La congiuntura economica che ha colpito anche imprese sane e con prospettive e che presumibilmente è destinata a perdurare per un tempo non breve non può non avere a maggior ragione effetti sui soggetti che già si trovavano in difficoltà, siano essi imprese o debitori civili, e che hanno intrapreso una delle procedure previste nelle situazioni di crisi o di insolvenza.
Uno dei problemi che si possono porre è quello relativo agli strumenti per reagire ad una situazione eccezionale che comporta un mutamento in senso deteriore del panorama economico rispetto a quello tenuto presente per elaborare un piano di ristrutturazione nell’ambito di una procedura concorsuale.
Per vero il legislatore non si è preoccupato per molti anni dell’evenienza costituita dalla necessità di intervenire con modifiche al piano e alla proposta né per le imprese cui si applica la legislazione fallimentare (R.D. n. 267/1942) mentre per imprese minori, i professionisti e debitori civili cui si applica la (tutto sommato, recente) disciplina del sovraindebitamento (Legge n. 3/2012) qualche cosa è stato fatto in quanto questa è l’unica che offre uno strumento per introdurre le modifiche al piano e alla proposta che possono rendersi necessarie a fronte della mutata situazione generale.
Il limite della disposizione (art. 13, c. 4-ter che prevede, in caso di sopravvenuta incolpevole impossibilità di esecuzione, che il debitore possa, con l’ausilio dell’organismo di composizione della crisi, modificare la proposta) è costituito dalla circostanza che si applica solo alla fase di esecuzione dopo l’omologazione mentre nulla si prevede per la fase anteriore se non la possibilità di emendare la domanda a fronte di eventuali rilievi del giudice al momento del primo esame di ammissibilità.
La disposizione è certamente opportuna e anche innovatrice in quanto nulla del genere è previsto, ad esempio, per il concordato preventivo ma è di applicazione macchinosa in quanto con il richiamo all’osservanza di tutta la disciplina del procedimento impone praticamente di rinnovare tutto l’iter e, in particolare, la votazione dei creditori con ciò che ne consegue in termini di tempo.
Un passo avanti verso la semplificazione viene forse fatto con il Codice della crisi e dell’insolvenza (D. l.vo. n. 14/2019) che, con tecnica un po’ involuta, sia in caso di piano del consumatore che di concordato minore (procedura che prende il posto degli accordi con i creditori) sanziona con la revoca dell’omologazione (il primo) o la risoluzione (il secondo) la sopravvenuta inattuabilità del piano se “non sia possibile modificarlo”.
L’incertezza circa un’effettiva semplificazione deriva dalla considerazione che nessuna indicazione viene fornita circa le modalità con cui deve essere proceduralmente gestita la richiesta di modifiche per cui se è possibile e auspicabile che il giudice si limiti solo a richiedere una qualche interlocuzione con i creditori in modo da garantirne i diritti c’è anche il rischio che venga ripercorso, quantomeno nel concordato minore, tutto l’iter procedimentale per addivenire all’approvazione.
Può essere interessante valutare quali siano le attuali possibilità di fronte alla situazione eccezionale che si è verificata e a questo proposito è bene subito rilevare che il legislatore non ha preso in considerazione, sotto il profilo che qui interessa, i soggetti sovraindebitati i quali vengono di fatto coinvolti solo per la decisione di rinvio dell’entrata in vigore del Codice della crisi.
Si tratta di una decisione discutibile in quanto l’unica parte del nuovo corpus normativo che avrebbe presumibilmente creato particolari criticità è quella sulle procedure di allerta, posto che gli indicatori alle quali queste sono collegate non tengono certamente conto dell’eccezionalità del momento, mentre appare poco plausibile il motivo consistente nell’inopportunità di mettere di fronte gli interpreti a norme nuove di ancora incerta interpretazione posto che le incertezze dottrinarie e giurisprudenziali sono all’ordine del giorno anche nell’applicazione delle disposizioni attuali e questa situazione è destinata a permanere fino a quando non si garantirà tempestività e una qualche forza vincolante alla nomofilachia della Cassazione, quantomeno in relazione a principi affermati a Sezioni Unite.
Quello che appare sostenibile, comunque, è che un’entrata in vigore selettiva del Codice (si pensi ai nuovi ed estremamente duttili accordi di ristrutturazione dei debiti, alla rinnovata ed automatica esdebitazione, alla disciplina del debitore incapiente, ad una composizione assistita della crisi volontaria e svincolata da segnalazioni) avrebbe fornito strumenti maggiormente idonei di quelli attuali.
Una legislazione emergenziale ha visto invece la luce per le imprese non minori e, con l’art. 9 del c.d. Decreto Liquidità (D.L. n. 23 del 8 aprile 2020 convertito con al L. 5 giugno 2020 n. 40), sono state dettate disposizioni che vanno dal mero rinvio del termine di esecuzione delle proposte ai creditori a quelle che consentono di modificare piano e proposta in corso di procedura.
Poiché queste norme non si applicano direttamente ai soggetti sovraindebitati ci si deve preliminarmente chiedere se siano applicabili analogamente in quanto detto criterio ermeneutico può essere invocato solo quando esiste un vuoto normativo che deve essere necessariamente colmato e, come si è visto, per le modifiche da apportarsi in sede di esecuzione post omologa esiste già il richiamato art. 13, c. 4-ter della legge n. 3/2012.
L’obbiezione può essere facilmente superata sol che si consideri che l’attuale disciplina è dettata per una situazione normale nel senso che considera la crisi di un soggetto nell’ambito dell’ordinario panorama economico e finanziario, situazione che certamene non è quella presente, tanto che per le imprese non minori sono state appunto dettate norme eccezionali. A ciò si aggiunga che la disposizione di cui sopra si applica solo alla fase esecutiva ma nulla dispone per quelle anteriori.
In applicazione, dunque, del criterio dell’analogia, certamente è applicabile immediatamente la disposizione relativa alla dilazione di sei mesi dei termini di adempimento scadenti a far tempo dal 23 febbraio 2020 (art. 9, c. 1) relativi a domande già omologate. Si tratta di un effetto discendente immediatamente dal precetto legislativo che non necessita di alcun intervento giudiziale.
Altrettanto priva di problemi di compatibilità è l’applicazione agli accordi con i creditori e al piano del consumatore del terzo comma della citata disposizione che, nel caso in cui sia richiesta prima dell’omologazione unicamente una rimodulazione dei tempi di adempimento per non più di sei mesi, prevede unicamente l’acquisizione del parere del commissario giudiziale, e quindi, quanto alle procedure di sovraindebitamento, del parere dell’OCC, con ciò escludendo la necessità di un interpello dei creditori.
Non vengono in considerazione i commi quarto e quinto in quanto nelle procedure di sovraindebitamento la fase preliminare al deposito di piano e proposta è esclusivamente stragiudiziale.
Resta da esaminare la compatibilità del dettato del secondo comma che consente al debitore di richiedere, fino all’omologazione (per il concordato anche dopo la votazione purchè favorevole), un termine non superiore a novanta giorni per il deposito di un nuovo piano e di una nuova proposta di concordato o un nuovo accordo di ristrutturazione dei debiti.
La possibilità di chiedere ed ottenere un termine anche per emendare piano e proposta dopo l’ammissione e prima dell’omologazione di un piano del consumatore o di un accordo con i creditori sarebbe dunque innovativa e può ritenersi che nulla osti alla sua applicazione.
Non vi sono criticità particolari per il piano del consumatore in quanto, non essendovi la manifestazione del voto, la richiesta del termine comporta unicamente la revoca della fissazione dell’udienza di omologa che potrà essere riscadenzata solo in esito al deposito delle modifiche, con conseguente possibilità per i creditori di ripresentare eventuali osservazioni entro il nuovo termine.
Per l’accordo con i creditori, si ripropone la stessa questione già accennata in relazione alla legislazione attutale circa le modifiche in corso di esecuzione, sulla necessità o no di interpellare i creditori sul nuovo piano e/o sulla nuova proposta nel caso in cui si siano già favorevolmente pronunciati e la risposta non può essere differente, in quanto, pur considerando l’eccezionalità della situazione gli interessi dei creditori non possono essere del tutto compressi, essendo solo al limite ipotizzabile una riduzione dei termini.