte, l’art. 177 L.F. stabilisce che si considera approvata quella che ha conseguito la maggioranza più elevata dei crediti ammessi al voto, mentre in caso di parità prevale la proposta del debitore o, se la parità è relativa alle sole proposte dei creditori, prevale quella presentata per prima. La scelta di far prevalere la proposta del debitore su quelle equipollenti dei creditori ha chiaramente il ruolo di ‘contrappeso’ in luce dell’introduzione della facoltà per i creditori di presentare le proposte concorrenti; il debitore, infatti, è almeno favorito nel senso di non vedere la sua proposta surclassata da altre di pari livello, che potrebbero condurre allo spossessamento della sua azienda.
Inoltre, è facile intuire che se il Legislatore ha previsto ipotesi di parità, comunque superiori al 50% dei crediti (maggioranza assoluta), si deve ritenere implicita la facoltà per i creditori ammessi al voto di esprimersi favorevolmente su più proposte. Solo allorquando nessuna proposta raggiunga la maggioranza assoluta si dovrà procedere con un’ulteriore votazione, nel qual caso il Giudice Delegato rimetterà al voto la sola proposta che ha raggiunto la maggioranza relativa dei crediti.
Alcune possibili criticità
Nonostante si tenda a ritenere che l’istituto in oggetto debba considerarsi – nel complesso – uno strumento atto a migliorare il sistema di gestione della crisi di società in concordato, possono intravedersi alcune perplessità e difficoltà.
In primo luogo si nota che la mini-riforma contempla nuove previsioni in relazione all’esecuzione del concordato (art. 185 L.F.) al fine di disincentivare condotte ostruzionistiche da parte del debitore in esecuzione di una proposta di concordato di uno o più creditori. Si prevede, infatti, che il soggetto che ha presentato la proposta poi approvata possa denunziare al Tribunale ritardi od omissioni da parte del debitore e chiedere di attribuire al Commissario Giudiziale i poteri necessari per provvedere in luogo del debitore; sentiti in camera di consiglio il debitore e il Commissario Giudiziale, il Tribunale può revocare l’organo amministrativo e nominare un amministratore giudiziario. Una tale previsione è facilmente comprensibile se si pensa all’avversione che potrebbe provare il debitore nel lasciare la gestione della sua impresa – sicuramente in crisi ma non ancora completamente decotta – nelle mani di soggetti esterni il cui fine principale è di ottimizzare la soddisfazione dei propri crediti. Lo strumento previsto dall’art. 185 L.F. risulta dunque fondamentale seppur forse non del tutto sufficiente.[2]
Un ulteriore aspetto potenzialmente foriero di complessità riguarda le cosiddette “proposte parassitarie”. Si tratta per l’appunto di proposte concorrenti che ricalcano quella presentata dal debitore – con l’aggiunta di un minimo elemento di differenziazione – e che rischiano di minare il senso e l’esistenza stessa del concordato. Si pensi ad esempio al caso di un concordato in continuità nel cui ambito un creditore proponga di adottare la soluzione di continuità soggettiva proposta dal debitore ma con il fine di ripartire tra i creditori tutti i risultati della gestione dell’impresa sino al pieno soddisfacimento dei crediti stessi ed escludendo i soci dal riparto; in tal modo la proposta concorrente verrebbe a rompere il patto tra soci della società in concordato e creditori della stessa su cui il concordato in continuità soggettiva si basa, rendendo questa opzione teoricamente quasi impraticabile.[3]
Profili di comparazione con la disciplina del Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense
Come già brevemente accennato, il sistema delle proposte concorrenti nel concordato, così come implementato dal legislatore italiano, può avere punti di contatto con un istituto simile disciplinato nel Chapter 11 del Bankruptcy Code statunitense che disciplina gli accordi con i creditori in un’ottica di continuità aziendale. Seppure in quest’ambito il modello americano contempli un sistema di proposte concorrenti, è comunque necessario sottolineare che il meccanismo delle proposte concorrenti previsto dalla legge fallimentare italiana si discosta nettamente da quello americano, tanto da un punto di vista strettamente concettuale quanto per le modalità attuative.
Il sistema concordatario delineato dal Chapter 11 prevede per i creditori della società in crisi la possibilità – oltre a quella di presentare un’istanza di concordato (ipotesi non contemplata dal sistema fallimentare italiano ove l’impulso per avviare la procedura concordataria non può provenire originariamente dai creditori) – di depositare proposte concorrenti rispetto a quella del debitore seppur con alcuni limiti, specialmente di carattere temporale.
In particolare, il sistema statunitense prevede un periodo di esclusività di 120 giorni (estendibile fino ad un massimo di 18 mesi) a partire dal deposito dell’istanza di concordato; durante tale lasso di tempo soltanto il debitore potrà presentare un piano, mentre le altre parti interessate potranno presentarne uno a loro volta soltanto allo scadere di tale periodo di esclusività (e del più lungo periodo per l’accettazione del piano eventualmente presentato) e soltanto qualora il debitore non abbia presentato o non abbia ottenuto l’approvazione di un proprio piano di concordato nei termini.
Con queste forme, la facoltà dei creditori di presentare una “proposta concorrente” esiste ma è sicuramente limitata; nonostante ciò, la prassi ha dimostrato che nel sistema concordatario statunitense non è infrequente che i creditori giungano ad avere la possibilità di depositare un piano da essi stessi redatto ed effettivamente sfruttino tale opportunità. Rileva sottolineare come le norme contenute nel Chapter 11 non specifichino nel dettaglio le modalità di scelta della proposta da adottare qualora ne esistano svariate che rispettano i requisiti di ammissibilità; nella pratica sarà normalmente la corte che supervisiona la procedura a stabilire le modalità di votazione e di scelta della proposta, tenendo conto delle indicazioni dei creditori, delle loro preferenze e della soluzione che ne deriverebbe a seconda della scelta.
Questo sistema ora vigente negli Stati Uniti non è sicuramente esente da critiche. La possibilità concreta di presentare proposte concorrenti è, infatti, scaturita da una modifica delle norme del Chapter 11 occorsa nel 2005: tale novella ha posto il limite massimo di 18 mesi alle estensioni del periodo di esclusività. In precedenza, infatti, le corti erano solite accordare plurime estensioni al debitore finché lo stesso non fosse in grado di presentare un piano convincente e ammissibile; ora ciò non è più possibile e le proposte concorrenti sono diventate una realtà assai più frequente e concreta.
Le principali critiche all’attuale scenario statunitense sono indirizzate alla carente regolamentazione in merito alla fase di presentazione e valutazione delle proposte concorrenti, circostanza che rischia frequentemente di creare incertezza e confusione per i creditori votanti, i quali potrebbero trovarsi ad analizzare una quantità di proposte assolutamente sproporzionata rispetto all’effettivo livello delle loro pretese creditorie.
L’intento cui tali proposte concorrenti aspirano – come nel caso italiano – è quello della massimizzazione delle possibilità di recupero per i creditori, dunque una finalità sicuramente degna di essere perseguita; pare però che, specialmente in luce delle modalità procedurali poco chiare, il modo in cui le proposte concorrenti sono state implementate nel sistema statunitense rischi di appesantire eccessivamente la procedura (anche da un punto di vista dei costi) a tal punto da non giustificare sempre il tentativo di miglioramento dei risultati satisfattori per i creditori.
Risulta dunque evidente come il nostro sistema delle proposte concorrenti, seppur apparentemente confrontabile con il sistema americano, in realtà se ne discosti e presenti caratteri di utilità suoi propri.
Gli americani guardano con sospetto ad uno strumento che pare aver sottratto potere negoziale al debitore in crisi a favore dei creditori che già erano dotati di una considerevole capacità di intervento e godevano di ampia libertà di negoziare (specialmente in luce del ruolo essenziale e pervadente del comitato dei creditori nella gestione dell’intera procedura concordataria). Per contro per il sistema italiano lo strumento delle proposte concorrenti – che è più specificamente regolamentato rispetto al modello d’oltreoceano – si pone come un’attribuzione di potere negoziale nelle mani dei creditori che precedentemente si dovevano accontentare di un ruolo più marginale, quasi da spettatori nella individuazione del piano concordatario.
Seppur il nostro meccanismo delle proposte concorrenti presenti ancora criticità e perplessità che si dovranno risolvere col tempo non essendo ancora stato impiegato diffusamente nella prassi, si può apprezzare come esso rappresenti una svolta per il sistema concordatario italiano accolta come innovativa, laddove nel contesto statunitense la concorrenza di più proposte è stata giudicata più come una fonte di appesantimento della procedura, specialmente in luce della mancanza di una specifica regolamentazione.
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Le proposte concorrenti rappresentano una rilevante novità nel panorama dello strumento concordatario che apre la strada a nuovi scenari nell’ambito dei rapporti tra creditori, società in crisi e terzi investitori. L’impatto che in concreto ne potrà derivare dipende dal modo in cui essa verrà accolta e fatta propria dagli operatori del mercato e dall’apporto che forniranno i Tribunali per coniare una giurisprudenza complementare al potenziamento del nuovo istituto nella prassi. Quello che sicuramente emerge allo stato attuale è che, in concreto, l’introduzione delle proposte concorrenti nell’ambito del concordato in continuità sta fungendo da deterrente per il debitore, il quale si trova a dover considerare la possibilità di essere spossessato della propria attività qualora decidesse di presentare una proposta di concordato che non sia sufficientemente satisfattiva dei suoi creditori.
[1] In merito si veda ad esempio l’articolo “Brevi considerazioni su alcune norme dell’ultima riforma” di G. Bozza, nella rivista www.fallimentiesocieta.it, 2015.
[2] Si veda ad esempio A. Rossi, Il contenuto delle proposte concorrenti nel concordato preventivo (prime riflessioni), in blog.ilcaso.it, 12 novembre 2015, pag. 4 ss., con un interessante ragionamento sulla possibilità o meno per il creditore che presenta una proposta concorrente di impegnare lo stesso debitore che ha dato vita alla procedura concordataria (e magari egli soltanto) piuttosto che impegnare sé stesso.
[3] Tale problematica viene affrontata all’articolo di cui alla nota 2, a cui si contrappone alla tesi di D. Galletti in Le proposte concorrenti nel concordato preventivo: il sistema vigente saprà evitare il pericolo di rigetto?”, in Il Fallimentarista, 15 settembre 2015, pag. 22.