Con la proposta di revisione della Direttiva 2004/39/CE (di seguito la “Direttiva MiFID II”) il legislatore comunitario ha per la prima volta preso posizione in merito alla natura giuridica delle quote di emissione di gas ad effetto serra, inquadrandole nel novero degli strumenti finanziari. Come si avrà modo di approfondire nel prosieguo, tale innovativa qualificazione porta con sé significative ripercussioni sotto il profilo della disciplina applicabile ai soggetti che operano professionalmente nell’ambito dei sistemi di scambio di quote di emissione ed ai mercati sui quali gli strumenti in questione vengono negoziati.
L’analisi dei potenziali sviluppi normativi in materia richiede d’altro canto un breve excursus sull’origine, in particolare nel contesto europeo, dei cosiddetti emissions trading systems.
I sistemi di scambio di quote di emissione di gas serra rappresentano invero un innovativo strumento di politica ambientale introdotto e regolamentato nell’ordinamento giuridico comunitario dalla Direttiva 2003/87/CE del 13 ottobre 2003 (di seguito la “Direttiva 2003/87/CE”) al fine di consentire ai Paesi dell’Unione Europea di adempiere, con costi meno significativi per le proprie imprese, agli impegni assunti con la ratifica del Protocollo di Kyoto del 1997 circa la riduzione dei livelli di emissione di gas serra rispetto alle quantità emesse negli anni ‘90.
Più nel dettaglio, la Direttiva 2003/87/CE prevede che l’autorità regolamentare competente di ciascuno Stato membro assegni un certo numero di quote di emissione di CO2 equivalente – da intendersi come permessi di emettere gas serra per un determinato ammontare – alle imprese autorizzate a partecipare ai sistemi di scambio e che necessitano di emettere gas a effetto serra nell’ambito del proprio ciclo produttivo, sulla base di un piano nazionale di assegnazione la cui conformità ai criteri enunciati dalla Direttiva viene valutata dalla Commissione Europea.
A seguito dell’assegnazione, i gestori di impianti che emettono gas serra e che si sono visti attribuire quote di emissione in quantità superiore rispetto al proprio fabbisogno – perché ad esempio hanno investito in tecnologie che consentono loro di limitare le emissioni al di sotto del livello che gli è consentito dall’ammontare di quote che detengono – alimentano sistemi di scambio attraverso la vendita delle quote in eccesso che, per altro verso, possono essere acquistate dalle imprese le cui emissioni non sono coperte dalle quote che si sono viste assegnare.
Nel sistema di scambi sopra descritto, le operazioni di negoziazione di quote di emissione di gas serra avvengono tramite scritturazioni contabili degli acquisiti e delle vendite di tali strumenti nei Registri Nazionali a tal fine istituiti dalle autorità nazionali competenti. Proprio in ragione di tale circostanza, le quote di emissione – nell’ambito del dibattito sulla loro natura giuridica – sono state da taluni osservatori assimilate agli strumenti finanziari. Qualificazione questa, che è stata avversata dai più in quanto si è sottolineato che le transazioni in strumenti finanziari (tra i quali sono da ricomprendersi i contratti derivati su quote di emissione) rappresentano sempre un investimento di natura finanziaria, connotato che invece manca nelle operazioni spot di compravendita di quote di emissione. Tali transazioni vengono, infatti, poste in essere, per lo più, al fine di adempiere l’obbligo, posto in capo ai soggetti che le eseguono, di avere a disposizione un numero di quote sufficiente a coprire le proprie emissioni di gas serra.
A differenza dell’attività di negoziazione in strumenti derivati, quella relativa alle quote di emissione nell’Unione Europea si è contraddistinta per l’assenza di una regolamentazione ad hoc. La mancanza di una cornice normativa nell’ambito della quale potesse essere inscritto e disciplinato il fenomeno in questione, ha favorito il diffondersi di pratiche fraudolente che hanno fatto emergere l’esigenza di rafforzare la trasparenza ed aumentare la sicurezza degli scambi negli emissions trading systems europei.
Ed è in tale contesto che si inserisce la proposta di riforma contenuta nella Direttiva MiFID II che, per la prima volta, annovera come detto le quote di emissione nell’elenco degli strumenti finanziari e che intende perseguire l’obiettivo di ricondurre, quanto più possibile, il mondo degli scambi che ruota attorno alle quote di emissione, nelle aree di competenza delle banche e degli intermediari finanziari. Tali operatori vengono individuati come i soggetti i quali, in quanto inseriti in un sistema di regole collaudate, sono in grado di offrire quei presidi di controllo e monitoraggio necessari ad assicurare l’integrità delle transazioni sulle quote di emissione.
Alla luce delle riflessioni condotte per l’innanzi, la scelta operata dal legislatore comunitario, qualora la Direttiva MiFID II vedesse effettivamente la luce, avrebbe conseguenze rilevanti innanzitutto per i soggetti che, a vario titolo, operano professionalmente o prestano servizi collegati alle quote di emissione.
In primo luogo infatti l’inclusione delle quote di emissione nella categoria degli strumenti finanziari avrebbe l’effetto di proibire l’esercizio professionale di servizi ed attività d’investimento aventi ad oggetto le negoziazioni spotsu tali strumenti a soggetti diversi dagli intermediari autorizzati ai sensi della Direttiva MiFID.
I brokers che professionalmente “trattano” le quote di emissione dovrebbero, quindi, soddisfare i requisiti operativi ed organizzativi dettati dalla Direttiva MiFID e la loro attività dovrebbe sottostare alla regole di condotta previste da tale disciplina.
Viene peraltro contemplata un’ipotesi di esenzione dall’applicazione dell’impianto normativo MiFID per i soggetti che svolgano attività di negoziazione sulle quote di emissione esclusivamente in via accessoria e solo verso i clienti che si servono dei prodotti e servizi offerti nella prestazione dell’attività imprenditoriale caratteristica dell’operatore. L’accessorietà dell’attività di scambio delle quote di emissione rispetto al business principale dovrà essere valutata tenendo conto, da una parte, della misura in cui tale attività sia oggettivamente finalizzata a ridurre i rischi correlati all’attività commerciale/imprenditoriale o di finanziamento della tesoreria dell’operatore. Dall’altra parte, dovrà essere tenuta in considerazione la misura e l’impiego di capitale destinato allo svolgimento dell’attività di scambio di quote di emissione.
A quanto già sopra rilevato si aggiunga che la qualificazione giuridica delle quote di emissione come strumenti finanziari avrebbe un notevole impatto anche sulle sedi di negoziazione di tali strumenti, in quanto comporterebbe per i gestori dei relativi mercati l’obbligo di richiedere una autorizzazione ad operare come mercato regolamentato oppure come sistema multilaterale di negoziazione (MTF) o come sistema organizzato di negoziazione (OTF) ai sensi della Direttiva MiFID. Ad oggi peraltro, i tre mercati principali che consentono di svolgere attività di spot trading già soddisfano i requisiti richiesti dalla MiFID per i mercati regolamentati, pur non avendo ottenuto l’autorizzazione come tali. In proposito, va altresì evidenziato che il Regolamento della Commissione Europea del 12 novembre 2010 n. 1031/2010, come modificato dal Regolamento del 23 novembre 2011 n. 1210/2011, ha previsto che dal 2013 l’assegnazione delle quote di emissione alle imprese da parte degli Stati membri, avvenga tramite un meccanismo ad asta che dovrà essere effettuato su piattaforme autorizzate come mercati regolamentati ai sensi della Direttiva MiFID.
Infine, il nuovo inquadramento giuridico delle quote di emissione comporterebbe altresì che la disciplina relativa all’abuso di informazioni privilegiate e alla manipolazione del mercato, attualmente contenuta nella Direttiva della Commissione Europea del 28 gennaio 2003 n. 2003/6/CE, troverebbe applicazione anche ai soggetti che partecipano agli scambi di quote di emissione, i quali verrebbero a ricadere nel novero dei destinatari della normativa in materia di market abuse per espressa previsione della proposta di Regolamento della Commissione Europea del 20 ottobre 2011, che andrebbe a sostituire la Direttiva 2003/6/CE. La nuova proposta di Regolamento dedica infatti apposite previsioni ai “partecipanti al mercato di quote di emissione”.
Più nel dettaglio, si stabilisce che i soggetti da ultimo menzionati saranno tenuti a comunicare al pubblico le informazioni privilegiate, secondo le modalità definite dalla proposta di Regolamento, prevedendo altresì, un’esenzione da tale obbligo di comunicazione per i partecipanti al mercato di quote di emissione le cui emissioni di gas serra, nell’anno precedente, non abbiano superato una soglia minima che sarà stabilita dalla Commissione Europea.
In ogni caso, il concretizzarsi del nuovo scenario fin qui descritto sarà condizionato non soltanto all’effettiva entrata in vigore della Proposta di Direttiva e del nuovo Regolamento in materia di market abuse, ma anche dalle decisioni e dagli impegni che verranno assunti a livello internazionale in merito alla riduzione delle emissioni di CO2 ed alla sorte del Protocollo di Kyoto dopo il termine di scadenza fissato al 2013.
Ed invero, la 17esima Conferenza annuale della Convenzione sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite, tenutasi nel dicembre 2011 a Durban in Sudafrica – e in occasione della quale si è discusso inter alia dell’estensione del Protocollo di Kyoto – si è in realtà conclusa con un nulla di fatto. La soluzione di compromesso a cui si è giunti ha portato da un lato ad un rinvio al 2020 per l’assunzione di obblighi di riduzione delle emissioni giuridicamente vincolanti per i Paesi partecipanti alla Convenzione, mentre dall’altro è stata stabilita la proroga del Protocollo di Kyoto per quegli Stati che vi hanno aderito e che, volontariamente e senza però alcun obbligo in tal senso, intenderanno prolungarlo.